L’illusione che 300 tank cambino la guerra

Condividi su:

Segnalazione Arianna Editrice

di Fabio Mini

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Se il cancelliere Scholz credeva di poter continuare a traccheggiare sulla questione dell’invio di carri armati Leopard all’Ucraina, condizionandolo all’invio americano dei propri carri Abrams, si è sbagliato. Il presidente Biden ha raccolto l’implicita sfida non solo promettendo altri miliardi di dollari, ma autorizzando l’invio di 20-50 carri Abrams e chiedendo agli alleati europei di fare la loro parte. L’apparente convinzione generale negli Usa e nella Nato è che una massa consistente di almeno 300 carri occidentali, come richiesto da Kiev, consentirebbe di riconquistare i territori occupati e annessi dalla Russia. La valutazione non è sbagliata, ma la realizzazione dipende molto da quanti mezzi verranno effettivamente consegnati, dai tempi di consegna, dalla capacità di usarli non solo come mezzi singoli ma come elementi di forze corazzate e meccanizzate tra loro cooperanti, dalle condizioni del terreno, dalla copertura aerea, dalla disponibilità di artiglierie di sostegno, dal rifornimento di carburanti e munizioni e, non ultimo, dalla disponibilità di fanterie in grado di mantenere le posizioni riconquistate.
Finora si hanno notizie della cessione di 12 carri inglesi, 17 americani, un centinaio di carri Leopard tedeschi da parte della Polonia e qualche carro Stridsvagn-122 (versione del Leopard) dalla Svezia.

L’inverno, la primavera e l’offensiva.
I tempi di consegna variano da uno a sei mesi e oltre. Kiev chiede le forniture con insistenza crescente nella previsione che la Russia sia in procinto di attaccare in forze. La stagione invernale non favorisce le manovre militari, ma ne consente la preparazione. La stagione primaverile è storicamente la meno adatta per i movimenti corazzati in Ucraina e Russia, ma proprio per questo un attacco potrebbe sfruttare la sorpresa. L’Ucraina non è in grado di assicurare la superiorità aerea e soltanto in parte la difesa contraerea e contro missili.
La logistica dei rifornimenti e del personale è l’aspetto più sensibile. I consumi di munizioni e carburanti di una armata corazzata sono altissimi. Inoltre, un esercito proiettato in avanti e a oriente del Dniepr allunga il braccio dei rifornimenti e rende vulnerabili i centri logistici sia avanzati che arretrati. Meno importante è il problema delle parti di ricambio visto che in questa guerra gli ucraini non si sono preoccupati di riparare i mezzi danneggiati o inefficienti.

I mezzi “usa e getta”: niente riparazioni.
Di fatto, i carri armati ucraini, come altri equipaggiamenti forniti dall’Occidente, sembrano essere articoli “monouso”: usa e getta. Anche gli uomini, di entrambe le parti, sembrano avere lo stesso destino. E le riserve sono scarse. Per quanto riguarda l’impiego dei mezzi, gli ucraini hanno già previsto di mandare uomini ad addestrarsi sui carri Challenger inglesi, sugli Abrams americani e sui Leopard tedeschi. Se anche l’Italia manderà i carri Ariete e la Francia, dopo gli AMX10 leggeri, manderà i Leclerc, l’Ucraina disporrà di sei linee di carri diversi che si aggiungono a quelle dei mezzi ex sovietici: un incubo per qualsiasi nazione che pensi seriamente alla logistica, ma evidentemente non per l’Ucraina che in dieci mesi di guerra ha visto affluire armamenti e veicoli di 160 tipi diversi, ha consumato tutto il proprio arsenale e sta esaurendo anche i mezzi graziosamente ma non gratuitamente forniti dai committenti della guerra.

Il panzer non è un trattore.
L’addestramento di singoli equipaggi ai nuovi carri è una cosa da fare, ma non la più importante. Far funzionare un carro è abbastanza semplice, ma non è un trattore agricolo. Per farlo muovere a 70 chilometri all’ora e farlo sparare in movimento ha bisogno di un equipaggio ben addestrato anche su carri dotati di sistemi avanzati di tiro che in teoria sparano da soli. In teoria. Passando dal funzionamento del carro singolo a quello di un reparto, la semplicità si perde ed entra in gioco l’aritmetica della guerra. Condurre un semplice attacco di plotone (tre carri) è già più complesso e condurre un attacco di battaglione (31 carri) richiede elevate capacità di comando e logistiche. Con 300 carri armati, l’Ucraina potrebbe armare dieci battaglioni in grado di attaccare su non più di tre direttrici nel solo Donbass. Contro un nemico in difesa dotato di armi controcarro e carri sostenuti da artiglierie e aerei, come il fronte russo che l’Ucraina presume di sfondare, si perderebbero almeno due terzi della forza.

In uno scontro frontale perdite del 50 per cento.
In un combattimento d’incontro tra forze corazzate paritetiche (come un’eventuale controffensiva ucraina in Donbass) il tasso di perdite per entrambi è di oltre il 50%. Nel caso di eventuale manovra difensiva nei riguardi di un attacco russo, la massa dei carri ucraini dovrebbe bloccare l’avanzata avversaria perdendo gran parte della sua capacità dinamica e dovrebbe ricorrere a contrattacchi locali sui fianchi del nemico. La manovra potrebbe aver successo nel senso di non cedere altro terreno all’avversario, ma di certo non per recuperare quello già perduto. Passando dall’aritmetica elementare alle teorie dei giochi e della complessità applicate alla guerra, l’incremento di masse corazzate nel conflitto, se da un lato consente di continuare a “giocare” dall’altro porta all’innalzamento del livello di scontro e all’allargamento del conflitto. In ogni caso, considerare la battaglia convenzionale corazzata come risolutiva della guerra fino al punto da permettere la vittoria ucraina sulla Russia è un macroscopico errore di valutazione. Troppo grossolano per essere attribuito a un qualsiasi Stato Maggiore, ma non del tutto peregrino in termini politici.
L’urgenza manifestata da Kiev, oltre alla preoccupazione per la minaccia russa, rivela una situazione di crisi interna confermata dalle prime purghe e una crescente diffidenza nel sostegno occidentale. Il capo della Cia, William Burns, ha già ventilato a Kiev la possibile flessione degli aiuti americani a partire dal prossimo agosto e forse ha rivolto qualche sollecitazione in materia di lotta alla corruzione. Sono all’orizzonte le elezioni americane e senza risultati concreti dell’Ucraina sul fronte militare e della correttezza di governo, la leadership democratica potrebbe essere in difficoltà. Perciò, la cessione di carri armati all’Ucraina non sembra finalizzata alla distruzione reciproca dell’esercito ucraino e delle forze russe in Donbass, anche se proprio questo sarà l’effetto visibile e scontato.

Il conflitto per procura: i veri obiettivi.
Per gli Stati Uniti è il mezzo per mettere alla prova la capacità ucraina di riguadagnare terreno e sedersi da vincitori a un eventuale tavolo negoziale. È il mezzo per indurre i Paesi europei e Nato a sottostare alle direttive Usa e trascinarli in guerra. È la prova che nella guerra per procura dichiarata dagli Stati Uniti e la Nato contro la Russia il vero proxy non è l’Ucraina, ma l’intera Europa. È la prova che l’Amministrazione democratica si vuole presentare alle elezioni del 2024 non soltanto con il vanto (tutto da verificare) di aver difeso l’Ucraina e “depotenziato” la Russia, ma con il merito di aver definitivamente assoggettato l’Europa ai voleri e interessi americani anche in vista del confronto strategico con la Cina.
Per la Nato e l’Europa è il mezzo per rafforzare il nucleo bellicista e isolare gli Stati più restii a sostenere la guerra. Per la Gran Bretagna è il mezzo per frantumare la coesione europea ed esercitare la leadership in tutto il Nord a partire dalla Polonia fino al Baltico, alla Scandinavia e all’Artico. Per Francia e Germania è la rinuncia a un qualsiasi ruolo di leadership europea e per l’Italia è la conferma della vocazione alla resa. Incondizionata.

E se la critica alla post-modernità mettesse allo stesso tavolo progressisti e conservatori?

Condividi su:

L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/10/24/e-se-la-critica-alla-post-modernita-mettesse-allo-stesso-tavolo-progressisti-e-conservatori/

PROVIAMO AD ACCANTONARE PROGRESSISMO E CONSERVATORISMO, LIMITANDOCI AD UN SENSATO, RAGIONEVOLE ANTI-POSTMODERNISMO: POTREBBE ESSERE UTILE?

Una cascata d’odio preventivo si è scaricata su Giorgia Meloni e sul nuovo governo di centrodestra. Non ho ricordi di assistere ad una tale violenza verbale, soprattutto da parte delle femministe e delle sinistre globaliste, che si ammantano di una supposta superiorità intellettuale e morale, degli ideologi dell’uguaglianza, della fratellanza, della libertà assoluta e della tolleranza universale. E’ davvero meschino l’attacco personale e familiare, per ottenere vantaggi in termini di visibilità o followers. Un gran boomerang questo travaso di bile arcobalen(g)o, se si esce dai salotti e dalle redazioni dei quotidiani, ove, invece, giornalisti d’esperienza, come ad esempio Gad Lerner, non sono caduti in questi metodi grossolani, da pescivendoli/e frustrati.

Le sinistre sono terrorizzate davvero del ritorno del Fascismo nel centenario della Marcia su Roma che si celebrerà la prossima settimana (28 ottobre 1922 – 28 ottobre 2022)? No. E’ tutta una messa in scena per aggiungere all’odio la paura di una destra autoritaria. Fa parte del loro metodo comunicativo di sempre. Lo stesso che ha fatto passare per decenni la Resistenza partigiana per la componente maggioritaria che ha liberato il Paese dai nazisti, mentre fu solo un modesto supporto alle truppe regolari Alleate. E meno male che la sua componente maggioritaria, ovvero quella social-comunista non è riuscita a prevalere, altrimenti a Palazzo Chigi sarebbe stata issata la bandiera di Stalin fino al crollo del muro di Berlino…

Anche a sinistra ci sono persone intelligenti, che non si fanno annoverare tra questi personaggi lugubri e invasati, che non temono alcun fascismo e lo dicono espressamente. Penso a Massimo Cacciari, ma anche al direttore de Il Fatto. quotidiano, Antonio Padellaro. Non esiste alcuna possibilità di rinascita, per prima cosa perché manca un duce, col carisma e la capacità di aggregare tutto ciò che non sia Sovversione sinistra.

In secondo luogo perché la crisi economica non è simile a quella del primo dopoguerra e le contingenze internazionali soffocherebbero sul nascere ogni minimo tentativo in tal senso. Lo spauracchio del fascismo si risolverà, invece, con un momento di pubblico dibattito storico-politico fuori dal coro del Pensiero unico, qualche Messa di suffragio e con tante iniziative conviviali tra qualche cimelio. Nulla da temere, per chi ha ancora buon senso.

Il mainstream istituzionale chiede, ancora, al premier Meloni di sconfessare il Ventennio, con una bolsa retorica anacronistica e con cerimonie che interessano solo a quattro gatti e a Paolo Berizzi. Giorgia Meloni, per evitare di essere bloccata per settimana dalle polemiche per questi inutili riti, li compirà, così da poter dare risposte concrete alle priorità dei nostri connazionali.

Ci sono quattro cose da fare subito, accantonando i bottiglioni di lambrusco con l’etichetta del Duce: 1) aiuti a famiglie e imprese per le bollette; 2) ripartire con le trivellazioni in mare; 3) cancellare il reddito di cittadinanza come è concepito adesso; 4) abrogazione degli assurdi e dannosi obblighi vaccinali per medici e infermieri, al fine di farli tornare subito in corsia. Credo che per capire quale sia l’imprinting generale dell’azione governativa, sarebbe indispensabile leggere e studiare, prima Tolkien e poi Alain De Benoist.

Entrambi gli autori, il primo soprattutto sul piano spirituale, fortemente cristiano, il secondo su quello più specificatamente ideale e politico, insegnano come si possa essere aperti al progresso senza essere egualitari, conservatori senza soccombere a un economismo volgare e un tradizionalista senza essere ottuso. Così si esprimerebbe il giornalista e intellettuale americano Keith Preston, che non è annoverabile tra le persone in linea con noi.

L’attacco diretto è al concetto di democrazia moderna, che fa riferimento a “Democrazia: il Dio che ha fallito” (2007) di Hans Hermann Hoppe. De Benoist e Carl Schmitt vedono nel liberalismo il principale problema, superando anche le giuste critiche da monarchico cattolico e conservatore come Hoppe. L’apertura che Alain De Benoist fa alle nozioni di “democrazia partecipativa” o “democrazia diretta”, avanzate da alcuni filoni di sinistra, potrebbero alimentare il dibattito in un’ ottica multipolare del mondo.

Pertanto, ha perfettamente ragione De Benoist, quando scrive che “la tendenza attuale…consiste nel convertire ogni sorta di richieste, desideri o interessi in ‘diritti’. Gli individui, nel caso estremo, avrebbero il “diritto” di vedere soddisfatta qualsiasi domanda, per il solo fatto di poterla formulare. Oggi, rivendicare diritti è solo un modo per cercare di massimizzare i propri interessi“. Si potrebbe partire da questi due assunti per cercare una sintesi e non demonizzare l’avversario come prassi ideologico-culturale. Per dirla con Gilbert K. Chesterton (1874-1936), proviamo ad accantonare progressismo e conservatorismo, limitandoci ad un sensato, ragionevole anti-postmodernismo. Potrebbe essere utile a tutti.

Matteo Salvini e la Russia, Marco Travaglio smonta il finto scoop

Condividi su:

Russiagate, arriva l’avvocato difensore che non t’aspetti. Sul caso del dossier russo e dei presunti rapporti tra Lega e Cremlino, scende in campo perfino il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che prende di petto il giornalista della Stampa Jacopo Iacoboni. Travaglio lo scrive nero su bianco nell’editoriale pubblicato sul suo giornale venerdì 29 luglio. E rivela che, in un primo momento, anche il Fatto stava per cadere nella trappola ma poi ha aperto gli occhi e si è tenuto alla larga dal quello che poi si sarebbe rivelato un finto scoop.

Nel suo editoriale, Travaglio definisce il caso come una vera e propria “trappola della Stampa”. E ancora: “Ci ha aperto gli occhi una prova più rocciosa della smentita di Gabrielli: la firma di Jacopo Iacoboni” che “vede Putin dappertutto”. Il direttore del Fatto Quotidiano affonda il colpo e scarica interamente su Draghi la responsabile della recente caduta del governo. “Se la caduta di Draghi l’avesse voluta Putin – scrive Travaglio – il suo primo complice sarebbe Draghi che vi si è impegnato più di lui: per fare un dispetto a Putin gli sarebbe bastato non insultare la Lega e i 5Stelle mentre chiedeva loro la fiducia. Invece si è sfiduciato da solo, putiniano che non è altro”.

Fonte: https://www.iltempo.it/politica/2022/07/29/news/marco-travaglio-difende-matteo-salvini-dossier-russia-finto-scoop-stampa-32578931/

Travaglio fulminato da Gratteri. Così il procuratore boccia il Gino Strada del suo Conte

Condividi su:

 

È restato di ghiaccio, impietrito perché non se lo aspettava il povero Marco Travaglio ascoltando a Otto e Mezzo il procuratore Nicola Gratteri disintegrare la candidatura di Gino Strada a commissario della sanità in Calabria. Il direttore del Fatto quotidiano aveva appena finito di incensare l’ideona del premier Giuseppe Conte a lui così caro e sentire dire proprio da un magistrato da lui così incensato come Gratteri che “Strada non serve, ci vuole un manager“, lo ha fatto quasi svenire in diretta di fronte a Lilli Gruber.

Il procuratore ha spiegato di essere stato in Africa e avere visto con i suoi occhi il lavoro meritorio fatto da Emergency, ma la Calabria non è l’Africa. E proprio le prime parole dette da Strada, annunciando 4 o 5 ospedali da campo da portare in Calabria, sono secondo Gratteri una sciocchezza perché “ci sono semmai 18 ospedali chiusi che possono essere riaperti e molto più utili. Basta sanificarli e in pochi giorni tornano operativi”. Travaglio che aveva perso la favella ha provato a difendere gli ospedali da campo “li hanno fatti anche al Nord”, ma Gratteri lo ha definitivamente zittito: “lì non avevano altri ospedali da riaprire”.

Fonte: https://www.iltempo.it/politica/2020/11/17/news/calabria-nicola-gratteri-marco-travaglio-gino-strada-sanita-commissario-otto-e-mezzo-fatto-quotidiano-giuseppe-conte-25266213/

Milano, Salvini invoca i patroni d’Europa e bacia il rosario: “L’immacolato cuore di Maria ci porterà alla vittoria”

Condividi su:

“Ci affidiamo alle donne e agli uomini di buona volontà. Ci affidiamo ai sei patroni di questa Europa: a San Benedetto da Norcia, a Santa Brigida di Svezia, a Santa Caterina da Siena, ai Santi Cirillo e Metodio, a Santa Teresa Benedetta della Croce. Ci affidiamo a loro. E affidiamo a loro il destino, il futuro, la pace e la prosperità dei nostri popoli”. Così il leader della Lega, Matteo Salvini, conclude il suo comizio in piazza Duomo a Milano dal palco di “Prima l’Italia, il buonsenso in Europa”.
Poi brandisce un rosario e aggiunge: “Io personalmente affido l’Italia, la mia e la vostra vita al cuore immacolato di Maria che son sicuro ci porterà alla vittoria, perché questa Italia, questa piazza, questa Europa sono simbolo di mamme, papà, uomini e donne che col sorriso, con coraggio, con determinazione vogliono la convivenza pacifica, danno rispetto ma chiedono rispetto”.
Il leghista conclude: “Prima ci hanno ignorato, poi ci hanno deriso, poi ci hanno combattuto e il 26 maggio vinciamo noi“.
Al termine del suo intervento, Salvini saluta tutti, esibisce ancora il suo rosario e lo bacia davanti al pubblico, per poi abbracciare calorosamente Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, con cui si fa un selfie sul palco.

VIDEO

fonte – https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/18/milano-salvini-invoca-i-patroni-deuropa-e-bacia-il-rosario-limmacolato-cuore-di-maria-ci-portera-alla-vittoria/5190047/

‘Ndrangheta stragista e l’occupazione Regioni del nord

Condividi su:

‘Ndrangheta stragista, l’ex gran maestro: “Attraverso la massoneria i clan hanno occupato le regioni del Nord”L’ex gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo, ha svelato i legami tra le logge e le cosche calabresi al processo in corso a Reggio Calabria: “Le stragi? L’idea che mi ero fatto è che c’era qualcuno che tirava le fila all’interno di contesti diversi”

“Attraverso la massoneria, la ‘ndrangheta ha occupato le regioni del nord”. L’ex gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo, ha svelato i legami tra le logge e le cosche calabresi. Lo aveva già fatto nel corso di un interrogatorio sostenuto davanti al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo al quale aveva spiegato il perché, dopo gli incontri con il procuratore di Palmi, Agostino Cordova, che negli anni novanta stava indagando sulla massoneria, ha deciso di dimettersi dal Goi: “Non riuscivo a credere che quella massoneria che io avevo immaginato e su cui avevo scritto un libro, nella realtà e nella società degli uomini potesse essere qualcosa di completamente diverso”.

Sconcerto che Di Bernardo ha rivissuto nell’aula del tribunale di Reggio Calabria dove è stato sentito come testimone nel processo ’Ndrangheta stragista che vede alla sbarra i boss Giuseppe Graviano e Rocco Filippone accusati dell’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Nella sua deposizione, Di Bernardo spiega il suo ingresso nella massoneria, come è arrivato a ricoprire la carica di vertice e il perché, nell’aprile 1993 si è dimesso da gran maestro: “Cordova riuscì a fornirmi alcuni elementi e alcuni documenti da cui emergeva un aspetto del Grande Oriente d’Italia che io non avrei mai immaginato potesse esistere”.

Continua a leggere

Ponte Morandi, da ‘assoluta stabilità’ a ‘intenso degrado’

Condividi su:

Ponte Morandi, da ‘assoluta stabilità’ a ‘intenso degrado’: così Autostrade cambiò in soli 2 anni il giudizio nei report ufficialiREPORT

…Così Autostrade cambiò in soli 2 anni il giudizio nei report ufficiali

Nel 2009 Autostrade per l’Italia “ha più volte fornito garanzie” circa la “presunta vetustà” della struttura, che “abbisogna soltanto, come tutte le opere di un certo rilievo, di una costante manutenzione ordinaria”. Nel 2011 la l’opera è descritta, invece, come “sottoposta a ingenti sollecitazioni” e per questo “da anni oggetto di una manutenzione continua”. L’evoluzione in due successivi report dell’azienda che ha in concessione il viadotto

di Marco Pasciuti

Un’infrastruttura caratterizzata nel 2009 da “assoluta sicurezzae stabilità“, su cui l’azienda “ha più volte fornito garanzie”. Che solo due anni più tardi, nel 2011, è descritta come afflitta da “intenso degrado” ed è quindi “da anni oggetto di una manutenzione continua“. E’ il modo in cui in soli 24 mesi è evoluto il giudizio di Autostrade per l’Italia sul ponte Morandi, crollato ieri a Genova causando la morte di almeno 37 persone

Il tema è quello della costruzione della Gronda di Ponente, nuovo tratto autostradale in grado di garantire il raddoppio dell’esistente A10 nel tratto di attraversamento del comune di Genova, dalla Val Polcevera fino all’abitato di Vesima. Una bretella che fa parte del progetto di potenziamento della viabilità del capoluogo, destinato nei progetti di Apsi – che ha in concessione l’autostrada A10, ne cura la manutenzione e fin dalle ore successive alla tragedia è finita sotto accusa – di “migliorare le condizioni di circolazione sulla rete esistente”, “sostenere la crescita economica”, “migliorare la sicurezza stradale” e “offrire un’alternativa all’unico asse autostradale ligure”. Un tema che scatena un aspro confronto politico, confluito nove anni fa in un progetto di democrazia partecipativa: il dibattito pubblico tenutosi nel capoluogo a tra il 1° febbraio e il 30 aprile 2009. Continua a leggere

Governo, Carlo Cottarelli piace ai mercati. Spread in calo a quota 190, bene l’euro, che poi oscillano

Condividi su:

Risultati immagini per Carlo Cottarelli

Il dato oggettivo è che in Italia, se non si è graditi alla Merkel, alla Ue e al FMI non si può governare. Anche se si hanno una maggioranza parlamentare, un programma condiviso, un premier incaricato, la squadra dei ministri. Il fatto, che è emerso ieri nella sua totale drammaticità, che non deve stupire ma indignare è che chi vorrebbe cambiare la situazione politica viene fermato dai poteri forti. (n.d.r.)

Saltato il governo Lega-M5s, l’Italia resta osservata speciale. Il differenziale tra Btp decennali e Bund tedeschi, per quanto calmierato dal quantitative easing della Bce, è subito tornato ad allargarsi oltre i 200 punti base dopo aver aperto a quota 190,3 punti contro i 204 della chiusura di venerdì. Pesa il durissimo conflitto istituzionale, con i contraenti che evocano l’impeachment per il capo dello Stato che ha convocato al Colle Carlo Cottarelli con l’intenzione di affidargli l’incarico di formare un esecutivo tecnico. Il rendimento del titolo decennale italiano, che era sceso al 2,34%, è tornato al 2,43%. Continua a leggere

Luigi Pirandello fascista convinto. Ritrovata un’intervista del 1927: “Mussolini non trova paragoni nella storia”

Condividi su:

Risultati immagini per luigi pirandello nobelRitireranno il nobel a Pirandello in nome dell’antifascismo e della libertà di espressione? N.d.r.

di Davide Turrini su Il Fatto Quotidiano, 19 settembre 2017

Sul quotidiano La Sicilia il professore Piero Mieli rintraccia e pubblica uno scritto autografo e un’intervista del drammaturgo siciliano concessi al quotidiano L’Impero. “Mussolini non trova paragoni nella storia”. E ancora: “Se si vuol fare qualche cosa, bisogna incominciare ad epurare ed è un mezzo, questo, di cui si sente la necessità in tutti i campi dell’attività umana”.

Mussolini non trova paragoni nella storia, mai esistito un condottiero che abbia saputo dare al suo popolo una così viva impronta della sua personalità”. Parola di Luigi Pirandello. Uno, sempre uno, mica centomila. L’adesione convinta al fascismo del celebre drammaturgo siciliano arriva direttamente dalla prima pagina del quotidiano del ventennio L’Impero. A pubblicare il contenuto di una lunga intervista all’autore del Fu Mattia Pascal è stato il professore Piero Mieli sulle pagine dell’edizione cartacea de La Sicilia. L’intervento prestigioso di Pirandello venne pubblicato su L’Impero il 12 marzo 1927 con tanto di foglio autografo dell’autore teatrale stampato nel bel mezzo della prima pagina.

Quanti sono morti che si credono ancora vivi! E quanti vivi sono oggi sopraffatti dal pensiero dei morti! Come volentieri, amici miei, mi metterei a fare il becchino per sbarazzare l’Italia da tutti i cadaveri che l’appestano! L’Impero giornale di giovani vivi, mi dovrebbe dare una mano”, scrive Pirandello con la sua elegante calligrafia firmandosi in calce. “Un fanatico militante che non esita a tirar fuori l’innata grinta squadrista contro le morte ideologie democratiche e liberali fino a desiderare di farsi addirittura becchino dei tanti normalizzatori che infestano la nazione”, commenta il professore Mieli su La Sicilia. Continua a leggere

1 2