Gas, i piani di Putin sono nella sua tesi universitaria

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di Luigi Bisignani

Con la brutta stagione alle porte, siamo davvero alla canna del gas. Non è necessario essere dei novelli Barbero per capire che, fin dal principio, la strategia di Putin era impantanare l’Europa in una campagna d’inverno. Diversamente, a Mario Draghi, ai soloni che guidano l’Europa – litigando tra loro – e ai servizi di sicurezza di mezzo mondo, sarebbe bastato conoscere gli scritti di Vladimir Putin per sapere come sarebbe andata a finire.

Bisogna infatti tornare al 1996, quando, all’Università Mineraria di San Pietroburgo, un Putin in rampa di lancio discuteva la tesi del corso triennale per il suo PhD, completato in un solo anno e intitolata “Mineral raw materials in the strategy for development of Russian economy”. In tale dissertazione, che in seguito sollevò anche dubbi di autenticità, auspicava un sistema misto, pianificato dal potere politico, in cui Stato e corporazioni finanziarie e industriali russe avrebbero dovuto dare vita a colossi nazionali in grado di competere con le big corporations straniere. Il tutto con un preciso testuale obiettivo: “servire gli interessi geopolitici e mantenere la sicurezza nazionale della Russia”. Ed è per questo infatti che, una volta raggiunto il potere, il presidente russo ha voluto riportare a tutti i costi Gazprom sotto il controllo dello Stato.

Ed è proprio in Gazprom che Putin conobbe il suo pupillo Dmitrij Medvedev, il quale aveva l’ufficio personale nella sede moscovita della società in Ulitsa Nametkina al civico 16. O, all’Europa sarebbe bastato, più semplicemente, prendere sul serio almeno per una volta Donald Trump, quando ammoniva la Germania della Merkel e l’Italia di “Giuseppi” Conte sui rischi della dipendenza dal gas russo. E pare che proprio la tesi del futuro zar fosse tra i documenti portati via dalla Casa Bianca e che sono stati rinvenuti nel corso del maxi-blitz ad opera dell’FBI nella residenza di Mar-a-Lago. Davanti all’isteria dei leader europei Giorgia Meloni sta invece pragmaticamente pensando che, per salvare famiglie e imprese, occorra una forte iniziativa comune per recuperare le risorse dai Paesi e dalle imprese che stanno guadagnando a mani basse dall’aumento del prezzo del gas, redistribuendole efficacemente a chi ne ha davvero bisogno.

Servono pertanto iniziative di carattere strutturale, anche perché eventuali scostamenti di bilancio possono essere fatti solo entro certi limiti e in determinati periodi di tempo. Se la crisi energetica dovesse durare 5 anni, per dirla alla Lenin, che fare? Sono almeno due gli obiettivi prioritari da perseguire: difendere la competitività delle aziende Italiane e preservare la stabilità sociale. Per questo bisogna sin da subito mettere nei posti strategici persone capaci che però, come dice Guido Crosetto, non abbiano già troppi padrini che cercano di riciclarli.

Un paio di esempi eclatanti. Il primo è Dario Scannapieco, Ad di Cdp che ha paralizzato la Cassa collezionando flop, da Trevi (perdita di Cdp di almeno 110 milioni di euro rispetto all’investimento di 140 milioni) ad Ansaldo (continui aumenti di capitale in una società che ha un miliardo di euro di passivo), fino a Saipem (almeno 700 milioni di euro di perdite rispetto all’investimento, oltre all’aumento di capitale). Poi c’è il disastro sulla rete unica, che sta distruggendo valore per Open Fiber e Tim, sempre a firma Scannapieco il quale, dopo essere rimasto inchiavardato per mesi nella sua poltrona di via Goito, ora non risponde più nemmeno alle telefonate dei ministri di Draghi forse troppo occupato a girare per gli uffici di Roma “in odore di Fratelli d’Italia”.

Il secondo esempio è il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, sponsorizzato prima da Grillo e ora da Claudio Descalzi, il quale al suo probabile quarto rinnovo ha ovviamente tutto l’interesse ad averlo come super ministro dell’Energia per rendergli ancora più agevoli le scorribande in Africa.

Alla Meloni bisognerebbe ricordare che Cingolani non ha rimosso neanche uno dei burocrati voluti dai Cinque Stelle e che molti dei provvedimenti che ha portato avanti sono stati poi sonoramente bocciati dal Tar oppure si sono salvati in corner solo grazie all’attivismo e alla preparazione della viceministra leghista Vannia Gava.

Quanto a Descalzi, evidentemente la leader di Fratelli d’Italia non ha ascoltato a sufficienza gli imprenditori a cui Eni ha tagliato i contratti di fornitura di gas per l’anno termico che inizia ad ottobre. I miliardi di metri cubi promessi dal duo Cingolani-Descalzi sono solo sulle slides espunte dal “piano gas”, ma nessuno li ha visti.

Se ne accorgerà presto Snam, guidata da tal Stefano Venier, un carneade nel mondo del gas, che ogni giorno dovrà comprare disperatamente metri cubi di gas sul mercato per non mandare la rete in default. Non confermare Marco Alverà, da parte della coppia che scoppia, Draghi-Giavazzi, un errore da matita blu.

Un disastro annunciato, coperto dalla propaganda che la butta tutta su presunti speculatori contro cui, però, il ministro dell’Energia non ha fatto nulla. Quest’anno l’inverno arriverà fuori stagione, sarà shakespearianamente “l’inverno del nostro scontento” e non basterà il fiato del bue e dell’asinello per scaldare le case degli italiani e la nostra industria come ripeterà con forza domani in Vaticano davanti a Papa Bergoglio il Presidente Carlo Bonomi.

Luigi Bisignani, Il Tempo 11 settembre 2022

Chi sono gli 007 che “spiano” la Meloni

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Chi sa leggere tra le righe, capirà cosa il prossimo premier dovrà fare, perché le fonti di intelligence dell’autore sono reali. Sottolineiamo il “dovrà” perché almeno dalla crisi economica del 2008 ogni Presidente del Consiglio dell’Unione Europea deve obbedire all’agenda sovranazionale. Non esiste movimento che si presenti alle elezioni ed ottenga risultati, che possa fermarla, se non “la mano di Dio”. Tutto il resto è propaganda. (.n.d.r.)

 

Missione: “ritorno al futuro”. All’estero, Giorgia premier non lascia indifferenti: entusiasma, inquieta, incuriosisce. Per questo le più influenti intelligence – dalla Cia americana all’inglese MI6 fino alla Siaz, la struttura dei servizi russi che risponde direttamente al presidente Putin e perfino i cinesi del Guojia – sono in Italia in “visita turistica”, in attesa delle elezioni politiche che in prospettiva potrebbero anche terremotare il placido Quirinale di Sergio Mattarella.

L’obiettivo è monitorare innanzitutto Fratelli d’Italia e quei partiti e quei candidati che gravitano nelle zone sensibili dove sono presenti le basi Nato, da Aviano a Sigonella, o nelle piattaforme di trasmissione dati di Tim Sparkle di Catania e di Crotone.

Ma ad analizzare gli orientamenti per capire lo scenario in Italia dopo il 25 settembre ci sono anche i cosiddetti “Centri per le strategie preliminari”, la cui esistenza è nota solo a pochi, e che Cossiga non esisterebbe a definirli la versione “millennial” della nostra Gladio, l’organizzazione paramilitare clandestina aderente a ‘Stay behind’, messa su negli anni ‘50 per prevenire eventuali attacchi sovietici. Si tratta di strutture ascose, sovranazionali e presenti in città strategiche del mondo, tra cui Washington, Mosca, Pechino, Gerusalemme, Teheran, Edimburgo, Berlino. I nostri Servizi, dal Dis all’Aise, da anni cercano di saperne di più.

Creare stati d’emergenza

All’interno di queste unità, personale altamente qualificato (militari, scienziati, economisti, politologi, religiosi, imprenditori, informatici, ecc.) raccoglie informazioni, le analizza e stila strategie per i governi, in stretto coordinamento con vari deep state, grazie anche all’utilizzo di tecnologia avanzata, con potenti server forse già in parte beneficiati dai traguardi della ricerca quantistica. Le loro analisi certificano un sistema di gestione globale (finanziario, politico, sociale, tecnologico) al collasso, non più capace di produrre risultati, quindi da sostituire con un vero e proprio cambio totale di paradigma. Ma come e a quale prezzo? Gli ingredienti sembrano quelli delle teorie definite complottiste: nelle visioni finora trapelate, ancora molto teoriche, si dice infatti che bisogna rompere le regole del “contratto”, creando degli “stati di emergenza”. Ed ecco che, in uno scenario distopico, pandemie, carestie e guerre possono diventare le cause migliori per orchestrare manovre “speciali”.

Il “Great reset”

Già Karl Schwab, patron del forum economico di Davos, come anche il principe Carlo d’Inghilterra, tra gli altri, hanno parlato del “Great reset” e di come realizzarlo attraverso una nuova infrastruttura globale politica, economica, sociale, tecnologica, persino religiosa. Le analisi descrivono la creazione di una piattaforma unica di Stati democratici occidentali (Usa, Europa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e di tutti quelli che vi vorranno aderire) con una sola governance compatta a dettare la linea. Senza farneticare, già Papa Bergoglio, nell’enciclica Laudato sí, evidenzia che “è arrivato il momento di costituire un organismo globale che abbia potere economico e politico sui singoli Stati”. Sempre Francesco ha parlato della proprietà privata come di un bene non più indispensabile e ha auspicato un reddito universale per tutti gli abitanti della terra. E ancora: togliere il cash per combattere l’evasione fiscale, il terrorismo e la criminalità e rendere tutto digitale; sì a una valuta digitale unica con cui controllare tutto e tutti e contribuire al progetto di globalizzazione e interconnessione. Le criptovalute private saranno bandite come già stanno facendo alcuni Stati, Cina in testa, dove si ritiene più funzionale controllare e contribuire al processo di globalizzazione, rendendo tutto e tutti interconnessi, manipolabili e orientati dagli algoritmi. Del resto, come si è visto su Raiuno, nel servizio dalla Cina di Marco Clementi per l’innovativa trasmissione “Codice”, le prove generali sono già in corso nella città di Chongqing. D’altro canto, Microsoft ha già preparato la sua valuta digitale così come Amazon, che tra l’altro, con il recente acquisto del robot per le pulizie domestiche Rumba, acquisirà anche le mappe delle nostre case e accelererà i pagamenti biometrici con la semplice scansione del palmo della mano. Con buona pace della nostra privacy.

Esecutori in Italia

Mario Draghi è ancora considerato il diligente esecutore di questa agenda ed il Pd il partito prescelto per eseguire il programma in Italia ma, a parte il Governatore Bonaccini in Emilia-Romagna con il suo Tecnopolo che ospita il Supercomputer europeo, il Nazareno di Enrico Letta naviga nell’inconsapevolezza più totale. Ormai i singoli Paesi contano sempre di meno, non hanno futuro, così come la politica parlamentare: si segue solo un’agenda sovranazionale, cioè globale, come quella Onu 2030.

Ma se in Italia dovesse vincere la destra, come riuscirà questo nuovo sistema orwelliano a rimanere a galla? Una cosa è certa: questa volta, per dirla con Sorrentino, ci vorrà davvero la ‘mano di Dio’ per sistemare le cose. Ed il piccolo mondo antico italiano, con le sue camarille, appare sempre più anacronistico e, nonostante Super Mario Draghi, ancora non si riesce neppure a fare una rete unica. Se il possibile non lo stiamo facendo, almeno per i miracoli di solito sappiamo attrezzarci.

Luigi Bisignani, Il Tempo 14 agosto 2022

Matteo Salvini e la Russia, Marco Travaglio smonta il finto scoop

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Russiagate, arriva l’avvocato difensore che non t’aspetti. Sul caso del dossier russo e dei presunti rapporti tra Lega e Cremlino, scende in campo perfino il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che prende di petto il giornalista della Stampa Jacopo Iacoboni. Travaglio lo scrive nero su bianco nell’editoriale pubblicato sul suo giornale venerdì 29 luglio. E rivela che, in un primo momento, anche il Fatto stava per cadere nella trappola ma poi ha aperto gli occhi e si è tenuto alla larga dal quello che poi si sarebbe rivelato un finto scoop.

Nel suo editoriale, Travaglio definisce il caso come una vera e propria “trappola della Stampa”. E ancora: “Ci ha aperto gli occhi una prova più rocciosa della smentita di Gabrielli: la firma di Jacopo Iacoboni” che “vede Putin dappertutto”. Il direttore del Fatto Quotidiano affonda il colpo e scarica interamente su Draghi la responsabile della recente caduta del governo. “Se la caduta di Draghi l’avesse voluta Putin – scrive Travaglio – il suo primo complice sarebbe Draghi che vi si è impegnato più di lui: per fare un dispetto a Putin gli sarebbe bastato non insultare la Lega e i 5Stelle mentre chiedeva loro la fiducia. Invece si è sfiduciato da solo, putiniano che non è altro”.

Fonte: https://www.iltempo.it/politica/2022/07/29/news/marco-travaglio-difende-matteo-salvini-dossier-russia-finto-scoop-stampa-32578931/

L’asso di Zelensky? Non gli Usa, ma Israele

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di Luigi Bisignani

Moro, Fanfani, Andreotti e Cossiga: tutti i big della vecchia politica d’accordo su come risolvere la crisi ucraina…

In Paradiso è appena terminata la messa celebrata da San Kuncewycz, patrono dell’Ucraina e San Wojtyla. Togliendosi la mitria e la casula, con aria sconsolata Giovanni Paolo II, davanti ai fedeli, tra i quali Kohl, Andreotti e Cossiga, commenta: “I comunisti, a differenza di quello che pensa il mio caro successore Bergoglio, restano sempre comunisti e lo dico io che li ho visti da vicino, come direbbe lei, presidente Andreotti”.

Andreotti: “Però una cosa buona il regime sovietico, pur non volendo, la fece. Con le deportazioni staliniane, i cattolici apparvero dove prima quasi non esistevano creando dei luoghi di resistenza. Quella resistenza allargata ad altre religioni che alla fine ridicolizzerà Mosca”.

“Caro Giulio” – irrompe Cossiga – “la carta segreta del giovane Zelensky non sono gli USA, come pensate tutti, ma Israele, che vuol dire anche il Mossad e tutto l’apparato finanziario in giro per il mondo. Esperti di media e tecnici tlc che gli permettono di essere costantemente on line”.

Andreotti: “Putin invece è chiuso nei suoi palazzi dorati, dove si è messo a scrivere il suo folle ‘De bello putiniano’”.

Interviene l’ex cancelliere Kohl: “Sta di fatto che a parte pochi ultra-ortodossi sono molti gli ebrei che sostengono apertamente Zelensky. E lo stesso Putin, che fino a ieri tubava con quel mondo, ora si sente tradito”.

Cossiga: “L’oligarca ebreo Mikhail Fridman ha comprato intere pagine di giornali contro la guerra in Ucraina, Abramovich è invocato come paciere dagli ucraini e il presidente del Forum europeo degli ebrei di lingua russa, che si è messo a protestare contro il Cremlino, è persino finito agli arresti”.

Andreotti: “Israele, pur con qualche cautela, sta sostenendo fortemente Zelensky, che aveva inizialmente chiesto a Gerusalemme di ospitare i negoziati con la Russia. D’altra parte, il nucleo più intimo del Deep State israeliano conta oggi moltissimi ebrei ashkenaziti ucraini”.

Col solito triciclo irrompe Fanfani che, da professore di Storia Economica, ricorda le origini ucraine di alcuni grandi nomi del pantheon israeliano, come la mitica Golda Meir, nata a Kiev e la cui famiglia scappò negli USA per sfuggire ai pogrom zaristi.

Wojtyla: “Per un Paese come Israele che si fonda sulla memoria e che è nato prima della Russia, è impensabile abbandonare l’Ucraina. Peccato che la mia amata Italia arrivi sempre dopo gli altri”.

Cossiga: “Il nostro Super Mario ha problemi di connessione”.

Andreotti: “E cos’altro ti aspettavi con Vittorio Colao in quel ministero?”

Cossiga: “Non mi provocare, mi fa ridere Mariuccio, come lo chiama Il mio amico Tremonti, che non riesce a collegarsi con Macron, per non parlare di quel malinteso telefonico con Zelensky che ha fatto ridere il mondo”.

Andreotti: “Magari perché Tim è in difficoltà, con la Cdp di Scannapieco che gioca con la Rete come il gatto col topo.”

Cossiga: “Scusa Giulio, ma di tecnologia non capisci nulla. Avevi ancora il telefonino a portafoglio. Sarebbe bastato che a Chigi avessero dotato il presidente del Consiglio di uno Starlink”.

Andreotti: “Una tua nuova diavoleria…”

Cossiga: “È una costellazione di satelliti attualmente in costruzione da SpaceX di Elon Musk, senza cavi né infrastrutture che sta usando Zelensky“.

Andreotti: “Se fosse per questo, visto l’aria che tirava, Draghi avrebbe dovuto recarsi a Mosca e così sarebbe stato l’ultimo premier occidentale ad aver parlato con Putin”.

Cossiga: “Invece ha mandato il povero Di Maio in avanscoperta come fosse un piccione viaggiatore…”

Andreotti: “Ai tempi miei si mandava il capo del cerimoniale, Draghi dimentica che un premier è solo primus inter pares”.

Sopraggiunge Aldo Moro, serafico come sempre, con il suo vestito blu troppo largo e un bicchierino in mano, chiosando: “Mi pare che il nostro premier abbia perso ruolo, arriva sempre ultimo, sullo Swift come sulle armi, limitandosi solo a consultare Macron che si sta giocando la sua partita elettorale. Del resto, troppe aspettative per un banchiere…”

Andreotti: “Almeno ricordasse, di stare attento ai francesi quando ci sono di mezzo sanzioni”.

Wojtyla: “In che senso?”

Andreotti: “Quando facemmo l’embargo alla Libia, Parigi fu la prima ad eluderlo. Ora, a sentire l’Aise, non vorrei che qualche armamento francese avesse preso la strada per Mosca. A pensar male si fa peccato, ma…”

Tutti in coro all’unisono: “Spesso ci si indovina”.

Moro: “Un’Europa che è proprio incapace di pensare: questa idea della Nato a fisarmonica è una barbarie”.

Andreotti: “Piuttosto, se si fosse fatta entrare prima l’Ucraina nella Ue e poi, semmai, nella Nato. Le idee bizzarre della Cia e dei democratici USA”.

Cossiga: “Per Putin, cresciuto a pane e guerra fredda, la Nato è come il drappo rosso per il toro.

Fanfani: “Come quelli che ancora credono che il Vaticano di Francesco abbia influenza nella politica italiana come ai tempi di Benelli e Ruini… ”.

Andreotti: “Mi vien da dire una cattiveria poi però dovrò confessarmi”.

Fanfani: “Dilla, dai, troppe confessioni avresti dovuto fare, ma San Pietro ti ha dato subito il fast track”.

Andreotti: “Alla fine, a risolvere il problema e ad eliminare dalla scena lo zar potrebbe essere una miscela esplosiva tra mafia russa e oligarchi, che sono rimasti senza nemmeno un autista filippino”.

Fanfani: “Assieme anche al cittadino medio russo, abituato seppur da poco a qualche comfort”.

Cossiga: “A proposito di cattiverie e guerre fredde, in questo momento le abbiamo pure noi in Italia, tra Palazzo Chigi e il Quirinale, tra Draghi e il segretario generale del Colle Zampetti”.

Andreotti: “E con le prossime nomine da SNAM a Fincantieri, con Mattarella pronto a difendere gli attuali vertici che hanno fatto bene ne vedremo delle belle. E con quel Giavazzi sempre in mezzo ‘senza titulo’ come direbbe il mio allenatore Mourinho….

“È tempo di tornare a pregare”, la tonante voce di San Pietro richiama tutti all’ordine. Andreotti, che vuole sempre l’ultima battuta, sogghigna: “Tranquilli, tanto qui Putin non arriva neppure se lo raccomanda Bergoglio”.

Luigi Bisignani, Il Tempo 6 marzo 2022

Chi è il Casalino di Draghi

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di Luigi Bisignani

Dallo storico whatever it takes’ ad ‘all you can eat. Se ora anche il cosiddetto “governo dei migliori” si mette a lottizzare siamo proprio alla frutta, soprattutto quando emergono con tutta la loro tracotanza i “famigli” dei vari premier pro tempore. Negli ultimi anni a Palazzo Chigi vanno di moda gli ingegneri tuttofare: Conte aveva Casalino, Draghi ha Giavazzi. Ma il risultato di questi fidati consiglieri post-Machiavellici non cambia: Roccobello irrompeva in ogni riunione e talk show mentre il professor Giavazzi fa e disfà a suo piacimento, correndo di prima mattina a Villa Borghese con manager e dirigenti pubblici e sognando nel frattempo i saloni del Quirinale.

Intanto, tra una nomina e l’altra, si trastulla con quell’intellighenzia che da sempre gravita attorno alla Bocconi e a Mediobanca dove scherzosamente lo chiamano il “Davigo dell’economia” per la sua indole giustizialista. Ma ciò su cui l’economista laureato in Ingegneria al Politecnico sta davvero spendendo ogni energia è la riforma del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il Cnr è uno tra i più iconici carrozzoni pubblici che gestisce oltre 600 milioni di euro di contributi l’anno, con un bilancio di circa 1 miliardo e che, almeno sulla carta, dovrebbe valorizzare la ricerca scientifica e tecnologica. Nel comma 1 dell’articolo 105 della riforma targata Giavazzi-Pd (area Letta) si prevede la sostituzione del piano triennale, sul quale si sarebbero dovute impegnare le risorse, con un cosiddetto piano di rilancio gestito da pochi intimi. Spetterà, quindi, esclusivamente alla presidente piddina Maria Chiara Carrozza e a 5 “bravi” scelti discrezionalmente dal ministro dell’Università decidere la destinazione delle enormi risorse riservate dal Pnrr al principale ente pubblico di ricerca italiano, esautorando gli organi interni senza nemmeno passare per un parere delle Commissioni parlamentari.

A poco servirà il tetto di 50 mila euro per le solite consulenze quando si può disporre di un fondo di 50 milioni, appena stanziato per il rilancio dell’Ente e che invece sarà utilizzato, ancora una volta, per pagare l’esercito di consulenti “amici degli amici”. Ad inorridire persino la Cgil, assieme al mondo accademico dei docenti riuniti attorno a “Lettera 150”, nonché i ricercatori che per domani hanno indetto un’assemblea di fuoco, anche dopo che la ministra Maria Cristina Messa, pupilla di Giavazzi, travolta dalle critiche, ha scritto che vigilerà con attenzione sulla questione. Sembra che ad intervenire contro queste manovre “all’italiana” con un emendamento specifico nella legge di bilancio sarà Maria Stella Gelmini, capo delegazione di Forza Italia al Governo e già apprezzata ministro della ricerca. Questa volta almeno sembrerebbe che l’emendamento dovrebbe trovare il supporto di Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

Sempre in fatto di consulenze sul Pnrr la coppia Draghi-Giavazzi sta impazzando. Doveva essere il più grande piano di opere e di rilancio per l’economia italiana dal Dopoguerra a oggi mentre, almeno per ora, come ha sottolineato un presidente di sezione del Consiglio di Stato, romano da tre generazioni, “è solo un marchettificio”. Centinaia di assunzioni, senza passare da alcun concorso pubblico, tra funzionari, dirigenti e direttori con stipendi da capogiro per controllare l’attuazione di un piano che non è ancora partito. I recordmen di queste nomine sono Roberto Cingolani (Transizione ecologica) ed Enrico Giovannini (Infrastrutture e Trasporti). Seguono a ruota Marta Cartabia (Giustizia), Stefano Patuanelli (Agricoltura) e Patrizio Bianchi (Istruzione), tutti muniti di quelle “unità di missione” che, tra esperti e consulenti, costano fino a un miliardo di euro all’anno.

Ma, in verità, a Giavazzi – che da giovane amava governare le sue amate mucche nel bergamasco e del quale si racconta che il premio Nobel dell’economia Modigliani, suo mentore, dicesse, quando arrivò al Mit di Boston “non sa l’economia e la imparerà ma conosce benissimo la matematica” – non tutte le ciambelle riescono col buco. Con il pretesto di piazzare una donna al Tg1, si è battuto come un leone assieme a Draghi per Barbara Stefanelli, vicedirettrice del Corriere della Sera. Con un colpo solo avrebbe preso due piccioni, regalando ad Urbano Cairo il primo telegiornale nazionale, utile anche quale presidio per la corsa al Quirinale. Ma questa volta la nomina non è andata in porto, anche se almeno è valsa l’autocensura dalla tv pubblica di Giuseppe Conte, sempre più in versione “ultimo samurai”.

Ma Giavazzi si può consolare con la Consob, dove ha piazzato con un blitz Chiara Mosca, pupilla sua e di Mediobanca. Ed in queste ore sta facendo fuoco e fiamme, d’accordo con il suo amichetto di sempre Vittorio Colao Ministro dell’innovazione tecnologica, per disastrare Tim imponendo come Ad, in pieno conflitto di interessi, il numero uno di Vodafone Aldo Bisio o, in alternativa, Francesco Caio che già tanti guai ha fatto in Poste Italiane pretendendo tra l’altro di fare le riunioni in inglese con i postini. Ma c’è da chiedersi se super Mario sia davvero al corrente della ‘Giavazzi connection’ del suo novello Casalino. Al Quirinale pensano, e forse giustamente, che non sia possibile. Mai dire mai.

Luigi Bisignani, Il Tempo 21 novembre 2021

No pass a Trieste: una spy story con ombre cinesi

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di Luigi Bisignani
COSA POTREBBE STARCI DIETRO LE PROTESTE CHE INFIAMMANO TRIESTE

No vax no pax: ma siamo proprio sicuri che i manifestanti che infiammano Trieste siano così pacifici? E perché proprio Trieste, ora tallonata anche da Gorizia, è diventata tutt’a un tratto la capitale europea della protesta anti-vaccini? Molti indizi portano a conclusioni allarmanti, come sta approfondendo la Commissione parlamentare antimafia che ha già sentito in loco Autorità e investigatori in merito a un dossier su possibili infiltrazioni di frange estreme, e non solo, di stampo mafioso.

Il porto è considerato da sempre strategico e alla regione Friuli-Venezia Giulia dovrebbero essere destinati, dal Pnrr, quasi due miliardi di euro di finanziamenti. La Dia, Carabinieri e Guardia di Finanza stanno potenziando i propri presidi, così come Aise e Aisi. I nostri Servizi di sicurezza monitorano il via vai a Trieste e Gorizia di russi e cinesi che, sotto la crescente pressione degli Stati Uniti di Biden, potrebbero avere interesse a tenere vivo nel cuore industriale dell’Europa un focolaio di protesta. Trieste, proprio in quanto priva di ostacoli naturali su terraferma, rappresenta da sempre la naturale porta di ingresso e di uscita verso i paesi del Sud-Est europeo (Balcani, Grecia, Bulgaria, Romania, Ucraina, Turchia). È attraversata dal cosiddetto “Corridoio V” che unisce Lisbona a Kiev, una delle principali direttrici di traffico per linee ferroviarie dell’Alta Velocità previste dalla Ue. Con il suo porto, primo per traffico di merci in Italia costituisce, inoltre, uno snodo fondamentale sia dei traffici marittimi del Sud-Est del Mediterraneo con direttrici verso il Canale di Suez e il Mar Nero sia di quelli terrestri verso il Centro-Nord d’Europa (Austria, Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia) con sbocco finale nel Mare del Nord e nel Baltico.

Fu l’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, nel 700, che trasformò Trieste nel porto di Vienna per i traffici marittimi del suo Impero. A seguito di ciò, la città si sviluppò rapidamente, con la nascita di un importante polo bancario-assicurativo-industriale costituito nel tempo da Generali, Ras e Fincantieri. Ecco perché l’immagine della Trieste di oggi come la “Woodstock dei no vax” è poco convincente e i primi a non crederci sono gli stessi triestini. Chi paralizza la città mette in ginocchio l’intera regione “Alpe-Adria” in un momento storico in cui l’immigrazione dall’Afghanistan, e non solo, rischia di invadere l’Europa e in cui il leader bielorusso Lukashenko parla di blocco dei rifornimenti energetici. Dal porto di Trieste, infatti, passano l’energia diretta in Austria e Baviera e le merci destinate a nord verso i porti anseatici. Trieste, insomma, riproduce, in miniatura e per delega, il confronto tra cinesi e angloamericani.

Gli indizi non mancano.

1. Il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale è Zeno D’Agostino, il cui vero tallone d’Achille sono proprio le “ombre cinesi”. Sua, infatti, la firma dell’accordo-chiave sulla Via della Seta e cinesi erano le bandiere sventolate dai portuali quando D’Agostino venne temporaneamente rimosso dall’incarico per ordine dell’Anac. Vessilli adesso arrotolati e sostituiti da striscioni no vax.

2. La misteriosa morte di Liu Zhan, un alto funzionario dell’apparato cinese che ogni settimana faceva la spola tra la capitale e Trieste, seppellito al Verano dopo una cerimonia funebre alla presenza dell’ambasciatore cinese a Roma e di molti “colleghi” venuti appositamente dal Friuli-Venezia Giulia.

3. La Polizia postale – soprattutto dopo la denuncia del Governatore Fedriga, secondo la quale i manifestanti più facinorosi con esperienze da black bloc non sono triestini – sta indagando sulle sofisticate forme di reclutamento che passano dal dark web, oltre che dalla tanto discussa app “Telegram”, e sull’occupazione paramilitare della rete dei radioamatori le cui frequenze sono assegnate dal Ministero dell’Interno.

4. L’indizio finale, per cercare di capire cosa c’è sotto, sono le visite sempre più frequenti dei diplomatici americani a Trieste. Quella del console Robert Needham a luglio, peraltro, è stata particolarmente “vigorosa” ed un suo rapporto è finito dritto al Dipartimento di Stato nei desk dedicati a Italia e Balcani.

Attivi anche i servizi di sicurezza francesi che hanno bloccato alla frontiera alcuni pseudo manifestanti no vax, già noti per aver creato disordini ai tempi della Tav. L’Eliseo, infatti, non vuole alcun intoppo  provocato da cittadini francesi in Italia prima della firma del cosiddetto Trattato del Quirinale tra Parigi e Roma, a cui stanno lavorando in queste ore – non si sa bene a quale titolo  il consigliere economico di Palazzo Chigi, l’onniscente  e onnipresente Francesco Giavazzi e il Ministro dell’Innovazione, l’ex Vodafone Vittorio Colao. Gli articoli 2 e 7 che riguardano la Difesa e lo Spazio vengono scritti tenendo all’oscuro i ministri di competenza, Lorenzo Guerini (Difesa) e Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico), nonché gli alti Stati maggiori militari.

Il solito “one-man-show” di Mario Draghi che ha ormai esautorato il Parlamento o una strategia a tutto vantaggio di potenze straniere, come sembra confermare la possibile vendita del campione nazionale Oto Melara ai franco-tedeschi di Knds anziché a Fincantieri, la più dinamica azienda pubblica italiana? Misteri a cui forse non è estraneo il segretario del Pd Enrico Letta che, non a caso, ha trascorso gli ultimi anni nei bistrot, e non solo quelli, parigini. Ah, les italiens…

Luigi Bisignani, Il Tempo 14 novembre 2021

Covid, lo studio Iss che ha ingannato tanti. I morti sono 131.000 non 3700

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Scritto e segnalato da Antonio Amorosi

Lo studio dell’ISS non indica la causa finale delle morti. Non è vero che gran parte non siano associati al Covid. Cosa dice il report citato da Il Tempo

I lettori ci hanno chiesto con insistenza di fare chiarezza sull’ultimo rapporto dell’ISS, del portale di epidemiologia Epicentro, denominato “Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia, dati al 5 ottobre 2021”, consultabile quial centro di un articolo del quotidiano Il Tempo.
Secondo alcuni questo report dimostrerebbe che i morti da Covid in Italia, da inizio pandemia, sarebbero stati in realtà causati da malattie pregresse e non dal Covid stesso. In sostanza i veri morti da Covid sarebbero solo il 2,9% dei decessi registrati, 3.783 e non 130.468 (quanti erano quelli segnalati il 5 ottobre scorso), come riportato da tutti gli enti specializzati e dai media (oggi i deceduti sono 131.826).

Ma il report di Epicentro non permette di affermare che solo il 2,9% dei deceduti positivi al Sars-cov-2 siano morti a causa del Covid. Nell’articolo dell’ISS non viene riportata un’analisi della causa delle morti dei pazienti analizzati. Epicentro fa una verifica a campione di “7.910 deceduti per i quali è stato possibile analizzare le cartelle cliniche”. Se il 2,9% dei decessi Covid sono di soggetti ritenuti sani e il restante 97,1% era già affetto da almeno una patologia grave e la stragrande maggioranza affetta da 3 o più patologie gravi, non viene detto se il Covid sia stato letteralmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso o se i pazienti siano morti a causa di altre patologie. Non viene proprio scritto. Non è indicata la causa finale delle morti, ma si scrive che quei pazienti erano affetti da altre patologie ed avevano il Covid. Non sappiamo quindi se ci sia stato un peggioramento di queste patologie o se il Covid si sia presentato per loro in forma così grave da accelerarne la dipartita.

Resta la confusione che si è riscontrata durante tutta la pandemia in molti casi, di dati parziali, raccolti in modo diseguale, associati in modo arbitrario e sottratti a qualsiasi tipo di verifica.
Per tanto in Italia ci sono stati 131.000 morti con il Covid, non 3.783. E il numero ha un suo rilievo se confrontato con quello di tanti altri Paesi che hanno adottato misure di gestione differenti dalle nostre ma con un monte di deceduti di poche migliaia di persone, con buona pace del governo italiano e di tutte le sue mirabolanti misure di contenimento.
Nello studio dell’ISS si scrive che “complessivamente, 230 pazienti (2,9% del campione) presentavano 0 patologie, 902 (11,4%) presentavano 1 patologia, 1.424 (18,0%) presentavano 2 patologie e 5.354 (67,7%) presentavano 3 o più patologie”.
Da qui emergono due dati importanti.

Il primo dato: il Covid ha colpito essenzialmente soggetti anziani, il 95% ultra 60enni e l’85% ultra 70enni, con pluripatologie a carico. “Al 5 ottobre 2021 sono 1.601, dei 130.468 (1,2%), i pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 399 di questi avevano meno di 40 anni (245 uomini e 154 donne con età compresa tra 0 e 39 anni)”. Lo studio di Epicentro spiega anche che “l’età media dei pazienti deceduti e positivi a Sars-CoV-2 è 80 anni”. Durante il 2020 l’età media era ancora più alta (85 anni) riducendosi nel 2021. Pertanto coloro che andavano protetti, con il distanziamento e tutte le altre misure, erano essenzialmente gli anziani e coloro che avevano più patologie gravi in corso.
Poi un elemento interessante: i giovani sotto i 30 anni deceduti da Covid sono lo 0,08% del totale. Sappiamo da molti studi che i giovani morti per il Covid avevano altre patologie gravi, altrimenti il decesso tra i giovani non viene riscontrato.

Da qui il secondo dato importante: il mistero della vaccinazione con i nuovi vaccini sperimentali anti Covid nei più giovani. Dato che il vaccino non limita la trasmissione tra le persone (ci si contagia e ci si ammala anche se vaccinati) ma si dice che ridurrebbe gli effetti gravi del Covid, cosa fra l’altro non del tutto provata sul campo, perché vaccinare i giovani che in base agli enti di sorveglianza sono coloro su cui si riscontrano più sovente gravi reazioni avverse? Un mistero. Anche perché le possibili reazioni avverse gravi sugli anziani, trombosi, ictus, infarti e via dicendo, vengono sempre catalogate come effetti delle patologie di cui questi già soffrono! Nel caso di chi ha un età avanzata si esautora i vaccini da ogni possibile azione negativa. Un paradosso nel paradosso.
Ma nel report c’è anche un aspetto finale su cui non sorvolare.
Si scrive che con il passare dei mesi, dall’esplosione della pandemia, è “aumentato il tempo mediano dall’insorgenza dei sintomi al decesso, in particolare per coloro che vengono ricoverati in rianimazione; si è ridotto il tempo mediano dall’insorgenza dei sintomi al ricovero in ospedale. Questi dati sono indicativi di un miglioramento nella capacità diagnostica e nell’organizzazione delle cure ai pazienti SARS-CoV-2 positivi”.
Tradotto: è aumentata la capacità di curare i pazienti. In una pandemia, in cui è essenziale non concentrare le persone, abbiamo imparato che le cure andrebbero impartite lontane dai centri di cura tradizionali, quindi non bisogna farli finire negli ospedali se non nelle situazioni senza rimedio.
Ergo se da subito anche in Italia si fossero adottate, all’insorgere dei primi sintomi, cure domiciliari immediate, come hanno fatto ad esempio Paesi come la Corea del sud, forse non avremmo avuto i 131.000 morti che il governo, prima Conte e poi Draghi, hanno annoverato come morti per Covid.

Fonte: https://www.affaritaliani.it/coronavirus/covid-lo-studio-iss-che-ha-ingannato-tanti-i-morti-sono-131000-non-3700-764014.html?refresh_ce

 

 

Gran pasticcio nel rapporto sui decessi. Per l’Iss gran parte dei morti non li ha causati il Covid

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Non è un articolo scritto da no vax, complottisti, terrrapiattisti o matti di vario genere…si tratta di un rapporto dell’Istituto Superiore della Sanità, che, a distanza di un anno conferma quella che era la percezione di chi sa guardare la realtà con occhio critico e senza preconcetti, e non è al soldo della narrazione mainstream (N.d.R.)

di Franco Bechis per Il Tempo.it di oggi

Secondo il nuovo rapporto (che non veniva aggiornato da luglio) dell’Istituto superiore di Sanità sulla mortalità per Covid, il virus che ha messo in ginocchio il mondo avrebbe ucciso assai meno di una comune influenza.

Sembra un’affermazione strampalata e da no vax, ma secondo il campione statistico di cartelle cliniche raccolte dall’istituto solo il 2,9% dei decessi registrati dalla fine del mese di febbraio 2020 sarebbe dovuto al Covid 19. Quindi dei 130.468 decessi registrati dalle statistiche ufficiali al momento della preparazione del nuovo rapporto solo 3.783 sarebbero dovuti alla potenza del virus in sé. Perché tutti gli altri italiani che hanno perso la vita avevano da una a cinque malattie che secondo l’Iss dunque lasciavano già loro poca speranza. Addirittura il 67,7% ne avrebbe avuto insieme più di tre malattie contemporanee, e il 18% almeno due insieme. Ora personalmente conosco tanta gente, ma nessuno che abbia la sfortuna di avere cinque malattie gravi nello stesso tempo. Vorrei fidarmi dei nostri scienziati, poi vado a leggere i malanni elencati che sarebbero ragione non secondaria della perdita di tanti italiani e qualche dubbio da profano comincio a nutrire. Secondo l’Iss il 65,8% degli italiani che non ci sono più dopo essere stati infettati dal Covid era malato di ipertensione arteriosa, e cioè aveva la pressione alta. Il 23,5% era anche demente, il 29,3% aggiungeva ai malanni un po’ di diabete, il 24,8% pure fibrillazione atriale. E non basta: il 17,4% aveva già i polmoni ammalati, il 16,3% aveva avuto un cancro negli ultimi 5 anni; il 15,7% soffriva di scompenso cardiaco, il 28% aveva una cardiopatia ischemica, il 24,8% soffriva di fibrillazione atriale, più di uno ogni dieci era anche obeso, più di uno su dieci aveva avuto un ictus, e altri ancora sia pure in percentuale più ridotta aveva problemi gravi al fegato, dialisi e malattie auto-immuni.

Fonte: https://www.iltempo.it/attualita/2021/10/21/news/rapporto-iss-morti-covid-malattie-patologie-come-influenza-pandemia-disastro-mortalita-bechis-29134543/

Febbraio 2022: cosa succederà alla politica italiana

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di Luigi Bisignani

Dobbiamo prepararci ad un vero e proprio “big bang” della politica italiana. A febbraio, infatti, con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, salteranno gli equilibri tra e dentro i partiti, partendo proprio dal Pd di Letta, in cui nessuna delle due anime è in grado di far eleggere in autonomia il successore di Mattarella. A meno che, i “laboriosi Zampetti” del Quirinale non convinceranno il Presidente a restare, magari anche con il voto di Fratelli d’Italia. Ma i malumori, soprattutto tra i giuristi, crescono, e il ‘siciliano silente’ ne è consapevole, tanto che punta su Marta Cartabia che confermerebbe tutti i suoi. Dall’attesissima quarta votazione, per centrare l’obiettivo di 508 voti, ad oggi al centrodestra ne mancano solo 55, mentre al centrosinistra anche di più, contando che, tra i 5Stelle in maniera evidente e nel Pd in maniera sommersa, è in corso una diaspora interna pronta ad esplodere. Si creerà dunque, così come è già avvenuto, una nuova (ennesima) maggioranza che, sul tipo di quella Ursula (Forza Italia, Pd, Italia Viva, M5S), determinerà il nuovo Capo dello Stato.

Nuova legge elettorale e rimpasto

Una maggioranza che potrebbe far approvare, in un secondo momento, una legge elettorale in senso proporzionale, proprio per indicare nuovamente Mario Draghi premier, questa volta democraticamente eletto pur senza fondare un suo velleitario partito. Il ricordo di Monti è ancora vivo. Idea che gli avrebbe sussurrato Angela Merkel nel recente tête-à-tête nel roof di un albergo romano. Draghi, pur volendo scappare da Palazzo Chigi, si rende conto delle insidie nella corsa per il Colle e pretenderà solo un rimpasto di governo nei Ministeri chiave per il Recovery plan, a partire dall’inerte Enrico Giovannini al Mit e da Federico D’Incà, il quale, pare, complica piuttosto che agevolare i rapporti con il Parlamento.

Gli affanni del centrodestra

Resta però, in qualunque ipotetico scenario, l’incapacità del centrodestra non solo di restare unito ma anche di sembrarlo. La Meloni e Salvini paiono davvero i capponi dei Promessi Sposi che, come scrive il Manzoni, “s’ingegnavano a beccarsi l’un l’altro, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”. Giorgia dà l’impressione di aver pensato solo al ‘sorpasso’ sul Capitano. Salvini, da par sua, anziché indire dei congressi per riaffermare leadership e amalgamare Lega del Nord con Lega del Sud, si è messo a punzecchiare Draghi, peraltro molto amato dalla sua gente, forse in ottica anti Meloni ma senza rendersi conto che così spinge il Premier nelle braccia del Pd.

Berlusconi, che al contrario ha dato prova di moderazione, ha tuttavia partecipato anche lui alla scelta perdente e forse scellerata di candidare a Milano il pediatra di Licia Ronzulli, ingombrante ‘cocca’ del Capitano.

La prova della Legge di bilancio

Un centrodestra che a giorni verrà nuovamente messo alla prova dalla Legge di bilancio. Salvini giocherà sulla difesa strenua di quota 100, in una battaglia che rischia di perdere come accaduto sul no al green pass. Giorgia Meloni cavalcherà l’onda del “nessuna tassa sulla casa”- materia più di delega fiscale che di finanziaria- e della revisione degli ammortizzatori sociali. Forza Italia, invece, punterà tutto sul taglio del cuneo fiscale. Tre visioni che raccimoleranno qualche strapuntino.

Magari seguissero il consiglio di una vecchia volpe come Gianfranco Rotondi: un progetto comune di partito nazionale di ispirazione cristiana con una forte componente transizione ecologica che potrebbe attrarre il voto giovanile. Non accadrà, restiamo quindi in attesa nei prossimi mesi, dello sconquasso politico tra i partiti che si trasformerà in un vero e proprio tsunami che travolgerà tutto, iniziando dai guai giudiziari di Berlusconi, il cui sogno del Colle sembra sì illusorio ma, con un centrodestra unito, non affatto impossibile da raggiungere. Anche se questa volta in Parlamento gli mancherà moltissimo un peso massimo come Denis Verdini.

L’antipasto è nelle cronache di queste settimane, con il caso Morisi, dove neppure il variopinto mondo LGBT ha detto una parola in difesa, fino all’aggressione “per indiretta persona” verso l’ex premier Conte, passando per l’inchiesta di Fanpage, rilanciata da La7 di Cairo, che ha messo in un angolo Fratelli d’Italia dove, Guido Crosetto a parte, nessuno dei vertici si convince a puntare su una classe dirigente credibile e a guardare davvero a Bruxelles e a Washington anziché strizzare l’occhio a Primavalle, dove comunque si sono perse le elezioni suppletive. E chissà quale misterioso scandalo sta già preparando il mainstream con l’intellighenzia di sinistra, magari per lanciare al Colle un Luciano Violante di turno. Insomma, per dirla come don Abbondio, “è una Babilonia”.

Luigi Bisignani, Il Tempo 10 ottobre 2021

Il pm Greco fa una fine Amara

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di Luigi Bisignani

Dal pool al ring. Francesco Cossiga, il Presidente della Repubblica che voleva mandare al Csm persino i carabinieri, diceva: “La riforma della giustizia si farà solo quando i magistrati si arresteranno tra loro e allora si potrà anche stabilire per legge una visita psichiatrica per diventare una toga”. Pare che ci stiamo arrivando.  Non si arrestano tra loro solo perché “cane non mangia cane”, ma si indagano a vicenda in maniera compulsiva e ritorsiva. Procure contro procure, in un perenne derby con capitani-Pm che infiammano le tifoserie tra giustizialisti e garantisti.

Quanto ai test psicologici – che in Germania incidono eccome nel percorso di carriera di un magistrato – ci si arriverà presto, anche a seguito del dibattito accesosi dopo l’aberrante decisione di sottoporre a perizia psichiatrica Silvio Berlusconi. E, come sempre quando la mattanza diventa più sanguinosa, a farne le spese è uno di quei magistrati che, sia pur ideologicamente targato a sinistra, ha sempre messo al primo posto il rispetto verso i suoi ‘clienti’: il procuratore capo di Milano, Francesco Greco. Figlio di ammiraglio, casa e barca a vela, sua grande passione, a La Maddalena in Sardegna, dove spesso ospitava i colleghi, tanto che in certi giorni la Piazza Rossa (meravigliosa coincidenza!) dell’isola sembrava un corridoio del Palazzo di Giustizia. Oggi veste in grigio scuro ma durante Mani Pulite la sua uniforme era un blazer blu, pantaloni chino beige e camicia celeste: in altre parole, uno yacht-man a Palazzo.

Se l’allora procuratore capo Francesco Saverio Borrelli per prepararsi all’assalto contro Fininvest e il Cavaliere, anziché esaltarsi dal protagonismo manettaro dei vari Di Pietro, Davigo e Colombo, avesse lasciato Greco a indagare davvero sui bilanci delle società, la storia di Mani Pulite e di molte altre inchieste a catena sarebbero state differenti. Il giorno che Raul Gardini si sparò fu uno dei più drammatici di quegli anni. Il patron del gruppo Ferruzzi aveva tentato invano di andare a deporre da uomo libero, ma la Procura di Milano voleva interrogarlo solo dopo averlo rinchiuso a San Vittore. Serviva uno scalpo da esibire al popolo e quello di Gardini, “il Pirata”, era l’ideale. Anche perché in questo modo si distoglieva l’attenzione montante su Agnelli, De Benedetti e soprattutto PCI e Cooperative rosse. Greco aveva gli occhi gonfi di lacrime, di dolore ma forse anche di rabbia: senza l’arresto e quel suicidio avrebbe ottenuto risultati ben diversi su tanti filoni aperti all’insegna del suo mantra, ‘meno carcere e più entrate per l’erario, meno burocrazia e più leggi moderne’.

Si bloccò invece così il Paese, in un ricatto permanente tra politica, grandi e piccoli gruppi industriali e magistratura. Con Pm che ai codici preferivano farsi eleggere in Parlamento e i talk-show televisivi. Probabilmente, nella sua visione dell’economia, Greco si è lasciato influenzare dal professor Guido Rossi, in nome di un esasperato libero mercato che ha finito per permettere, soprattutto ai francesi, di far man bassa nel nostro sistema bancario e industriale. Tutto ciò a beneficio delle leggendarie parcelle del professore, il quale fece di tutto perché Greco rimanesse a presidiare quel prezioso avamposto in Procura anziché diventare, ad esempio, un abile e innovativo Presidente della Consob. Così le pubbliche accuse in tutta Italia hanno esorbitato dal proprio ruolo inseguendo teoremi anziché singoli reati.

La pacatezza, la signorilità e la curiosità di Greco si colgono in molti episodi di vita ordinaria in quel Palazzo di Giustizia che nessuno più di lui conosce. Ha iniziato il suo slalom investigativo nel lungo corridoio dove ci sono gli uffici dei Pm e le panche che hanno visto sedere illustri imputati. Alle estremità di quel corridoio, i due bracci più corti: in fondo a destra c’è lo studio del procuratore capo, che al tempo fu di Borrelli, in fondo a sinistra c’era quello di Antonio Di Pietro. Quando nel 1996 si aprì il primo processo contro Berlusconi per tangenti alla Guardia di Finanza, tra i dirigenti delle società del Cavaliere chiamati a testimoniare c’era anche Urbano Cairo il quale, durante una pausa, volle andare a curiosare attorno ai corridoi della Procura dove incontrò casualmente proprio Greco. “Posso avere il piacere di stringerle la mano?” chiese ammiccante al magistrato. Greco gli rispose sorridendo e, senza mollare la mano che stringeva, se lo portò dentro la sua stanza. Indimenticabile lo sguardo di Cairo rivolto ai cronisti, un attimo prima di essere trascinato nell’ufficio del Pm.

Un altro siparietto risale all’interrogatorio di Carlo Sama per Enimont, quando sempre Greco ricevette una telefonata inattesa del solito Guido Rossi, appena diventato presidente della Montedison, che gli chiedeva di sbloccare i crediti IVA della Ferruzzi, a dimostrazione di come il Gruppo fosse ormai eterodiretto dalla Procura. Tuttavia, c’è da rimanere un po’ basiti quando, nell’intervista-testamento a Il Corriere della Sera, Greco quasi si stupisce della fuga di notizie sugli scoppiettanti e fantasiosi verbali dell’avvocato Amara da parte di Davigo, lo stesso inquisitore che oggi, da indagato, si guarda bene dal ripetere che “non esistono innocenti ma solo colpevoli da scoprire”. Come se il Procuratore capo di Milano, all’improvviso avesse dimenticato che la fuga di notizie fu utilizzata spesso – e purtroppo ancora è – come bomba a orologeria da molte procure. Senza forse ricordare che ha concesso quest’ultima chiacchierata prima della pensione a Milena Gabanelli, musa ispiratrice di Report, trasmissione cult di Rai3, Vangelo settimanale dei PM e dei manettari. Sic. In nome del popolo italiano.

Fonte: Il Tempo 19 settembre 2021

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