Impero delle menzogne, operazione militare in Ucraina e fine della globalizzazione

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/01/23/impero-delle-menzogne-operazione-militare-in-ucraina-e-fine-della-globalizzazione/ pubblicato anche su Stilum Curiae, blog del vaticanista Marco Tosatti, che ringrazio: https://www.marcotosatti.com/2023/01/23/37528/

LA RUSSIA SEMBRA L’UNICO STATO COMPLETAMENTE INDIPENDENTE E SOVRANO IN UN’EUROPA COMPOSTA DI UNA MOLTITUDINE DI STATERELLI AL GUINZAGLIO DI WASHINGTON

Nella presentazione al testo “Contro l’Impero delle Menzogne – L’operazione militare speciale in Ucraina e la fine della globalizzazione nei discorsi di Vladimir Putin” di Paolo Callegari (Ed. Ar, 2022, 17 €) Claudio Mutti ricorda che già un secolo fa esistevano politici attenti e lungimiranti che dicevano: “Se si vuole forgiare l’Europa di domani, la Russia costituisce nella nostra epoca l’unico strumento ancora impiegabile: più potente di quello di cui disposero Napoleone e Hitler. Esclusa tale possibilità, e a meno che non si verifichi un evento quasi miracoloso, per l’Europa è finita. […] Contaminata nel suo sangue da una invasione straniera particolarmente prolifica, […] nel XXI secolo la piccola Europa sarà un cortile d’ospizio di contro ai sette, otto, dieci milioni di asiatici, di africani, di meticci sudamericani”.

Possiamo affermare che in questo momento la Russia sembra l’unico Stato completamente indipendente e sovrano in un’Europa composta di una moltitudine di staterelli al guinzaglio di Washington. Non solo sul suo enorme territorio non ci sono basi americane, ma anche il suo esercito non è integrato in alcuna alleanza con gli americani. Importantissimo il dato di fatto che è costituito dall’indipendenza etico-morale della Federazione guidata da Putin.

Il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha detto, sulla rivista online www.strategika51.org del 30/06/2021 che c’è soltanto la Russia a difendere quei valori che, patrimonio dell’autentica civiltà europea come di ogni civiltà normale, sono oggetto dell’offensiva scatenata dai barbari d’Occidente “contro i fondamenti di tutte le religioni del mondo e contro il codice genetico delle civiltà, con l’obiettivo di abbattere tutti gli ostacoli sulla via del liberalismo. E poi ha proseguito denunciando il pericolo mortale della “guerra in atto contro il genoma umano, contro ogni etica e contro la natura”.

L’Ucraina ha una posizione geografica estremamente favorevole ai disegni egemonici yankee, tanto da divenire il terreno di scontro della strategia americana, sempre utilizzata in tutto il mondo, che è figlia della famosa teoria del geopolitico inglese Sir Halford Jhon Mackinder (1861-1947): “Chi ha il potere sull’Europa orientale domina il Territorio-Cuore (Heartland); chi ha il potere sul Territorio-Cuore domina l’Isola-Mondo (World Island); chi ha il potere sull’Isola-Mondo domina il mondo”.

Il mentore di Barack Obama, già consigliere di Jimmy Carter, dr. Zbigniew Brzezinski, erede della teoria di Mackinder, sarebbe – secondo Lavrov – la mente di un “grande gioco”, basato sulla sceneggiatura promossa proprio da questo geopolitico nell’intera crisi ucraina, che alla strategia di conquista americana serve restare divisa dalla Russia, in vista della conquista dell’Eurasia. Claudio Mutti prosegue la sua interessante analisi ricordando che “in questo contesto strategico – argomentava Brzezinski in The Grand Chessboard (1997, pag. 46) – “l’Ucraina, un nuovo e importante spazio sullo scacchiere eurasiatico, è un perno geopolitico, perché la sua esistenza stessa come paese indipendente aiuta a trasformare la Russia. Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico. […]. Se Mosca riprende il controllo sull’Ucraina, coi suoi 52milioni di abitanti e le sue grandi risorse, nonché l’accesso al Mar Nero, la Russia automaticamente ritrova il modo per diventare un potente Stato imperiale, esteso sull’Europa e sull’Asia”.

Il lettore più accorto si starà chiedendo dove sia il Cattolicesimo, in un ambito espressamente ateo, anticristico e, quanto alla Russia, scismatico Ortodosso. La Dottrina Sociale della Chiesa è un tesoro spirituale, morale e pratico che dovrebbe essere materia di studio nelle scuole. San Pio X stroncò il liberalismo con la Notre Charge Apostolique (1910) ma già la meravigliosa Mirari vos di Gregorio XVI (1832), la grande eloquenza del Cardinale Pie, vescovo di Poitiers, le Allocuzioni di Papa Pio IX con la Quanta Cura ed il Sillabo (1864 entrambe) promulgate durante il Concilio Vaticano I furono un trionfo di mirabile saggezza e diffusione della verità, confutando tutti gli errori della peste liberale.

Nel solco dei predecessori andò con particolare decisione Papa Leone XIII, ma anche e in maniera assai determinata Benedetto XV, Pio XI e Pio XII. Il primo punto al quale approdiamo è che il Liberalismo cattolico – che in epoca moderna risale a Lamennais, passa da Maritain e si infiltra lentamente nel pensiero di alcuni cattolici. Possiamo riassumere dicendo che esso consiste in una attitudine di conciliazione della verità cattolica con i dogmi massonici del progressismo o globalismo politici, filosofici, economici, sociali. La grande secolarizzazione, iniziata da circa un secolo, impedisce a molti cattolici di essere scudo, armatura e spada divinamente assistita, per la difesa dal Principe di questo mondo.

Noi che non ci rassegniamo, perché sappiamo che le porte degli Inferi non prevarranno, ci chiediamo se sia possibile una Civiltà cattolica vera ed integralmente vissuta in questo regno dell’immoralità e della menzogna! Ne “La Città di Cristo e la città dell’Anticristo” don Julio Meinvielle, già nel 1945 (riedizione a cura di Effedieffe, 2022) cerca risposte concrete.

Assorbire o tentare di conciliare le regole della Rivoluzione francese, i principi della Massoneria, del liberalismo, del comunismo, dello scientismo, del razionalismo, del socialismo, del consumismo con il Vangelo di Cristo Re è un’opera impossibile. Sarebbe come unire verità ed errore e negare il principio di non contraddizione. Ciascuno nel proprio piccolo cerchi di “instaurare omnia in Christo” (S. Pio X) oltre e contro le tentazioni di questo mondo corrotto dal peccato mortale elevato a virtù teologale.

Conduciamo una vita pienamente cristiana e integralmente unita alla Tradizione della Chiesa Cattolica. Così ci manterremo nel “piccolo gregge rimasto fedele”. Nostro compito è rimanerci con costanza, non ridurlo maggiormente per le nostre miserie umane. “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Cfr. Lc 12,32-40).

L’anti-utopia di Klaus Schwab

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Le idee proposte dal presidente del World Economic Forum, Klaus Schwab, nel suo libro “La quarta rivoluzione industriale” (4IR) sono già state molto criticate per diversi motivi. Eppure, per alcune persone che non si identificano come sostenitori della globalizzazione, sembrano piuttosto attraenti. Dopo tutto, Schwab sostiene che l’innovazione digitale cambierà in meglio la vita, il lavoro e il tempo libero delle persone. Tecnologie come l’intelligenza artificiale e la robotica, il cloud computing quantistico e la blockchain fanno già parte della vita quotidiana. Utilizziamo telefoni cellulari e app, tecnologie intelligenti e l’Internet degli oggetti. Rispetto alle precedenti rivoluzioni industriali, sostiene Klaus, la 4IR si sta evolvendo a un ritmo esponenziale, riorganizzando i sistemi di produzione, gestione e governance in modi senza precedenti.

Tuttavia, un’analisi obiettiva delle ragioni di Klaus Schwab mostra che egli è in parte in errore e che la sua posizione è generalmente guidata dall’interesse di esercitare il controllo sulla società e di gestire il capitale che sta acquisendo nuove proprietà.

Tra i critici del concetto di 4IR c’è Nanjala Nyabola, che nel suo libro Digital Democracy, Analogue Politics analizza la narrazione con cui Schwab ha dato forma alla sua ideologia.

L’autrice sostiene che il concetto di 4IR viene utilizzato dalle élite globali per distogliere l’attenzione dalle cause della disuguaglianza e per facilitare i processi in corso di espropriazione, sfruttamento ed esclusione. Nyabola osserva astutamente che “il vero fascino di questa idea è che è apolitica. Possiamo parlare di sviluppo e progresso senza ricorrere a lotte di potere”.

La controreplica dell’Africa, dove Nyabola vive, non è casuale, dal momento che questa regione, insieme all’Asia e all’America Latina, è vista dai globalisti come favorevole a nuovi interventi sotto le vesti di assistenza tecnologica e 4IR. Dopotutto, l’evidenza suggerisce che la diffusione della tecnologia digitale è stata altamente disomogenea, guidata da innovazioni tecnologiche più antiche e utilizzata per riprodurre piuttosto che trasformare le disuguaglianze sociali.

Lo storico Ian Moll va oltre e si chiede se l’attuale innovazione tecnologica digitale rappresenti la 4IR in quanto tale.

Egli osserva che esiste un’interpretazione egemonica della 4IR che dipinge il rapido sviluppo tecnologico come una nuova e audace rivoluzione industriale. Tuttavia, non c’è alcuna prova di una simile rivoluzione nella totalità delle istituzioni sociali, politiche, culturali ed economiche, sia a livello locale che globale; di conseguenza, occorre prestare attenzione a come questa struttura ideologica funzioni per promuovere gli interessi delle élite sociali ed economiche di tutto il mondo.

Jan Moll sostiene che la cornice della “quarta rivoluzione industriale” rafforza il neoliberismo contingente del periodo successivo al consenso di Washington e serve quindi a nascondere il continuo declino dell’ordine mondiale globalizzato con una narrazione del “nuovo mondo coraggioso”. Schwab ha semplicemente compiuto una sorta di colpo di Stato ideologico con un insieme di metafore che narrano una rivoluzione immaginaria.

Allison Gillwald lo definisce “uno degli strumenti di lobbying e di influenza politica di maggior successo del nostro tempo… Mobilitandosi intorno all’incontro annuale d’élite di Davos, i progetti politici del WEF sulla 4IR colmano un vuoto per molti Paesi che non hanno investito pubblicamente in ciò che desiderano per il proprio futuro… Con visioni di prosperità globale, confezionate con convinzione futurista e previsioni economiche fantastiche di crescita esponenziale e creazione di posti di lavoro, sembrano fornire una tabella di marcia pronta in un futuro incerto. Ma la cautela è d’obbligo. Anche uno sguardo superficiale alle precedenti rivoluzioni industriali mostrerà che non sono state associate agli interessi delle classi lavoratrici o subalterne. Questo nonostante i benefici più ampi che la società ha tratto dall’introduzione del vapore, dell’elettricità e della digitalizzazione. Piuttosto, sono associate al progresso del capitalismo, attraverso la ‘grande’ tecnologia del momento”.

Anche in questo caso le nuove tecnologie lavoreranno per gli interessi dei capitalisti smanettoni, non per le società.

Moll scrive che il concetto di 4IR sembra convincente perché agisce come una sorta di formula:

  1. Elencare da 7 a 15 tecnologie, per lo più digitali, che sembrano intelligenti, ci fanno sentire obsoleti e ci ispirano soggezione per il futuro. Anche se non sono innovazioni del XXI secolo, dichiaratele come tali.
  2. Dichiarate che c’è un’incredibile convergenza senza precedenti tra queste tecnologie.
  3. Assumete che porteranno a cambiamenti che sconvolgeranno e trasformeranno ogni parte della nostra vita.
  4. Fare appello a ciascuna delle precedenti rivoluzioni industriali come modello per quella attuale.
  5. Indicate una o due delle principali tecnologie o fonti di energia delle precedenti rivoluzioni industriali. I suggerimenti provati sono il motore a vapore per la 1IR; il motore a combustione interna e/o l’elettricità per la 2IR; i computer e/o l’energia nucleare per la 3IR (avrete citato Internet al punto I, quindi evitatelo qui).

In questo modo, Schwab inculca in modo discreto la correttezza del concetto generale. Così facendo, “Schwab sfrutta con successo la nostra razionalità tecnologica interna. Proclama la velocità, le dimensioni e la portata senza precedenti della 4IR. Il tasso di cambiamento, dice, è esponenziale piuttosto che lineare; l’integrazione di più tecnologie è più ampia e profonda che mai; e l’impatto sistemico è ora totale, comprendendo tutta la società e l’economia globale. Per questo sostiene che ‘interruzione e innovazione […] si stanno verificando più velocemente che mai’”.

Allo stesso tempo, Schwab rifiuta gran parte della nostra esperienza storica in materia. Scrive di essere “ben consapevole che alcuni studiosi e professionisti considerano gli eventi che sto esaminando semplicemente come parte della terza rivoluzione industriale”.

Ma Moll propone di esaminare alcune delle conoscenze degli esperti che egli ignora. Ecco due esempi. Si tratta dei contributi del sociologo spagnolo Manuel Castells, che ha sottolineato come il ruolo critico delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in rete sia “un’arma a doppio taglio”: alcuni Paesi stanno accelerando la crescita economica adottando sistemi economici digitali, ma quelli che falliscono stanno diventando sempre più marginali: “il loro ritardo sta diventando cumulativo”. Castells scrive ampiamente su quella che chiama “l’altra faccia dell’era dell’informazione: la disuguaglianza, la povertà, la miseria e l’esclusione sociale”, tutte eredità crescenti dell’economia dell’informazione globalizzata.

A differenza di Schwab, Castells non ha cercato di ideologizzare o politicizzare i dati sociologici. E la sua ricerca empirica non suggerisce una fondamentale trasformazione digitale della società nell’era moderna.

Un altro esperto che Schwab ignora è Jeremy Rifkin. Nel 2016, quando Schwab propose il suo concetto di 4IR, Rifkin stava già facendo ricerche sui luoghi di lavoro in cui la robotica aveva assunto ruoli strategici e manageriali nella produzione economica. C’è un notevole divario tra gli autori. Rifkin non crede che i cambiamenti drammatici associati alle tecnologie informatiche costituiscano una 4IR.

Nel 2016, Rifkin ha sostenuto che il WEF ha fatto “cilecca” con il suo intervento sotto l’apparenza di 4IR. Ha contestato l’affermazione di Schwab secondo cui la fusione di sistemi fisici, processi biologici e tecnologie digitali è un fenomeno qualitativamente nuovo:

La natura stessa della digitalizzazione […] sta nella sua capacità di ridurre le comunicazioni, i sistemi visivi, uditivi, fisici e biologici, a pura informazione, che può poi essere riorganizzata in vaste reti interattive che operano in molti modi come ecosistemi complessi. In altre parole, è la natura interconnessa delle tecnologie di digitalizzazione che ci permette di trascendere i confini e di “sfumare le linee tra i regni fisico, digitale e biologico”. Il principio operativo della digitalizzazione è “interconnessione e rete”. Questo è ciò che la digitalizzazione sta facendo con crescente sofisticazione da diversi decenni. È ciò che definisce l’architettura stessa della Terza rivoluzione industriale.

Uno studio delle “tecnologie” spesso annunciate come innovazioni convergenti chiave della 4IR – l’intelligenza artificiale, l’apprendimento automatico, la robotica e l’Internet degli oggetti – dimostra che non sono all’altezza della pretesa di una “rivoluzione” tecnologica moderna.

Moll conclude che la 4IR di Schwab non è altro che un mito. Il contesto sociale del mondo è ancora lo stesso della 3IR e si prevedono pochi cambiamenti. Non c’è nulla di simile a un’altra rivoluzione industriale dopo la terza. Il nuovo mondo di Schwab semplicemente non esiste.

Dopo tutto, le rivoluzioni non sono caratterizzate solo da cambiamenti tecnologici. Piuttosto, sono guidate da trasformazioni nel processo lavorativo, da cambiamenti fondamentali negli atteggiamenti sul posto di lavoro, da cambiamenti nelle relazioni sociali e da una ristrutturazione socioeconomica globale.

Naturalmente, le innovazioni tecnologiche possono essere positive per i lavoratori e per la società nel suo complesso. Possono ridurre la necessità di svolgere lavori pesanti, migliorare le condizioni e liberare più tempo per le persone che si dedicano ad altre attività significative.

Ma il problema è che i frutti dell’innovazione tecnologica sono monopolizzati da una classe capitalista globalizzata. Le stesse piattaforme di lavoro digitale sono finanziate per lo più da fondi di venture capital nel Nord globale, mentre le imprese vengono create nel Sud globale, senza che i fondi investano in attività, assumano dipendenti o paghino le tasse all’erario pubblico. Questo è solo un altro tentativo di catturare i mercati con una nuova tecnologia, approfittando della trasparenza delle frontiere, per fare profitto e non avere alcuna responsabilità.

Quindi la narrativa 4IR è più un’aspirazione che una realtà. Sono le aspirazioni di una classe ricca che anticipa la crisi del sistema economico occidentale e vuole trovare un porto sicuro in altre regioni. Ecco perché, data l’esperienza storica del capitalismo di tipo occidentale, il resto del mondo vede il 4IR come un’anti-utopia indesiderabile.

Fonte

Traduzione di Costantino Ceoldo

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/lanti-utopia-di-klaus-schwab

Cina: Xi si prepara al conto alla rovescia finale

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di Pepe Escobar

19.10.2022

Ciò che spinge la Cina e la Russia è che prima o poi saranno loro a governare l’Heartland.

Il discorso del Presidente Xi Jinping, durato 1h45min, all’apertura del 20° Congresso del Partito Comunista Cinese (CPC) presso la Grande Sala del Popolo di Pechino, è stato un coinvolgente esercizio di informazione del passato recente sul futuro prossimo. Tutta l’Asia e tutto il Sud globale dovrebbero esaminarlo attentamente.

La Sala Grande era sontuosamente addobbata con striscioni rosso vivo. Uno slogan gigante appeso in fondo alla sala recitava: “Lunga vita al nostro grande, glorioso e corretto partito”.

Un altro, in basso, fungeva da riassunto dell’intera relazione:

“Tenere alta la grande bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi, attuare pienamente il Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era, portare avanti il grande spirito fondatore del partito, unirsi e lottare per costruire pienamente un Paese socialista moderno e promuovere pienamente il grande ringiovanimento della nazione cinese”.

Fedele alla tradizione, il rapporto ha delineato i risultati ottenuti dal PCC negli ultimi 5 anni e la strategia della Cina per i prossimi 5 – e oltre. Xi prevede “feroci tempeste” in arrivo, interne ed estere. Il rapporto è stato altrettanto significativo per ciò che non è stato detto o lasciato sottilmente intendere.

Tutti i membri del Comitato centrale del PCC erano già stati informati del rapporto – e lo avevano approvato. Trascorreranno questa settimana a Pechino per studiare i dettagli e sabato voteranno per l’adozione. A quel punto verrà annunciato un nuovo Comitato Centrale del PCC e verrà formalmente approvato un nuovo Comitato Permanente del Politburo, i sette che governano davvero.

Questo nuovo schieramento di leadership chiarirà i volti della nuova generazione che lavoreranno a stretto contatto con Xi, oltre a chi succederà a Li Keqiang come nuovo Primo Ministro: quest’ultimo ha terminato i suoi due mandati e, secondo la Costituzione, deve dimettersi.

Nella Sala Grande sono presenti anche 2.296 delegati che rappresentano gli oltre 96 milioni di membri del PCC. Non sono semplici spettatori: durante la sessione plenaria che si è conclusa la scorsa settimana, hanno analizzato in profondità ogni questione importante e si sono preparati per il Congresso nazionale. Votano le risoluzioni del partito, anche se queste vengono decise dai vertici del partito a porte chiuse.

I punti chiave

Xi sostiene che negli ultimi 5 anni il PCC ha fatto progredire strategicamente la Cina, rispondendo “correttamente” (terminologia del Partito) a tutte le sfide estere. In particolare, i risultati chiave includono la riduzione della povertà, la normalizzazione di Hong Kong e i progressi nella diplomazia e nella difesa nazionale.

È significativo che il ministro degli Esteri Wang Yi, seduto in seconda fila, dietro ai membri del Comitato permanente in carica, non abbia mai staccato gli occhi da Xi, mentre gli altri leggevano una copia del rapporto sulla loro scrivania.

Rispetto ai risultati ottenuti, il successo della politica “Zero-Covid” ordinata da Xi rimane molto discutibile. Xi ha sottolineato che ha protetto la vita delle persone. Ciò che non ha potuto dire è che la premessa della sua politica è trattare il Covid e le sue varianti come un’arma biologica statunitense diretta contro la Cina. Ovvero, una seria questione di sicurezza nazionale che ha la meglio su qualsiasi altra considerazione, persino sull’economia cinese.

Il Covid zero ha colpito duramente la produzione e il mercato del lavoro e ha praticamente isolato la Cina dal mondo esterno. Un esempio lampante: I governi distrettuali di Shanghai stanno ancora pianificando l’azzeramento del Covid in un arco di tempo di due anni. Lo zero-Covid non sparirà presto.

Una grave conseguenza è che l’economia cinese crescerà sicuramente quest’anno meno del 3% – ben al di sotto dell’obiettivo ufficiale di “circa il 5,5%”.

Vediamo ora alcuni dei punti salienti del rapporto Xi.

Taiwan: Pechino ha iniziato “una grande lotta contro il separatismo e le interferenze straniere” a Taiwan.

Hong Kong: è ora “amministrata da patrioti, che la rendono un posto migliore”. A Hong Kong c’è stata “una grande transizione dal caos all’ordine”. Corretto: la rivoluzione dei colori del 2019 ha quasi distrutto un importante centro commerciale/finanziario globale.

Riduzione della povertà: Xi l’ha salutata come uno dei tre “grandi eventi” dell’ultimo decennio insieme al centenario del PCC e al socialismo con caratteristiche cinesi che entra in una “nuova era”. La riduzione della povertà è al centro di uno dei “due obiettivi del centenario” del PCC.

Apertura: La Cina è diventata “un importante partner commerciale e una destinazione importante per gli investimenti stranieri”. Xi confuta l’idea che la Cina sia diventata più autarchica. La Cina non si impegnerà in alcun tipo di “espansionismo” durante l’apertura al mondo esterno. La politica statale di base rimane: la globalizzazione economica. Ma – non l’ha detto – “con caratteristiche cinesi”.

“Auto-rivoluzione”: Xi ha introdotto un nuovo concetto. L’”auto-rivoluzione” permetterà alla Cina di sfuggire a un ciclo storico che porta a una recessione. E “questo assicura che il partito non cambierà mai”. Quindi, o il PCC o il fallimento.

Il marxismo: rimane sicuramente uno dei principi guida fondamentali. Xi ha sottolineato: “Dobbiamo il successo del nostro partito e del socialismo con caratteristiche cinesi al marxismo e a come la Cina è riuscita ad adattarlo”.

Rischi: questo è stato il tema ricorrente del discorso. I rischi continueranno a interferire con i “due obiettivi centenari”. L’obiettivo numero uno è stato raggiunto l’anno scorso, in occasione del centenario del PCC, quando la Cina ha raggiunto lo status di “società moderatamente prospera” sotto tutti i punti di vista (xiaokang, in cinese). L’obiettivo numero due dovrebbe essere raggiunto al centenario della Repubblica Popolare Cinese, nel 2049: “costruire un Paese socialista moderno che sia prospero, forte, democratico, culturalmente avanzato e armonioso”.

Sviluppo: l’attenzione si concentrerà sullo “sviluppo di alta qualità”, compresa la resilienza delle catene di approvvigionamento e la strategia economica della “doppia circolazione”: l’espansione della domanda interna in parallelo agli investimenti esteri (per lo più incentrati sui progetti BRI). Questa sarà la priorità assoluta della Cina. Quindi, in teoria, qualsiasi riforma privilegerà una combinazione di “economia socialista di mercato” e apertura di alto livello, mescolando la creazione di una maggiore domanda interna con una riforma strutturale dal lato dell’offerta. Traduzione: “Doppia circolazione” con gli steroidi.

“Democrazia a processo completo”: è l’altro nuovo concetto introdotto da Xi. Si traduce come “democrazia che funziona”, come il ringiovanimento della nazione cinese sotto – che altro – la guida assoluta del PCC: “Dobbiamo garantire che il popolo possa esercitare i propri poteri attraverso il sistema del Congresso del popolo”.

Cultura socialista: Xi ha detto che è assolutamente necessario “influenzare i giovani”. Il PCC deve esercitare un controllo ideologico e assicurarsi che i media favoriscano una generazione di giovani “che siano influenzati dalla cultura tradizionale, dal patriottismo e dal socialismo”, a vantaggio della “stabilità sociale”. La “storia della Cina” deve arrivare ovunque, presentando una Cina “credibile e rispettabile”. Questo vale certamente per la diplomazia cinese, anche per i “Guerrieri del Lupo”.

“Sinicizzare la religione”: Pechino continuerà la sua azione di “sinicizzazione della religione”, ovvero di adattamento “proattivo” della “religione e della società socialista”. Questa campagna è stata introdotta nel 2015, e significa ad esempio che l’Islam e il Cristianesimo devono essere sotto il controllo del PCC e in linea con la cultura cinese.

La promessa di Taiwan

Arriviamo ora ai temi che ossessionano completamente l’egemone in declino: il legame tra gli interessi nazionali della Cina e il modo in cui questi influenzano il ruolo dello Stato-civiltà nelle relazioni internazionali.

Sicurezza nazionale: “La sicurezza nazionale è il fondamento del ringiovanimento nazionale e la stabilità sociale è un prerequisito della forza nazionale”.

Le forze armate: l’equipaggiamento, la tecnologia e la capacità strategica del PLA saranno rafforzati. Va da sé che ciò significa un controllo totale del PCC sulle forze armate.

“Un Paese, due sistemi”: Si è dimostrato “il miglior meccanismo istituzionale per Hong Kong e Macao e deve essere rispettato a lungo termine”. Entrambi “godono di un’elevata autonomia” e sono “amministrati da patrioti”. Xi ha promesso di integrare meglio entrambi nelle strategie nazionali.

Riunificazione di Taiwan: Xi si è impegnato a completare la riunificazione della Cina. Traduzione: restituire Taiwan alla madrepatria. Il discorso è stato accolto da un fiume di applausi, che hanno portato al messaggio chiave, rivolto contemporaneamente alla nazione cinese e alle forze di “interferenza straniera”: “Non rinunceremo all’uso della forza e prenderemo tutte le misure necessarie per fermare tutti i movimenti separatisti”. Il punto cruciale: “La risoluzione della questione di Taiwan è una questione che riguarda il popolo cinese stesso, che deve essere decisa dal popolo cinese”.

È anche significativo che Xi non abbia nemmeno menzionato lo Xinjiang per nome: solo implicitamente, quando ha sottolineato che la Cina deve rafforzare l’unità di tutti i gruppi etnici. Lo Xinjiang per Xi e la leadership significa industrializzazione dell’Estremo Occidente e nodo cruciale della BRI: non l’oggetto di una campagna di demonizzazione imperiale. Sanno che le tattiche di destabilizzazione della CIA utilizzate in Tibet per decenni non hanno funzionato nello Xinjiang.

Al riparo dalla tempesta

Vediamo ora di analizzare alcune variabili che incidono sugli anni molto difficili che attendono il PCC.

Quando Xi ha parlato di “tempeste feroci in arrivo”, è quello che pensa 24 ore su 24: Xi è convinto che l’URSS sia crollata perché l’egemone ha fatto di tutto per indebolirla. Non permetterà che un processo simile faccia deragliare la Cina.

A breve termine, la “tempesta” potrebbe riferirsi all’ultimo round della guerra americana senza esclusione di colpi alla tecnologia cinese – per non parlare del libero scambio: tagliare alla Cina l’acquisto o la produzione di chip e componenti per supercomputer.

È lecito pensare che Pechino mantenga l’attenzione a lungo termine, scommettendo sul fatto che la maggior parte del mondo, soprattutto il Sud globale, si allontanerà dalla catena di approvvigionamento high tech degli Stati Uniti e preferirà il mercato cinese. Man mano che i cinesi diventeranno sempre più autosufficienti, le aziende tecnologiche statunitensi finiranno per perdere mercati mondiali, economie di scala e competitività.

Xi non ha nemmeno menzionato gli Stati Uniti per nome. Tutti i membri della leadership – soprattutto il nuovo Politburo – sono consapevoli di come Washington voglia “sganciarsi” dalla Cina in tutti i modi possibili e continuerà a dispiegare provocatoriamente ogni possibile filone di guerra ibrida.

Xi non è entrato nei dettagli durante il suo discorso, ma è chiaro che la forza trainante in futuro sarà l’innovazione tecnologica legata a una visione globale. Ed è qui che entra in gioco la BRI, ancora una volta, come campo di applicazione privilegiato per queste scoperte tecnologiche.

Solo così possiamo capire come Zhu Guangyao, ex vice ministro delle Finanze, possa essere sicuro che il PIL pro capite in Cina nel 2035 sarebbe almeno raddoppiato rispetto a quello del 2019 e avrebbe raggiunto i 20.000 dollari.

La sfida per Xi e il nuovo Politburo è quella di risolvere subito lo squilibrio economico strutturale della Cina. E pompare di nuovo gli “investimenti” finanziati dal debito non funzionerà.

Si può quindi scommettere che il terzo mandato di Xi – che sarà confermato alla fine di questa settimana – dovrà concentrarsi su una pianificazione rigorosa e sul monitoraggio dell’attuazione, molto più di quanto non sia avvenuto durante i suoi precedenti anni audaci, ambiziosi, abrasivi ma talvolta scollegati. Il Politburo dovrà prestare molta più attenzione alle considerazioni tecniche. Xi dovrà delegare una maggiore autonomia politica a un gruppo di tecnocrati competenti.

Altrimenti, torneremo alla sorprendente osservazione dell’allora premier Wen Jiabao nel 2007: L’economia cinese è “instabile, squilibrata, scoordinata e in definitiva insostenibile”. Questo è esattamente il punto in cui l’egemone vuole che sia.

Allo stato attuale, la situazione è tutt’altro che cupa. La Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma afferma che, rispetto al resto del mondo, l’inflazione al consumo in Cina è solo “marginale”, il mercato del lavoro è stabile e i pagamenti internazionali sono stabili.BRI,

Il rapporto di lavoro e gli impegni di Xi possono anche essere visti come un capovolgimento dei soliti sospetti geopolitici anglo-americani – Mackinder, Mahan, Spykman, Brzezinski -.

Il partenariato strategico Cina-Russia non ha tempo da perdere con i giochi egemonici globali; ciò che li spinge è che prima o poi governeranno l’Heartland – l’isola del mondo – e oltre, con alleati dal Rimland, dall’Africa all’America Latina, tutti partecipanti a una nuova forma di globalizzazione. Certamente con caratteristiche cinesi, ma soprattutto con caratteristiche pan-eurasiatiche. Il conto alla rovescia finale è già iniziato.

Pubblicato su Strategic Culture

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/cina-xi-si-prepara-al-conto-alla-rovescia-finale

La sedicente sinistra si occupa soltanto di tre argomenti: LGBT, migranti e globalizzazione

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Segnalazione di Federico Prati

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La sedicente sinistra si occupa soltanto di tre argomenti: LGBT, migranti e globalizzazione. Mattia Liviani – www.altreinfo.org

La sedicente sinistra si occupa soltanto di tre argomenti: LGBT, migrant…

Ci sono soprattutto tre cose che stanno a cuore alla sedicente sinistra: i diritti degli LGBT, la globalizzazion…

L’inarrestabile ascesa dell’ipocrita morale progressista

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Riceviamo per la pubblicazione questo articolo, che contiene spunti interessanti e di sicura attualità, coi nostri ringraziamenti all’autore (n.d.r.)

di Riccardo Sampaolo

Jean Gabin (1904 – 1976) è stato un grande attore francese, che non ha avuto difficoltà a giganteggiare in molti ruoli che gli sono stati conferiti.

Tra i suoi film è bene ricordare “Il clan degli uomini violenti”, datato 1970.

In tale film Gabin impersona un rude campagnolo, che nonostante una delle figlie gli ricordi che il mondo è cambiato, lui risponde lapidariamente: “Si, ma io no”.

L’uomo di campagna sopracitato, radicato in un suolo, che coltiva la terra  da cui ritrae gran parte del suo sostentamento, è un francese dalle convinzioni solide, pragmatico, poco influenzato, e quindi poco dipendente, dal mondo esterno in rapido aggiornamento.

La risposta più significativa il rude agricoltore la rivolge però a un magistrato, che nel chiedergli la professione, risponde senza esitazioni, proprietario, al che il magistrato sconcertato gli dice che “proprietario” non è una professione, e Gabin precisa, “per me si”; sta tutto qui il nemico attuale della odierna Unione Europea a sfondo progressista, l’uomo proprietario di un luogo e in larga misura autonomo; tale uomo è molto meno dipendente, rispetto ad altri, dallo Stato e dall’opinione pubblica e basa le sue convinzioni non su principi astratti, prima che vengano dimostrati, ma sulla solida esperienza di vita che lo fa diffidare delle mode passeggere del buonismo modaiolo della modernità.

L’ecologismo che fa frequentemente capolino dalle parti di Bruxelles è di matrice chiaramente urbana, ossia nasce nella mente degli uomini delle città, ed ha quasi sempre una profonda ostilità verso il mondo rurale, intriso di senso del sacro e  composta unità familiare. Non è un caso che l’ipotesi, circolata un po’ di tempo fa negli ambienti politici dell’UE, di mettere fuori mercato le abitazioni energeticamente dispendiose, avrebbe colpito prioritariamente i vecchi, ariosi e dimensionalmente generosi manufatti colonici agricoli, a favore delle piccole, anguste ed energeticamente efficienti anonime case cittadine.

L’ecologismo di moda negli ambienti progressisti europei a matrice urbana, punta alla colpevolizzazione dell’uomo e del suo operato, in uno stile fortemente antirurale che vede l’agricoltore come una figura marginale nella migliore delle ipotesi, e quindi non come un riferimento da cui poter ottenere il governo del territorio e cibi salutari; l’ambientalismo urbano e progressista è quindi in larga misura una serie di “buoni propositi” in cui gli adepti, dalle città vogliono intervenire su ciò che gli è esterno, dimenticando che l’urbanesimo è una delle principali cause del degrado ambientale, e il loro stile di vita è solo cosmeticamente allineato con gli elementi base della naturalità.

Mentre l’agricoltore vive sulla terra e della terra, ha come obiettivo il mantenimento della fertilità dei suoli nel corso del tempo, da cui ricava il proprio sostentamento, l’uomo delle città, irreligioso, cosmopolita, progressista, si limita a imporre al bifolco le sue certezze delle buone intenzioni, volendo difendere l’ambiente dal punto di vista delle città, ma non stringendo alcun reale rapporto con la natura, intesa come base da cui ritrarre l’utile per poter vivere. Il capitalismo internazionale dopo aver vinto sul marxismo, ne ha assorbito alcune componenti compatibili con esso, e non sono poche.

Ecco quindi che si fa strada anche grazie alla digitalizzazione, all’urbanesimo, alla liberalizzazione dei rapporti sessuali, al disfacimento della famiglia, un sotterraneo e subdolo attacco alla proprietà diffusa e all’uso dei contanti, per denudare l’individuo, privarlo di “area di protezione” e porlo indifeso alla mercé di uno Stato, che assume atteggiamenti di fastidio verso l’esistenza di un tessuto comunitario dotato di autonomie economiche e valoriali, che ostacolano la riduzione di un popolo a somma di individui standardizzati su cui applicare efficientemente leggi, continuamente sfornate, non tanto per migliorare la qualità della vita di un popolo, ma per orientarlo al perseguimento di principi astratti in linea con il bene del pianeta e dell’umanità; si fa strada in sostanza una dimensione messianica della politica, genericamente rivolta, più che a uno specifico popolo, con le sue caratteristiche, a una indistinta umanità, priva di radici e storia, ma proiettata a comportarsi secondo regole ritenute appropriate dalla elitaria classe dirigente.

La riduzione di un popolo a somma di liberi individui nudi di fronte allo Stato e alla Legge ,(che garantiscono l’efficienza del sistema anche grazie alla montante digitalizzazione dei processi, la quale se da un lato ha il merito di velocizzare e efficientare il sistema, dall’altro rischia di spersonalizzare e inaridire i rapporti umani), non può che passare attraverso l’ attacco alla famiglia, quella che un tempo era considerata la cellula fondamentale della società e oggi rischia di divenire un intralcio alla libera espressione degli individui, presi come sono, dal loro io ipertrofico a guardarsi l’ombelico, e a gareggiare nel mercato dei rapporti affettivi, sempre più votati all’efficienza prestazionale e sempre meno alla profondità relazionale. La famiglia preesiste allo Stato, e nel passato la struttura pubblica è sempre stata piuttosto discreta nell’intromettersi nelle questioni coniugali e affettive, salvo ovviamente i casi di rilevanza penale. Oggi non è più così e lo Stato moderno guarda con sospetto comunità che si autoregolano; gli attuali poteri pubblici anziché considerare la Legge come il perimetro all’interno del quale potersi muovere, tentano di alzare l’asticella, arrivando a concepire la Legge come l’unico strumento regolatore dei rapporti tra persone; da ciò ne deriva ovviamente un altro aspetto tipico della modernità ossia la normazione ossessiva in ambiti un tempo non presi in considerazione.

In Italia il partito più agguerrito nel normare gli aspetti più intimi della vita delle persone è sicuramente stato il Partito Radicale, i cui modesti risultati elettorali non hanno impedito l’imporsi delle sue tematiche anche grazie all’aiuto che ha sempre ricevuto dalle altre e più grandi formazioni politiche, soprattutto della sinistra.

I radicali hanno sempre messo in atto battaglie apparentemente per la liberazione dell’individuo, ma ad una analisi più attenta si evince che la liberazione è avvenuta dai legami comunitari e dalle sensibilità di chi ti stava più vicino, per sostituire ciò, con l’ ossessivo e continuo ricorso a tribunali e leggi sotto l’egida dello Stato.

Lo stesso Marco Cappato, esponente di punta di +Europa, nella sua considerevole esposizione mediatica, non si risparmia di certo nel ricorso ai tribunali per le sue iniziative politiche.

Il risultato di tali azioni porta progressivamente al ridimensionamento di tutti i legami umani intermedi tra la persona e la comunità, e il denudamento dell’individuo così indebolito di fronte allo Stato, definito “il più freddo di tutti i mostri” da Friedrich Wilhelm Nietzsche, per derimere le sue intime questioni, senza il filtro del “dialogo profondo” con i membri della sua comunità.

Una delle prime battaglie radicali, di cuii si può tentare un’analisi, data oramai la piena maturazione dei suoi amari frutti, è sicuramente quella sul divorzio, dato l’oltre mezzo secolo raggiunto di diffusa applicazione.

Orbene come precedentemente ricordato, la famiglia è antecedente alla nascita dello Stato, e questo è un elemento che “il più freddo di tutti i mostri”, nella definizione alla Nietzsche, ha dovuto tenere conto, evitando per molto tempo di mettersi al buco della serratura, se non giustamente, per motivazioni di carattere penale. Tuttavia ad un certo punto della Storia, la decadenza della comunità, l’inurbamento, il declino della religiosità, l’avanzare del femminismo e dell’individualismo, fecero si che i tempi fossero maturi per tentare un intervento dall’alto, su quella che era la cellula fondamentale della società e da lì a breve lo sarebbe stata sempre meno; ecco pronta a partire dunque la macchina divorzista, che si presentava come strumento di scioglimento dei rapporti problematici tra coniugi, ma in realtà si dimostrerà essere qualcosa di ben più sofisticato e deleterio.

Per prima cosa lo Stato e la Legge non si accontenteranno di mediare tra i coniugi, garantendo la parità di trattamento tra i genitori, ma attraverso l’ideazione di artifici giuridici che vanno dall’affido del minore al concetto di casa coniugale, tenderanno a “sostituirsi” ad uno dei genitori (nella maggior parte dei casi al padre), statalizzando di fatto questo ultimo, che a tutti gli effetti diventerà un “concorrente perdente per legge”, estromettendolo dalla piena genitorialità e dalla fruizione della propria abitazione, anche quando di sua esclusiva proprietà.

In cinquant’anni si è verificato in Italia, per mezzo dello Stato e della Legge un vero e proprio scippo della genitorialità maschile, con il colpevole silenzio dei principali media.

L’utilizzo del principio astratto dell’esclusivo/superiore interesse del minore, grondante ipocrisia a livelli altissimi, dato che il massimo interesse del minore è quello di mantenere rapporti con entrambi i genitori, è stato il grimaldello con cui poter giustificare l’opinabilissima disparità di trattamento tra i genitori, come se una persona fosse titolare non di pieni diritti ma residuali; tutto ovviamente perfettamente in linea con il montante femminismo rancoroso della modernità.

Il Sistema divorzista non è neanche scevro da palesi iniquità, grazie all’astuzia giuridica di disgiungere l’affido del minore dalla colpa del naufragio coniugale, facendo verificare l’aberrante  scenario, che il genitore a cui è attribuita la colpa del naufragio familiare possa comunque ottenere l’affido del minore e beneficiare dell’affidamento della casa, anche se proprietario è l’altro.

Nonostante in oltre 50 anni, il divorzismo abbia dimostrato una forte ostilità nei confronti del padre, portata avanti con un impegno degno di miglior causa, il Sistema non si preoccupa delle ombre misandriche che rischiano di calare su di esso, forse confortato dallo spirito femminista dei tempi e dal sostegno, piuttosto acritico dei media conformisti, ma è proprio per questo che le persone è ora che guardino al di là della maschera divorzista e inizino a decifrarne il vero volto, che non è particolarmente rassicurante, soprattutto se si è il genitore marginalizzato dall’Istituto giuridico dell’affido, che guarda caso è quasi sempre di sesso maschile.

Il personaggio impersonato da Jean Gabin, (depurato da tutti gli “eccessi cinematografici”, nel film “Il clan degli uomini violenti”), il padre, proprietario di un vecchio casale di campagna, è il nemico principale del modaiolo progressismo odierno, e nel contempo, una delle poche figure credibili, di quotidiana, ostinata e pervicace resistenza al Sistema Mondialista.

Riccardo Sampaolo per www.agerecontra.it 

La globalizzazione targata Usa è un ricordo

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di Claudio Risé

Fonte: Claudio Risé

Non è più a Washington, con succursale Bruxelles, il centro decisionale planetario: il nuovo mondo è multipolare in cui avanzano l’Oriente e gran parte dell’Africa, dove si concentra il grosso della popolazione. L’Occidente e i suoi propagandisti ne prendano atto.

Più che atlantismo, quello dei supereditoriali dei superquotidiani è testardo attaccamento a un passato remoto scambiato per presente-futuro. E più che ideali democratici ciò che si intravede dietro i peraltro vaghissimi programmi sono sogni imperialisti neppure troppo nascosti. Anche qui (come nell’imperialismo vero) esposti con un gusto avventuroso/fiabesco, che fa sorridere trovare nelle prosa dei numerosi editorialisti/professori. I quali sono quasi tutti emeriti per via dell’anagrafe (che come ricordava Arbasino non perdona), e quindi si fatica a vedere così eccitati e appassionati per questo sfoderare di (costosissime) armi e vaticini di vittorie. A me che sono ancora più vecchio di molti di loro fanno venire in mente l’indimenticabile manifesto: “Ascoltatemi! Votate Italia e non Fronte popolare” gridato da uno scapigliato signore in giacca e camicia, naturalmente stazzonate, che correva fuori da un paesaggio in fiamme, in fondo al quale si intravedeva… cosa? Il Cremlino, naturalmente (e certo con più ragioni di oggi). Del resto anch’io che avevo 10 anni, non avrei voluto che vincesse il Fronte Popolare. Però mia sorella (che ne aveva 8 più di me) e lanciava i volantini dalla finestra mi dava già fastidio: a esagerare si sporca in terra e non serve a niente.
Adesso poi non c’è più nemmeno il Fronte popolare, e Stalin è morto da tempo. Putin no, forse anche perché i vaticini della sua morte imminente, sfoderati in continuazione dagli esperti americani e dell’UE allungano la vita, come è noto a tutti tranne che ai menagramo prezzolati, che vivono confezionandoli. Comunque Putin è in tutt’altre faccende affaccendato; ha ben altro cui pensare che appassionarsi all’oziosa fantasia di sloggiare Mattarella, il nonno inamovibile.
Soprattutto, però, non esiste più nulla di ciò di cui i pensosi opinion makers della carta e altri media parlano, alla ricerca di brividi. L’universo culturale   della crème atlantica è in ritardo sulla realtà di oltre 70 anni: del mondo delle loro fantasie non c’è più nulla, tranne loro stessi, con i loro sogni un po’ infantili. Lo stesso Draghi non ha mai vissuto il mondo dei Fronti popolari: nel 1948, l’anno che li mise fuori gioco, aveva solo un anno. Per i saggi amici della guerra russo-ucraino-americana il mondo è una favola bella che finirà bene, e si vede da come ne parlano: i buoni contro i cattivi sicuramente vinceranno, come appunto nelle favole; come se le cose rimanessero quelle del racconto che li ha impressionati da piccoli, e non fossero in continuo cambiamento. Se però non ti tieni ai fatti di oggi, e rimani agli stereotipi del secolo precedente, rischi di prendere cantonate letteralmente micidiali, nel senso che portano più morti che vita.
Nell’orrore del quadro complessivo, viene anche un po’ da ridere a vedere tanto accanimento e pagine investite nel calcolare dove si annidi il tumore che ucciderà presto lo “Zar”, come viene fantasiosamente definito Putin, uno degli uomini più incolori, lontano in tutto da quei pittoreschi Imperatori. Oppure a seguire le previsioni della Presidente d’Europa Ursula von Leyden sull’altrettanto imminente crollo del rublo, e fallimento della Russia. Dichiarazioni finora seguite  da rafforzamenti del rublo, e brillante bilancia dei  pagamenti. Mentre poi i professori russofobi insistono con descrizioni della medioevale Russia, maschilista e arretrata, la banchiera russa Elvina Nabiullina, pur non sempre in accordo con Putin, è l’unico banchiere centrale che in piena guerra e sanzioni sia riuscita a rallentare l’inflazione, battendo sia l’europea Lagarde che l’americano Jerome Powell, capo delle Federal Reserve.
Il fatto è che i nostri insigni commentatori, nel solco del forse già insigne ma oggi in evidenti difficoltà Mario Draghi, non si sono accorti che il mondo, da tempo, non è più solo quello dei due continenti Europa e Stati Uniti e loro appendici meridionali, divisi dall’oceano Atlantico. Il mondo “globalizzato” a trazione americana, con la Cina in rincorsa, ma il cui centro decisionale è stabilmente negli Stati Uniti con succursale a Bruxelles, è ormai un fatto soprattutto burocratico. Quella globalizzazione è finita da tempo. Al suo posto c’è un mondo multipolare (di cui i nostri saggi commentatori non parlano mai) dove al polo occidentale più o meno atlantico si è stabilmente affiancato quello orientale con al suo interno subcontinenti decisivi come la Russia, la Cina, l’India, il sud est asiatico, buona parte dell’Africa tutti con le loro culture, modi di vita, valori, risorse e povertà.
La gran parte della popolazione mondiale abita in questo Oriente, che non ha votato all’ONU le sanzioni alla Russia. È qui che nasce buona parte delle idee e intuizioni più produttive del mondo di oggi, legate a tradizioni mai morte e nutrite da culture, anche religiose, che l’Oriente ha continuato a rispettare, a differenza dell’Occidente razionalista e iconoclasta. I nostri professori, più o meno tardivi figli di un Illuminismo avido e oggi estenuato sanno poco di questo polo e della trasformazione in atto nel mondo; per questo si permettono di trattare la Russia come un paese di incivili attardati e il suo capo come un esotico criminale. Il capo russo però, amato e odiato che sia, è uno dei protagonisti di questo mondo. Mentre la loro visione è tristemente provinciale, irrespirabile: anche per questo Macron ha perso la sua maggioranza, malgrado l’Ecole d’Administration in cui si è formato. La società non è solo amministrazione: è anche cultura e fede.

La nuova normalità e il dominio sul mondo

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/04/04/la-nuova-normalita-e-la-sua-propaganda/

pubblicato in una versione similare su “IdeeAzione“: https://www.ideeazione.com/il-dominio-sul-mondo/

SE NON CI IMPEGNIAMO IN POLITICA IL CONTROLLO SOCIALE CHE ABBIAMO FINORA ACCETTATO NON È DESTINATO A FINIRE PERCHÉ FA PARTE DI QUELLA “NUOVA NORMALITÀ” CHE IL SISTEMA GLOBALE HA IN MENTE PER NOI

I Padri della Chiesa, gli antichi e i grandi pensatori ci hanno insegnato ad avere una visione d’insieme e lungimirante dei fatti perché analisi settoriali in epoche di grandi cambiamenti possono portare ad analisi incomplete ed a una certa miopia che conduce nei vicoli ciechi dell’irrealismo, della vacuità dei cronici bastian contrari, del fanatismo apocalittico.

Un virus sconosciuto, scappato da un laboratorio cinese, ha creato una pandemia e prodotto due anni di stato d’emergenza. La vita di ognuno di noi è cambiata. Ci stanno abituando a determinate restrizioni delle libertà personali, al distanziamento sociale, alla mascherina, al tracciamento digitale delle nostre scelte e abitudini. Il controllo sociale, che abbiamo accettato nel corso di questo lungo periodo, non è destinato a finire perché fa parte di quella “nuova normalità” che il Sistema globale ha in mente per noi.

L’esperimento, a parte la reticenza di una minoranza, è perfettamente riuscito. E’ la globalizzazione che si doveva rimodulare, attraverso la digitalizzazione di massa di ogni processo vitale, per l’arricchimento delle solite poche famiglie dell’alta finanza, che hanno preso il sopravvento con la fine della Seconda Guerra Mondiale, nelle plutocrazie occidentali, dominate in modalità unipolare a partire dal crollo del muro di Berlino.

Ecco ergersi, forte e fiero, l’orso russo, che sembra uscito dal letargo pandemico, a lanciare zampate terribili per marcare il territorio e pretendere lo spazio che l’accerchiamento dell’Heartland, teorizzato dal politico britannico Halford Mackinder (1861-1947) è determinato a precludergli.

Assieme alla Cina, divenuta una Superpotenza, costruita in almeno tre decenni di accettazione del capitalismo economico, abbinato alla peggior repressione comunista in ambito sociale, la Russia di Putin, evocando l’epoca imperiale, si è fatta amici l’Oriente e l’America Latina. Noi siamo l’Europa debole del decadentismo, che si trova in mezzo alla contesa per il potere di un mondo multipolare, che lo zar e Xi Jinping vogliono marcare, nell’ambito di quella rimodulazione del globalismo, che, attraverso il Covid, doveva insegnarci a vivere alla cinese, ma da consumatori all’americana. L’identità fluida, importata dal protestantesimo d’Oltreoceano è già sciolta davanti all’identità forte che proviene da Est.

Un parallelismo storico si potrebbe fare tra la guerra in Ucraina e la guerra di Crimea del 1853. Quest’ultima fu un avvenimento e un sintomo inedito: uno scontro tra due monarchie in cui entrambe apparivano come esponenti mercenari della sovversione dell’ordine naturale e divino, portata dalla rivoluzione francese. La guerra del 1853 fu la prima “guerra democratica” della storia, in cui i figli di una stessa famiglia si sono uccisi a vicenda, non per le loro patrie o per i loro Principi, ma perché, dalle due parti, la feccia preparata e sobillata dal fermento liberal potesse passare sui loro corpi. Solo ciò che sardonicamente viene chiamato “libertà” ha potuto far sì che una ironia così feroce, implicante un simile accecamento, fosse, in genere, possibile. Prima, gli uomini si sacrificavano per ciò che amavano. Divenuti “liberi”, sono costretti a farsi uccidere, occorrendo agli interessi del capitalismo globale: pena l’emarginazione, l’accusa di tradimento, l’isolamento e la morte, come se la patria, la massoneria, la democrazia e la plutocrazia fossero una cosa sola.

Le figure rappresentative della democrazia e della “libertà” videro nella guerra di Crimea lo scontro fra due mondi, il duello tra due dogmi fondamentali, “quello del cristianesimo barbaro d’Oriente contro la giovane fede sociale dell’Occidente civilizzato”, secondo le parole testuali dello storico francese Jules Michelet (1798-1874). Ricordiamo che le Logge massoniche, le Borse e le Banche erano i templi futuri dell’Occidente “civilizzato”, mentre Nicola I era un “tiranno”, un “vampiro”, ed anche Metternich lo era stato.

Vi è della gente che non si ha il diritto di molestare senza essere vampiri, ma ve n’è un’altra che si è liberi di massacrare in massa in nome della “libertà”, senza cessare di essere “nobili” e “generosi”, “buoni” e “giusti”. Obiettivo era distruggere il cristianesimo per preparare la via al bolscevismo in Oriente e all’ubiquità capitalista in Occidente. Oggi, l’ubiquità capitalista ha prevalso, ma la globalizzazione imposta dall’Occidente liberale sta crollando a causa delle sue contraddizioni, il cattolicesimo è sempre più marginale e l’Oriente si è ripreso dalla sbornia socialista. Come andrà a finire, lo vedremo nei prossimi anni, tenendo presente che il Cuore Immacolato di Maria trionferà.

Geopolitica economica del mondo multipolare

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di Giacomo Gabellini

Fonte: Giacomo Gabellini

Nel 2021, l’interscambio commerciale tra Cina e Russia si è attestato a 146,8 miliardi di dollari, con un aumento del 35% rispetto al 2020, in previsione di raggiungere quota 200 miliardi entro il 2024. La quota russa del fatturato commerciale complessivo di Pechino ammonta attualmente a circa il 2%, mentre dal punto di vista di Mosca la Repubblica Popolare “pesa” per oltre il 18%. Nel corso del Forum Economico di San Pietroburgo tenutosi lo scorso giugno, la società russa Novatek ha siglato con lo Zhejiang Provincial Energy cinese un accordo per la fornitura di una quantità di gas naturale liquefatto non inferiore al milione di tonnellate all’anno per il prossimo quindicennio. Le consegne verranno espletate attraverso l’Arctic Lng-2, il colossale impianto da 21 miliardi di dollari messo in cantiere da Novatek subito dopo l’aggiudicazione dei diritti di parte assai ragguardevole dei giacimenti presenti nell’area polare e recentemente ultimato grazie  anche al credito da 9,5 miliardi di dollari accordato all’azienda energetica da un consorzio bancario che riunisce istituti russi e cinesi. Nonché giapponesi, la cui disponibilità a partecipare al cofinanziamento del progetto è stata fortemente indotta dal governo di Tokyo in quanto Arctic Lng-2 «unirà in maniera ancora più stretta il Giappone e la Russia», come dichiarato dal ministro dell’Industria nipponico Hiroshige Seko. Del resto, ha evidenziato l’ufficio stampa di Novatek, l’80% della produzione di gas naturale liquefatto prenderà la via dell’Asia ponendo la Federazione Russa nelle condizioni di ergersi a gigante planetario anche nel settore del Gnl, attualmente dominato dagli Usa grazie allo shale.
Allo stesso tempo, Arctic Lng-2 risponde alle esigenze russe in materia di diversificazione delle destinazioni dell’export, che continueranno in ogni caso a indirizzarsi in maniera sempre più massiccia verso la Cina. Lo si evince dai colloqui telefonici risalenti allo scorso dicembre, nell’ambito dei quali Vladimir Putin ha discusso con Xi Jinping e il presidente mongolo Ukhnaagiin Khurelsukh le modalità di realizzazione di un gasdotto parallelo al già esistente Power of Siberia destinato a raddoppiare il volume delle attuali forniture di metano che la Russia garantisce alla Cina. La conduttura, messa in cantiere da Gazprom, ha evidenti implicazioni di natura geopolitica e strategica, non solo perché progettata per attingere agli stessi giacimenti della penisola siberiana di Yamal da cui si approvvigiona l’Europa, ma anche perché perfettamente funzionale al programma cinese di riduzione del volume di importazioni di Gnl via mare (lo stretto di Malacca è uno dei colli di bottiglia maggiormente battuti dalla marina militare Usa)  ed alleggerimento della dipendenza dal carbone. Più specificamente, Pechino ambisce a imporre il gas come principale fonte di combustibile entro il 2050 e a raggiungere un volume di consumo metanifero annuo di 620 metri cubi entro il 2040. Entro il 2022, invece, dovrebbe essere inaugurato il ponte ferroviario che connette la metropoli cinese di Tongjiang con la città russa di Nižneleninskoye sviluppandosi al di sopra delle acque dell’Amur. Nel marzo del 1969, il suo affluente Ussuri era finito al centro di una pericolosa crisi tra le due nazioni scatenata dall’attacco portato da un manipolo di soldati cinesi a un manipolo guardie di frontiera sovietiche di stanza sulle rive del fiume.

Contro il mondialismo è necessaria una alleanza politica tra cattolici, identitari e patrioti

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/01/17/contro-il-il-mondialismo-e-necessaria-una-alleanza-politica-tra-cattolici-identitari-e-patrioti/

LA NUOVA NORMALITÀ: NON TUTTO IL MALE VIEN PER NUOCERE…

Occorre dividere la problematica dell’emergenza pandemica in due parti: il paravento, costituito da vaccini e Green pass e la sostanza, costituita dalla “nuova normalità che ci aspetta”. Il suggerimento è quello di dare al paravento il peso che deve avere un elemento accessorio, funzionale ai programmi del globalismo, ponendo l’attenzione e, laddove possibile, la preparazione, ai cambiamenti che già ci vengono prospettati.

Sono sempre stato un convinto “free vax” che ritiene il lasciapassare uno strumento essenziale per imporre subdolamente il vaccino sintetico a mRna a tutta la popolazione. Si tratta di un paravento robusto, non di tela ma di piombo, perché le implicazioni morali e afferenti le libertà individuali e collettive sono parecchie e non si possono liquidare in due parole.

Del resto, l’attenzione del mondo doveva essere concentrata su qualcosa di importante, come la tutela della propria salute, altrimenti qualcuno avrebbe potuto spostare il plumbeo ostacolo e guardare cosa ci aspetta, quando il paravento sarà abbassato. E’ ciò che, in questi due anni, ho cercato e cerco di fare osservando la realtà alla maniera tomista.

Non credo ci si debba stupire di fronte al caos creato dai televirologi, del tutto e il contrario di tutto di una gestione che ha vari aspetti paradossali, alcuni assurdi, altri grotteschi. Il caos è, infatti, il presupposto del paravento vaccinale perché disorienta e un popolo che non capisce più niente, martellato da una propaganda che parla solo ed esclusivamente di questo, finisce col fidarsi dell’autorità governativa, supportata da quella scientifica e religiosa, convinto che agiscano per il suo bene.

Mentre il cosiddetto “no vax” aderisce in maniera massimalista ed esasperata alla questione dell’immoralità dell’utilizzo di linee cellulari di feti abortiti, ma soprattutto è terrorizzato più dagli effetti avversi che dalla malattia. E’, nella maggioranza dei casi uno strenuo avversario della medicina tradizionale in favore della “scienza olistica” o medicina alternativa, a base di piantine, tisane e altri intrugli, che spopola negli ambienti New age, teosofici ed esoterici.

A mio avviso ha ragione don Francesco Ricossa nella sua recensione al libro del Prof. Roberto de Mattei Sulla liceità morale della vaccinazione (Edizioni Fiducia, Roma 2021, pp. 74): “Stabilito che il problema posto dalle linee cellulari provenienti all’origine da aborto procurato non rende necessariamente intrinsecamente cattiva la vaccinazione (cooperazione materiale remota…)“, posizione che trova sostanzialmente origine dalla teologia morale, ciascuno è libero di scegliere “in scienza e coscienza prendendo evidentemente delle precauzioni per non ammalarsi o non ammalare (nel limite del possibile!)”.

Don Ricossa dimostra di aver compreso perfettamente che la questione vaccinale divide i cattolici (il “divide et impera” nei nemici di Dio?): “mi sembra che si tratti di una deviazione preoccupante dell’attenzione dalle verità di Fede nella lotta antimodernista ad una lotta in materia ancora poco chiara e opinabile” e ricorda che “la questione per eccellenza è quella della Fede, del Papato, della Messa, del sacerdozio, della lotta all’eresia modernista: il resto rientra nel campo dell’opinabile. Quello che vale per la politica politicante, vale anche per questi problemi di ordine sanitario. Non facciamoci distrarre dall’essenziale per dividerci sull’accessorio“.

Nel definire il complottismo “senza dubbio un’aberrazione che prospera a causa della sfiducia nelle “autorità”, don Ricossa cerca di dare una risposta al proliferare delle teorie più strampalate, che allignano perfino in ambienti cattolici, ma mette anche in guardia da esso. Il realismo tomista, che sta nell’osservazione della realtà e nell’uso di intelletto e volontà per interpretare correttamente i segni visibili, smonta ogni delirante ossessione e pone, implicitamente, un chi va là: occhio, perché se le teorie che proponete come fossero Vangeli, poi non si realizzeranno, perderete ogni credibilità, nell’ilarità generale.

Lungimiranza, oggi, è saper guardare oltre e più in là rispetto al paravento di piombo, stando sempre attenti che non ci cada addosso e che qualcuno non ce lo spinga contro, perché schiacciati da esso non ci si rialza più e si perde la rotta della bussola. Perciò il Sistema sappia che portare la mascherina è un po’ fastidioso ma ha anche i suoi aspetti positivi, oltre a proteggere dal contagio, come ad esempio quello di riparare dal contatto diretto con chi non conosce il dentifricio e che aiuta, in molte situazioni imbarazzanti a nascondere sorrisi o smorfie naturali, mandando in tilt chi conosce la comunicazione non verbale.

Veniamo, dunque, al vulnus, che è la “nuova normalità” per colpire i cattolici ed i veri identitari. Ammesso e non concesso che la transizione green porti effetti utili al benessere del pianeta, sarebbe sciocco opporsi al progresso tecnologico, laddove esso non vada in contrasto coi principi morali. La televisione che trasmette il temporale quando, in realtà, c’è il sole, è un problema oggettivo. Ma imparare a non aprire l’ombrello sopra la TV che trasmette pioggia è essenziale.

Oggi, è la stessa tecnologia che ci consente di accedere ad informazioni e fonti impensabili fino a un decennio fa: usiamola per formarci ed informarci a dovere da specialisti ragionevoli, autorevoli ed attendibili. Se non si riesce a discernere, non è obbligatorio credere al maltempo quando c’è bello, ma è opportuno sospendere il giudizio, consultare un buon sacerdote, pregare, vivere il più possibile in Grazia di Dio perché noi non sappiamo né il giorno né l’ora in cui verrà a giudicarci, come insegna negli Esercizi Spirituali sant’Ignazio di Loyola.

La confusione in ambito sanitario ci sarà finché non si creerà un’ omogeneità nel mondo scientifico. Retto discernimento, buon senso e un buon dizionario di teologia morale sono tre risposte alla portata di ciascuno di noi. I social sono utili, in un certo senso, ma anche tremendi, come il web, perché vi si trova qualsiasi cosa. C’è gente che campa postando spazzatura e fake news.

La reazione può essere duplice: chiudere tutto oppure avere la consapevolezza di poter essere ingannato, ma non sull’essenziale, che va preservato a prescindere, perché è e resterà sempre il Fine della vita umana: la salvezza eterna attraverso i mezzi che Gesù ci ha lasciato, tramite la Santa Chiesa. Sacramenti, in primis.

In questo periodo così difficile, l’alleanza politica tra i veri cattolici e tutti coloro che si definiscono identitari e patrioti fa fronte comune nei confronti di quel Leviatano che oggi è la globalizzazione col suo primo tentacolo che è il mondialismo, ed il suo secondo tentacolo che è la società fluida, egualitarista, piatta, desacralizzata, materialista, atea, che trova il principale ostacolo nell’ordine naturale e, quindi nella Famiglia, cellula fondamentale della nostra civiltà. Il prossimo, per il cattolico, è l’affine, mentre l’umanità intera è composta dalle creature di Dio. Anche gli identitari comprendono e lottano per la tradizione e per la difesa dell’identità, perché sono, con noi, parte di un’unica comunità di destino: quella che la “nuova normalità” proverà a toglierci, ma che dovrà trovarci molto ben preparati.

Il vaccino è il paravento della nuova normalità

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/01/10/il-vaccino-e-il-paravento-della-nuova-normalita/

IL SISTEMA HA DIVISO GLI ITALIANI

Il Sistema ha diviso gli italiani tra sì vax (la maggioranza) e no vax (la minoranza). E’ un’abitudine piuttosto consolidata, quella di costruire a tavolino il “divide et impera” sulle spalle del popolo. L’abbiamo vista chiaramente nel periodo risorgimentale, in cui il Sistema ha imposto il suo modello di unità nazionale dividendo, nel sangue, legittimisti e rivoluzionari. L’abbiamo visto nel periodo della guerra civile 1943-45 in cui il potere divise, sempre nel sangue, gli stessi connazionali tra fascisti ed antifascisti. Categorie che, sempre i servi del Sistema tirano fuori ancor oggi, alla bisogna, per demonizzare gli avversari. Denominatori comuni: il sangue e l’odio. Ieri come oggi. Con l’unica differenza che, oggi, il sangue non viene sparso, ma inoculato.

Il Sistema è furbo, è retto da persone di mondo, gente dell’alta finanza, cinica e spregiudicata, forse con un’intelligenza superiore alla media, che studia i comportamenti umani, le sue evoluzioni e involuzioni, i suoi appetiti, desideri, tendenze, poi li pilota e li dirige, a seconda delle sue necessità, in una parvenza di democrazia. Bella la trovata della democrazia moderna, cioè la dittatura della maggioranza, accuratamente lobotomizzata dal Sistema comunicativo, come se fossero i numeri a fare la Verità!

Se nel XIX secolo il paravento era instillare nel popolo una sete di emancipazione o libertà (che, in realtà, apparteneva solo ai burattinai del Sistema ed a coloro che si fecero abbindolare dalla sua martellante propaganda) la quale nascondeva la necessità dell’élite massonico-liberale di attaccare la monarchia e colpire la Chiesa, gettando democraticamente il Papa nel Tevere; se, nel XX secolo, il paravento era identico, e nascondeva la volontà di farla finita con il regime autoritario che ebbe la grave colpa di risolvere la questione romana, “ridando Dio all’Italia e l’Italia a Dio” (come disse S.S. Pio XI, dopo la firma dei Patti Lateranensi del 1929) oggi il paravento è costituito dal vaccino, che donerebbe una libertà salvifica, stabilendo il primato idolatrico dello scientismo e, mentre tutti si concentrano su di esso, dividendosi sul colore del paravento, sembrerebbe che pochi si accorgessero che il Sistema ci ha già detto due cose molto importanti: che “nulla sarà più come prima” e che dobbiamo prepararci ad una “nuova normalità”. Inquietante, tanto da dover richiede l’obbligo morale di concentrarsi sull’essenziale e non sui contorni.

A tal proposito, sovviene una frase di grande attualità del grande G.K. Chesterton: “la vaccinazione, nei suoi cento anni di sperimentazione, è stata contestata quasi quanto il battesimo nei suoi circa duemila anni. Ma sembra abbastanza naturale per i nostri politici imporre la vaccinazione, quanto invece sembra loro una follia imporre il battesimo” (“Eugenetics and Other Evils”, cap. VII, 1922).

Vien da chiedersi, dunque, se sia più intelligente e produttivo, rispetto alle imposizioni di un Sistema che non vuole il nostro bene, ma fare solo i suoi interessi, tramite una massa di servi più o meno inconsapevoli, focalizzare le proprie energie sul paravento, ovvero la questione vaccinale, oppure sullo studio e la preparazione nei confronti dei nuovi modelli di vita che ci aspettano. L’ha scritto, recentemente, anche Francesco Giubilei, trovando pochi ma determinati consensi.

A cosa mira una campagna vaccinale che ha dimostrato tutte le sue falle, tanto che persino Marco Travaglio, nel suo editoriale su Il Fatto Quotidiano del 7.01.2021 ha scritto: “…posto che i precedenti 4 decreti anti-Covid in un mese, tutti basati sull’equazione “vaccinati = sani, non vaccinati = malati”, dovevano ridurre i contagi, i ricoveri e i morti, che invece, si sono moltiplicati, possiamo immaginare gli effetti del quinto, che corre dietro ai soliti No Vax (ormai meno del 10%) anziché far qualcosa per i 18 milioni di Sì Vax senza terza dose?” Potremmo pensare che lo scopo sia quello di mantenere ben aperto il paravento, nella confusione generale, per poter costruire, nei tempi che ci vorranno, quella “nuova normalità” che hanno detto di volerci imporre.

In che cosa consiste? Per ora, abbiamo menzione di una “transizione green”, che dovrebbe costruire l’ecologismo di Stato: energie rinnovabili, smaltimento della plastica, auto elettriche, alta velocità ecc.; progressiva digitalizzazione di ogni processo, con tracciamento delle abitudini di ciascuno per il duplice scopo di individuare con precisione i giusti prodotti da vendere a chi effettivamente ne è interessato e di controllo sociale sui comportamenti di ognuno sul piano bancario, fiscale, assicurativo, politico, religioso ecc.

Nella nuova normalità, assolutamente multietnica, dovremmo immaginarci di vivere in un condominio fatto, sostanzialmente, con materiale rigorosamente eco-sostenibile, all’avanguardia sul piano informatico e telematico, nonché tracciato da una centrale operativa controllata dallo Stato o da enti delegati. Tutti gli abitanti saranno muniti di una nuova carta d’identità, che sarà l’ Ultra Green Pass, che diventerà verde solo se ogni obbligazione del Sistema li considererà virtuosi, secondo i parametri di obbedienza. Lentamente, la moneta sarà sostituita da una card, fatta di numeri virtuali. Tutte cose che ci hanno già detto e ripetuto. Non invento nulla, anche perché ho sempre avuto repulsione per il complottismo, da tomista, convinto realista.

I cattolici non ancora secolarizzati troveranno impossibile essere accettati da una società completamente liberal, che esclude il peccato e la morale, derubricandoli come credenze medievali superate, perché in contrasto con l’uguaglianza e la fratellanza universale. La Pietra angolare sarà, umanamente, raddrizzata. Così come l’assistenza alla Messa di sempre verrà considerata progressivamente come un attentato alla parificazione di tutti i credi ed all’obbligatoria accettazione della grande religione universale, senza dogmi e così fluida da essere fatta per coccolare i capricci di ciascuno.

La nuova normalità sarà la ghigliottina per i patrioti e gli identitari, soprattutto per coloro che vogliono vivere, senza compromessi, la fede cattolica. La nuova normalità sarà la vittoria, de iure, del globalismo assolutista sulla tradizione, declinata in ogni sua forma. Vien da chiedersi se non siano tempi maturi per prepararsi agli effetti di questa IV rivoluzione industriale, più che perder tempo ad incaponirsi e dividersi sul paravento, costituito dal vaccino e dall’emergenza sanitaria. Il pericolo, alla portata, è l’esclusione dalla società dei dissidenti nei confronti del Pensiero Unico globale.

Recuperare la lungimiranza che caratterizzò i migliori pensatori cattolici, potrebbe essere utile alla Causa di Cristo Re e della Patria, ma dev’essere disinteressata al lucro ed all’ irrefrenabile desiderio di visibilità di troppi vanesi in cerca d’autore. Sarà una lotta per uomini e donne puri di cuore, scaltri come serpenti, non per tutti. Una lotta di sopravvivenza alla pandemia globalista che si concluderà, non si sa quando, ma col “non praevalebunt”, quindi con la vittoria dell’attuale minoranza creativa, perché così ha promesso Gesù Cristo, luce del mondo, unica Via, Verità e Vita.

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