Bankitalia choc: “Il prezzo dell’energia deve aumentare per la transizione green”

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Il catechismo green

Le parole del governatore e del dg di Banca d’Italia: in nome dell’ambiente devono crescere i costi dei cittadini

di Matteo Milanesi

Se dovessimo indicare la religione del nostro tempo, i cui dogmi non possono mai essere discussi e smentiti, faremmo riferimento, senza alcun dubbio, al fondamentalismo climatico. Ecolatria, ossessioni apocalittiche, previsioni sulla fine del mondo: questo e molto altro rappresenta l’altra faccia dell’ecologismo, quello che, in modo efficace, il giornalista Giulio Meotti ha riassunto con la formula “Il Dio Verde”.

In nome del climatismo, tutto può essere sostituito e abbattuto: meno smog, meno industria, meno circolazione a motore. Insomma, meno tutto. Per ultimo, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha deciso che i diesel euro 4 e 5 non potranno più circolare nell’Area B di Milano, se non rispettando un limite massimo di chilometri percorribili. Più di mezzo milione di auto soffriranno l’impatto di questa misura: si tratta di lavoratori che non potranno più entrare in città, proprio in nome del conclamato rispetto ambientale. Non importa se, ogni mattina, i cittadini debbano percorrere chilometri e chilometri per raggiungere il posto di lavoro. No, non importa: tutto deve essere subordinato all’intoccabile “Dio Verde”.

“Sì all’aumento dei prezzi”

Di questo avviso sono anche il governatore Ignazio Visco ed il dg di Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini. Per il primo, l’attuale aumento dei prezzi, causa crisi inflattiva ed energetica, sarebbe uno straordinario incentivo per la transizione: “Viviamo in momenti difficilissimi, con rischi di razionamenti, ma non dobbiamo perdere la loro utilità ad accelerare la transizione energetica”. Basta carbone o fossili, ben vengano solo le rinnovabili, indipendentemente dalle esigenze materiali dell’economia, delle imprese, delle famiglie. Ma soprattutto, indipendentemente dal fatto che la Cina, ovvero il principale pericolo alla democrazia ed alla globalizzazione mondiale, sia la prima produttrice di carbone a livello globale, con oltre il 50 per cento della produzione totale. Insomma, noi siamo ecologici – con conseguente danno economico – mentre il nostro principale competitor rimane tutt’altro che sostenibile. Due pesi e due misure.

A ciò, si aggiungono le parole del dg Signorini, il quale ha espresso il proprio consenso alle misure attuate dal governo, proprio perché sarebbero una straordinaria opportunità affinché “i prezzi crescano per raggiungere i nostri obiettivi di lungo termine della transizione climatica”. Insomma, nonostante 2 milioni di famiglie italiane vivano sotto la soglia di povertà, a cui si affiancano quasi 6 milioni di cittadini nelle stesse condizioni, per i vertici di Banca d’Italia, l’aumento dei prezzi sarebbe una vera e propria grazia climatistica.

Crisi economica

Il calo del Pil, dopo il primo anno di pandemia da Covid-19, ha sfiorato la mastodontica cifra del 9 per cento; pochi giorni fa, Confindustria ha ribadito come la crescita del 2023 sarà pari a zero, fino ad arrivare ad una percentuale inflattiva record – oggi al 9 per cento, mai così alta dal 1983 – che sarà destinata a crescere inesorabilmente. Tutto ciò è subordinato alla religione ambientale: “Meglio concentrare le limitate risorse di bilancio pubblico disponibili sulle famiglie più colpite, sugli investimenti nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica”, ha concluso Signorini. Non c’è spazio per aziende, privati oppure per uno choc fiscale che possa risollevare il potere d’acquisto degli italiani.

Dalla nostra umiltà, desidereremmo offrire un consiglio assolutamente gratuito: perché non stanziare gli oltre 40 miliardi, che l’Italia attualmente spende in sussidi, direttamente per una radicale riduzione di tasse? Si tratterebbe, peraltro, di una cifra che il nostro Paese non ha mai conosciuto per applicare una misura di sani principi liberisti. Inoltre, significherebbe eliminare anche tutte le imposizioni fiscali verdi, cosa che non piacerebbe ai vertici di Banca d’Italia. Ma, si sa, questa è la principale differenza tra liberali e socialisti. E i primi non hanno mai primeggiato.

Matteo Milanesi, 11 ottobre 2022

Fonte: https://www.nicolaporro.it/bankitalia-choc-il-prezzo-dellenergia-deve-aumentare-per-la-transizione-green/

Schiaffo dai Sauditi: perché Biden non può che rimproverare se stesso

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Riyad allineata a Mosca? Lettura semplicistica e autoconsolatoria, ecco gli errori Usa: produzione nazionale bloccata da agenda green; sauditi maltrattati; Europa abbandonata

di Federico Punzi

Alla fine è arrivato il sonoro schiaffone dell’Arabia Saudita all’amministrazione Biden. Ieri, a Vienna, l’Opec+, il cartello che riunisce i principali Paesi produttori di petrolio più la Russia, ha deciso un taglio della produzione di ben 2 milioni di barili al giorno. E questo nonostante da mesi Washington chieda a Riyad di aumentare la produzione per raffreddare i prezzi.

Il presidente Joe Biden si era speso in prima persona recandosi in visita nel Regno, nel luglio scorso, e ricevendo critiche in patria per un saluto pugno a pugno ritenuto troppo complice con il principe ereditario Mohammad bin Salman.

Atto ostile: ma di chi?

Qualche ora prima della decisione la Casa Bianca aveva fatto circolare, via Cnnparole durissime sulla prospettiva di un taglio della produzione: “disastro totale”“atto ostile”.

La reazione alla decisione non si è fatta attendere. “Il presidente è deluso dalla miope decisione” e “si consulterà con il Congresso sugli strumenti per ridurre il controllo dell’Opec+ sui prezzi dell’energia”.

Un proposito che suona beffardo, perché Washington avrebbe un modo molto semplice per “ridurre il controllo” dell’Opec: aumentare la sua produzione nazionale, che invece, fin dal primo giorno in cui si è insediata, l’amministrazione Biden ha sistematicamente sabotato.

Ora Biden torna a supplicare l’industria petrolifera Usa, la stessa che in campagna elettorale aveva promesso che avrebbe fatto chiudere (letteralmente: “I guarantee you, we’re going to end fossil fuel”), di abbassare i prezzi dei carburanti.

E apre ad un nuovo rilascio di riserve strategiche per calmierare i prezzi. Di fatto, le sta prosciugando nel tentativo di evitare una sonora sconfitta alle elezioni di midterm, che si terranno tra circa un mese.

Un funzionario dell’amministrazione ha rivelato che la Casa Bianca ha segretamente offerto all’Opec+ di acquistare fino a 200 milioni di barili del suo petrolio a 80 dollari al barile per rimpinguare le riserve strategiche, oggi ai minimi storici, in cambio della rinuncia a tagliare la produzione.

E bisogna ricordare che nel 2020 i Democratici bloccarono la proposta di Trump di riempire le riserve con il petrolio dei produttori Usa, provati dalla pandemia, acquistandolo ad un prezzo di soli 24 dollari al barile.

Il vero atto ostile è quello dell’amministrazione Biden contro l’industria oil & gas Usa, ostacolata con ogni mezzo, fermando progetti infrastrutturali e bloccando nuove concessioni, come abbiamo già raccontato su Atlantico Quotidiano. Oggi la produzione in America, stima Robert Bryce (The Power Hungry podcast), è inferiore del 7 per cento al periodo pre-Covid.

Biden ha pensato di cavarsela ottenendo dall’Opec+ un aumento della produzione, evitando così di dover aumentare la produzione nazionale, e quindi di scontentare i gretini del suo partito. Quello che ha ottenuto, invece, è aver reso l’America più vulnerabile alle decisioni dell’Opec+, aver aiutato Putin e alimentato l’inflazione.

La mossa dell’Opec infatti va anche a contrastare gli sforzi della Fed per raffreddare l’inflazione. Se il rialzo dei tassi diminuisce la domanda di petrolio, abbassandone i prezzi, il taglio della produzione deciso ieri lo compensa almeno in parte, costringendo la Fed ad un ulteriore rialzo, che però spingerà ancor di più l’economia Usa verso la recessione.

Lo ripetiamo: in America, così come in Europa, l’obiettivo della decarbonizzazione, di uscire dalle fonti fossili, è una follia insostenibile. Ma lo è ancor di più in concomitanza con la guerra economica alla Russia.

Riyad si schiera con Mosca?

Fin troppo facile concludere che l’Arabia Saudita ha deciso di schierarsi con la Russia e contro l’Occidente. È proprio così? La realtà è più complessa.

L’Opec+ si mostra “allineata con la Russia“, ha affermato la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, e leggerete molte analisi in tal senso. Ma è proprio questo genere di letture a far letteralmente imbufalire Riyad, perché dimostrano come a Washington gli interessi sauditi siano totalmente snobbati.

Per dare la misura dell’irritazione di Riyad su questo tema, proprio ieri, durante la conferenza stampa al termine della riunione dell’Opec+, il ministro dell’energia saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, si è rifiutato di rispondere ad un giornalista della Reuters, rimproverando all’agenzia di aver pubblicato una falsa storia di collusione tra Arabia Saudita e Russia utilizzando una fonte anonima. Purtroppo ormai certa stampa si è fatta prendere la mano dalle storie di collusione con la Russia…

Alla base della decisione di ieri dell’Opec+ ci sono valutazioni certo economiche e innegabilmente anche di natura politica. Ma non banalmente dettate dalla volontà di “schierarsi” dalla parte di Putin e contro l’Occidente. Questa lettura caricaturale, anzi, rischia di essere un regalo a Mosca.

Una reazione al price cap

Non solo i segnali di recessione globale e l’obiettivo dei Paesi Opec+ di tenere il prezzo del petrolio al di sopra dei 90 dollari (fino a ieri era poco sopra gli 80). Come molti avevano avvertito, questa decisione è una reazione – economica e politica – al price cap sul petrolio russo, esteso anche ai Paesi terzi che volessero rivenderlo.

Se il miglior modo per tagliare gli introiti di Putin è tenere bassi i prezzi di gas e petrolio, la misura ha avuto un effetto contrario, spingendo gli altri Paesi produttori a difendere il prezzo del petrolio, ma soprattutto a sanzionare quello che viene giustamente considerato, dal loro punto di vista, un precedente pericoloso.

Gli interessi sauditi

Questi Paesi, Arabia Saudita in testa, non si sono schierati ideologicamente con Mosca, ma sono stati costretti dalle nostre scelte a difendere il loro interesse nazionale con esiti che li fa apparire vicini alla Russia.

Come ha spiegato Mohammed Alyahyasenior fellow dell’Hudson Institute, questo genere di letture sembra negare a Ryad il suo diritto a considerare i propri interessi e sembra presumere che l’Arabia Saudita sia un attore irrazionale e inaffidabile. Ma questo è un presupposto “falso e pericoloso”.

E ricorda come nell’aprile 2020, in piena pandemia, Riyad abbia combattuto “con le unghie e con i denti” una guerra dei prezzi contro la Russia, vincendola. Non per ragioni politiche, ma per proteggere l’Opec+ e difendere la propria leadership nei mercati energetici, il suo ruolo di gestore e stabilizzatore del mercato.

Nulla è cambiato oggi, si tratta di interessi. L’interesse saudita è anche oggi proteggere l’Opec+ in quanto organizzazione. Ma questo a Washington non sono sembrati in grado di comprenderlo.

Tra l’altro, fa notare lo studioso, il taglio effettivo è di un milione di barili, non due, perché molti Stati membri dell’Opec+ già oggi non riescono a soddisfare le loro attuali quote di produzione, nella misura di un milione di barili.

Con il taglio odierno, sostiene Alyahya, gli Stati del Golfo avranno una maggiore capacità inutilizzata per far fronte alle interruzioni che saranno causate dalle sanzioni Usa-Ue sul petrolio russo. Senza questa ulteriore capacità inutilizzata, non sarebbero in grado di mantenere i mercati in equilibrio.

Un’analisi condivisa da Gregg Carlstrom dell’Economistil mercato petrolifero è un “casino” in questo momento. L’Opec+ ha poca capacità inutilizzata; molti produttori non riescono a rispettare le proprie quote; le sanzioni alla Russia stanno “biforcando” il mercato.

I sauditi hanno “un interesse razionale” a mantenere prezzi alti e stabili, e il settore petrolifero abbastanza redditizio da consentire alle compagnie di investire nella costruzione di nuova capacità – cosa che a quanto pare a noi occidentali non interessa più.

Gli affronti di Biden a Riyad

Detto questo, la decisione dell’Opec+ non può che apparire come un “affronto” dei sauditi a Washington, a soli tre mesi dalla visita del presidente Joe Biden a Jeddah per ricucire i rapporti con Riyad.

Ma secondo Carlstrom si tratta di un problema di aspettative eccessive: i tempi della visita e alcuni messaggi hanno suggerito che Biden si fosse assicurato un aumento della produzione di petrolio. Ma “questo non è mai stato realistico, come ti avrebbe detto chiunque nel Golfo prima della sua visita”.

Da una parte, dunque, la percezione americana e occidentale che i sauditi non stiano rispettando la loro parte dell’accordo quasi secolare con gli Usa e si stiano schierando con la Russia. Dall’altra, però, va detto che i sauditi hanno buone ragioni per ritenere che l’America non stia rispettando i propri impegni sulla “sicurezza”, a cominciare dalle politiche occidentali che conferiscono potere all’Iran a livello regionale.

Gli errori dell’amministrazione Biden con l’Arabia Saudita risalgono infatti ai primi giorni del suo mandato: la diffusione del rapporto dell’Intelligence che accusava il principe ereditario Mohammed Bin Salman di aver personalmente approvato e ordinato l’omicidio di Jamal Khashoggi; lo stop alla vendita di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti; la revoca della designazione dei ribelli Houthi come organizzazione terroristica; la decisione di riprendere i colloqui con Teheran per un nuovo accordo sul programma nucleare. Quattro veri e propri affronti, tutti all’inizio del mandato.

Già in campagna elettorale, inoltre, Biden aveva avvertito che con lui alla Casa Bianca le cose tra Washington e Riyad sarebbero cambiate, spingendosi fino a definire il Regno “un pariah” della comunità internazionale.

Gestione disastrosa della crisi energetica

Ma ancora peggio, per tutto il 2021 e fino all’inizio del 2022, incredibilmente l’amministrazione Biden non ha fatto nulla per riparare i rapporti con Riyad, nonostante avesse acquisito e diffondesse informazioni sempre più credibili e precise circa le intenzioni e i preparativi di Mosca per invadere l’Ucraina, dunque pur essendo consapevole che ci saremmo potuti trovare presto nel bel mezzo di uno shock energetico e di una guerra economica con la Russia.

Se la gestione del conflitto ucraino da parte dell’amministrazione Biden è stata efficiente dal punto di vista militare e di intelligence (sebbene a nostro avviso poteva essere più coraggiosa nello stabilire linee rosse e più rapida nell’invio di armamenti a Kiev), è stata senza alcun dubbio niente meno che disastrosa sul piano energetico.

Dai già menzionati rapporti con l’Arabia Saudita alla crisi del gas che attanaglia l’Europa, completamente abbandonata, che rischia di sgretolare il supporto europeo alla causa ucraina.

Nel momento in cui i Paesi Ue, a cominciare da Italia e Germania, hanno assunto la decisione di liberarsi dalla dipendenza dal gas russo, sarebbe stata opportuna una iniziativa di Washington per una gestione coordinata e solidale della crisi energetica tra gli alleati Nato (di cui fa parte la Norvegia, importante produttore di gas), in modo da tenere il più possibile sotto controllo i prezzi.

L’alternativa all’hub del gas russo-tedesco

Venendo meno l’hub energetico russo-tedesco per ovvie ragioni, l’amministrazione Biden, piuttosto che fare promesse di forniture LNG impossibili da mantenere, avrebbe dovuto impegnarsi da subito per sostituirlo con un hub di gasdotti italiano, su cui far convergere tutto il gas proveniente dal Mediterraneo e dall’Africa.

Un progetto, però, che non avrebbe fatto piacere a Erdogan, che infatti sembra aver giocato d’anticipo. Proprio ieri è arrivata la notizia che Turchia e Libia – o meglio, il governo libico riconosciuto ma attualmente sfiduciato dal Parlamento di Tripoli – hanno firmato accordi di collaborazione nel settore petrolio e gas, scatenando l’ira sia del Parlamento di Tobruk, che di Grecia ed Egitto.

Ebbene, non solo gli Usa non hanno finora rilanciato il progetto Eastmed, ma non hanno nemmeno mosso un dito per la risoluzione della crisi libica.

Una latitanza di Washington – e di Roma – che denota la miopia sia dell’amministrazione Biden che del governo Draghi, che avrebbero potuto almeno avviare lo sviluppo di alternative in grado nel medio-lungo termine di risolvere il problema dell’approvvigionamento di gas all’Europa.

Distruzione immobiliare: la UE fa parziale marcia indietro e scarica la patata bollente agli stati

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L’Unione Europea ha fatto una parziale retromarcia sulla casa: il divieto di vendita e di locazione degli immobili non in classe A o B scatterà dal 2030, ma solo per gli immobili nuovi, secondo le bozze della proposta che sarà presentata dalla commissione solo oggi.

Un  bel passo indietro rispetto alle prime proposte, volute dai verdi, che parlavano di un divieto esteso a tutti gli immobili civili, e che avrebbe messo praticamente fuori legge nove milioni d’immobili italiani, o 80% del nostro patrimonio immobiliare. Pare che si parli di un fondo ad hoc da 150 miliardi, per tutta la UE per facilitare la ristrutturazione degli immobili, ma non facciamoci troppe illusioni: a noi ne spetterà una parte secondaria e, comunque, sono sempre soldi nostri che provengono dalle nostre tasche.

Intanto comunque c’è un fortissimo incentivo, pagato dalle nostre tasche, alla ristrutturazione immobiliare con finalità energetica: gli enormi prezzi del gas naturale da riscaldamento che si portano dietro enormi costi di elettricità,

Una crescita del prezzo di ben oltre sette volte rispetto allo scorso gennaio. Non si tratta di un evento causale, ma provocato e voluto, e per capirlo basta confrontare i prezzi USA

La crisi energetica europea è provocata da:

  • mancati investimenti nelle fonti fossili tradizioni,
  • il forzato accelerato spostamento dal carbone, senza avere un’alternativa adeguata;
  • l’utilizzo di fonti “Green”, eolico etc, senza un’adeguata infrastruttura di accumulo, che mette il prezzo dell’energia nelle mani del vento, letteralmente;
  • lo scontro con la Russia e la mancata omologazione del Nord Stream 2, che lascia il prezzo del gas in balia delle notizie quotidiane di politica estera.

Quindi state già tutti pagando una pesante tassa europea sull’immobile, mascherata da bolletta della luce e del gas. Il governo fornisce solo dei pannicelli caldi, perché il sistema di  calcolo dei prezzi dell’elettricità, basato sul gas naturale, non può essere modificato per non infastidire la Germania.

Per questo motivo potete si ora festeggiare, ma non troppo. State già pagando la vostra patrimoniale.

Fonte: https://scenarieconomici.it/distruzione-immobiliare-la-ue-fa-parziale-marcia-indietro-e-scarica-la-patata-bollente-agli-stati/

Antidoti contro la transizione ideologica

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI per InFormazione Cattolica https://www.informazionecattolica.it/2021/12/20/antidoti-contro-la-transizione-ideologica/

di Matteo Castagna

Viviamo i tempi dell’ apostasia di massa, pertanto la conseguenza diretta è il caos. La pandemia ha il merito di aver portato alla luce buona parte del sommerso, non solo sul piano religioso, ma anche politico, sociale, economico. Tutto diviene un’opinione, quindi tutto diventa relativo, fino a far morire addirittura il buon senso comune. Si sente tanto parlare di “transizione ecologica”, sebbene pochi sappiano cosa significhi nella pratica, a parte i rincari sulle bollette e sui carburanti.
Sembrerebbe di esser di fronte ad una transizione ideologica, per cui, ucciso Dio, la religione dell’uomo è il nichilismo, mentre il contorno si chiama tecnologia, green, uguaglianza assoluta, compressione fino alla distruzione del diritto naturale, vita artificiale. Lo smarrimento e la confusione generati raccolgono, in proporzione, una minoranza di persone perché il Sistema sovversivo globale, iniziato con la Riforma luterana, è stato progressivo nel corso dei secoli, per abituare lentamente i popoli a farla finita con la Chiesa e con la filosofia, accettando implicitamente di smetterla di pensare. Obiettivo? Adeguarsi all’iniquità fino a renderla normale quotidianità senza accorgersi che si tratta di gravi iniquità. E’ il colpo da maestro del Principe di questo mondo, che, nel tempo, è riuscito pure a far chiamare bene il male e viceversa. La “nuova normalità” sarà, o forse già è, l’adattamento acritico al paradigma invertito della normalità “bene/male”: si dovrà credere che 2+2 molte volte farà 5, perché allo “Stato servile” – per dirla con Hilaire Belloc (1870 – 1953) – occorre che sia così per realizzare gli interessi della globalizzazione 2.0. E le amebe staranno mute, seguendo come pecore, ogni cattivo pastore, perché crederanno che egli agisca per il loro bene. Una moltitudine di elettroencelfalogrammi piatti non si pone più alcun interrogativo.
Gli inguaribili tomisti, che, coi liberi e seri pensatori costituiranno la minoranza di pecore nere che non si rassegneranno ad annullare il cervello o a mettere la Fede in naftalina, ricorderanno che S. Tommaso d’Aquino è un maestro per tutti, anche e, forse, soprattutto per chi non crede. La sua ventunesima Tesi aiuta a restare o a diventare Uomini. Oltre ad essere costituiti d’anima e corpo, tutti noi, in diversa e differente misura, siamo dotati di intelletto e volontà. “La volontà segue l’intelletto e non lo precede. Inoltre essa desidera necessariamente ciò che le viene presentato come il Bene assoluto. tuttavia riguardo ai beni particolari essa è libera. Perciò la scelta libera segue l’ultimo giudizio pratico, ma è la volontà che rende ultimo quel dato giudizio” (S.Th., I, q. 82-83; De Veritate, q. 22, a.5; De malo, q. 11; Summa contra Gentiles, lib. II, cap. 72). La volontà è un appetito razionale che segue la conoscenza intellettuale. La natura tende al bene, per cui l’oggetto della volontà deve rimanere il bene, anche se solo apparente, perché il male in se stesso è contro-natura. Probabilmente è per questo che la Sovversione ribalta il paradigma bene/male inscritto nell’anima umana. Intelletto e volontà devono collaborare intimamente per non cedere.  “L’intelletto sa che la volontà vuole e la volontà vuole che l’intelletto conosca” (S. Th., I, q. 82, a. 4, ad 1). San Tommaso ci insegna che il bene viene scelto dalla volontà, solo dopo che la libertà di scelta è stata stimolata dall’intelletto. Quest’ultimo offre alla volontà i principi o le conoscenze (l’esempio o il modello) per poter tendere verso qualcosa, le presenta l’essere conosciuto come buono, ma tale presentazione è solo “conditio sine qua non” affinché il bene possa attrarre la volontà. Perciò, possiamo dire, con l’Aquinate, che la volontà realizza l’uomo interamente, offrendogli il suo fine, che è il bene e la felicità. La volontà, tenderà, per questo, all’atto finale dell’intelletto, che è la beatitudine (S. Th., I-II, q.4, a.4, ad 2).
La scelta deliberata e consapevole costituisce l’atto libero con cui l’uomo accetta o respinge un determinato bene. Infine, non dimentichiamo che l’uomo che conosce, vuole e agisce deve saper educare la sensibilità e le passioni ad obbedire alla volontà, e questa all’intelletto. Cioè esattamente quello che la transizione ideologica verso il nichilismo vuole compromettere in maniera definitiva. Il diritto naturale è il primo bene da preservare, conservare e ristabilire. Chi ha già la Fede può ben comprendere le parole di Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange (1877 – 1964), che scrisse ne “La sintesi tomistica” (Brescia, Queriniana, 1953, pag. 203): “se nego il valore dell’intelligenza retta, comprometto la bontà dell’azione libera e volontaria. La volontà deve essere educata, illuminata e rettificata dalla sana e retta intelligenza e dal giudizio speculativo vero circa il Fine ultimo. Non si può amare Dio, Sommo Bene e Vero, senza la retta conoscenza della realtà. Tuttavia, l’intelletto pratico, che sceglie i mezzi, dipende dalla buona volontà. Ognuno giudica praticamente secondo la propria tendenza: se l’inclinazione del proprio appetito sensibile o razionale è cattiva (l’ambizioso). il giudizio pratico non è retto (per me qui e adesso è bene rubare). La verità del giudizio dell’intelletto pratico dipende dalla buona volontà”. In quest’epoca in cui ci si riempie la bocca della parola “libertà”, fossilizzandosi maniacalmente sulla questione sanitaria, quasi facendola diventare parte dell’essenziale, i buoni cattolici scrivano su ogni pagina della loro agenda questa frase, sempre buona e giusta, di Cornelio Fabro (1911-1995): “L’unica libertà è la vittoria sul peccato” (Vangeli delle Domeniche, II Ed. Segni, pag. 273).