Geopolitica e immigrazione di massa

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di Andrea Zock

Come ampiamente previsto il tema della pressione migratoria si sta ripresentando con forza. Naturalmente in questa rinnovata salienza gioca un ruolo anche l’opportunità di mettere le promesse del governo Meloni alla prova dei fatti, ma questo rientra nel legittimo gioco politico delle opposizioni (e dell’esteso apparato mediatico che ne rispecchia le posizioni).
Tuttavia il punto di fondo è che ogni crisi degli equilibri internazionali si ripercuote più severamente sugli anelli più deboli, e il doppio colpo Covid + Guerra Russo-Ucraina rappresenta la più pesante crisi dalla Seconda Guerra Mondiale. Ora arriva semplicemente il conto relativo.
In Italia gli anni esplosivi dell’immigrazione sono stati quelli tra il 2011 e il 2017, e seguono la combinazione tra effetti mondiali della crisi subprime (dal 2008) e avvio delle cosiddette “primavere arabe” (dal 2010).
Il tema migratorio è il primo tema che ha esplicitato l’inadeguatezza dell’Unione Europea al ruolo di cui era stata accreditata.
Si tratta infatti di uno dei pochi temi in cui l’appello ad un’azione europea coordinata sembrerebbe la strada maestra per una soluzione, ed è parimenti un tema in cui si è manifestato nel modo più chiaro il carattere meramente predatorio e opportunista dell’UE, che si è presentata non come una potenza geopolitica, ma come un club dello scaricabarile (“beggar-thy-neighbour” policies).
In ogni singolo momento della gestione migratoria (come per ogni altro tema di rilevanza economica) abbiamo assistito ad un penoso balletto di singoli paesi o alleanze ad hoc, per sfruttare a proprio favore alcune condizioni contingenti, e lasciare gli altri “partner europei” con il cerino in mano. (Il sistema degli accordi di Dublino è esemplare a questo proposito, in quanto mirava a utilizzare i paesi di primo sbarco come “barriera naturale” per quelli interni, impedendo che si spostassero dai paesi d’arrivo a quelli più ambiti del Nord Europa.)
Il fallimento europeo peraltro è tutto tranne che inaspettato. I rapporti europei rispetto all’Africa seguono precisamente il medesimo indirizzo che informa i rapporti interni e in generale tutti i rapporti internazionali nella visione dei trattati europei: si tratta di un modello neoliberale di sfruttamento, massimizzazione del profitto e acquisizione di vantaggi competitivi a breve e medio termine. Non c’è qui nessuna visione politica, salvo la responsività alle lobby economiche interne, che in un’ottica neoliberale sono i più legittimi rappresentanti dell’interesse pubblico.
Così, i rapporti con l’Africa sono sempre stati improntati ad una politica di aiuti ad hoc, che permettevano di tenere le elité africane a catena corta, e ad una politica di trattati di scambio ineguale, che permettevano a questo o quel paese europeo di ritagliarsi un accesso favorevole ad una qualche area di risorse naturali.
E’ però importante capire qual è stata la natura specifica del fallimento europeo nella politica verso l’Africa (e più in generale verso i paesi in via di sviluppo).
Ciò che l’UE ha mancato di fare è stato di subentrare al sistema degli equilibri della Guerra Fredda, cercando di costruire nuovi rapporti di alleanza di lungo periodo.
Alla faccia degli storici della domenica che ti spiegano come “le migrazioni ci sono sempre state e sempre ci saranno”, bisogna osservare come l’epoca delle migrazioni di massa in Europa dall’area del mediterraneo inizia con la caduta dell’URSS e quindi con il trionfo nella Guerra Fredda dell’Occidente a guida americana.
Per l’Italia la data simbolica dell’inizio del “problema migratorio” è il 1991, con il grande sbarco degli albanesi nel porto di Bari.
Questo non è un caso. La Guerra Fredda, forma rudimentale di multipolarismo, cercava di contendersi i paesi in via di sviluppo, e lo faceva in vari modi, talora in forma cruenta (Corea, Vietnam), più spesso in forma di collaborazione. Questa situazione, per quanto precaria, coltivava l’interesse per una conservazione degli equilibri regionali. Nessuna “primavera araba” sarebbe potuta venire alla luce in quel contesto, perché tutti sapevano che eventuali sommovimenti interni ad un paese sarebbero stati nient’altro che mosse di uno dei due blocchi per finalità proprie. Questo equilbrio, cinico e ostile fin che si vuole, stimolava comunque l’interesse di entrambi i blocchi alla conservazione tendenziale degli equilibri nelle aree in via di sviluppo.
Con il venir meno di questo fattore equilibrante, cioè con il venir meno dell’URSS, il mondo in via di sviluppo (e anche buona parte di quello sviluppato) divenne libero terreno di caccia dei paesi in cima alla catena alimentare capitalistica (USA in testa).
A questo punto l’equilibrio regionale era molto meno importante per i decisori politici delle occasioni di profitto create dagli squilibri.
Ecco, questa prospettiva ci consente di vedere da che punto di vista potrebbe arrivare, nel medio periodo, una soluzione alla colossale questione dei processi migratori (per l’Europa).
A fronte della pelosa impotenza dell’UE, i cui colonnelli sono tutti indaffarati ad accaparrarsi piccoli vantaggi per questa o quella multinazionale di riferimento, subentrerà (sta già subentrando) una forma di competizione geopolitica simile alla Guerra Fredda.
Russia e Cina stanno già operando in questo modo verso molti paesi in via di sviluppo, soprattutto in area africana. Naturalmente non lo fanno per “umanitarismo” (diffidate sempre quando uno stato afferma di muoversi per “ragioni umanitarie”). Lo fanno perché hanno una visione strategica di lungo periodo, in cui associazioni stabili con stati che siano davvero “in via di sviluppo” – e non semplicemente “condannati ad una sfrutttabile arretratezza” – è nel loro interesse.
Russia e Cina si muovono oggi come attori sovrani su uno scenario geopolitico di lungo periodo, e questo è sufficiente a rovesciare il tavolo alla cultura da “robber barons” del neoliberalismo occidentale e a instaurare un nuovo equilibrio (per quanto intrinsecamente precario).
Dunque alla fine, se qualcosa ci salverà dall’essere travolti da una migrazione incontrollata, questo sarà probabilmente proprio l’insediarsi di un nuovo equilibrio multipolare, la cui alba abbiamo davanti agli occhi.

Muro di Berlino, il Pd scorda “la matrice”: non cita mai il comunismo

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IL POST SUL CROLLO DEL MURO CHE DIVIDEVA LA GERMANIA. I DEM NON NOMINANO MAI L’URSS

di Giuseppe De Lorenzo

Hai voglia a ripetere a Giorgia Meloni che non ha ancora fatto i conti col fascismo. Hai voglia a chiedere a Lega e Fdi di non avere “ambiguità” sulla dittatura nera. Perché se poi, quando si presenta l’occasione, perdi il treno per condannare l’orrore comunista, beh: un minimo di ipocrisia la dimostri.
Succede che oggi sarebbe, anzi è, la ricorrenza della caduta del muro di Berlino costruito nel 1961. Il 9 novembre di 32 anni fa i tedeschi lo presero a picconate ponendo fine prima alla Ddr, un regime comunista, e poi a valanga all’intera Unione Sovietica. Momento storico di portata colossale. Che infatti oggi viene giustamente ricordato da tutti gli schieramenti politici in parlamento. Gli occhi, ovviamente, sono puntati sul Pd. Voglio dire: sono o non sono gli eredi più o meno diretti di quel Partito Comunista Italiano che va da Togliatti in giù? Bene. Uno va sulla pagina Facebook dei dem e si trova questo post qui, corredato da una delle foto più iconiche di fine anni ’80: un berlinese intento ad abbattere il muro che divideva la città in due. State a sentire:
“Lungo 156 km e alto quasi 4 metri, il muro di Berlino, costruito nel 1961, impedì la libera circolazione delle persone verso la Germania dell’Ovest. Simbolo tangibile di una divisione territoriale e politica, non solo tedesca, la sua caduta segnò la fine della Guerra Fredda e della divisione in due dell’Europa e del mondo, e anticipò la riunificazione della Germania. Furono migliaia i berlinesi che presero parte alla demolizione di quel muro che li tenne in ostaggio per quasi trent’anni. La caduta, nel 9 novembre 1989, divenne così espressione del bisogno di autodeterminazione da parte di chi non accettò più divisioni forzate e conflitti. La fine del bipolarismo tra Oriente e Occidente aprì le porte alla riunificazione necessaria e all’Unione europea. La storia insegna che il desiderio di libertà è più forte di ogni muro. Ieri come oggi.
Notate qualcosa di strano? Vi sembra mancare qualcosina? Provate a fare una ricerca per parole e cercate di capire se il Pd è davvero riuscito a non nominare mai la parola comunismo nelle quasi 800 battute del post. Ebbene sì, ce l’hanno fatta. Si sono dimenticati di specificare che quei mattoni furono messi per impedire ai berlinesi dell’Est di scappare dal presunto “paradiso comunista”. C’entra poco “l’autodeterminazione” contro le “divisioni forzate e i conflitti”. È solo fuffa la storia del “bipolarismo tra Oriente e Occidente”. Il “desiderio di libertà” non era generico, ma un anelito di liberazione dal regime sovietico. Non specificarlo, volutamente, significa tradire le 140 vittime dei Vopos, gli agenti della Polizia del popolo che sparavano contro chiunque tentasse di raggiungere l’Ovest. Scusi, Letta, ci spieghi: di che matrice era quel muro?

 

 

Il Nuovo ordine mondiale americano è ufficialmente morto

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di Henry Tougha

Il Nuovo ordine mondiale americano è ufficialmente morto

Fonte: Voci dall’Estero

Una fonte mainstream quale il Bloomberg dichiara ufficialmente morto il sogno americano di imporre il proprio sistema di controllo mondiale. La Russia, dopo essersi ripresa dal crollo dell’Unione Sovietica, assieme a una nuova potenza come la Cina, sono sfuggite alla guida statunitense creando poli alternativi di influenza. Naturalmente Bloomberg assume un punto di vista assolutamente favorevole e roseo sul nuovo ordine mondiale pacifico e collaborativo che gli Stati Uniti avrebbero tentato di perseguire e considera negativamente la sua fine, gettandone la responsabilità sull’autoritarismo e le mire di potenza di Cina e Russia. In sostanza però questa rinuncia ufficiale all’ambizione di integrare questi paesi sotto l’impero americano non significa pace: secondo Bloomberg la conseguenza sarà che gli USA dovranno impegnarsi in maniera sempre più aggressiva a difendere militarmente l’impero americano finora consolidato. 

di Hal Brands, 27 settembre 2017

La politica estera americana ha raggiunto uno  storico punto di svolta, e qui è la sorpresa: non ha molto a che vedere con l’estenuante e controversa presidenza di Donald Trump. Continua a leggere

Colpire la Russia di Putin per educare il resto del mondo (ma non esiste alcuna nuova guerra fredda)

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OLTRE LA PROPAGANDA, ALLA RICERCA DELLA VERITA’
In realtà non c’è nessuna Guerra Fredda se non nella volontà delle democrazie occidentali di crearla (come nel caso dell’ex spia russa uccisa a Londra… ma da chi?)
di Giampaolo Rossi

(LETTURA AUTOMATICA)

Perché i servizi segreti di Mosca (o Putin in persona secondo alcuni) avrebbero deciso di eliminare una ex spia russa che vive a Londra, consegnata da loro stessi agli inglesi 10 anni prima e che avrebbe da tempo cessato ogni attività?
Per “vendetta perché i russi non perdonano i traditori”, spiegano quelli che le cose le sanno. Ma allora perché non l’hanno fatto fuori negli anni in cui la spia era prigioniera nelle carceri di Mosca?
E poi perché farlo a 15 giorni dalle elezioni presidenziali in Russia che vedranno Putin vincere il quarto mandato e nel momento di massima tensione tra Russia e Occidente, in cui Europa e Stati Uniti stanno accusando Mosca praticamente di tutto (fra un po’ anche del buco dell’ozono)?
E perché per eliminare questa “spia in pensione” l’avrebbero avvelenata con una sostanza chimica identificata dagli esperti britannici come “Novichok”, uno dei più letali agenti nervini creato e sviluppato nei laboratori dell’Uzbekistan ai tempi dell’Unione Sovietica?
Perché i russi avrebbero lasciato questa perfetta firma d’autore al loro “inutile” complotto? Non era più semplice un colpo di pistola alla testa da un sicario o uno di quegli insospettabili incidenti stradali in cui involontariamente la vittima perde la vita in circostanze assolutamente casuali?
E siamo sicuri che questo “veleno” riconduca direttamente alla responsabilità di Mosca? Continua a leggere