Sulla questione del merito
di Davide D’Intino
Fonte: Davide D’Intino
Sulla questione del merito, tornata in voga in questi giorni, destra e sinistra fondano le rispettive posizioni sull’individuo e non, come invece va fatto, sulla comunità. L’obiettivo non dovrebbe infatti essere quello di elevare il singolo, ma quello di elevare la comunità, realizzando un sistema educativo e sociale capace di mettere i cittadini nelle condizioni migliori per creare valore aggiunto alla comunità, elevando la Patria.
Da un lato, c’è la destra, orientata giustamente alla valorizzazione di chi si contraddistingua per la capacità di mettere a frutto i propri talenti, con impegno e dedizione. Ma questa destra vorrebbe farlo senza rimuovere o limitare gli ostacoli economico-culturali che impediscono a chi nasca e cresca in condizioni oggettivamente inidonee alla sue propensioni innate – rispetto alle quali, come ci ha insegnato Platone, non c’è una necessaria corrispondenza tra genitori e figli – di esprimere le proprie potenzialità.
Dall’altro, c’è la sinistra, orientata giustamente a rimuovere le disuguaglianze a monte, le condizioni di iniquità oggettive che, a seconda della estrazione socio-economico-culturale, quindi anche territoriale, in una parola di ambiente, penalizzano o premiano il singolo in maniera aprioristica, quindi ingiusta. Ma questa sinistra vorrebbe farlo eliminando la gerarchia di qualunque ordine e grado, cioè livellando verso il basso la comunità, soffocando i talenti, quali che siano a seconda degli ambiti, secondo la logica – altrettanto iniqua – del sei politico.
A ciò una postilla: leggo, da una parte e dall’altra, che la madre delle questioni sarebbe l’elevazione culturale del singolo, la quale passerebbe attraverso un’istruzione necessariamente teoretico-intellettuale. Ma perché mai si dovrebbe, ad esempio, soffocare il talento di chi abbia una propensione per la manualità e scarsa attitudine all’astrazione, costringendolo a sgobbare sui libri?
L’obiettivo di una società equa e con una corretta gerarchia sociale, non è quello di realizzare una società di intellettuali, per usare un’iperbole, ma quello di mettere ciascuno nelle condizioni migliori – e non mi parlate delle borse di studio, l’equivalente di un cerotto per arrestare l’emorragia di un’arteria – per esprimere le proprie potenzialità a beneficio di sé e, soprattutto, della comunità.