La fabbrica del consenso economico
di Thomas Fazi
Fonte: Thomas Fazi
Per capire come la teoria economica mainstream, costruita e riprodotta nei circoli intellettuali e accademici, viene veicolata, mediaticamente, nella cultura di massa, dobbiamo prima fare una breve premessa su come funziona la propaganda nei moderni regimi occidentali cosiddetti liberal-democratici (cioè nei regimi in cui, per intenderci, vigono elezioni a suffragio universale, libertà di associazione e libertà di stampa).
In questi paesi la propaganda assume forme ben diverse da quelle che solitamente assume nei regimi non democratici – cioè in cui non vigono le condizioni di cui sopra –, dove tendenzialmente esiste un controllo top-down diretto e pressoché assoluto del flusso di informazioni che arriva ai cittadini, tanto tramite i media ufficiali (che perlopiù sono direttamente sotto il controllo del governo) quanto, oggi sempre di più, tramite i social network e persino i sistemi di chat. Pensiamo per esempio alla Cina.
Ora, un tale livello di controllo – ma soprattutto un controllo così esplicito dell’informazione – sarebbe ovviamente considerato inaccettabile nei paesi occidentali (almeno per ora). Dunque in Occidente, in particolare in seguito all’ascesa della comunicazione di massa nel secondo dopoguerra – e quindi al progressivo proliferare delle fonti di informazione “indipendenti” (cioè non soggette a controllo governativo, diversamente dalla televisione pubblica, per esempio), che oggi con internet tendono praticamente all’infinito –, le élite politico-economiche occidentali sono dovute ricorrere a strategie alternative per assicurarsi un controllo sulla narrazione pubblica (controllo che – attenzione – è ancora più fondamentale nei regimi democratici, proprio perché in essi esiste effettivamente il rischio che possa essere eletto un governo ostile agli interessi delle élite).
Ora, ovviamente il modo più semplice per fare ciò è assicurarsi la proprietà, da parte dei principali gruppi di potere economici, dei principali mezzi di informazione – formalmente “liberi” e “indipendenti”. L’Italia da questo punto di vista è una caso da manuale. Non c’è solo l’esempio di Berlusconi-Mediaset, che conosciamo tutti. Se guardiamo alla carta stampata, vediamo che tutti i principali giornali sono essenzialmente controllati da un manipolo di potentati economici:
– (1) la famiglia Agnelli, che tramite una holding finanziaria olandese (Exor) possiede la Repubblica, L’Espresso, HuffPost, La Stampa, Il Secolo XIX, Limes, MicroMega ecc.;
– (2) il Gruppo Rizzoli (controllato per la maggior parte da Urbano Cairo), che possiede il Corriere della Sera);
– (3) i Caltagirone, la famiglia di costruttori romani, che possiedono Il Messaggero, Il Mattino, Leggo e il Gazzettino;
– e (4) Confindustria, che possiede il Sole 24 Ore.
In breve, un mezza dozzina di famiglie – una parte importante di quella che potremmo a tutti gli effetti definire l’oligarchia italiana – controlla quasi tutta l’informazione “ufficiale” – e, lo ribadiamo, formalmente “libera” e “indipendente” – del nostro paese. Ora, che la proprietà di questi organi di informazione non abbia una finalità prettamente economica (anzi, sappiamo che l’informazione cartacea rende sempre meno), ma piuttosto una finalità politica mi pare lapalissiano. Continua a leggere