L’Italia in guerra delegata

Condividi su:

di Marcello Veneziani

Ma l’Italia è in guerra? Siamo passati dalla “ neutralità attiva e operante”, per dirla con Mussolini, alla belligeranza delegata, tra fornitura d’armi e ritorsioni. Il vecchio pacifismo della sinistra italiana, a volte spingendosi a manifestare la sua terza posizione – né con la Russia né con la Nato – è sceso in piazza contro la guerra e le armi che noi italiani e occidentali forniamo agli ucraini. La storia insegna che nessun pacifismo ha mai sconfitto una guerra, e l’unico effetto che produce è quello di indebolire una sola parte, la propria. Perché il pacifismo non è mai bilaterale, serve alle anime belle ma non alla risoluzione dei conflitti; è la convinzione che le buone intenzioni possano sconfiggere i misfatti. È moralismo contro la storia.

Le domande da porsi invece sono realistiche: a cosa serve armare la resistenza antirussa, a contrastare la loro avanzata fino a debellare l’invasore o solo ad allargare e prolungare il conflitto, e a coinvolgere ancor più noi paesi terzi nella rete del conflitto? Serve a dare maggior forza all’Ucraina nella trattativa o a inasprire la reazione russa e favorire l’uso di armi peggiori? Sono queste le domande realistiche per valutare l’opportunità o meno di armare gli ucraini, mandandoli allo sbaraglio e al massacro. Inviare armi aggrava la situazione e ci fa scendere in guerra pur in modo obliquo. A questo punto non siamo più terzi, ma parti in causa, nella trattativa con la Russia di Putin; e dunque toccherà ad altri – Israele, la Chiesa Ortodossa, la Cina, l’India, la Turchia – il compito di arbitrare la contesa.
La seconda questione riguarda le sanzioni. Anch’esse in generale quasi mai hanno piegato un regime, anche se le sanzioni alla Russia si sono fatte via via più forti; e le possibilità che lo pieghino alla trattativa, sono almeno pari a quelle che inaspriscano la reazione e le conseguenze belliche.

Ma la cosa più odiosa delle sanzioni è che adottano un principio degno di un regime totalitario e non di una democrazia: non colpiscono solo un dittatore e il suo regime ma la popolazione, si rivalgono sui suoi cittadini. E ancor più vile e pericolosa è la ritorsione nei confronti di singoli atleti, imprenditori, artisti. Può un paese libero e democratico, fondato sul diritto, requisire i beni a centinaia d’imprenditori russi solo perché sono connazionali di Putin? Ha senso espellere gli atleti russi dalle contese sportive mondiali, persino i disabili (e magari premiare gli ucraini), che nessuna responsabilità hanno nel conflitto; o cacciare il direttore d’orchestra della Scala di Milano solo perché è russo e da russo non è contro il suo paese (c’è un motto occidentale che dice: right o wrong, my country, ragione o torto, è la mia patria). Per non dire della cancel culture all’opera contro la letteratura russa e ciò che proviene dalla tradizione culturale russa o del caso Orsini alla Luiss. Infamie assolute.
Oltre lo sdegno che procurano queste ritorsioni vigliacche verso popolazioni, persone, simboli, figure, culture, questa guerra a tutto ciò che è russo, commette un errore e un crimine: allarga anziché restringere gli spazi del conflitto, lo fa diventare etnico, religioso, totale. Una prevaricazione degna di uno stato illiberale che non distingue tra sfera pubblica e sfera privata, tra stato e cultura, tra potenti e cittadini, tra storia e attualità. Si pensa in questo modo di esercitare un ricatto psicologico nei confronti di Putin e degli oligarchi russi che non mostrano questa sensibilità; i vantaggi pratici di questo embargo discriminatorio non sono compensati dai danni e dall’imbarbarimento del conflitto.

Per tornare alla questione generale partiamo da due premesse, semplici, vistose, nate dai fatti e dal buon senso: 1) per qualunque ragione Putin abbia deciso di invadere l’Ucraina e far guerra, l’attacco è da condannare. 2) da qualunque punto di vista si ponga chi osserva la guerra, restano incondizionati la pietà e il soccorso alle popolazioni ucraine e a ogni altro patisca senza colpa sulla sua pelle gli effetti della guerra.
Stabilito questo, resta da vedere le responsabilità di questo conflitto: sono solo di Putin o sono anche di chi ha rifiutato ogni vera trattativa per stabilire che l’Ucraina restasse neutrale né con la Russia, con cui pure è stata unita per secoli, né con la Nato, fino a piazzare basi militari alle porte della Russia? Il fine del negoziato dovrebbe essere questo, senza sperare di eliminare Putin, dall’interno o dall’esterno e trattarlo da criminale di guerra.

E ancora. Putin sta usando senza scrupoli la propaganda bellica. Mi pare che in Occidente stia accadendo la stessa cosa; si è costruito un arsenale narrativo e figurativo degno della peggior propaganda di guerra. Una Cappa. Ancora una volta succede che l’informazione libera e democratica usi formule ipocrite per adottare le stesse campagne di manipolazione come quella russa. Tra le cause che aggravano il conflitto e rischiano di prolungarlo e incattivirlo c’è il non distinguersi dai metodi putiniani ma adottarli, con le sanzioni, i danni alle popolazioni, l’armiamoci e partite, l’informazione manipolata.
Per finire, qual è il mondo ideale e possibile verso cui tendere? Non un mondo unificato e uniformato all’Occidente, non l’americanizzazione globale, peraltro velleitaria, impossibile; ma il riconoscimento di aree differenti, spazi irriducibili di diversità in un mondo policentrico dove nessuno Stato o alleanza è il gendarme e il giudice del mondo.