Salvini all’attacco dei centri sociali: “La loro utilità è pari a quella dei campi rom. Li chiuderemo tutti”

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Il ministro dell’Interno, durante un comizio a Pavia, annuncia la stretta rispondendo ai contestatori in piazza

“Chiuderemo i centri sociali, la loro utilità sociale è pari a quella dei campi rom.

Matteo Salvini annuncia così la stretta. Il ministro dell’Interno, durante un comizio elettorale a Pavia, ha così risposto ai contestatori che hanno manifestato durante il suo intervento.

Il botta e risposta nella centralissima Piazza della Vittoria, cuore pulsante della cittadina lombarda, dove il 26 maggio – in concomitanza con le elezioni europee – si voterà anche per il nuovo sindaco: Fabrizio Fracassi, candidato primo cittadino del Carroccio, punta alla vittoria, forte dei 4mila sostenitori che nella serata di ieri hanno gremito la piazza.

Durante l’evento leghista, proprio mentre prendeva parola il responsabile del Viminale, circa 500 persone hanno sfilato in un corteo autorizzato intonano “Bella ciao”, a mo’ di provocazione contro il vicepremier.

Al che Salvini ha replicato puntando il dito contro i centri sociali: “Questa sera so che gente dei centri sociali ha cercato di boicottare questo incontro: uno sforzo inutile, visto tutti quelli che sono venuti. I centri sociali li chiuderemo. Se vinciamo le elezioni comunali a Pavia, il sindaco dedicherà un museo in ricordo dei comunisti. Spero che anche il Venezuela si liberi presto di uno degli ultimi dittatori comunisti rimasti…”, le sue parole così come riportate da La Repubblica. Insomma, l’ennesima puntata dell’infinita querelle tra Matteo Salvini e i centri sociali.

fonte – http://www.ilgiornale.it/news/politica/salvini-allattacco-dei-centri-sociali-loro-utilit-uguale-dei-1691058.html?mobile_detect=false

Bimbi con due papà? Il no della Cassazione alla trascrizione in Italia

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Gli ermellini: “Si pone in contrasto con il divieto alla maternità surrogata”

In Italia è vietata la trascrizione nei registri civili del provvedimento che riconosce il rapporto di filiazione tra un minore concepito con la tecnica della maternità surrogata e una persona che non abbia con lui alcun rapporto biologico.

Lo hanno deciso le sezioni unite della Corte di Cassazione che, mediante una sentenza di oggi, hanno rigettato la domanda di riconoscimento del provvedimento che riconosceva come figli di una coppia omosessuale due minori, concepiti mediante procreazione assistita. Uno dei due membri della coppia, infatti, aveva concepito i figli con l’aiuto di due donne, una che aveva messo a disposizione i propri ovuli e l’altra che aveva portato avanti la gestazione.

La Corte ha spiegato che riconoscere il rapporto di filiazione col componente della coppia che non ha partecipato alla procreazione dei figli, “si ponesse in contrasto con il divieto della surrogazione di maternità“, stabilito dall’articolo 12 della legge 40 del 2004, che regola la procreazione assistita. A detta degli ermellini, tale disposizione rappresenta “un principio di ordine pubblico, posto a tutela della dignità della gestante e dell’istituto dell’adozione“.Il riconoscimento del rapporto di filiazione dovrebbe avvenire in modo compatibile “con l’ordine pubblico“, che deve essere valutato “alla stregua non solo dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi hanno trovato attuazione nella legislazione ordinaria, nonchè dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza”. In questo caso, il riconoscimento del rapporto padre e figlio tra il membro della coppia omosessuale che non ha partecipato alla procreazione e il minore, contrasta con la norma che vieta, in Italia, la maternità surrogata, cui la coppia è ricorsa per far nascere i figli.

La sentenza di Cassazione, però, precisa che “i valori tutelati dal predetto divieto, ritenuti dal legislatore prevalenti sull’interesse del minore, non escludono la possibilità di attribuire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari“.

fonte – http://www.ilgiornale.it/news/cronache/bimbi-due-pap-no-cassazione-trascrizione-italia-1691008.html?mobile_detect=false

Appalti in Calabria, trema il Pd: il presidente Oliverio è nei guai

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Dall’ospedale di Cosenza al museo di Alarico: ombre sugli investimenti pubblici. Terremoto nel Pd: venti gli indagati

Una raffica di avvisi di garanzia, notificati questa mattina dalla Guardia di Finanza e dai carabinieri, hanno scoperchiato il vaso di Pandora.

 E venti persone, molte delle quali sono esponenti di primo piano della politica regionale, sono indagate nell’ambito di un’inchiesta della procura di Catanzaro sulla gestione di appalti pubblici in Calabria. Gli inquirenti li ritengono a capo di una cupola formata da politici, tecnici e imprenditori. E tra questi c’è anche il presidente della Regione, Mario Oliverio (Pd).

L’accusa è associazione a delinquere. Al centro delle indagini, secondo quanto apprende l’agenzia Agi, sarebbero finiti certi investimenti pubblici erogati alla città di Cosenza. In particolar modo sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti sarebbero finiti quelli legati alla costruzione del nuovo ospedale, della metropolitana di superficie Cosenza-Rende e del museo di Alarico. Tra gli indagati, oltre al governatore piddì Oliverio, ci sarebbero Nicola Adamo, ex consigliere regionale e vice presidente della Giunta (anche lui del Partito democratico), Luca Morrone, figlio del consigliere regionale Giuseppe Ennio Morrone e il sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto (Forza Italia). Inizialmente contrario al progetto metro, Occhiuto avrebbe barattato il proprio assenso con la promessa di finanziamenti per il museo di Alarico.

Gli imputati si sono subito dichiarati estranei ai fatti. Oliverio ha spiegato che alcune ipotesi di reato, come la gara di appalto per la metropolitana di Cosenza, risale al 2014, cioè precedentemente al suo insediamento alla guida della Regione, e che per altre, come la realizzazione del nuovo ospedale di Cosenza, è stato prodotto soltanto lo studio di fattibilità. “Sono quanto mai certo che, anche in questa occasione – ha commentato – nessun giudice condividerà una simile impostazione accusatoria, che intravede sospetti di reato in normali condotte di natura politica, nel senso aristotelico del termine”. Anche Occhiuto, dopo aver “chiesto di essere sentito al più presto”, ha provato a smontare le accuse che gli sono state mosse spiegando che “i finanziamenti e la copertura amministrativa per la realizzazione del museo di Alarico erano già stati concessi ben prima che Oliverio divenisse presidente della giunta regionale, e che la gara di appalto dei predetti lavori non può affatto essere definita illegittima, avendo anzi già superato il controllo del competente giudice amministrativo”. Non solo. Il primo cittadino ha anche fatto notare che “la pretesa utilità indebita, costituente contropartita del presunto patto illecito, consisterebbe nella promessa di un finanziamento per l’esecuzione di un’opera pubblica a vantaggio della città di Cosenza, e non già per miei interessi personali”.

fonte – http://www.ilgiornale.it/news/politica/appalti-calabria-trema-pd-presidente-oliverio-nei-guai-1690397.html?mobile_detect=false

Sudafrica, i boeri fondano cittadine per soli bianchi: “Così ci difendiamo dalle violenze dei neri”

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La nascita di cittadine sudafricane per soli bianchi sarebbe, a detta dei promotori dell’iniziativa, l’unica soluzione possibile per scongiurare la scomparsa dell’identità afrikaner dal Paese

In Sudafrica, a 25 anni dalla fine dell’apartheid, la minoranza bianca ha deciso di reagire alle “discriminazioni” finora subite ad opera della maggioranza di colore.

I discendenti dei boeri hanno infatti recentemente scelto di dare vita a delle cittadine “solo per bianchi”, destinate a dare opportunità di lavoro e protezione alle vittime delle “rappresaglie” promosse dalla popolazione nera. Il territorio interessato dalla comparsa di comunità riservate agli Afrikaner è quello della provincia del Capo Settentrionale, nel nordovest del Paese.

La prima realtà abitativa nata per ospitare soltanto individui bianchi è stata Eureka, sorta da poco a breve distanza dalla città di Garies, sempre nella provincia in questione, per iniziativa dell’imprenditore agricolo Adriaan Alettus Nieuwoudt. Nella neonata comunità, munita di scuole, negozi e cliniche ben attrezzate, gli Afrikaner potranno, a detta di costui, “vivere e lavorare manifestando la propria identità e la loro lingua senza pericoli di ritorsioni”. L’imprenditore, proclamatosi promotore della lotta contro la “scomparsa della razza bianca dal Sudafrica”, ha quindi annunciato ultimamente ai media locali la nascita di Eureka promettendo di regalare appezzamenti di mille metri quadrati a ogni bianco che deciderà di trasferirsi in tale realtà monoetnica. Continua a leggere

I generali sfiduciano la Trenta. La protesta corre sul web

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Il malcontento contro il ministro della Difesa è diffuso nelle Forze armate. Le critiche: “È nelle mani di Di Maio”

Il malcontento tra i militari cresce. Le esternazioni del ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, in seguito all’apertura di un’istruttoria nei confronti del generale Paolo Riccò, che lo scorso 25 aprile aveva abbandonato la cerimonia della festa della Liberazione a Viterbo in seguito agli attacchi dell’Anpi, non sono piaciute né alla base né ai vertici delle Forze armate. Sui social la polemica si è scatenata, tanto che è stato creato un gruppo, che conta oltre 4.400 iscritti, dal nome «Io sto con il generale Paolo Riccò».

Il fatto è che il ministro, nel corso del suo anno di mandato, ha fatto un sacco di promesse, ma ne ha mantenute poche, a partire da quelle sul riordino delle carriere, tanto che un delegato Cocer ha dovuto fare, nel silenzio più assoluto della Difesa, 40 giorni di sciopero della fame per avere le rassicurazioni del caso dal premier Giuseppe Conte. Continua a leggere

“Relazioni gay lecite se fedeli”. ​Così la “Contro-Chiesa” vuole sdoganare l’omosessualità

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A Torino i conciliari rifanno il Catechismo. E passano dall’astensione dal peccare alla “fedeltà” sodomitica…

La diocesi di Torino “riscrive” il Catechismo aprendo all’amore fra le persone dello stesso sesso

«Arrivano i piemontesi»: a quasi 150 anni dalla conquista militare di Roma, un altro assalto parte simbolicamente da Torino alla conquista del cuore della cattolicità.

Si tratta della piena legittimazione nella Chiesa delle relazioni omosessuali, un cambiamento del Catechismo che estende i suoi effetti ben oltre la sfera sessuale.

Alla fine di aprile la diocesi di Torino ha organizzato un ritiro in convento per persone omosessuali. L’obiettivo? Dare lezioni di fedeltà. Potrebbe sembrare una cosa positiva dal punto di vista della morale cattolica, in realtà è esplosiva. «L’esperienza dell’amore fedele di Dio è un modo per mettere ordine nelle relazioni disordinate, omosessuali o eterosessuali che siano», ha spiegato il gesuita padre Pino Piva, uno dei relatori del ritiro. È la negazione di quanto affermato dal catechismo della Chiesa per cui sono proprio «gli atti omosessuali» ad essere «intrinsecamente disordinati». La fedeltà non può far diventare buono uno stile di vita intrinsecamente disordinato. In gioco non c’è il giudizio morale su certi comportamenti, ma la dottrina della Creazione e l’esistenza di un ordine naturale stabilito da Dio. Uno dei pilastri della fede.

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Salvini smaschera la Caritas: “Accogliete solo per fare quattrini?”

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3 Maggio 2019

Il Viminale taglia i fondi e la Caritas non partecipa più ai bandi per l’accoglienza dei migranti. Salvini: “Lo fate solo per soldi”

Non appena Matteo Salvini ha deciso di tagliare i fondi per l’accoglienza, in molti si sono tirati indietro dal business per spartirsi i disperati che sbarcano sulle nostre coste. Tra questi c’è anche la Caritas italiana che da settimane ha deciso di non partecipare più ai bandi per l’accoglienza diffusa. “Viste le limitazioni imposte all’accoglienza dal decreto Salvini è l’unica strada rimasta”, ha lamentato in una intervista al Corriere del Veneto monsignor Corrado Pizziolo, presidente dell’istituto di carità dei vescovi, spiegando, senza troppi giri di parole, che senza un adeguato sovvenzionamento dalle case pubbliche, la Chiesa non è più “disposta a sostituirsi allo Stato”.

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Quelle bandiere titine in corteo con i sindacati

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A Trieste i vessilli dei partigiani jugoslavi che massacrarono migliaia di italiani

Il primo maggio 1945 i partigiani jugoslavi di Tito entravano a Trieste iniziando l’occupazione della città durata quaranta giorni, in quel periodo e nei mesi precedenti, furono uccisi nelle foibe circa 14.000 italiani.

I titini si macchiarono di crimini indicibili verso migliaia di persone colpevoli solo di essere nate in Italia, perciò colpisce che ancora oggi nel nostro paese vi sia chi celebri i partigiani jugoslavi. Sarebbe già molto grave quanto denunciato dall’associazione Dalmati italiani che ha espresso la propria indignazione per la presenza nel corteo dei sindacati del primo maggio a Trieste di bandiere jugoslave e italiane con la stella rossa e di «titovize», il copricapo partigiano jugoslavo, ma l’utilizzo delle bandiere dei partigiani comunisti diventa sconcertante se ad esporla è un comune italiano.

È quanto avvenuto nella sede del Municipio di San Dorligo della Valle, paese di quasi seimila abitanti al confine con la Slovenia, dove proprio il primo maggio, insieme al tricolore italiano, alla bandiera del comune e a quella europea, è stata esposta la bandiera dei partigiani sloveni di Jugoslavia in cui campeggia la stella rossa. A denunciare l’accaduto è Francesco Clun, responsabile provinciale di CasaPound e figlio di esuli istriani, ma l’indignazione tra i cittadini è diffusa nonostante il sindaco Sandy Klun, eletto con una coalizione di sinistra sostenuta dal Pd, cerchi di minimizzare l’accaduto. Raggiunto telefonicamente, ci tiene a sottolineare di essere di madrelingua slovena e afferma di aver esposto la bandiera perché rappresenta «la lotta per la liberazione da parte degli sloveni» e, quando gli domandiamo perché non esponga la bandiera dei partigiani italiani, la sua risposta da rappresentante delle istituzioni della Repubblica italiana lascia di stucco: «Non abbiamo nulla contro gli italiani, si convive da sempre».

La scelta di esporre la bandiera dei partigiani titini rappresenta già di per sé una decisione controversa e divisiva nonostante le giustificazioni del sindaco ma diventa una vera e propria provocazione e una presa di posizione di carattere politico e non istituzionale se avviene in una data simbolica come il primo maggio. Non a caso il Senatore Luca Ciriani, capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, esprime la propria indignazione e chiede le dimissioni del primo cittadino auspicando l’intervento del prefetto e del ministro dell’Interno e sottolineando come un sindaco italiano dovrebbe onorare la memoria della propria nazione.

L’utilizzo delle bandiere titine non è una novità da queste parti, già da un po’ di anni durante la manifestazione dei sindacati del primo maggio, sventolano nelle strade di Trieste senza che gli organizzatori intervengano per isolare chi inneggia ai partigiani titini, sorge il dubbio che chi a parole dice di volere una pacificazione, nei fatti continui a fomentare l’odio ricordando uno dei periodi più bui per la storia triestina e italiana.

FONTE – http://www.ilgiornale.it/news/politica/quelle-bandiere-titine-corteo-i-sindacati-1688072.html?mobile_detect=false

Addio a Giancarlo Cioffi, l’eroe della carica di Isbuscenskij

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Si è spento a 98 anni uno dei reducit dell’ultima carica di cavalleria del Regio Esercito sulle rive del Don, nella disastrosa campagna di Russia

Sciabola al vento contro i mitragliatori sovietici: è così che Giancarlo Cioffi ha impresso sulla storia il suo nome, insieme a quelli dei commilitoni che hanno dato vita all’ultima carica di cavalleria della storia.

Quella che è passata nei libri come la carica di Isbuscenskij.

Nato a Milano nel 1921, c’era anche lui tra gli eroi che diedero vita a quella eroica e drammatica carica nella steppa russa, nel pieno della campagna di Russia. A quel tempo era sottufficiale di cavalleria: dopo, al ritorno dalla disfatta dell’Armir sul dorso del suo fedelissimo cavallo, Violetto, divenne architetto. La sciabola rimase riposta nella guaina, ma la sua figura no, diventata presto leggenda fra i reparti dell’esercito che ieri hanno accolto la notizia della sua morte, a 98 anni, con onore e rispetto, consapevoli che i simboli sono destinati a rimanere immortali.

Perché quella carica è stata veramente leggenda. Spada contro mitra, cavalli contro artiglieria, spade sguainate con il volto rivolto al sole e la consapevolezza di andare incontro a una morte praticamente certa. Eppure gli italiani dell’Armir non si fermarono: confermando il valore dei nostri uomini in una campagna disastrosa come quella di Russia. In quell’ultimo eroico assalto di cavalleria lui c’era. E c’era non solo nella carica col suono delle trombe che copriva le sventagliate dei mitra sovietici, ma anche dopo, quando il comandante fece scendere dalla sella i soldati rimasti per coprire i cavalieri ancora lanciati verso il nemico. Era una calda giornata delle afose estati sulle rive del Don. Il reggimento Savoia cavalleria, 700 uomini (fra cui oltre Cioffi, Alessandro Bettoni Cazzago, Giancarlo Conforti, Luigi Gianoli, Silvano Abba) erano fermi protetti dalla Voloire. All’alba, riprendendo la marcia, una pattuglia in avanscoperta si accorse che l’812esimo Reggimento siberiano li aveva circondati: era la fine. I russi iniziarono a sparare, poi, dopo una rapida riflessione da parte del comandante Bettoni Cazzago, appena sfiorato da un proiettile, la scelta, l’unica, quella disperata: carica. Il Secondo squadrone parte a sciabole sguainate e lanciando bombe a mano. Una scena rimasta immortale in una cartolina in bianco e nero che narra quella carica. Poi iniziano gli altri. Alle 9:40 del mattino, la battaglia era finita. Sul campo, rimasero 34 soldati italiani e cento cavalli, 150 le vittime fra i sovietici che dovettero anche ritirarsi.

Cioffi, come racconta Il Giorno, non ha mai fatto mistero di essere rimasto un sergente di cavalleria anche dopo, quando la guerra è finita. Anche nell’ultimo documentario su Isbuscenskij, il sergente amava raccontare la sua storia: “Indossai la prima uniforme da bambino nel 1928 e da allora non me la sono mai levata. Quando scoppiò la guerra pensai che anch’ io dovevo fare ciò che potevo e quindi mi arruolai nel Quarto squadrone del Reggimento del Savoia cavalleria (ora incardinato nella Brigata paracadutisti Folgore ndr) che aveva sede a Milano“. Il colonnello Ermanno Lustrino, attuale comandante del Savoia, ha ricordato così il sergente Cioffi: “Siamo tristi per averlo perso, ma felici che Dio ce lo abbia conservato così a lungo: non ho mai conosciuto nessuno che con uno sguardo soltanto riuscisse a trasmettere tanta forza“. E non poteva essere altrimenti.

fonte – http://www.ilgiornale.it/news/cronache/addio-giancarlo-cioffi-leroe-carica-isbuscenskij-1687585.html?mobile_detect=false

Orban porta Salvini al confine ungherese: ​”Così ci difendiamo dai migranti”

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Il faccia a faccia per tessere una nuova alleanza in Europa. Orban porta Salvini a Roeszke: “Ecco come difendiamo i confini dai migranti”

Un Partito popolare europeo che distolga lo sguardo da sinistra, stracciando l’alleanza degli ultimi anni con i socialisti e che si rivolga invece verso destra, verso il nuovo gruppo sovranista a cui sta lavorando Salvini. A quella che sembra una missione impossibile, visti gli orientamenti attuali a Strasburgo e Bruxelles della dirigenza del Ppe, mirano il leader del Carroccio e un peso “massimo” dei futuri equilibri europei come Orban, recentemente sospeso dal Ppe proprio per le sue posizioni estremiste. Oggi Salvini è appunto in visita istituzionale a Budapest e, in qualità di ministro dell’Interno, avrà un bilaterale con l’omologo Pinter. Ma non è un mistero che il vero motivo del viaggio è mettere sul tavolo del leader di Fidesz le future alleanze in vista del voto del 26 maggio.

Ieri, nel corso di un comizio elettorale a Tivoli, Salvini ha spiegato che la visita da Orban servirà “a costruire un’Europa diversa che protegga i confini e la nostra cultura”. “Dipende dagli elettori, dipende da come voteranno i cittadini italiani – ha continuato il vice premier – se scelgono la Lega, quello che stiamo facendo in Italia lo faremo in Europa ovviamente alleandoci con tutti tranne che con la sinistra”. L’ultimo incontro ufficiale tra i con il premier ungherese risale allo scorso agosto, a Milano, nella sede della prefettura. “Salvini ha un ruolo politico importante, noi abbiamo interesse a consolidare con lui un buon rapporto – ha spiegato ieri Orban in una intervista alla Stampa – la gente qui lo vede come un compagno della stessa sorte, subiamo entrambi attacchi, ma lui è l’eroe che ha fermato per primo le migrazioni dal mare, noi sulla terra”.

Con Salvini Orban non ha parlato “solo di temi bilaterali”, ma “anche di affari di partito”. E per questo lo ha portato a Roeszke, al confine con la Serbia, dove gli ha fatto vedere come gli ungheresi difendono la frontiera. E anche su queste tematiche (il controllo dell’immigrazione di massa e la difesa dei confini) che dovrebbe stringersi la nuova alleanza tra Lega e Fidesz, portando così il primo partito di Budapest fuori dall’alveo del Partito popolare europeo. “Il Ppe – ha accusato Orban – si sta preparando a compiere un suicidio, vuole legarsi alla sinistra e così andare insieme a fondo. La verità è che non abbiamo successo, abbiamo sempre meno primi ministri del Ppe e avremo anche meno seggi”.

fonte – http://m.ilgiornale.it/news/2019/05/02/orban-porta-salvini-al-confine-ungherese-cosi-ci-difendiamo-dai-migran/1687579/

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