Perché la mafia nigeriana prospera in Italia
di Lorenza Formicola
Le due maxi operazioni di queste settimane della Polizia di Stato tra Marche, Abruzzo e Sicilia sono l’ennesima prova che questo Paese ha un problema serissimo con la mafia nigeriana. I 47 fermati per associazione mafiosa, riciclaggio, tratta di esseri umani, droga, reati violenti o punitivi, sfruttamento alla prostituzione ed illecita intermediazione finanziaria, hanno scoperchiato l’ennesimo vaso di Pandora sulla criminalità organizzata nigeriana in Italia. Le confraternite Eiye e Mephite radicate in Nigeria, ma diffuse in molti Stati europei ed extraeuropei, non hanno niente da invidiare per struttura e forza intimidatoria alle mafie tradizionali. Anzi. L’Italia è il principale porto per la mafia africana. Addirittura un rapporto Iom-Onu del 2017 indicava un incremento del 600% del numero di potenziali vittime di traffico sessuale arrivate in Italia via mare e la maggior parte provenienti dalla Nigeria.
La mafia nigeriana è strettamente legata all’immigrazione clandestina e le accuse legate alla contraffazione e alterazioni di documenti per la permanenza clandestina sul territorio italiano lasciano ancora una volta poco spazio alle teorie di chi prova a sostenere il contrario.
Le due operazioni hanno reso possibile ricostruire l’anima profonda di queste cellule criminali. I nigeriani venivano identificati come membri della cellula “Family Light House of Sicily”, a sua volta collegata alla confraternita criminale “Mephite”, attiva nel catanese, ma anche a Palermo, Messina e Caltanissetta, da dove operava Ede Osagiede. A Catania invece il boss era Godwin Evbobuin. I soggetti arrestati tra Ancona, Ascoli Piceno e Teramo erano tutti membri di un “Nest” (nido), una delle tante cellule attive nel cosiddetto “Aviary” italiano della “Supreme Eiye Confraternity” che si contende il territorio con altre confraternite come la “Black Axe”, i “Viking” e, appunto, i “Maphite”. Continua a leggere