LE BANDIERE IDEOLOGICHE DELLA SINISTRA AL TRAMONTO

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di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2024/05/20/le-bandiere-ideologiche-della-sinistra-al-tramonto/

OSSESSIONE FASCISMO. LE SINISTRE TERMINALI HANNO STANCATO

Abbiamo trascorso una settimana all’insegna delle bandiere ideologiche di una sinistra, ormai terminale, priva di idee, che ha abbandonato i lavoratori per abbracciare il grande Capitale e sostituito la lotta proletaria con quella per i cosiddetti “diritti civili”.

Così, a Verona, la giunta di sinistra guidata dal catto-progressista Damiano Tommasi, qualche  giorno fa ha approvato la mozione 324 del 10/05/2024 firmata da Alessia Rotta (Pd) per la professione di fede antifascista, se si desidera ottenere la concessione di spazi pubblici o pubblicitari, contributi e patrocini.

La “clausola antifascista” è l’inserimento di un comma, all’art. 11 del regolamento comunale per la disciplina del canone patrimoniale di concessione e autorizzazione di sale, suolo o altro, in cui si preveda questa dicitura:”Dichiara di riconoscersi nei principi e valori fondamentali della Costituzione italiana e dello Statuto Comunale, di ripudiare il fascismo e ogni forma di totalitarismo e di condannare l’uso di ogni forma di violenza”.

Il Centrodestra ha votato compatto contrario, per l’inutilità del provvedimento, essendo il periodo di riferimento concluso ben 80 anni fa e gli altri totalitarismi sono comunque crollati nel secolo scorso. Si badi bene che non si cita espressamente il Comunismo, che ha all’attivo almeno 90 milioni di morti nel mondo ed è ideologia “intrinsecamente perversa”, come la definì Papa Pio XI nell’Enciclica di condanna dello stesso, denominata Divini Redemptoris del 19 marzo 1937, perché «spoglia l’uomo della sua libertà […], toglie ogni dignità alla persona umana e ogni ritegno morale contro l’assalto degli stimoli ciechi», in cui si cela una «falsa» idea di redenzione.

In compenso, per poter tenere una conferenza o una manifestazione nel Comune scaligero, è necessario ottenere la patente di democraticità dalla maggioranza di sinistra. Con quali criteri? Non è dato a sapersi, perché è implicito che qualsiasi partito, gruppo, associazione esista perché la Costituzione glielo concede. Questo vale, fino a prova contraria, decisa dalla Magistratura, che ne decreti lo scioglimento, in base alla XII disposizione transitoria, che nemmeno i padri costituenti del 1946 ritennero necessario introdurre come definitiva. Non aveva senso, il duce era morto.

Ci pensa Alessia Rotta, più antifascista di Sandro Pertini, che con il Pd e le sigle della galassia sinistra e la benedizione del “chierichetto rosso” nonché sindaco Tommasi pongono una clausola anacronistica e ridicola, perchè nessuno, se non per motivi propagandistici, crede vi siano le condizioni per il ritorno del Fascismo in Italia. A meno che non si voglia utilizzare questa clausola per la censura delle destre, dal momento che in questo periodo, chiunque non la pensi come Schlein o Zan viene etichettato, immediatamente, come fascista. Questa dicotomia da don Camillo e Peppone, proposta nel 2024 col solo Peppone, farebbe sorridere anche il grande Giovannino Guareschi, che farebbe una vignetta o un articolo tagliente su Il Candido.

Di fronte alle sfide e ai drammi quotidiani, anziché dare risposte concrete ai tanti in difficoltà, questi parlano ancora di fascismo/antifascismo? Sic! E lo ha fatto anche il giornalista di Repubblica Paolo Berizzi, nella saletta della Feltrinelli di Verona, assieme a un imbrattatore di muri, per presentare il suo nuovo “best seller” sul ritorno dei fasci (??!!)

Si tratta di un’ autentica ossessione, spesso a fini di lucro, che i più hanno capito, ma che crea disaffezione verso la Politica, in cui non si riconoscono, perché non hanno vissuto quei tempi, e, soprattutto, sono stufi di sentirli usare come una clava contro chiunque sia identitario, tradizionalista, conservatore o non orientato verso il progressismo globalista e mondialista, il gender e il woke. Il 5 giugno alle 21.00 in una pubblica conferenza sulla piattaforma online Skype, il dott. Pietro Cappellari, che ha scritto un libro, fresco di stampa, per quelli di Passaggio al Bosco, dal titolo “L’INVENZIONE DELL’ANTIFASCISMO, la nascita di un instrumentum regni che genera odio e produce violenza”(per info:info.traditio@gmail.com) sarà particolarmente chiaro e farà capire, dati e fatti alla mano, che il nemico del bene comune non sta alla “destra del Padre”.

Implicito è anche il ripudio della violenza, cui andrebbe aggiunto quello della guerra, anche quando si tratta di inviare armi all’estero, perché il Codice di Procedura Penale, di origine fascista (ironia della sorte!) prevede tutte le normative, sia per prevenirla che per reprimerla.

Allargando gli orizzonti all’Europa, la musica, purtroppo, non cambia. Le sinistre devono distrarre l’opinione pubblica dal transumanesimo che stanno preparando e quindi si focalizzano su argomenti assolutamente di retroguardia e dall’interesse di pochi.

Il Consiglio dell’Unione Europea è l’organo in cui sono rappresentati i governi dei 27 paesi membri e detiene il potere legislativo insieme al parlamento. La dichiarazione era stata proposta dalla presidenza di turno belga in occasione della Giornata mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia: è un documento dal valore perlopiù simbolico e senza particolari effetti concreti, che ribadisce concetti già affermati in diversi trattati europei. Decidere di non aderire è insomma una presa di posizione politica, più che il tentativo di evitare imposizioni di qualche tipo. Non hanno firmato il documento: Italia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, 9 paesi su 27.

La segretaria del PD, Elly Schlein, ha criticato molto la decisione del governo, dicendo che «non è accettabile». Ivan Scalfarotto, di Italia Viva, responsabile Esteri del partito, ha sostenuto che questa decisione «mina la credibilità internazionale» del Paese – informa il Post – mentre è questa sinistra, dai metodi e dalla mentalità stalinisti che ci fa vergognare all’estero perché ci costringe a dover ribadire ogni giorno che “le foglie sono verdi d’estate”, come scrisse G.K. Chesterton.

Per leggere tutti i numerosi articoli, editoriali e interviste degli ultimi 4 anni, scrivete  Matteo Castagna sul motore di ricerca di  www.informazionecattolica.it 

Siamo costretti a scrivere quel che nessuno vuol dire

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di Gianfranco la Grassa 

Fonte: Gianfranco la Grassa

Siamo costretti a scrivere quel che nessuno vuol dire. Ci esimeremmo volentieri dal compito se nell’Informazione ci fosse almeno qualcuno capace di staccarsi dal coro per esprimere idee degne di merito. I media, chi più chi meno, sono  concordi nell’affermare che la guerra in corso ha un aggredito e un aggressore. Pure chi ha capito che così non si può andare avanti, che per Kiev è meglio trattare, che l’Occidente non può inviare armi sine die perché non conviene all’Europa, non lesina giudizi sprezzanti sul tiranno di Mosca e sulla sua invasione. Ma trattasi di menzogna bella e buona. Per otto anni gli ucraini hanno bombardato e discriminato le popolazioni russofone delle loro province orientali. Hanno colpito per primi e ora stanno subendo la reazione che deve essere sproporzionata per non prolungare le sofferenze di tutti e ben al di là di quel contesto ristretto. I mezzi d’informazione allora non c’erano, preferivano voltarsi dall’altra parte ma questo non significa che quegli avvenimenti non stessero accadendo. I giornalisti sono troppo abituati a fabbricare i fatti tanto da giungere a credere che se non sono loro a produrli questi non esistano. Dunque, da un lato abbiamo i filo americani che tifano per la guerra perché devono obbedire al padrone il quale garantisce la loro condizione e dall’altro i filo moralisti che s’illudono di trasformare la pace in un’arma.
Ma la pace non è nulla, non esiste se non come descrizione di illusi o retorici. Ciò che viene dopo qualsiasi conflitto acuto si chiama ordine. Questo può essere stabile o più labile, in ogni caso è sempre precario, non dura per sempre perché il conflitto è ineliminabile dalle nostre società e agisce come un flusso continuo anche e soprattutto sotto traccia. La pace perpetua è quello a cui gli uomini anelano perché sono posti di fronte al conflitto costante. Quest’ultimo è la realtà mentre la prima fa parte di un mondo immaginario ma agli esseri umani piace credere che il concreto sia solo una proiezione delle loro astrazioni.
L’inseguimento di questa pace universale può diventare un problema quando alimenta sentimenti di ignavia e di vagheggiamenti che rimbambiscono i popoli. Chi si serve di queste chimere generalmente strumentalizza la credulità altrui per bassi fini di consenso elettorale. I guerrafondai a rimorchio degli stranieri sono sicuramente una razza peggiore ma non sottovaluterei gli ipocriti dell’irenismo la cui volontà di obnubilare le menti non è da meno.
Pertanto è meglio essere chiari e precisi sul senso degli accadimenti. “Perché la guerra non è lo scatenamento di sentimenti disumani, un orrore ingiustificabile per esseri razionali come gli uomini. E’ invece il mezzo che alla fine diventa necessario per mettere di nuovo ordine (mai completo, ma accettabile) nell’organizzazione della formazione generale (mondiale). Quindi la guerra è una delle modalità della Politica.
Quando la guerra ha deciso il nuovo ordine mondiale, ha semplicemente definito la nuova gerarchia di potere tra i vari paesi, gerarchia che assicuri un periodo di “pace”, che non è altro che lo scatenamento di conflitti meno acuti e non condotti con mezzi di distruzione e di uccisione di molti esseri umani. Ma anche il conflitto detto “guerra” dovrà sempre esistere finché c’è vita. Una vera pace universale c’è solo con la morte generale di tutto ciò che esiste. Non c’è un solo organismo al mondo, fosse pure la piccola molecola, in cui non c’è conflitto finché c’è vita. Vogliamo infine capirlo? Questo non significa amare la guerra, che conduce certo a drammi e dolori di immane portata. Significa solo prendere atto e capire che il dramma e il dolore sono parte essenziale della vita in “questo mondo”. Chi crede nell’“altro”, rinvii a quello ogni speranza di pace e amore; e si rassegni a quanto avviene in questo mondo e vi prenda parte.

Contro l’artiglieria della repressione delle idee…

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Segnalazione di Federico Prati

di Lorenzo Merlo

Contro l’artiglieria della repressione delle idee, della censura, non abbiamo che cerbottane. Se fossimo un unico corpo, ci avrebbero già spazzati via. Essere sparpagliati è la nostra sopravvivenza. Con la pazienza e l’ascolto potremmo moltiplicare la nostra potenza. Noi sappiamo a cosa e come mirano. Loro non potranno eliminarci tutti.

“Se volete impegnarvi in battaglia, fingete di essere disordinati”
Sun Tzu (1).

Si sta ripetendo. Quelli della mia generazione avevano visto Martin Luther King e Nelson Mandela, ma la maggioranza non aveva incarnato che significava essere estromessi, essere considerati secondari, essere perseguitati, essere uccisi. La questione era etico-politico-ideologica, non empatico-sentimentale.
Ciò che sta accadendo ora, qui da noi in casa, ci spiega la differenza tra le due conoscenze e ci fa sentire nel corpo ciò che prima era un fatto intellettuale.
Naturalmente, per il momento, la censura che si sta verificando qui non è che una pallida ombra di quanto hanno dovuto subire i negri americani e sudafricani.

Ciò che sta accadendo qui ha qualcosa che assomiglia ad una vera lotta, forse più vera di quella sanguigna, in quanto più sottile e profonda. La capacità di attendere restando lucidi sarà forse una dote più importante di quella dei cannoni.

Le forze d’accerchiamento del regime sono avviluppanti. La quantità di armamenti d’ordine vario è dalla loro. Posseggono il reggimento più numeroso possibile, il popolo. Dispongono della sua inerzia, una qualità flaccida, difficile da spostare, eccellente nell’assorbire, elementare da farcire di pensieri e idee. Hanno le armi a ripetizione martellante migliori e in quantità soverchiante. Hanno alleanze con potentati più forti degli stati.
Dunque, oltre alle menti, anche le braccia, cioè la tv, la stampa, gli influenti, big tech.

La partita appare persa. Come dovevano sentirsi quei negri se non pieni di voglia di sottrarsi a tanta mortificazione? Come si sentono tutti gli uomini quando un bruto li mette all’angolo?

Ma la disperazione non è permessa. Avvicinerebbe la resa. È necessario resistere alla piega che ha preso il mondo. Una paziente attesa si impone affinché le risorse non vadano sprecate in vittimismo e TNT.

Il poco web che resta è una specie di vena d’oro, che si mostra soltanto a chi sa di aver concorso a trovarla, a darle forma. Tuttavia, è infiltrata di impurità. La mitragliatrice denigratoria spara inquinanti senza sosta su chi si pone domande e chiede risposte. E, siccome si può essere certi che chi dispone della forza la userà, le raffiche intorbidatrici non cesseranno di risuonare. Noi “i miserabili del web” (2) da ordinari individui, siamo divenuti di ordinaria eliminazione.

Possiamo essere certi, infatti, che gli apparati istituzional-privatizzati hanno investito e investiranno affinché manciate di gramigna vengano sparse tra e su noi, corpo ideale della nostra vena aurea. Un atto dovuto, affinché chiunque – per qualche dubbio sovvenuto o menzogna scoperta dell’ufficiale narrazione – sceso dal divano da dove si scorpacciava di Giannini, di Gruber, di Severgnigni, di Parenzo, di Mentana, di “vero giornalismo”, di “vera scienza”, di “vera democrazia”, non possa che restare disorientato.
Ma affinché anche quelli senza divano e senza tv si trovino di fronte al grande portale della realtà unica, sul cui timpano, a chiare lettere, leggeranno ancora il solo ritornello di quest’epoca malvagia: “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” (3) fino a dubitare di se stessi, fino ad accettare le pillole di bromurica libertà a punti. Un’altra loro arma di controllo di menti e di corpi.

Tutti abbiamo fatto l’esperienza che, operando sul piano razionale, si può anche arrivare ad ottenere un consenso da qualche fan della narrazione governativa della realtà, covidica, bellica o post-umanistica. Ma è un piano che non genera nelle persone una autentica capacità critica. Affinché ciò accada è necessaria una ricreazione personale, una motivazione profonda, un senso di sopruso subito, un interesse individuale. Se non scatta la scintilla, avremo ancora le medesime persone sotto incantesimo. Ci vuole un’emozione. Solo ponte su cui transitano i cambiamenti, le informazioni, le prese di coscienza. Pubblicitari, giornalisti, governativi e potentati lo sanno. Sanno come usare un’arma relazionale, come oltrepassare la barriera orwelliana così, apparentemente, insuperabile.
Solo con l’opportuna emozione ci si mette in moto. Diversamente, si capisce soltanto. L’intelletto non è il corpo. La comprensione cognitiva non è la ricreazione.
Tentare il proselitismo non serve. Esso si fonda sulla dimensione razionale, la più superficiale intelligenza tra quelle umane. E anche la più sopravvalutata e accreditata.

Senza ricreazione, l’amebica massa resta flaccida e senza mezzi per mutare se stessa. Mantiene le doti per fagocitare ogni corpo che le viene gettato addosso. È il suo cibo, della realtà divora tutto. Siano azioni incostituzionali, straccio dei diritti, imposizioni all’antrace, armi per ottenere la pace, eccetera.
Il menù che è in grado di digerire comporta un sussulto per ogni milite ignoto, per ogni Martin Luther King e Nelson Mandela, di qualunque colore essi siano esistiti. Comporta il Nobel sfregio della Pace a Barack Obama.

Non scomponiamoci dunque. La modalità dell’ascolto si impone, quella dell’affermazione è da tenere a bada. Sotto il ponte della sfibrante attesa passerà il momento utile per provocare emozione. Solo così quelli sul divano, tanto più alto da terra, quanto più fisso alla tv, troveranno il modo, da soli, di saltar giù, senza rischiare di rompersi l’osso della biografia. Perché è così che va quando ci si ricrea.

“Coloro che conoscono le condizioni del nemico sono certi di sottometterlo”
Sun Tzu (4).

Note
(1) Suz Tzu, Sun Pin, L’arte della guerra, Vicenza, Neri Pozza, 1999, p. 295.
(2) https://www.iltempo.it/esteri/2022/03/16/news/massimo-giannini-disinformazione-guerra-russia-ucraina-orrore-nascondere-miserabili-web-accuse-otto-e-mezzo-30859176/
https://www.la7.it/otto-e-mezzo/rivedila7/guerra-di-bombe-e-di-propaganda-otto-e-mezzo-puntata-del-1632022-16-03-2022-429219
(3) Orwell George, 1984, Milano, Mondadori, 1973, p. 39.
Sun Tzu, L’arte della guerra, Milano, Bur, 1997, p.

Due Italie e due mobilitazioni: per la libertà di lavorare e per la libertà di processare le idee

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2021/11/01/due-italie-e-due-mobilitazioni-per-la-liberta-di-lavorare-e-per-la-liberta-di-processare-le-idee/

I POTERI FORTI CONTINUANO IL LORO LAVORO DI PREPARAZIONE DELLA SOCIETÀ CHE VERRÀ, BASATA SU TRE CARDINI: LO SCIENTISMO, LA TECNOCRAZIA E IL GLOBALISMO

In Italia assistiamo a due mobilitazioni differenti: una contro il green pass e l’altra contro la bocciatura del ddl Zan. La prima, capitanata dai portuali di Trieste, rivendica il diritto al lavoro per tutti, senza obblighi di natura sanitaria, quali il vaccino o il tampone. La seconda, capitanata dalle associazioni LGBT, protesta contro il Senato, che ha respinto la votazione su una proposta di legge pansessualista, che mirava a sanzionare duramente i pubblici sostenitori del diritto naturale.

Mentre il popolo viene distratto da queste questioni, i poteri forti continuano il loro lavoro di preparazione della società che verrà, basata su tre cardini: lo scientismo, ovvero la divinizzazione della scienza come bene assoluto e supremo, al posto di Dio; la tecnocrazia, ovvero il primato delle macchine e della tecnologia sull’uomo, in nome del profitto; il globalismo, ovvero il “socialismo della povertà”, in nome di una transumana uguaglianza universale, governata dal primato dell’economia sulla politica, del materialismo sull’etica. “Il potere economico in mano a poche persone”, oggi i padroni delle multinazionali e i grandi speculatori dell’alta finanza internazionale, viene condannato già nell’Enciclica Quadragesimo Anno di S.S. Pio XI, promulgata il 15 maggio 1931, che appartiene alla dottrina sociale della Chiesa, perenne e immutabile.

Troviamo, allora, un nesso comune tra le due mobilitazioni degli italiani: la difesa di una libertà da parte di chi segue l’esempio di Stefano Puzzer e la difesa di una parvenza di libertà da parte degli LGBT e da coloro che sono stati ingannati dalla martellante propaganda arcobaleno. Forse, non è un caso che chi è favorevole al ddl Zan, tendenzialmente, sia anche strenuo sostenitore dell’obbligatorietà vaccinale e del green pass…

Chi ha la consapevolezza di lottare contro un lasciapassare sanitario che potrebbe divenire, già nel 2022, anche uno strumento di controllo fiscale, sostiene il diritto al lavoro, così come lo abbiamo sempre conosciuto e, come garantito dall’art. 1 della Costituzione. Principio sacrosanto di libertà, come diritto e come dovere.

La teologia morale cattolica sta dalla parte di queste persone. Il lavoro “è un diritto di giustizia sociale che ha come corrispettivo il dovere dello Stato di promuovere il bene comune e quindi di combattere la disoccupazione (non di indurla! n.d.r.) aprendo vie al lavoro”, non di chiuderle! (P. Pavan, Libertà di lavoro e diritto al lavoro, in “Atti della XX Settimana Sociale di Venezia”, Roma 1947) Si può obiettare che anche il diritto alla salute vada perseguito dallo Stato, in nome del bene comune. E’ assolutamente vero in via generale, ma vacilla nel caso di specie, perché i vaccini, che vengono proposti, attualmente, come unica forma di cura del Covid-19, non garantiscono l’immunizzazione delle persone, perché chi è vaccinato può prendere e trasmettere il virus, tanto quanto un non vaccinato.

I casi Israele e Regno Unito ne sono le prove provate. Perciò, paradossalmente rispetto a quanto sostiene il governo Draghi, l’obbligo del green pass per lavorare (di cui l’Italia è capofila e unico Paese europeo) appare misura eccessiva e sproporzionata, soprattutto perché chi fa il tampone ogni 48 ore dà più garanzie di essere negativo all’infezione rispetto a chi detiene il lasciapassare da vaccinato, che è un potenziale contagiato e trasmettitore del virus, ma non più controllato. Ne deduciamo che il bene comune che lo Stato deve garantire resta il lavoro, ponendo in essere tutte le politiche necessarie per implementarlo, così da consentire una vita normale al maggior numero di persone, nonché la libertà di coscienza in merito all’inoculazione del vaccino.

E’ bene sfatare un’altra sciocchezza, che è quella di sostenere che il vaccino sia gratis mentre il tampone sia a pagamento. Sono entrambi a pagamento, solo che il primo viene saldato, ab origine, con le nostre tasse ed il secondo viene, di fatto, pagato due volte dal lavoratore: con le tasse alla fonte e, poi, con l’esborso in farmacia. Quindi, nessuno grava economicamente sulle spalle di un altro. Anzi, chi si tampona ogni due giorni dà più sicurezze a se stesso e agli altri, nonché paga pure di tasca sua.

La parvenza di libertà è costituita dal ddl Zan, bocciato al Senato, più per le defezioni delle sinistre (Pd e Movimento 5 Stelle) che per una volontà espressa del centrodestra. Il diritto naturale è superiore ad ogni desiderio personale. La confusione tra diritto e desiderio ha portato ad una proposta di legge ideologica che dava piena facoltà ai gruppi LGBT di propagandare la teoria gender nelle scuole (art. 7 ddl Zan) e la totale discrezionalità ai magistrati nell’attribuire pene detentive pesanti nei confronti di coloro che “istigano alla discriminazione per motivi fondati sul sesso, genere, orientamento sessuale…”, estendendo così l’art. 604bis del codice di procedura penale. Vero che Zan prevedeva un “pericolo concreto” di istigazione alla discriminazione e alla violenza, ma chi l’avrebbe deciso e su che base o fatto non ancora compiuto si sarebbe dovuta esprimere oggettivamente la giustizia ordinaria? Ciò che viene fatto passare come una libertà ed una tutela, in realtà è un bavaglio nei confronti del comune buon senso, della nostra cultura, dei cattolici, dei politici che difendono il diritto naturale, di tutti coloro che dicono che i bambini hanno bisogno di mamma e papà.

Fosse passato il ddl Zan, avremmo potuto ancora scrivere, senza rischiare una denuncia, che, come recita il Catechismo di San Pio X, “la sodomia è peccato impuro contro-natura”, iscritto tra quelli che “gridano vendetta al cospetto di Dio”, dalla cui pratica peccaminosa occorre rifuggire, tramite l’astinenza? Oppure, sulla scia di altre opere e statue abbattute dai Black Lives Matter, si sarebbe dovuta sbianchettare la Bibbia, laddove dice: “La sodomia è un peccato abominevole (Gen. 13,13; Lev. 18,22; 20,13; Rom. 1, 26-27; 1 Cor. 6,9; 1 Tim. 1,10); “ripugna intrinsecamente alla natura e al fine primario dell’atto sessuale: è lussuria contro natura (v. Lussuria)” (cfr. Dizionario di Teologia Morale, Card. Roberti – Mons. Palazzini. Vol. II, Ed. Effedieffe, 2019, pag. 709, I edizione Editrice Studium, 1955)?

Ecco, chi crede che il ddl Zan avrebbe difeso dalle discriminazioni le persone con inclinazioni omosessuali, sappia che le leggi esistono già, così come le aggravanti dei “futili motivi”, che vanno a perseguire le violenze, ma non prevedono, grazie a Dio, di processare né i principi morali né coloro che li professano pubblicamente. I talebani del gender hanno sbagliato residenza…almeno per ora.

Elezioni: astensionismo e voto classista

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Ottima analisi di Luigi Tedeschi, che abbiamo fatto, identica nella sostanza, anche noi di “Christus Rex” (N.d.R.). I grassetti sono nostri.

di Luigi Tedeschi

Fonte: Italicum

Qual è il risultato sostanziale delle elezioni del 4/5 ottobre? La vittoria del centrosinistra, esaltata dalla retorica mediatica era scontata, a causa della prevedibile disfatta del M5S. In realtà, è il record delle astensioni il fatto più eclatante di questa tornata elettorale. L’astensionismo ha raggiunto la percentuale del 45,31 quota mai raggiunta nella storia repubblicana. Il record negativo è stato registrato a Milano e Torino, proprio nell’ex cuore pulsante dell’industria italiana, in cui la partecipazione politica di massa era più accentuata.

La democrazia italiana, già in stato comatoso, probabilmente morirà a causa del dissanguamento del corpo elettorale. Va estinguendosi cioè la partecipazione popolare alla politica, dato la divaricazione sempre più marcata creatasi sia nella società civile che nelle istituzioni politiche tra classi dirigenti elitarie e masse di cittadini emarginate ed escluse dai centri decisionali della politica.

La politica mediatica si pone l’irrisorio problema se questo risultato elettorale possa rafforzare o indebolire il governo Draghi. Ma per Draghi è del tutto indifferente l’esito di questa competizione elettorale, dato che il suo governo non si è insediato in virtù di una maggioranza emersa dal consenso popolare. E’ nella sostanza un governo tecnico (e governo del Presidente), camuffato politicamente dal sostegno di quasi tutto il parlamento, che impone l’attuazione delle direttive europee, a prescindere dagli orientamenti politici dei partiti.

Con il governo Draghi si è imposta una cabina di regia di stampo oligarchico e tecnocratico che di fatto ha esautorato il potere legislativo del parlamento. I partiti della compagine governativa rivestono una funzione notarile, quella cioè di legittimare politicamente decisioni ed indirizzi già concordati e, nella sostanza, imposti dagli organismi della UE (vedi riforme e condizionalità del NGEU). In questo contesto, le elezioni quindi di tramutano in acclamazioni, in un assenso formale simile a quello vigente dei regimi totalitari.

Gli stessi partiti di governo hanno accettato questo ruolo subalterno, con l’intento di deresponsabilizzarsi politicamente: non vogliono cioè assumersi la paternità di leggi e riforme impopolari. A tal fine hanno investito Draghi del potere decisionale, un uomo che vanta un grande prestigio nella UE e non necessita di consensi elettorali. Draghi è pertanto quotidianamente acclamato ed esaltato dalla politica ufficiale e dal circo mediatico, al punto di invocare una sua permanenza al governo illimitata, un premierato simile alla presidenza a vita conferita a Xi Jinping in Cina. Ma è certo che i partiti di governo pagheranno assai duramente questa svolta “draghista” in termini di consenso e credibilità.

La crisi della democrazia in Occidente è da imputare proprio alla formazione dei governi di unità nazionale scaturita da stati di emergenza, ma poi divenuta governance ordinaria e permanente. Con l’unità nazionale viene meno la dialettica democratica degli schieramenti contrapposti, del necessario confronto tra maggioranza e opposizione. La tradizionale contrapposizione tra destra e sinistra (ridotta ormai ad un talk show permanente), nell’unità nazionale si dissolve in un centrismo asettico conformista, privo di idee e contenuti politici, limitato alla gestione dell’esistente.

La politica si è convertita in antipolitica istituzionale. I poteri decisionali sono stati devoluti ad organismi sovranazionali: l’antipolitica ha soppiantato dal democrazia.

Quali le ragioni di questo astensionismo di massa? Esse sono molteplici. Ha certo influito l’emergenza pandemica, che ha prodotto uno stato di angoscia collettiva per la propria sopravvivenza. Si è quindi affermato un regime terapeutico, cui ha fatto riscontro una totale soggezione delle masse ai provvedimenti governativi emergenziali e alle autorità sanitarie. Si è generato un clima di accettazione acritica della politica dell’emergenza.

La pandemia ha inoltre determinato il fenomeno del riflusso nella sfera privata dell’esistenza e quindi un atteggiamento di indifferenza nei confronti di una politica divenuta estranea alle problematiche individuali.

Ma soprattutto ad incidere sulla diserzione dalle urne è stata la delusione derivante dal tradimento delle aspettative di cambiamento che il popolo italiano aveva riposto nel M5S, che, grazie al successo elettorale nelle elezioni politiche del 2018, era diventato partito di maggioranza relativa.

Il M5S, che formò con la Lega il governo gialloverde Conte 1, rappresentava il superamento della dicotomia destra / sinistra, adottò un atteggiamento critico verso la UE in difesa della sovranità nazionale, istituì il reddito di cittadinanza e approvò in tema previdenziale quota 100 (un parziale superamento della legge Fornero). Ma poi, sia il M5S che la Lega vennero meno alle promesse di cambiamento. Il M5S diede vita al governo giallorosso con il PD (aveva giurato “mai col PD”) e insieme alla Lega ha aderito al governo Draghi.

L’astensionismo di massa è quindi interpretabile come la manifestazione di netto dissenso verso la classe politica nella sua generalità, specie nei confronti di quei partiti che hanno tradito le istanze di cambiamento sistemico emerse dalla società civile. E’ stato ripetutamente affermato che il successo del PD sia frutto di una scelta dell’elettorato per i partiti tradizionali, in quanto “usato sicuro”, preferibile al velleitarismo confuso dei partiti populisti del cambiamento. Ma l’astensionismo dilagante dimostra invece che il PD, unitamente ai partiti ascari di Draghi, rappresentano invece un “usato da destinare allo smaltimento dei rifiuti urbani”. Infatti sia il centrodestra che il centrosinistra non sono riusciti a riconquistare le periferie.

L’astensione non è affatto un sintomo di qualunquismo e / o indifferenza, ma semmai della impotenza della politica a contrastare un modello neoliberista, la cui governance è appannaggio di una classe dominante finanziaria – tecnocratica, che ha determinato la destrutturazione delle istituzioni democratiche.

Non esiste oggi un partito anti – Draghi. Non esiste dunque una opposizione credibile e rappresentativa delle masse emarginate. Il popolo subisce gli effetti devastanti di un incombente processo di ristrutturazione del capitalismo, quale si rivela essere la quarta rivoluzione industriale. Si moltiplicano le crisi industriali, aumentano le diseguaglianze sociali e la disoccupazione. E non sarà certo Draghi ad affrontare questo dissesto sociale ed economico accentuatosi con la pandemia, dal momento che egli stesso ha dichiarato come non sia opportuno sostenere imprese non adeguate alla innovazione e alla competitività del mercato, vale a dire la piccola e media impresa.

Questa tornata elettorale ha evidenziato la stratificazione classista di questa società. Infatti, mentre la percentuale dei votanti è risultata elevata nelle aree residenziali delle classi più elevate, l’astensionismo è stato invece dilagante nelle periferie. Sono state le classi dominanti a determinare il successo del PD, quale  sostenitore talebano di Draghi, premier di un governo di esperti, liberali e convinti europeisti, soprattutto in avversione al populismo sovranista diffuso tra le classi popolari. Il PD è il partito della sinistra classista. Ma il suo classismo è capovolto, in favore delle elite. Le classi dominanti progressiste e liberiste, ostentano uno sdegnoso disprezzo, un quasi – razzismo nei confronti delle classi subalterne. Sostengono Draghi perché privo di una linea politica: sono infatti i meccanismi finanziari della UE e del libero mercato globale a determinare gli orientamenti della politica.

La borghesia che conta non ha partiti di riferimento, le sue scelte consistono nell’adeguamento dei propri interessi all’andamento della politica corrente. Non a caso, la Milano – bene, che per un ventennio circa aveva sostenuto Forza Italia, ha trasferito i suoi voti in massa in area PD. Tra l’altro, nelle stesse zone, anche Scelta Civica di Mario Monti aveva trionfato.

La nuova borghesia ha fatto propria l’ideologia neoliberista della global class, da cui tuttavia, presto o tardi sarà fagocitata e proletarizzata.

In realtà, nel sistema liberaldemocratico attuale, i voti non hanno soltanto una valenza numerica, ma hanno anche un peso politico differenziato. Tutti i voti rappresentativi di interessi consolidati nella società vengono ritenuti meritevoli di tutela politica e, oltre ad essere rappresentati nei parlamenti e nei governi, hanno il potere si influenzare l’indirizzo politico dei governi. Al contrario, i voti delle classi inferiori, non sono rappresentativi di interessi dotati di valenza politica. Anzi, il popolo necessita invece di tutele sociali e politiche occupazionali e assistenziali. Pertanto, alle esigenze delle classi popolari non è riservata una adeguata rappresentanza politica.

Gli stessi partiti, al di là delle percentuali di consenso popolare, hanno un peso specifico diverso. Solo quei partiti che rappresentano gli interessi delle classi dominanti nella società civile sono in grado di incidere nel governo del paese. Al contrario, qualsiasi partito populista, dinanzi ai rapporti di forza consolidati nella società civile, è totalmente disarmato, quand’anche esso disponga della maggioranza dei consensi elettorali.

Del resto, sono oggi i mercati a legittimare e orientare la linea politica dei governi abrogando, nei fatti, la democrazia e la sovranità popolare. Infatti, il commissario UE Oettinger, giudicando l’operato del governo gialloverde non compatibile con le direttive europee, ebbe ad affermare: “I mercati insegneranno agli italiani a votare in modo giusto”. La liberaldemocrazia è tornata alle proprie origini: nei fatti si sta tornando alla democrazia censitaria del secolo XIX°. Un sistema elitario cioè in cui il voto è divenuto un privilegio riservato alle classi abbienti e non un diritto politico universale ed indisponibile come nelle democrazie moderne.

Questa esplosione assenteista è l’espressione di una presa di coscienza generale delle masse della irrilevanza politica delle classi subalterne e quindi del voto popolare.         

Salvini faccia sintesi nel Sovranismo italiano!

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di Matteo Castagna (pubblicato su Informazione Cattolica di oggi)

I globalisti, ovvero le sinistre hanno brindato alla vittoria delle elezioni regionali. Eppure, se si vanno a vedere i numeri non sembrerebbe che per i partiti che si riconoscono nel “deep State” la situazione sia propriamente quella prospettata da Di Maio e Zingaretti. Il fronte sovranista, infatti, governa 14 Regioni su 20 e centinaia di comuni, confermandosi largamente maggioritario nel Paese.

Fa tenerezza vedere i grillini esaltarsi della vittoria del “sì” al referendum costituzionale quando il consenso è stato, per loro, impietoso, relegandoli ad avere, quasi sostanzialmente, una rappresentanza parlamentare che, però, risale alle elezioni del 2018.

Mario Mieli, sul Corriere della Sera, ha osservato che la destra in Italia è viva e vegeta nonché che dispone del partito di maggioranza relativa e di un leader che, piaccia o non piaccia, è l’artefice principale di questa fiducia da parte degli italiani. Non possiamo nascondere che vi siano dei problemi, che non vanno osservati ma affrontati. Un grande partito, con degli alleati, deve sapersi assumere l’onere e l’onore dell’esercizio del potere di decidere cosa va e cosa non va, nonché quali persone siano le migliori a dover interpretare il prossimo futuro, sapendo che si vince in squadra.

Un cambio di passo in senso pragmatico verso l’Europa è auspicabile, come auspicato da Giancarlo Giorgetti, laddove questo non significhi mandare a finire in quel che fu Fiuggi per Fini un sovranismo ancora in fase embrionale. Significa, semmai, due cose: andare a definire almeno nei suoi tratti fondamentali, questo benedetto sovranismo e renderlo credibile a governare il Paese, soprattutto attraverso una classe dirigente preparata, nel rispetto delle diverse anime e identità. A Salvini l’arduo compito di fare la sintesi, non certo di farsi da parte, come qualche sprovveduto o rosicone desidererebbe, facendo il gioco, più o meno consapevole, dei globalisti. Sarebbe auspicabile che si comprendesse che il fondamento su cui costruire trova solidità autentica e duratura solo attorno a principi fondamentali e addirittura, ancestrali, post-ideologici che in Occidente, ed in particolare in italia vedono nella cristianità la base di partenza. E’ proprio perché “non possiamo non dirci cristiani” che questa frase è stata fatta propria anche da autorevoli atei ed è la base da riconoscere anche e soprattutto da parte di chi non è cattolico, ma intellettualmente e culturalmente onesto. Le nostre radici classico-cristiane non sono contestabili. Basta guardarsi attorno per capire che sono, oggettivamente, la nostra primaria Identità. Partire da qui sarebbe importante per un processo fondativo da costruire tra uomini e donne che sono certamente peccatori, ma non per forza debbono essere impenitenti. Continua a leggere

CASSAZIONE: PROPAGANDA LEGITTIMA SE L’ALTRUI CREDO NON È VILIPESO

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di Angelo Salvi, avvocato in Roma

1. Con l’ordinanza n. 7893 del 17 aprile 2020 la prima sezione civile della Corte di Cassazione è tornata ad interessarsi di libertà religiosa, nella sua accezione negativa di libertà di coscienza, diritto di non avere alcun credo, di professare e propagandare l’ateismo e l’agnosticismo. La pronuncia ribadisce posizioni già note e fornisce alcune interessanti indicazioni in merito ai limiti cui soggiace il diritto di propaganda, espressamente riconosciuto dall’art. 19 della Costituzione.

La vicenda ha per oggetto il rifiuto del Comune di V. di autorizzare l’affissione di dieci manifesti recanti la parola, a caratteri cubitali, “Dio“, con la “D” a stampatello barrata da una crocetta e le successive lettere “io” in corsivo, e sotto la dicitura, a caratteri più piccoli, “10 milioni di italiani vivono bene senza D. E quando sono discriminati, c’è l’UAAR al loro fianco“. L’UAAR-Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti proponeva ricorso ai sensi degli artt. 43 e 44 del D. Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e dell’art. 28 del D.Lgs. 1 settembre 2011 n. 150, chiedendo al Tribunale di Roma l’accertamento del carattere discriminatorio del rifiuto del Comune di V. di affiggere i suddetti manifesti, con condanna dell’ente pubblico alla cessazione della condotta discriminatoria, risarcimento dei danni e pubblicazione della decisione su un quotidiano a spese dell’ente. Si costituiva nel giudizio il Comune di V., sviluppando la propria difesa sull’assunto per cui «il rifiuto non era affatto diretto a discriminare l’attività del sodalizio ricorrente, essendo stato, per contro, determinato da una valutazione negativa della rappresentazione grafica che, così come effettuata, era “tale da urtare la sensibilità del sentimento religioso in generale”».

La fase di merito si concludeva con una doppia conforme favorevole al Comune e, dunque, nel senso dell’insussistenza della lamenta discriminazione. In particolare, per la Corte d’Appello di Roma non sarebbe stata ravvisabile alcuna condotta discriminatoria, mancando in primo luogo una qualsiasi forma “positiva” di propaganda a favore dell’ateismo o dell’agnosticismo e difettando, in secondo luogo, un trattamento differenziato rispetto ad altre associazioni. Nel medesimo contesto locale e temporale, infatti, il Comune di V. non aveva rilasciato alcuna autorizzazione, né concesso ad alcun altro soggetto la possibilità di manifestare il proprio credo religioso. Continua a leggere

Il ministro Fontana: “L’odio delle élite non mi spaventa”

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Il ministro Fontana: "L’odio delle élite non mi spaventa"di Lorenzo Fontana, Ministro della Famiglia, 4/06/2018

Il responsabile della Famiglia scrive a Il Tempo: “Mi batto contro la furia dell’ideologia relativistica”

Egregio direttore,
ringrazio Lei, Il Tempo, la Sua redazione e tutti coloro che mi hanno espresso sostegno nei giorni in cui è in atto un forte tentativo di attacco non solo nei miei confronti, ma contro i valori in cui la maggioranza silenziosa e pacata del Paese si rispecchia. Quanto si è visto ricorda amaramente le previsioni di Gilbert Keith Chesterton: «Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate», una profezia che non sembra più così remota. Ed è quello che è successo. Abbiamo affermato cose che pensavamo fossero normali, quasi scontate: che un Paese per crescere ha bisogno di fare figli, che la mamma si chiama mamma (e non genitore 1), che il papà si chiama papà (e non genitore 2). Abbiamo detto che gli ultimi e gli unici che devono avere parola su educazione, crescita e cura dei bambini sono proprio mamma e papà, principio sacrosanto di libertà. La reazione – di certi ambienti che fanno del relativismo la loro bandiera – è stata violentissima. È partita un’accanita raffica di insulti, offese, anche personali, minacce (che saranno portate all’attenzione degli uffici competenti). I social hanno amplificato la portata di questa azione, da taluni condotta a tavolino. Viviamo in tempi strani. La furia di certa ideologia relativistica travalica i confini della realtà, arrivando anche a mettere in dubbio alcune lampanti evidenze, che trovano pieno riscontro nella nostra Costituzione. «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», recita l’articolo 29, che sarà il principio azione da ministro.

Detto questo: la rivolta delle élite non ci spaventa e non ci spaventa affrontare la dittatura del pensiero unico. Andiamo avanti, con grande motivazione, abbiamo tanti progetti da attuare. Lo facciamo con i tantissimi che – come Voi – ci hanno manifestato la loro solidarietà. Siete stati e siete numerosissimi e a tutti va un sentito ringraziamento. La storia ci conforta. «Vi chiameranno papisti, retrogradi, intransigenti, clericali: siatene fieri!», diceva San Pio X. E noi siamo fieri di non aver paura di dirci cristiani, di dirci madri, padri, di essere per la vita. Abbiamo le spalle abbastanza larghe per resistere agli attacchi gratuiti rispondendo con l’evidenza dei fatti, la forza delle idee e la concretezza delle azioni. Onore a un giornale libero che ha il coraggio di esprimere posizioni controcorrente. Mai come in questo momento battersi per la normalità è diventato un atto eroico. Continua a leggere