Lo stato dell’economia Usa: verso il punto di non ritorno?

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di Giacomo Gabellini

Fonte: L’Antidiplomatico

Gli Stati Uniti hanno un serio problema di statistiche, specialmente in materia di rilevazione della disoccupazione. Nonostante le autorità di Washington e i mezzi informativi continuino a parlare di “miracolo occupazionale”, i dati indicano che su una popolazione di circa 332 milioni di persone e una forza lavoro che alla fine di gennaio annoverava 265,92 milioni di individui, ben 100,130 milioni di adulti risultavano inoccupati. Il tasso di partecipazione della forza lavoro alla crescita economica oscilla ormai da anni tra il 62 e il 63%, attestandosi ai livelli più bassi dalla fine degli anni ’70, quando ancora si avvertiva pesantemente l’impatto generato dallo sganciamento del dollaro dall’oro e dagli shock petroliferi.

L’economista e statistico John Williams ha richiamato l’attenzione sull’inadeguatezza dei metodi di rilevazione impiegati dalle autorità nazionali, evidenziando che il tasso ufficiale di disoccupazione (U-3) adoperato dalla Federal Reserve tiene conto soltanto del totale dei disoccupati in percentuale rispetto alla forza lavoro. Il Bureau of Labor Statistics (Bls) prende invece in esame un bacino più ampio (U-6), ricavabile dalla sommatoria tra il numero dei disoccupati e l’ammontare complessivo degli individui impiegati con contratti part-time ma anelanti a lavorare a tempo pieno, oltre al computo delle persone che hanno lavorato per un certo periodo negli ultimi 12 mesi ma che al momento non lavorano né sono alla ricerca di un’occupazione e soffrono di questa condizione di disagio dovuta al particolare stato del mercato del lavoro. Nell’ottica di Williams, una statistica capace di riflettere il reale stato occupazionale del Paese deve tassativamente ricomprendere tanto il tasso U-6 quanto i lavoratori scoraggiati di lungo termine.

Qualora Federal Reserve e Bls applicassero un simile metodo di rilevazione, il tasso di disoccupazione effettivo lambirebbe attualmente la soglia critica del 24,5%. Una percentuale di ben sette volte superiore al tasso ufficiale stimato dalla Fed (3,4%), che ridicolizza la narrazione dominante propugnata da istituzioni e organi di stampa circa il “rivoluzionamento” del mercato del lavoro statunitense, asseritamente passato dall’offrire appena un posto di lavoro per ogni 3,1 disoccupati nel dicembre 2012 a garantire due posti di lavoro per ogni disoccupato nel dicembre 2022. Il rapporto tra disoccupati e posti di lavoro disponibili rappresenta un indicatore tutt’altro che affidabile, perché si presta a una serie di distorsioni particolarmente insidiose. Tanto per cominciare, non tiene conto dei criteri di accessibilità, né del fatto che molti statunitensi svolgono due o addirittura tre lavori simultaneamente.

Allo stesso tempo, l’entità del dato concreto relativo alla disoccupazione ridimensiona enormemente la spinta equilibratrice prodotta dai fenomeni in forte crescita della sindacalizzazione – giunta a coinvolgere gli impiegati presso colossi quali Amazon, Alphabet, Microsoft e Starbucks – e degli scioperi. Il marxiano “esercito di riserva” del capitale rimane assai cospicuo, e continua a fungere – a dispetto della ostentata crescita dei salari reali registrata nel 2022 – da calmieratore delle retribuzioni. L’ostentata crescita dei salari nominali registrata nel 2022 è infatti stata ampiamente compensata dall’aumento vertiginoso dei prezzi al consumo, delle bollette elettriche, delle auto (sia nuove che usate), del carburante e dei generi alimentari verificatosi entro lo stesso arco temporale. Si parla di un crollo dei salari reali pari all’1,7% su base annua, tradottosi non in un proporzionale e concomitante decremento dei consumi, ma in un colossale ridimensionamento degli “accantonamenti prudenziali”.

Combinandosi alla penalizzazione del consumo prodotta dai provvedimenti governativi atti a limitare la diffusione del virus Covid-19, le misure straordinarie a sostegno di famiglie e imprese approvate in seguito allo scoppio della crisi pandemica dall’amministrazione Biden in accordo con il Congresso hanno agevolato un ingente accumulo di risparmi da parte della popolazione statunitense che tendevano ad assottigliarsi in coincidenza con ogni singola riapertura. Lo si evince dai dati, attestanti la sincronia tra le chiusure e i maggiori incrementi della percentuale di risparmio rispetto al reddito. All’aumento dall’8,7 al 26,4% tra il quarto trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 fece seguito un crollo al 13,7% al quarto trimestre dello stesso anno. Si verificò quindi una risalita al 20,4% al primo trimestre 2021, anticipatrice di una caduta rovinosa e costante che ha ridotto la disponibilità di risparmi rispetto al reddito ad un “misero” 2,9% alla fine del quarto trimestre 2022.

All’aumento incontrollato dell’inflazione, alimentata dalla doppia spinta esercitata dai sostegni straordinari alla popolazione erogati dal governo e da una bulimia di consumo non compensata da produzione autoctona, la Federal Reserve reagì intraprendendo un processo di “normalizzazione monetaria” implicante l’aumento graduale dei tassi di interesse associato a una brusca stretta creditizia.

Per i nuclei famigliari che avevano beneficiato dei sussidi pubblici e dei tassi a zero applicati in epoca pandemica dalla Federal Reserve per contrarre mutui immobiliari, la manovra della Fed si è tradotta in un vero e proprio bagno di sangue, perché ha comportato un drastico aumento degli oneri debitori a carico di nuclei familiari con disponibilità di risparmio già falcidiate dall’inflazione. La situazione appare enormemente problematica, specialmente alla luce dei dati emersi da un recente sondaggio condotto da Lending Club secondo cui il 64% dei consumatori statunitensi — circa 166 milioni di persone — si vede costretto ad operare sistematici razionamenti alle proprie spese, e il 51% dei cittadini statunitensi (contro il 42% registrato lo scorso anno) che percepisce un reddito annuo pari o superiore ai 100.000 dollari non riesce ad accantonare il becco di un dollaro.

All’atto pratico, più che a placare le fiammate inflazionistiche e le rivendicazioni salariali, l’incremento tendenziale dei tassi varato dalla Federal Reserve sembra rispondere alla necessità tassativa che gli Usa hanno di richiamare capitali dall’estero per finanziare i loro squilibri strutturali. Gli Stati Uniti hanno chiuso il 2022 con un disavanzo commerciale pari a 1.181 miliardi di dollari, un deficit di bilancio pari a 1.400 miliardi di dollari e un debito federale pari a 31.420 miliardi di dollari. Ma non è tutto. Dopo esser migliorata, passando da 18.124,293 a 16.285,837 miliardi di dollari di passivo (-1.838,456 miliardi) tra il quarto trimestre del 2021 e il secondo trimestre del 2022, la loro posizione finanziaria netta è tornata a peggiorare rapidamente, giungendo a 16.710,798 miliardi di dollari di passivo nel terzo trimestre 2022 (+424,961 miliardi), nonostante l’immane deflusso di capitali dalla sponda europea a quella americana dell’Atlantico verificatosi in seguito alla degenerazione del conflitto russo-ucraino.

I dati indicano che, tra il settembre e l’ottobre 2022, l’esposizione in Treasury Bond statunitensi del Giappone era diminuita da 1.120,2 a 1.064,4 miliardi di dollari; quella della Repubblica Popolare Cinese, da 933,6 a 877,8 miliardi; quella del Regno Unito, da 664,8 a 641,3 miliardi; quella delle Isole Cayman, da 301,5 a 291,5 miliardi; quella del Lussemburgo, da 299,6 a 298,1 miliardi; quella della Svizzera, da 277,7 a 258,4 miliardi; quella dell’Irlanda, da 265,4 a 244,9 miliardi; quella del Brasile, da 226,4 a 220,1 miliardi; quella di Taiwan, da 216,9 a 214,6 miliardi; quella di Singapore, 177,5 a 175,8 miliardi; quella della Corea del Sud, da 105,3 a 98,7 miliardi; quella della Norvegia, da 99,6 a 95,7 miliardi. Complessivamente, il volume delle detenzioni internazionali di Treasury Bond statunitensi era diminuito tra settembre e ottobre di ben 170,9 miliardi di dollari (da 7.302,6 a 7.131,7 miliardi di dollari), che andavano a sommarsi ai 243 miliardi di dollari (da 7.545,6 a 7.302,6 miliardi) di passivo registrati il mese precedente, nonostante la Federal Reserve avesse portato i tassi di interesse dallo 0,25 al 2,5% tra marzo e settembre. Posta di fronte all’evidenza, la Banca Centrale Usa ha quindi impresso una ulteriore accelerata al processo di “normalizzazione monetaria”, con ben sei correzioni che hanno portato i tassi al 4,75% al febbraio 2023 e il volume complessivo degli investimenti internazionali in Treasury Bond a quota 7.273,6 miliardi di dollari ad ottobre. Un incremento su base mensile (141,9 miliardi) piuttosto modesto se rapportato allo sforzo profuso dagli Usa per accumularlo (una stretta creditizia potenzialmente letale per milioni di cittadini statunitensi), che certifica per di più le crescenti difficoltà in cui Washington va imbattendosi nel tentativo di perpetuare il funzionamento del sistema parassitario instaurato con il ripudio degli Accordi di Bretton Woods ad opera dell’amministrazione Nixon.

Specie a fronte delle allarmanti statistiche fornite dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi), che in un rapporto redatto nel marzo 2022 parlò esplicitamente di «erosione del dominio del dollaro» in riferimento al netto ridimensionamento (dal 71 al 59% tra il 2000 e il 2021) della quota di riserve valutarie mondiali espresse in valuta statunitense dovuto a una migrazione generalizzata verso monete alternative alle tradizionali “big four” (dollaro, euro, sterlina e yen). Da un altro documento datato dicembre 2022 emergeva che il volume dei crediti espressi in dollari detenuti dalla rete bancaria globale era calato da 7.092,31 a 6.441,65 miliardi di dollari tra il terzo trimestre del 2021 e il terzo trimestre 2022.

Un anno di guerra in Ucraina: il bilancio dalla prima alla quarta fase (“trasformativa”)

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di Roberto Buffagni

Fonte: L’Antidiplomatico

In questo scritto ripercorro, con la massima brevità e chiarezza, il percorso e le dinamiche strategiche che hanno condotto alla presente quarta fase della guerra in Ucraina, una fase che ritengo trasformativa. Non inserisco note tranne una, relativa a un significativo studio della RAND Corp., pubblicato mentre elaboravo questo testo, a fine gennaio 2023. Chi desidera informarsi sulle mie analisi precedenti, e trovare la documentazione dei fatti e delle interpretazioni a cui qui mi riferisco, può visitare i siti italiaeilmondo.com e l’antidiplomatico.it, inserendo nella funzione di ricerca il mio nome e la parola “Ucraina”, e/o le altre parole chiave presenti nel testo.
Ringrazio sentitamente il generale Marco Bertolini, lo storico Giacomo Gabellini, e il responsabile del sito italiaeilmondo.com Giuseppe Germinario, che mi hanno usato la bontà di leggere in bozza questo testo e consigliarmi. Ovviamente è solo mia la responsabilità dei difetti e dei limiti dell’articolo.

Eziologia della guerra in Ucraina. Natura e scopi della guerra dai punti di vista russo e occidentale.
Sull’eziologia della guerra in Ucraina condivido l’interpretazione storica del prof. John Mearsheimer. È la conseguenza dell’espansione a Est della NATO, e della volontà statunitense di creare un bastione militare occidentale alla frontiera russa, integrando l’Ucraina nella NATO: una strategia che la Federazione russa ha dichiarato assolutamente inaccettabile sin dal Summit NATO di Bucarest 2008 in cui venne annunciata l’intenzione di integrare nell’Alleanza Atlantica Georgia e Ucraina.
Negli anni tra il 2008 e il 2022, gli USA integrano gradualmente l’Ucraina nella NATO, sebbene de facto e non de jure. Nel 2014 danno impulso alla destabilizzazione del governo in carica e all’insediamento di un governo ucraino a loro favorevole, e negli anni seguenti portano a livello di preparazione e armamento NATO le FFAA ucraine. Nel 2014 la Federazione russa si annette la Crimea, senza conflitto militare. Il 2021 vede una significativa accelerazione del processo di integrazione de facto dell’Ucraina nella NATO: importanti forniture di armamenti, grandi esercitazioni militari in comune, e nel novembre 2022 rinnovo della convenzione bilaterale USA – Ucraina che ribadisce la comune intenzione di integrare l’Ucraina nella NATO anche de jure.
Secondo questa interpretazione eziologica, dal punto di vista russo la guerra in Ucraina è una guerra preventiva in difesa di interessi vitali russi, e non una guerra imperialistica di annessione/conquista che, se coronata da successo, può preludere a ulteriori espansioni territoriali russe in Europa. Quest’ultima è invece la definizione della natura e degli scopi dell’intervento russo adottata dagli Stati occidentali.

Prima fase della guerra (dal 24 febbraio alla primavera 2022). Escalation militare russa: invasione dell’Ucraina. Escalation politica occidentale: rifiuto di ogni trattativa diplomatica.
Nel dicembre 2022 la Federazione russa, che nei mesi precedenti ha schierato alla frontiera ucraina un contingente militare pronto all’intervento, propone agli USA una soluzione diplomatica, nell’insolita forma di bozza di trattato resa pubblica. Le principali richieste russe sono, in sostanza: Ucraina neutrale e applicazione effettuale degli accordi di Minsk per la tutela delle popolazioni russofone del Donbass, dove dal 2014 è in corso una guerra civile appoggiata ufficiosamente dai governi ucraino e russo. Gli Stati Uniti non rispondono alla proposta in forma ritenuta soddisfacente dai russi (rinviano, traccheggiano, ricorrono alla “strategic ambiguity”).
Il 24 febbraio 2022 la Federazione russa interviene militarmente in Ucraina. Non è possibile sapere con certezza perché abbia scelto proprio questo momento. Forse – ma è solo una mia inferenza logica – perché in base alle informazioni in suo possesso, la Federazione russa ritiene che l’esercito ucraino stia per intervenire in forze contro le milizie del Donbass, schierando poi il grosso delle truppe nelle postazioni difensive fortificate ivi costruite nel corso degli anni, in modo da prevenire il possibile intervento militare russo e renderlo molto più difficile, costoso, incerto.
I russi intervengono con un contingente militare di circa 180-200.000 uomini, in condizioni di inferiorità numerica di 3:1 circa rispetto all’esercito ucraino, sebbene i manuali tattici prescrivano una proporzione inversa attaccanti/difensori (almeno 3:1 a favore dell’attaccante, per compensare il vantaggio della difesa). Sviluppano attacchi su cinque direttrici, sia al Sudest, sia al Nordovest dell’Ucraina. Gli attacchi nel Nordovest sono attacchi secondari, un’ampia manovra diversiva volta a fissare truppe ucraine a difesa di Kiev e degli altri centri interessati dalla manovra, per modellare il campo di battaglia nel Sudest, nel Donbass, dove si dirigono gli attacchi principali. Così interpretando la manovra russa aderisco all’articolata interpretazione che ne ha dato “Marinus”, probabilmente pseudonimo del Ten. Gen. (a riposo) Paul Van Riper, Corpo dei Marines, nello studio pubblicato sui numeri di giugno e agosto 2022 della “Marine Corps Gazette”, che ho tradotto in italiano, commentato e pubblicato sui siti citati in apertura.
Nel giro di tre-quattro settimane la manovra diversiva russa ha successo. A fine marzo, le truppe russe che hanno sviluppato gli attacchi secondari nel Nordovest si ritirano, mentre il grosso delle forze russe si schiera in quasi tutto il Donbass, infliggendo pesanti perdite anzitutto materiali all’esercito ucraino grazie alla netta superiorità nella potenza di fuoco d’artiglieria e missilistico. L’azione militare russa evita accuratamente di coinvolgere i civili, non tocca le infrastrutture a doppio uso civile e militare (es., la rete elettrica) e si configura insomma come “diplomazia armata”: i russi tentano di ottenere, con una moderata pressione militare, gli obiettivi che non hanno raggiunto con la pluriennale, crescente pressione diplomatica.
Fino alla fine di marzo 2022 pare che la “diplomazia armata” russa possa avere successo: tra il 24 febbraio e la fine di marzo si tengono sette incontri diplomatici tra Russia e Ucraina, e a fine marzo il presidente Zelensky dichiara ufficialmente a media russi indipendenti di essere pronto a trattare la neutralità dell’Ucraina e la soluzione del problema delle popolazioni russofone del Donbass.

Prima escalation politica occidentale
Ma il 7 aprile 2022 il Premier britannico Boris Johnson fa visita al presidente ucraino Zelensky, e dichiara ufficialmente che “L’Ucraina ha rovesciato i pronostici [“defied the odds”] e ha respinto le forze russe alle porte di Kiev, realizzando il più grande fatto d’armi del 21° secolo “. Da quel momento in poi, cessa ogni rapporto diplomatico tra Ucraina e Federazione russa.
L’interpretazione conforme la quale la piccola Ucraina ha sconfitto sul campo la grande Russia si fonda su una lettura delle prime settimane di guerra radicalmente diversa da quella che ho proposto più sopra. Secondo questa interpretazione, obiettivo russo sarebbe stato la presa di Kiev e il “regime change”, il rovesciamento del governo ucraino e la sua sostituzione con un governo fantoccio favorevole alla Russia, e gli attacchi nel Nordovest sarebbero attacchi principali falliti, non attacchi secondari nel quadro di un’ampia manovra diversiva. È una interpretazione possibile, che se rispondente al vero denuncia una grave inadeguatezza militare e politica della Federazione russa: impossibile raggiungere obiettivi tanto ambiziosi con un dispiegamento di forze così ridotto e una così bassa intensità del conflitto.
Su questa interpretazione dei fatti militari, errata o corretta, in buonafede o strumentale che sia, fanno leva le fazioni più oltranziste nel campo occidentale e nel governo ucraino. Si cristallizza in Occidente la certezza ufficiale che sia possibile infliggere una sconfitta militare decisiva alla Russia, e che sia dunque realistico proporsi obiettivi strategici massimalisti, quali il dissanguamento della Russia e la sua destabilizzazione politica per mezzo sia della pressione militare, sia delle sanzioni economiche, sia dell’attivazione delle forze centrifughe. Obiettivo finale, l’espulsione della Russia dal novero delle grandi potenze, l’insediamento di un governo favorevole all’Occidente, eventualmente la frammentazione politica della Federazione russa.
Questi obiettivi massimalisti vengono rivendicati ufficialmente il 24 aprile dai Segretari alla Difesa e di Stato USA. I paesi europei e NATO, tranne la Turchia e l’Ungheria, si allineano senza fiatare e votano con maggioranze parlamentari schiaccianti durissime sanzioni economiche alla Russia e l’invio di armi all’Ucraina. Le storicamente neutrali Svezia e Finlandia annunciano la loro intenzione di chiedere l’adesione alla NATO.

La “diplomazia armata” russa è fallita.
Seconda fase della guerra (primavera – metà estate 2022). Conquista russa del Donbass. La condizione di possibilità di una vittoria ucraina.
Prosegue con successo la conquista russa del Donbass, con scontri urbani molto violenti, casa per casa, a Mariupol e altrove. Le truppe russe impegnate sulla linea di contatto col nemico sono principalmente le milizie del Donbass, le formazioni di volontari ceceni, e il gruppo Wagner. Le formazioni dell’esercito regolare russo agiscono anzitutto (non solo) in appoggio, con l’artiglieria, i missili e il comando operativo. L’azione militare russa continua a non interessare le infrastrutture a doppio uso, militare e civile, dell’Ucraina.
Il rapporto tra le perdite ucraine e le perdite russe è nettamente sfavorevole agli ucraini, sia per la superiorità della potenza di fuoco russa, sia perché le operazioni militari ucraine sono fortemente influenzate dalla necessità di giustificare, presso i governi e le opinioni pubbliche occidentali, il colossale e quasi unanime sostegno politico e finanziario all’Ucraina, che ha gravi ricadute politico-economiche sui paesi europei, anzitutto la Germania che si vede esclusa dalla fornitura di energia russa a basso prezzo sulla quale basa le sue fortune economiche da decenni.
In sintesi gli ucraini sono costretti a “vendere” con i risultati sul campo, con una inflessibile resistenza e una costante aggressività, la sostenibilità politica dell’indispensabile appoggio occidentale: deve essere e restare plausibile la prospettiva di una futura vittoria militare dell’Ucraina sulla Russia.
Ovviamente la valorosa resistenza ucraina non va ascritta a ciò soltanto: per un’ampia quota della popolazione, il conflitto con la Russia è divenuto una guerra di liberazione nazionale, che si integra con una guerra civile e con una guerra per procura tra Russia e Stati Uniti d’America – NATO.

La condizione di possibilità di una vittoria militare ucraina
La condizione di possibilità una vittoria militare decisiva dell’Ucraina sulla Russia, però, si fonda su un presupposto.
È il presupposto che fa da principio ordinatore della strategia di deterrenza du faible au fort elaborata dal gen. Gallois in vista della creazione della force de frappe nucleare francese: rendere sfavorevole, per il fort (la potenza più forte), il rapporto costi/benefici della vittoria sul faible (la potenza più debole). Impiegando a fondo le sue maggiori risorse, la grande potenza nucleare che aggredisse la Francia potrebbe senz’altro distruggerla totalmente, ma l’attivazione della force de frappe nucleare del faible infliggerebbe comunque al fort danni politicamente inaccettabili.
In parole povere ma chiare: per vincere, la potenza più debole deve fare in modo che per la potenza più forte, il gioco della vittoria non valga la candela di una guerra a oltranza. L’Ucraina è il faible, la Russia il fort.
Anche con l’aiuto occidentale, le risorse strategiche ucraine (popolazione, potenza latente economica, potenza manifesta militare, truppe mobilitate e mobilitabili, profondità strategica) restano di interi ordini di grandezza inferiori alle risorse strategiche russe, perché la Russia ha 145 MLN di abitanti, può mobilitare un massimo di 25 MLN di uomini, ha enormi risorse naturali e la capacità di trasformarle, un’ampia base industriale militare, e una profondità strategica di 11 fusi orari. (“Profondità strategica” è lo spazio amico entro il quale un esercito attaccato e respinto può ripiegare, riorganizzarsi, passare al contrattacco, come fecero appunto i sovietici dopo la devastante serie di sfondamenti della Wehrmacht all’esordio dell’Operazione Barbarossa, quando i sovietici trasferirono oltre la catena degli Urali milioni di uomini e numerose industrie strategiche situate nella Russia europea, e fecero affluire verso il fronte i reparti militari di stanza in Oriente, integrandoli con i reparti sfuggiti agli accerchiamenti tedeschi).
Ripeto: una potenza nettamente più debole può vincere contro una potenza nettamente più forte solo se rende il rapporto costi/benefici della vittoria sfavorevole per la potenza nemica. È una vittoria a caro prezzo (guerra del Vietnam: caduti USA 58.000, caduti Vietnam 849.000 + 300-500.000 dispersi, stime governative) ma è una vittoria possibile.
È così che Vietnam e Afghanistan hanno vinto contro USA e URSS, che disponevano entrambe di risorse strategiche di gran lunga superiori. Se le due potenze maggiori avessero deciso di impegnare a fondo le loro risorse strategiche, Vietnam e Afghanistan non avrebbero potuto evitare una sconfitta totale. USA e URSS non lo hanno fatto perché lo hanno ritenuto politicamente insostenibile: perdite troppo elevate, impegno politico, economico e militare a lunga scadenza inaccettabile, crescente opposizione interna alla guerra, etc. In sintesi USA e URSS hanno deciso di perdere perché hanno valutato che per loro, il rapporto costi/benefici della sconfitta fosse più vantaggioso del rapporto costi/benefici della vittoria.

La posta in gioco per la Russia
Ma gli obiettivi strategici dichiarati ufficialmente dal governo USA e rilanciati da NATO e paesi europei sono obiettivi massimalisti: dissanguamento e permanente indebolimento della potenza economica e militare russa, destabilizzazione del governo, attivazione delle forze centrifughe interne alla Federazione russa, espulsione della Russia dal novero delle grandi potenze, possibile sua frammentazione politica. Particolarmente temibile, per la Russia che si è formata storicamente come impero multietnico, multinazionale, multireligioso, la possibilità di un’attivazione delle forze centrifughe etniche, religiose, nazionali, in uno scenario analogo allo jugoslavo degli anni Novanta.
Gli obiettivi dichiarati dall’Occidente configurano insomma una minaccia esistenziale per il governo, lo Stato, la società e le nazioni russe. I dirigenti russi dunque si persuadono che nella guerra ucraina sia in gioco la posta assoluta, sono disposti letteralmente a tutto per vincerla, e lo dicono ripetutamente in forma ufficiale. Saranno dunque disposti, anzi costretti a impiegare a fondo tutte le risorse strategiche russe per vincere la guerra: per vincere l’Ucraina, ed eventualmente, se si arrivasse a un conflitto diretto, anche la NATO.
Viene così a cadere la condizione di possibilità di una futura vittoria ucraina: che per la Russia il gioco della vittoria sull’Ucraina non valga la candela della guerra a oltranza. Per vincere la Russia, l’Ucraina e i suoi alleati occidentali devono ottenere la vittoria decisiva su una Federazione russa disposta o meglio obbligata ad impegnare a fondo, per tutto il tempo necessario, tutte le sue risorse strategiche: in sintesi, farla capitolare.
Al contempo gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali, impegnandosi pubblicamente a raggiungere obiettivi massimalistici, si chiudono lo spazio di manovra diplomatica e fanno salire fino al cielo la posta politica in gioco per le loro classi dirigenti, che rischiano di essere spazzate via da una sconfitta; malgrado che un esito sfavorevole della guerra non danneggi, in quanto tale, gli interessi vitali delle loro nazioni, nessuna delle quali rischia la destabilizzazione o peggio in seguito a una sconfitta ucraina.
L’unica nazione del campo occidentale che rischia tutto è l’Ucraina, che da una prosecuzione della guerra a oltranza e da una probabile sconfitta può attendersi solo terribili sciagure.

Terza fase della guerra (fine estate – autunno 2022). Successo della controffensiva ucraina. Escalation politica russa: annessione di quattro oblast del Donbass. Escalation militare russa: bombardamento degli obiettivi a doppio uso militare e civile. Guerra di manovra e guerra d’attrito.
Le forze russe si attestano nel Donbass, occupando quasi il 20% dell’intero territorio ucraino e schierandosi su un fronte di 1.500 km circa. Il dispositivo militare ucraino si riorganizza, amplia la mobilitazione richiamando i riservisti ed estendendo la coscrizione obbligatoria fino ai 60 anni, viene rifornito di nuovi armamenti occidentali (in larga misura equipaggiamenti ex – sovietici) in sostituzione di quelli distrutti nelle fasi precedenti del conflitto, viene innervato da un più vasto e intenso coinvolgimento di personale di comando NATO e da una più capillare strutturazione delle funzioni ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance), e nel settembre 2022 sferra una controffensiva in forze con direttrice principale su Kharkiv.
La controffensiva ucraina ha successo. I russi devono arretrare su tutto il fronte, ripiegando più o meno ordinatamente. Motivo: la coperta russa è troppo corta. I reparti russi hanno conquistato vasti territori che non sono in grado di tenere con l’esiguo numero di truppe impegnate nella “operazione militare speciale”. Essi dunque devono resistere ripiegando il più ordinatamente possibile, accorciare il fronte, ridurre i territori da difendere e fortificarli per attestarvisi, riconfigurare il dispositivo militare e rinforzarlo.
La Russia si adatta alla nuova realtà sul terreno. Viene nominato un comandante generale delle operazioni in Ucraina, il gen. Surovikin. Il governo propone alla Duma, che la vota all’unanimità, la mobilitazione parziale di 300.000 riservisti. Vengono mobilitate anche le industrie militari, che lavoreranno su tre turni di otto ore.

Escalation politica russa: annessione dei quattro oblast del Donbass
Il governo propone alla Duma, che nell’ottobre la vota all’unanimità, l’annessione di quattro oblast del Donbass: le regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson, previo plebiscito organizzato dalle autorità di occupazione russe.
È la più decisiva escalation politica di tutta la guerra, perché con essa la Russia si brucia le navi alle spalle e annuncia implicitamente la propria ferma volontà di impegnare a oltranza tutte le proprie risorse strategiche per ottenere la vittoria sull’Ucraina e sui suoi alleati. Per far recedere la Russia dall’annessione, riconsegnando all’Ucraina territori che per la Federazione russa sono formalmente divenuti territorio nazionale, l’Ucraina e i suoi alleati dovrebbero infliggere una sconfitta decisiva a tutta la Federazione russa, e farla capitolare.

Escalation militare russa. Bombardamento degli obiettivi a doppio uso militare e civile
Riconfigurato il dispositivo militare intorno all’unità di comando e consolidato il fronte, mentre si svolge tra varie difficoltà la mobilitazione dei riservisti (è la prima mobilitazione da ottant’anni e l’apparato amministrativo e logistico russo non è pronto; centinaia di migliaia di russi varcano le frontiere per evitare il richiamo) il comandante generale Surovikin decide l’escalation militare. Per la prima volta vengono interessati da una serie incessante di fitti bombardamenti missilistici gli obiettivi a doppio uso, civile e militare, in particolare la rete elettrica ucraina ma in generale le infrastrutture quali ferrovie, fabbriche, depositi di materiale militare e civile, etc. La Russia non prende di mira i civili, ma bersagliando le infrastrutture a doppio uso provoca gravi disagi alla popolazione, compromette il normale svolgimento della vita quotidiana, e ovviamente provoca “danni collaterali”, vittime civili colpite per errore dai suoi missili e dal fuoco contraereo ucraino.
Il gen. Surovikin prende anche la decisione, politicamente difficile e impopolare ma corretta, di abbandonare Kherson, importante centro testé formalmente annesso al territorio nazionale russo, e di far ripiegare le truppe che la occupano sulla sponda meridionale del fiume Dnepr. La decisione operativa consente di non sprecare forze per prevenire una controffensiva in un punto delicato, concentrando invece gli sforzi nel Donbass. Ne conseguiranno vantaggiosi risultati concreti sul campo di battaglia.

Guerra di manovra, guerra d’attrito. L’ esempio storico dell’Operazione Barbarossa
La “guerra di manovra”, in tedesco Bewegungskrieg, “guerra di movimento”, è l’opposto simmetrico della “guerra d’attrito”, Stellungskrieg, “guerra di posizione”. Ogni guerra combina, in percentuali diverse, manovra e attrito. La guerra d’attrito punta a logorare gradualmente le capacità di combattimento del nemico con l’applicazione prolungata e costante di una forza superiore; la guerra di manovra punta a distruggere rapidamente le capacità di combattimento del nemico trovando o creando, e sfruttando abilmente, lo Schwerpunkt, il punto decisivo vitale e debolmente difeso dello schieramento nemico, contro il quale sferrare un rapido, determinante attacco in forze.  Il vantaggio della manovra sull’attrito sembra ovvio: la manovra offre la possibilità di una vittoria rapida e decisiva, ma minaccia anche la possibilità di una sconfitta altrettanto rapida e decisiva, perché attaccare è sempre rischioso e il nemico può sempre dire la sua. Come sottolinea Clausewitz, non esiste la “scienza della vittoria”, e la logica che governa la guerra non è lineare ma paradossale, come illustra il detto romano “si vis pacem para bellum”. La guerra di manovra viene privilegiata degli eserciti che scontano un evidente svantaggio nella guerra d’attrito: eserciti meno numerosi, con capacità materiali o logistiche inferiori a quelle del nemico.
In questa fase il conflitto ucraino, che nelle due fasi precedenti ha visto una combinazione di manovra e attrito, si stabilizza in forma di guerra d’attrito, il tipo di conflitto dove pesa di più la disparità di risorse strategiche tra i contendenti. Nella guerra d’attrito, infatti, quel che più conta per la vittoria è la rispettiva capacità di generare durevolmente forze umane e materiali. È il campo in cui la Russia ha il maggior vantaggio relativo sull’Ucraina.
Accresce il vantaggio russo il fatto politico essenziale che l’Ucraina dipende in tutto e per tutto dall’appoggio occidentale, e che i dirigenti occidentali devono giustificare presso le opinioni pubbliche e l’elettorato il crescente costo politico-economico di questo appoggio. Dunque gli ucraini sono costretti dalla ragion politica a inviare costantemente truppe, anche insufficienti o impreparate, sulla linea di contatto con i russi, mantenendo vivo il conflitto, rinnovando in Occidente l’ammirazione per la loro capacità di resistenza, e alimentando la persuasione che la vittoria finale ucraina sia possibile.
Dal punto di vista militare, in realtà, agli ucraini converrebbe prendersi una pausa, riorganizzare le riserve, rinforzarle e addestrarle, e risparmiare uomini e mezzi in vista di controffensive future. Una potenza dotata di risorse strategiche nettamente inferiori al nemico, infatti, può sperare di vincerlo soltanto con un’abile, aggressiva e rapida, soprattutto rapida guerra di manovra: in una guerra d’attrito, il tempo lavora per la potenza con le maggiori risorse strategiche.
Furono queste considerazioni fondamentali a dettare la forma in cui si è sviluppata e ordinata la potenza militare prussiana prima e tedesca poi, ossia dei maestri di un’aggressiva e rapida guerra di manovra. Sia la Prussia sia la Germania, infatti, hanno dovuto fare i conti con la propria situazione geopolitica: esposizione su più fronti al centro d’Europa, frontiere indifese da ostacoli naturali, limitate risorse naturali e umane; e hanno tentato di risolvere la difficile equazione mettendo a punto un dispositivo militare altamente preparato a condurre con la massima aggressività e perizia rapide guerre di manovra. Esemplari dei successi dello stile germanico le magistrali Blitzkrieg contro Polonia e Francia nella IIGM.  Esemplare, però, anche il fallimento dell’Operazione Barbarossa. La Germania invade l’URSS, ottiene per sei mesi schiaccianti vittorie ma non riesce a provocare il collasso politico e sociale del nemico, e tocca il limite delle proprie capacità logistiche. L’URSS non capitola, si riorganizza, e comincia a generare forze umane e materiali in misura via via crescente e superiore rispetto alle forze che è in grado di generare la Germania.  Saranno necessari quattro anni di durissimo conflitto, ma il destino della Germania è segnato.
Si noti bene che al tempo dell’Operazione Barbarossa tutti gli Stati Maggiori del mondo, abbagliati dai precedenti, splendidi successi tedeschi, davano per scontata la vittoria della Wehrmacht. Essa però avrebbe potuto verificarsi soltanto se l’URSS fosse collassata in seguito ai primi mesi di devastanti sconfitte. L’Operazione Barbarossa è dunque stata un’azzardata scommessa strategica, in cui la vittoria finale dipendeva interamente dal crollo della coesione politica, militare e sociale del nemico. L’Alto Comando tedesco non ha invece tenuto nella dovuta considerazione sia le risorse strategiche attuali dell’URSS, sia, e soprattutto, la sua capacità di generare nuove forze, maggiori delle proprie, per tutto il tempo necessario a concludere vittoriosamente la guerra.
È lo stesso tipo di errore che hanno commesso gli Alti Comandi occidentali in questo conflitto ucraino.
Essi hanno gravemente sottovalutato le risorse attuali della Russia: da questo errore dell’intelligence militare i continui proclami che la Russia starebbe per terminare le sue scorte di missili, proietti d’artiglieria, etc., rivelatisi via via sempre più grotteschi e difformi dalla realtà; hanno gravemente sottovalutato la sua capacità di generare nuove forze umane e materiali nel breve, e nel medio-lungo periodo: di qui l’errata valutazione dell’impatto delle sanzioni economiche sulla Russia, a torto creduto rapidamente incapacitante; hanno gravemente sottovalutato la coesione politica e sociale della compagine russa, la sua volontà di combattere e di stringersi intorno alla bandiera: di qui gli annunci, via via più ridicoli, di un prossimo rovesciamento del governo russo in seguito al dissenso della popolazione e di decisivi settori della classe dirigente.
Quarta fase trasformativa della guerra (fine autunno 2022 – inverno 2022/23). Due fazioni nei centri direttivi statunitensi: escalation o de-escalation del conflitto? Tre fatti significativi. Stime delle perdite ucraine e russe. Previsioni. La doppia trappola strategica.
Ritengo trasformativa la presente fase della guerra perché soltanto in questa fase viene chiaramente in luce la sua natura di doppia trappola strategica.
Nella quarta fase della guerra si verificano tre fatti significativi.

Sabotaggio del Northstream 2
Nel novembre 2022 un sabotaggio subacqueo rende inutilizzabile il Northstream 2, il gasdotto costruito per trasportare il metano russo in Germania attraverso il Mar Baltico, senza passare per l’Ucraina. L’inchiesta entra subito in stallo, per l’impossibilità politica di individuarne gli autori: infatti la logica del cui prodest suggerisce che responsabili ultimi dell’attentato siano gli Stati Uniti. Probabilmente, l’operazione è frutto di una collaborazione tra Royal Navy britannica e forze speciali polacche. Motivo del sabotaggio: nella classe dirigente tedesca crescono le preoccupazioni per i disastrosi effetti a lunga scadenza (progressiva disindustrializzazione della Germania) della cessazione di forniture d’energia russa a buon mercato. Il sabotaggio del gasdotto è un vero e proprio atto di guerra contro la Germania, volto a intimidirla perché si allinei senza esitazioni alla strategia di contrapposizione frontale alla Russia decisa dagli USA. L’intimidazione ha successo. Intimidita la Germania, l’unico Stato europeo che non aderisca perinde ac cadaver alla linea statunitense è la piccola Ungheria; nella NATO, l’unico Stato con un elevato grado di autonomia politica è la Turchia.

Dichiarazioni pubbliche del gen. Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto USA
Nel novembre e di nuovo nel dicembre 2022 il gen. Mark Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto statunitense, rilascia irrituali dichiarazioni pubbliche, invitando all’apertura di una trattativa diplomatica con la Russia, e asserendo che “agli ucraini non si può chiedere di più”. Le dichiarazioni irrituali di Milley sono evidente indizio che nei centri decisionali statunitensi confliggono due grandi fazioni: una incentrata nell’establishment bipartisan che dirige la politica estera, favorevole alla prosecuzione a oltranza della guerra in Ucraina ed eventualmente a una sua escalation; e un’altra, incardinata nel Pentagono, favorevole a una de-escalation del conflitto. Il fatto che Milley comunichi pubblicamente le sue posizioni prova che nel dibattito interno all’Amministrazione USA la posizione del Pentagono è minoritaria e teme di restarlo, e che lo scontro tra le due posizioni è molto aspro.
A ulteriore riprova dell’esistenza di questi schieramenti interni alla direzione statunitense, il recentissimo studio pubblicato dalla RAND Corp., Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict[1], [in nota riferimento bibliografico e traduzione italiana dell’abstract] che analizza, dal punto di vista dell’interesse nazionale USA, i costi di un prolungamento della guerra ucraina, raccomanda la de-escalation, e la cauta instaurazione di un processo diplomatico che porti a una conclusione negoziata del conflitto. La RAND Corporation è un importante e prestigioso centro studi che sin dalla sua fondazione fornisce analisi e progetti soprattutto al Pentagono.

Riconfigurazione della struttura di comando russo, annuncio di riforma delle FFAA russe
Nel gennaio 2023, il governo russo riconfigura il comando militare delle operazioni in Ucraina, e annuncia una più generale riforma strutturale delle sue Forze Armate. Il militare russo più alto in grado, generale Gerasimov, Capo di Stato Maggiore delle FFAA russe, viene insignito del comando generale delle operazioni in Ucraina, mentre il gen. Surovikin riprende il suo precedente ruolo di Comandante delle Forze Aerospaziali. Il governo ristabilisce i distretti militari di Mosca e Leningrado, ordina la formazione di un nuovo gruppo d’armate in Carelia, alla frontiera finlandese, e la creazione di dodici nuove divisioni dell’esercito. Annuncia altresì che entro il 2026 aumenterà le dimensioni del suo dispositivo militare in servizio permanente effettivo, portandole a 1,5 MLN di uomini. Nel contempo, i massimi dirigenti russi iniziano a dichiarare pubblicamente che la guerra in corso in Ucraina è, in realtà, una guerra tra Russia e NATO. Queste inedite dichiarazioni pubbliche hanno anche – come sempre in guerra – una valenza propagandistica interna, ma interpretate alla luce delle riforme militari in corso suggeriscono con un elevato grado di plausibilità che i decisori russi si preparano per il caso peggiore, ossia per un intervento diretto delle forze occidentali nel conflitto ucraino.

Prosegue la guerra d’attrito. Stime delle perdite ucraine e russe
Nel frattempo, sul terreno ucraino la guerra d’attrito continua. Continuano gli attacchi missilistici alle infrastrutture ucraine a doppio uso, civile e militare. Il dispositivo militare russo si consolida sulle posizioni difensive occupate e rafforzate dopo il ripiegamento. Continua e si perfeziona l’addestramento dei riservisti richiamati, e la logistica si adegua gradualmente all’arrivo dei rinforzi e alla prosecuzione degli intensi, costanti attacchi missilistici. I reparti russi sferrano attacchi incrementali sulle linee difensive ucraine, con ridotto impiego di truppe e larghissima, prolungata preparazione d’artiglieria, per limitare il più possibile le proprie perdite. Gli ucraini, intrappolati dalla necessità politica di resistere sempre e comunque e appena possibile attaccare, per giustificare il sostegno occidentale, cordone ombelicale della prosecuzione della guerra, non sono in grado di contrattaccare in forze, ma resistono anche oltre i vantaggi militari della resistenza e subiscono gravissime perdite di uomini e di materiali.
È impossibile, finché dura la guerra, avere dati certi delle perdite. Mentre scrivo, a fine gennaio 2023, fonti occidentali quali Strategic Forecasting, un’importante agenzia di intelligence privata che abitualmente collabora con la CIA, parla di più di 300.000 morti ucraini, per un totale di perdite irrecuperabili intorno ai 400.000 uomini. Le più recenti valutazioni occidentali, non ufficiali, delle perdite irrecuperabili russe parlano di 20.000 morti e 30.000 tra dispersi e feriti gravi. Pur con tutte le necessarie cautele, è abbastanza verisimile che il rapporto tra perdite ucraine e perdite russe si situi tra 10:1 e 5:1. Nelle grandi battaglie della IIGM, il rapporto di perdite tra lo sconfitto e il vincitore fu intorno a 1,3 – 1,5: 1. L’esercito ucraino non sembra essere in grado di preparare, nel prossimo futuro, una controffensiva su grande scala: per l’elevatissimo numero di perdite, soprattutto di ufficiali e sottufficiali veterani; per la scarsità di materiale bellico, nonostante i rinnovati invii di armi occidentali; per la crescente disorganizzazione delle strutture di comando militare; per la crescente, progressiva degradazione delle condizioni economiche e sociali dell’intera Ucraina.

Scelte operative dell’Alto Comando russo. Previsioni.
In sintesi, nella quarta fase della guerra comincia a risultare chiaro che il dispositivo militare russo ha raggiunto, o è sul punto di raggiungere, le condizioni necessarie e sufficienti a imprimere al conflitto la direzione voluta dal suo comando militare e politico.
Ovviamente, solo l’Alto Comando russo sa, o saprà, quale sia questa direzione, ma attualmente esso pare in grado di:
proseguire la guerra d’attrito, applicando costantemente sul dispositivo militare ucraino, e sull’intera società ed economia ucraine, la sua forza superiore: così risparmiando la propria risorsa più preziosa, gli uomini. Gli uomini sono la risorsa russa più preziosa dal punto di vista politico, per evidenti ragioni rafforzate dall’approssimarsi delle elezioni presidenziali russe del 2024. Sono la risorsa più preziosa anche dal punto di vista militare, e in special modo lo sono i veterani, che devono addestrare e integrare nei reparti i riservisti richiamati, nessuno dei quali ha esperienza diretta di una guerra a così alta intensità (non ce l’ha nessuno al mondo tranne chi vi ha partecipato, nell’uno o nell’altro schieramento)
passare all’offensiva su grande scala, su una o più direttrici. Prevedibili obiettivi strategici, l’annientamento progressivo della capacità di combattere dell’esercito ucraino; la riconquista delle porzioni territoriali dei quattro oblast annessi alla Russia, e riprese dall’Ucraina in seguito al ripiegamento russo; l’occupazione e l’annessione alla Russia di Odessa e dell’intero territorio della Novorossiya, in modo da escludere l’Ucraina dall’accesso al mare.
Probabilmente, nelle valutazioni dell’Alto Comando russo sono presenti, e non in secondo piano, le previsioni sulla reazione occidentale all’una e all’altra decisione operativa russa. Proseguire la guerra d’attrito consente alle direzioni occidentali di rinviare le decisioni strategico-politiche su escalation o de-escalation, e probabilmente avvantaggia la fazione favorevole alla de-escalation, dandole il tempo di organizzarsi meglio, trovare alleati, diffondere pubblicamente i suoi argomenti. Passare all’offensiva le obbliga a scegliere in tempi brevi, brevissimi se l’offensiva ha presto un chiaro successo. La fazione statunitense favorevole alla de-escalation è tuttora minoritaria: la situazione sul campo la favorisce, ma le manca l’appoggio aperto di almeno uno tra i più importanti alleati europei.
A mio avviso, per la Russia è vantaggioso evitare un’accelerazione del conflitto, sia per i rischi di fallimento e i costi umani sempre associati alle azioni offensive su grande scala, sia per non servire una carta decisiva al “partito della guerra a oltranza” statunitense, che sull’onda dell’emozione potrebbe iniziare una diretta, formale implicazione di forze occidentali nella guerra; per esempio, il varo di una “coalizione dei volonterosi” come proposto nel novembre 2022 a dal gen. (a riposo) David Petraeus, ossia con truppe polacche, rumene, baltiche, etc. che intervengano sotto la propria bandiera, ma non in quanto membri della NATO, in seguito a una richiesta di aiuto militare del governo ucraino: un escamotage giuridico per evitare un aperto conflitto diretto NATO – Russia, che rischierebbe di interessare anche il territorio statunitense.
Quindi, se devo arrischiare una previsione, penso che la Russia continuerà ancora a lungo la guerra d’attrito.

Vittoria decisiva della sola Ucraina. Vittoria decisiva con intervento diretto occidentale. Possibilità e probabilità
In estrema sintesi, a un anno dall’inizio della guerra risulta chiaro che una decisiva vittoria militare ucraina sulla Russia è materialmente impossibile, per quanto possano proseguire, o anche aumentare, nelle forme attuali, gli aiuti occidentali. La situazione può cambiare solo con un diretto coinvolgimento di truppe occidentali.
Comincia però ad albeggiare il dubbio, anche nelle direzioni politico-militari occidentali, che un diretto coinvolgimento di truppe occidentali nella guerra non basti ad assicurare, o almeno a rendere altamente probabile, la vittoria decisiva sulla Russia. Dubbiosi sono soprattutto i militari: per questo la fazione statunitense favorevole alla de-escalation si incardina sul Pentagono. Motivi:
l’attuale dispositivo militare dell’intera NATO, Stati Uniti compresi, non è concepito e preparato per una guerra convenzionale ad alta intensità contro un nemico capace di condurla, come la Russia. Dalla fine della Guerra Fredda, tutte le nazioni NATO hanno fortemente ridotto i loro eserciti, dismesso gran parte delle strutture logistiche militari, indirizzato la struttura e l’addestramento delle loro FFAA, e la produzione delle loro industrie militari, a conflitti di breve durata contro nemici nettamente inferiori, in genere appartenenti al “Grande Sud del mondo”; una decisione tutto sommato ragionevole, finché la NATO non si è contrapposta alla Russia, che in effetti non la minacciava affatto.
La Russia, invece, ha strutturato le sue FFAA e la sua industria militare in vista di una guerra difensiva contro la NATO, come è nella tradizione storica di un paese che da sempre deve fronteggiare e respingere grandi invasioni del suo territorio. Sinora ha privilegiato la difesa di ultima istanza, la triade nucleare, ma come prova la guerra in Ucraina non ha abbandonato la preparazione convenzionale e la sta rafforzando. Essa ha inoltre guadagnato, in settori decisivi come la missilistica e la difesa contraerea, la superiorità relativa rispetto agli Stati Uniti. Per compensare lo svantaggio ci vogliono anni.
Un riarmo occidentale è molto arduo, il suo esito incerto, i tempi lunghi. I finanziamenti, anche massicci, non bastano: il denaro può comprare solo quel che già esiste, e quel che già esiste non basta. Per far esistere quello che manca, è necessario anzitutto determinare politicamente la strategia di sicurezza collettiva della NATO, un processo molto complicato e difficile anche per la frammentazione dei centri decisionali. Se il nemico principale della NATO è la Russia, è indispensabile, come minimo, e giusto per cominciare: costruire un alto numero di cacciabombardieri da impiegare in appoggio alla fanteria, e in grado di sopravvivere alle difese missilistiche russe; costruire le infrastrutture logistiche necessarie a un’ampia proiezione delle forze in caso di crisi, con la relativa pianificazione; varare un grande programma di difesa antiaerea integrata del territorio europeo; varare un vasto programma di reclutamento e addestramento truppe, in specie di ufficiali e sottufficiali. Al riguardo, è bene tenere presente che la rinuncia da parte di tutti i paesi NATO alla coscrizione obbligatoria ha provocato la perdita di ingenti riserve addestrate alle quali far ricorso in caso di necessità. In sostanza, in caso di una guerra che ci coinvolga, prenda tempi lunghi e sconti perdite rilevanti, mobilitazioni come quelle indette da Mosca e dall’Ucraina sono quasi impossibili, per i paesi dell’Europa Occidentale. Segue un lungo eccetera.
Ovviamente, un diretto coinvolgimento occidentale nella guerra impedirebbe agli Stati Uniti di concentrarsi sul contenimento della Cina, rinsalderebbe l’alleanza di quest’ultima con la Russia, esporrebbe gli USA a una possibile guerra su due fronti contro due grandi potenze nucleari, e aumenterebbe progressivamente il rischio che nel conflitto con la Russia facciano capolino le armi atomiche. Quanto più diretto e intenso il conflitto convenzionale tra due grandi potenze nucleari come Russia e USA, tanto più probabile che il contendente che si credesse esposto a una probabile sconfitta decisiva mediti seriamente di impiegare le armi nucleari.
Altrettanto ovviamente, in un conflitto diretto tra forze occidentali e Russia le perdite occidentali si conterebbero a decine di migliaia, un costo umano difficile da giustificare politicamente.

La doppia trappola strategica
Con l’allargamento a Est della NATO, e insistendo per includervi l’Ucraina, gli Stati Uniti hanno teso una trappola strategica alla Russia, costringendola a scegliere tra due alternative, entrambe molto pericolose nel medio-lungo periodo: accettare il divieto di avere una sfera d’influenza, e la minacciosa presenza di un bastione militare occidentale sulla soglia della Russia europea; oppure intervenire militarmente, assumendosi il grave rischio di un conflitto con la NATO, e compromettendo i propri rapporti politici ed economici con l’Europa. Questa è la prima ganascia della trappola strategica in cui la Russia è entrata ad occhi aperti, dopo aver tentato per quattordici anni di evitarla.
Gli Stati Uniti, però, hanno gravemente sottovalutato le capacità di resistenza e di reazione, militari, economiche, politiche e sociali della Federazione russa, e altrettanto sopravvalutato sia il prestigio deterrente della propria forza, sia le proprie attuali capacità e potenzialità militari ed economiche.  Si trovano dunque a dover scegliere tra due alternative, entrambe molto pericolose nel medio-lungo periodo.
La prima alternativa è la riduzione del danno, una de-escalation del conflitto ucraino che si risolve in una netta sconfitta politico-diplomatica, una pesante perdita di prestigio deterrente, la possibile apertura di faglie di crisi nel sistema di alleanze, e seri contraccolpi politici interni, es. una grave delegittimazione complessiva della classe dirigente.
La seconda alternativa è la fuga in avanti, una escalation a oltranza del conflitto, con l’eventuale – anzi probabile, perché necessario – coinvolgimento diretto di truppe occidentali; il rischio di una guerra convenzionale ad alta intensità per la quale gli USA e la NATO non sono preparati; il possibile futuro interessamento del territorio nazionale statunitense, e in prospettiva, la crescente possibilità di una degenerazione nucleare dello scontro.
Questa è la seconda ganascia della doppia trappola strategica, e ora si richiude sugli Stati Uniti che l’hanno tesa: ma vi sono entrati a occhi chiusi, e solo ora cominciano a vederla.
Ate, la dea che acceca, «da principio seduce l’uomo con amiche sembianze, ma poi lo trascina in reti donde speranza non c’è che mortale fugga e si salvi» (Eschilo, I persiani, 96-100)

[1] Charap, Samuel and Miranda Priebe, Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict. Santa Monica, CA: RAND Corporation, 2023. https://www.rand.org/pubs/perspectives/PEA2510-1.html

La domanda più importante di tutte

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Segnalazione di Antonio Serena – L’ANTIDIPLOMATICO

di Andrei Raevsky per il suo sito The Saker

(traduzione: Nora Hoppe)

Sembra che arriveremo al 31 dicembre 2022.  Ma riusciremo ad arrivare al 31 dicembre 2023?

Questa domanda non è un’iperbole.  Direi addirittura che è la domanda più importante almeno per l’intero emisfero settentrionale.

È almeno dal 2014 che avverto che la Russia si sta preparando a una guerra totale. Putin ha praticamente detto questo nel suo recente discorso davanti al Consiglio del Ministero della Difesa russo.  Se non avete visto questo video, dovreste davvero guardarlo, vi darà una visione diretta di come il Cremlino pensa e di cosa si sta preparando.  Ecco di nuovo il video:

 

Il discorso di Vladimir Putin (sottotitoli in inglese)


In questo video di Visione TV i primi 15 minuti del discorso di Putin in italiano

Presumo che abbiate visto quel video e che non ci sia bisogno di dimostrarvi che la Russia si sta preparando per una guerra di massa, anche nucleare.

Il ministro degli Esteri Lavrov ha dichiarato pubblicamente che “funzionari senza nome del Pentagono hanno effettivamente minacciato di condurre un ‘attacco di decapitazione’ sul Cremlino… Quello di cui stiamo parlando è la minaccia di eliminare fisicamente il capo dello Stato russo, (…) Se tali idee sono effettivamente alimentate da qualcuno, questo qualcuno dovrebbe pensare molto attentamente alle possibili conseguenze di tali piani.”

Quindi, la situazione è la seguente:

  • Per la Russia questa guerra è chiaramente, innegabilmente e ufficialmente una guerra esistenziale. Ignorare questa realtà sarebbe il massimo della follia.  Quando la più forte potenza nucleare del pianeta dichiara, ripetutamente, che questa è una guerra esistenziale, tutti dovrebbero prenderla sul serio e non negarla.
  • Anche per i neoconservatori statunitensi questa è una guerra esistenziale: se la Russia vince, la NATO perde e, quindi, anche gli Stati Uniti perdono. Il che significa che tutti quei disonesti che per mesi hanno propinato all’opinione pubblica sciocchezze sul fatto che la Russia avrebbe perso la guerra saranno ritenuti responsabili dell’inevitabile disastro.

Molto dipenderà dal fatto che gli americani, soprattutto quelli al potere, siano disposti a morire in solidarietà con i “pazzi in cantina” o meno.  Al momento sembra proprio di sì.  Non contate sull’Unione Europea, che ha rinunciato da tempo a qualsiasi potere.  Parlare con loro semplicemente non ha senso.

Questo potrebbe spiegare le recenti parole di Medvedev“Ahimè, non c’è nessuno in Occidente con cui potremmo trattare per qualsiasi motivo (…) è l’ultimo avvertimento a tutte le nazioni: non si possono fare affari con il mondo anglosassone perché è un ladro, un truffatore, un tagliatore di carte che potrebbe fare qualsiasi cosa.”

La Russia può fare molte cose, ma non può liberare gli Stati Uniti dalla morsa dei neoconservatori.  È una cosa che possono fare solo gli americani.

E qui entriamo in un circolo vizioso:

È molto improbabile che il sistema politico statunitense venga sfidato efficacemente dall’interno; i grandi capitali gestiscono tutto, compreso il sistema di propaganda più avanzato della storia (alias i “media liberi”) e la popolazione viene tenuta disinformata e sottoposta al lavaggio del cervello.  E sì, certo, una grave sconfitta in una guerra contro la Russia scuoterebbe questo sistema così duramente che sarebbe impossibile nascondere la portata del disastro (pensate a un “Kabul sotto steroidi”).  Ed è proprio per questo che i Neocon non possono permettere che ciò accada, perché questa sconfitta innescherebbe un effetto domino che coinvolgerebbe rapidamente la verità sull’11 settembre e, successivamente, tutti i miti e le menzogne su cui la società statunitense si è basata per decenni (JFK, per esempio?).

Naturalmente ci sono molti americani che lo capiscono perfettamente. Ma quanti di loro sono in una posizione di reale potere per influenzare il processo decisionale e i risultati degli Stati Uniti? La vera domanda è se ci sono ancora abbastanza forze patriottiche al Pentagono, o nelle agenzie di stampa, per rispedire i Neocon in cantina da cui sono strisciati fuori dopo il falso allarme dell’11 settembre.

In questo momento sembra proprio che tutte le posizioni di potere negli Stati Uniti siano occupate dai Neolib, dai Neocon, dai RINO [“Republican In Name Only” (repubblicano solo di nome) è un peggiorativo usato per descrivere i politici del Partito Repubblicano ritenuti non sufficientemente fedeli al partito o non allineati con l’ideologia del partito] e altre brutte creature… tuttavia è anche innegabile che persone come, ad esempio, Tucker Carlson e Tulsi Gabbard stiano raggiungendo molte persone che “capiscono”.  Questo *deve* includere i VERI liberali e i VERI conservatori la cui lealtà non è verso una banda di delinquenti internazionali, ma verso il proprio Paese e il proprio popolo.

Sono anche abbastanza sicuro che ci sono molti comandanti militari statunitensi che ascoltano ciò che il Col. Macgregor ha da dire.

Sarà sufficiente per rompere il muro di bugie e propaganda?

Lo spero, ma non sono molto ottimista.

In primo luogo, Andrei Martyanov ha assolutamente ragione quando denuncia costantemente la grande incompetenza e l’ignoranza della classe dirigente statunitense.  E condivido in pieno la sua frustrazione.  Entrambi vediamo dove si sta andando a parare, e tutto ciò che possiamo fare è avvertire, avvertire e avvertire ancora.  Mi rendo conto che è difficile credere all’idea che una superpotenza nucleare come gli Stati Uniti sia gestita da una banda di delinquenti incompetenti e ignoranti, ma questa è la realtà e negarla semplicemente non la farà sparire.

In secondo luogo, almeno finora, l’opinione pubblica statunitense non ha (ancora) sentito tutti gli effetti del crollo del sistema finanziario ed economico controllato dagli Stati Uniti. Quindi gli “imbacilli” che sventolano le bandiere possono ancora sperare che una guerra contro la Russia assomigli al tiro al tacchino che è stato “Desert Storm”.

Non sarà così.

La vera domanda da porsi è se l’unico modo per svegliare gli “imbacilli” sbandieratori, a cui è stato fatto il lavaggio del cervello, sia un’esplosione nucleare sopra le loro teste oppure no.

Il fenomeno “Go USA!” è una condizione mentale che è stata iniettata nelle menti di milioni di americani per molti decenni e ci vorrà molto tempo, o alcuni eventi veramente drammatici, per riportare queste persone alla realtà.

In terzo luogo, le élite al potere negli Stati Uniti sono chiaramente in una fase di profonda negazione.  Tutti questi sciocchi discorsi sui missili Patriot o sugli F-16 statunitensi che cambiano il corso della guerra sono infantili e ingenui.  Francamente tutto questo sarebbe piuttosto comico se non fosse così pericoloso nelle sue potenziali conseguenze.  Cosa succederà una volta distrutta l’unica batteria di missili Patriot e abbattuti gli F-16?

Quanto presto l’Occidente finirà le Wunderwaffen [armi miracolose]?

In una “scala di escalation” concettuale, quale sarebbe il passo successivo ai Patriot e agli F-16?

Le testate nucleari tattiche?

Considerare l’idea piuttosto idiota che una testata nucleare “tattica” sia in qualche modo fondamentalmente diversa da una testata nucleare “strategica”, indipendentemente dal modo in cui viene usata e dal luogo in cui viene usata, è estremamente pericoloso.

Ritengo che il fatto che la classe dirigente statunitense sta seriamente contemplando sia un uso “limitato” di testate nucleari “tattiche” sia “attacchi decapitanti” sia un ottimo indicatore del fatto che gli Stati Uniti stanno esaurendo le Wunderwaffen e che i Neocons sono disperati.

E a coloro che potrebbero essere tentati di accusarmi di iperbole o di deliri paranoici dirò quanto segue:

Questa guerra NON, ripeto, NON riguarda l’Ucraina (o la Polonia o i tre Statini baltici).

Al minimo indispensabile, questa è una guerra per il futuro dell’Europa. 

Fondamentalmente è una guerra che riguarda la completa riorganizzazione dell’ordine internazionale del nostro pianeta.

Direi addirittura che l’esito di questa guerra avrà un impatto maggiore di quello della prima o della seconda guerra mondiale.

I russi lo capiscono chiaramente (vedete il video qui sopra se ne dubitate).

E lo sanno anche i Neocon, anche se non ne parlano.

La situazione attuale è molto più pericolosa persino della crisi dei missili di Cuba o dello stallo di Berlino.  Almeno allora entrambe le parti ammettevano apertamente che la situazione era davvero pericolosa.  Questa volta, invece, le élite al potere dell’Occidente stanno usando la loro formidabile capacità di PSYOP/propaganda per nascondere la vera portata di ciò che sta accadendo.  Se ogni cittadino degli Stati Uniti (e dell’Unione Europea) capisse che c’è un mirino nucleare e convenzionale dipinto sulla sua testa, le cose potrebbero essere diverse.  Ahimè, è evidente che non è così, da qui l’inesistente movimento per la pace e il quasi consenso a versare decine di MILIARDI di dollari nel buco nero ucraino.

In questo momento, i pazzi stanno giocando con ogni sorta di idee sciocche, tra cui quella di cacciare la Russia dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU (cosa che non accadrà, dato che sia la Russia che la Cina hanno potere di veto) o addirittura di creare una “conferenza di pace” sull’Ucraina senza la partecipazione della Russia (in una sorta di remake degli “amici della Siria” e degli “amici del Venezuela”).  Beh, buona fortuna!  A quanto pare Guaido e Tikhanovskaia non sono sufficienti a scoraggiare i neocon e ora stanno ripetendo le stesse identiche sciocchezze con “Ze”.

Riusciremo quindi ad arrivare al 31 dicembre 2023?

Forse, ma non è affatto sicuro.  Chiaramente, questa non è un’ipotesi che il Cremlino fa, da qui il rafforzamento davvero immenso di tutte le capacità di deterrenza strategica della Russia (sia nucleare che convenzionale).

Se Dio vorrà, il vecchio adagio “si vis pacem, para bellum” salverà la situazione, poiché la Russia è chiaramente preparata per qualsiasi momento di conflitto, compreso quello nucleare.  Anche la Cina ci arriverà presto, ma è probabile che il 2023 vedrà una sorta di fine della guerra ucraina: o una vittoria russa in Ucraina o una guerra continentale su larga scala che la Russia vincerà (anche se a un costo molto più alto!).  Quindi, quando i cinesi saranno veramente pronti (probabilmente avranno bisogno di altri 2-5 anni) il mondo sarà un posto molto diverso.

Per tutte queste ragioni, ritengo che il 2023 potrebbe essere uno degli anni più importanti della storia umana.  Quanti di noi riusciranno a sopravvivere è una questione aperta.

Fonte: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_domanda_pi_importante_di_tutte/39602_48298/

Guerra in Ucraina: quale è la posta in gioco culturale?

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QUINTA COLONNA

di Roberto Buffagni

Fonte: L’Antidiplomatico

Qual è la posta in gioco culturale (spirituale, ideale, ideologica) del conflitto in Ucraina? Semplificando al massimo, cerco di rispondere alla domanda.
Se la Russia vince – se la Russia ottiene gli obiettivi politici limitati per conseguire i quali sta conducendo, con mezzi limitati, una guerra limitata, “vestfaliana” – segna l’inizio della fine dell’ordine internazionale unipolare liberal-democratico a guida USA.
L’ordine internazionale unipolare liberal-democratico a guida USA s’è inaugurato con la disgregazione dell’URSS. Trent’anni fa, sconfitta l’URSS, gli USA restano l’unica grande potenza al mondo: non hanno più nemici che possano minacciarne la sicurezza.
Esso è un ordine internazionale che ha un contenuto ideologico, il liberal-progressismo. È un contenuto ideologico obbligatorio perché sconfitti i suoi avversari storico-ideali (ancien régime, fascismi, comunismo) il liberalismo si conforma al suo concetto, e si manifesta come universalismo politico.
Il liberalismo è universalista perché si fonda sui “diritti inalienabili dell’individuo”. Postula dunque che l’intera umanità è composta da individui, tutti eguali in quanto dotati dei medesimi “diritti inalienabili”. La relazione di interdipendenza tra l’individuo e gli altri individui, tra l’individuo e la comunità politica, tra l’individuo e la dimensione trascendente (Dio) viene omessa o, nel linguaggio lacaniano, forclusa: anche perché famiglia, comunità politica, Dio sono le ragioni e le bandiere del primo avversario storico del liberalismo classico, l’alleanza Trono-Altare ossia la Cristianità europea.
Questa omissione o forclusione conforma il liberalismo alla logica capitalistica, nella quale esistono solo individui: individui produttori e individui consumatori, che si legano astrattamente tra loro mediante lo scambio di merci, compresa la merce-lavoro.
Esempio uno: “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità” (Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, 1776).
Esempio due: “I rappresentanti del popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo.” (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 1789).
Privo di avversari ideologico-politici che possano limitarne la manifestazione nell’effettualità storica, l’universalismo politico liberale, contenuto ideologico dell’ordine internazionale unipolare a guida USA, procede ad ampliarsi secondo la sua logica, e a estendersi all’universale umanità.
Esso tende ad estendersi all’universale umanità, intesa come collezione di individui, mediante la logica capitalistica (globalismo economico) e mediante la politica estera statunitense (globalismo politico). Il centro direttivo USA ritiene che politica estera statunitense e logica capitalistica siano perfettamente compatibili e operino a conseguire lo stesso scopo strategico finale.
La logica strategica dell’ordine internazionale unipolare a guida USA è la graduale creazione, prima de facto, poi de jure, di un governo mondiale. Esso controllerà un insieme di Stati, che gradualmente adotteranno sia la logica capitalistica, sia il regime sociale liberal-democratico dei quali gli Stati Uniti rappresentano il metro campione. Gli Stati Uniti d’America sono il “benign hegemon” mondiale.
La stessa logica strategica sarebbe stata adottata anche dall’URSS, qualora essa avesse vinto la Guerra Fredda e si fossero disgregati gli USA: perché anche il comunismo, come il liberalismo, è un universalismo politico. Ovviamente, il contenuto ideologico di un ordine internazionale unipolare a guida URSS sarebbe stato il comunismo, e non il liberalismo: la somiglianza che qui rilevo è puramente formale, logica.
Il postulato ideologico dell’ordine unipolare liberal-progressista a guida USA è che tutti gli individui componenti l’intera umanità non possono non desiderare che siano affermati nell’effettualità i “diritti inalienabili” di cui sono virtualmente titolari, anche se, magari, ancora non ne sono consapevoli.
Perché questi “diritti inalienabili dell’individuo” si realizzino nell’effettualità storica può essere sufficiente l’adesione alla logica capitalistica del loro sistema economico. Il premio che essa riserba a chi vi aderisca è il benessere, la ricchezza, la modernizzazione scientifica e tecnologica, e il conseguente “empowerment” degli individui, che nel settore politico conduce all’instaurazione di una liberal-democrazia, il regime storicamente e logicamente più conforme alla logica capitalistica.
Le liberal-democrazie sono per definizione pacifiche. Tra liberal-democrazie non si danno guerre. La competizione tra liberal-democrazie si limita alla competizione economica, un importante fattore di sviluppo i cui effetti collaterali indesiderati si possono ridurre con opportuni interventi politico-amministrativi.
Da questi postulati ideologici discende la scelta statunitense di una politica di “engagement” con la Cina.
Secondo logica capitalistica (teoria dei costi comparati di Ricardo) è perfettamente razionale integrare l’economia cinese con l’economia americana. Lo sviluppo economico cinese è poi destinato a trasformare anche la Cina in una liberal-democrazia, dunque in un pacifico partner della liberal-democrazia USA.
Secondo la logica di potenza, invece, con la disgregazione dell’URSS cessa ogni interesse USA all’alleanza con la Cina, che il presidente Nixon stipulò negli anni Settanta in funzione antisovietica. La scelta di favorire lo sviluppo economico della Cina è una scelta autolesionista, un errore strategico di prima grandezza perché la potenza economica è “potenza latente” destinata a trasformarsi in “potenza manifesta” ossia potenza militare.
Gli eventi storici dimostrano che la logica di potenza sconfigge la logica capitalistica. La Cina, già demograficamente fortissima, si sviluppa economicamente, inizia a sviluppare potenza militare, diviene una grande potenza nucleare, non si trasforma in una liberal-democrazia, e si profila come concorrente alla pari degli Stati Uniti, che dal 2017 in poi la designano come avversario principale. Essa può infatti divenire, in un futuro prossimo, egemone regionale dell’Asia Settentrionale.
Risalita dallo sfacelo impostole dalla sconfitta dell’URSS e dal susseguente “periodo di torbidi” provocato dalla introduzione della logica capitalistica nella sua forma più violenta e predatoria, la Russia si ritrova, si dà una direzione politica coesa ed efficace, si stabilizza come grande potenza. La sua “potenza latente” economica è insufficiente, la demografia manchevole, ma la sua “potenza manifesta” militare, convenzionale e nucleare, basta a garantirne l’autonomia politica rispetto all’egemone mondiale statunitense. Essa però, ad oggi, non è in grado di divenire egemone regionale, né lo sarà in futuro a meno che non riesca ad invertire la sua curva demografica e a sviluppare a ritmi cinesi la sua “potenza latente”.
Questa è la situazione odierna: con il sorgere di due grandi potenze politicamente capaci di autonomia, l’ordine internazionale unipolare liberal-democratico a guida USA è oggettivamente finito.
Nei decenni precedenti, e specialmente a partire dagli anni Duemila, gli Stati Uniti procedono ad attuare il loro progetto di uniformazione del mondo (globalizzazione o mondializzazione economico-politica). Vi impiegano tanto la persuasione (“soft power”) quanto la forza militare (“hard power”), combinandole.
L’episodio paradigmatico della combinazione tra soft e hard power nel perseguimento del progetto di uniformazione del mondo è la seconda invasione dell’Irak (2003). Essa si propone l’obiettivo di sconfiggere con le armi lo Stato irakeno, definito una “dittatura”, e di “esportarvi la democrazia”. L’operazione “Desert Storm” è intesa come primo passo di un progetto più ambizioso, che deve estendersi mediante la stessa combinazione di soft e hard power all’Iran e alla Siria, ridisegnando l’intero Medio Oriente.
Il testo che meglio illustra la ratio del progetto è “Shock and Awe: Achieving Rapid Dominance”, di Harlan K. Ullman and James P. Wade[1], 1996.
In estrema sintesi, il progetto Shock and Awe combina una dottrina militare operativa con una dottrina psicologico-culturale. “Shock” significa “trauma”, “Awe” significa “timore reverenziale”, una parola che designa l’emozione travolgente che si prova di fronte alla manifestazione del sublime naturale (tifoni, terremoti, eruzioni vulcaniche) o del divino (apparizioni miracolose della potenza divina). Una buona benché libera traduzione potrebbe essere “Sidera e converti”.
Nel testo di Ullman e Wade infatti si argomenta che l’effetto psicologico sulla volontà del nemico di una tempesta di fuoco che lo soverchi e travolga come un’eruzione vulcanica o una manifestazione del Dio degli eserciti sortisca un effetto di vera e propria “siderazione”. La siderazione traumatica induce “awe”, timore reverenziale, e consente di convertire il nemico: convertirlo al modello di uomo e società portato da chi sa dispiegare tanta inarrivabile potenza (ovviamente la potenza è un attributo divino). Un modello – la liberal-democrazia – che d’altronde, garantendo i “diritti inalienabili dell’individuo”, è conforme a ciò che tutti gli uomini non possono non desiderare per sé, non appena siano liberati dai modelli oscurantisti cristallizzati negli Stati “dittatoriali”, non liberal-democratici. Nel testo si fa espresso riferimento all’esperienza del Giappone, convertito alla liberal-democrazia dopo una campagna di bombardamenti a tappeto terrificante, e suggellata dal lancio di due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
Il progetto del ridisegno del Medio Oriente si risolve in una catastrofe politica, o ovviamente in una catastrofe umana per l’Irak. L’Irak sconfitta sul campo precipita nel caos e nella guerra civile, ed entra nella zona di influenza iraniana.
Un ulteriore progetto di esportazione della democrazia mediante la combinazione di soft e hard power, l’invasione e occupazione dell’Afghanistan, dopo vent’anni finisce anch’esso in una catastrofe politica per gli Stati Uniti, umana per l’Afghanistan.
Il progetto di esportazione della democrazia in Siria si arresta a metà dell’opera per l’intervento russo che sostiene il governo di Bashar El – Assad, e termina con una sconfitta politica degli Stati Uniti, una catastrofe umana per la Siria.
L’unico progetto di esportazione della democrazia che si concluda con un successo politico americano è la frammentazione della Jugoslavia, con la creazione dello Stato del Kosovo, e l’integrazione nella NATO di Slovenia, Croazia e Montenegro. La catastrofe umana provocata dalla guerra civile jugoslava è terribile.
Tranne (forse, è discutibile) il caso jugoslavo, gli altri interventi di esportazione della democrazia USA non rispondono a interessi strategici americani. Secondo logica di potenza, gli Stati Uniti non avevano alcuna ragione di occupare l’Irak, sino ad allora cliente degli USA, o l’Afghanistan, che non poteva minacciare l’India o il Pakistan, o la Siria, che non poteva minacciare Israele e apparteneva invece, storicamente, alla sfera d’influenza russa. Si tratta di guerre puramente ideologiche, decise in quanto conformi a un progetto globale di riconfigurazione economica, politica, culturale dell’intero mondo. (Poi ovviamente nella dinamica della decisione pesano anche gli interessi economici e istituzionali di tutti i centri coinvolti).
Il fallimento catastrofico del progetto di riconfigurazione globale del mondo in un insieme di pacifiche liberal-democrazie capitalistiche guidate dal metro campione di tutte le liberal-democrazie capitalistiche, gli Stati Uniti d’America, e il sorgere delle due grandi potenze cinese e russa, impone una battuta d’arresto finale all’ordine internazionale unipolare liberal-democratico americano, e ne segna la fine nell’effettualità storica.
Inizia a sorgere l’ordine internazionale multipolare.
La guerra in Ucraina, che vede la vittoria militare della Russia e la sconfitta politica degli Stati Uniti, è la prima doglia del parto dell’ordine internazionale multipolare.
La guerra ucraina è tutta – dalle cause lontane, alla conduzione delle operazioni militari, all’esito politico – conforme alla pura logica di potenza. La Russia scende in campo per difendere un interesse vitale: negare a un’alleanza militare straniera la creazione di un bastione alle proprie frontiere. Essa conduce una guerra limitata per obiettivi politici limitati, una guerra “vestfaliana” che non si prefigge di convertire o uniformare a sé il nemico ma semplicemente di impedirgli di nuocere alla propria sicurezza. La Russia cerca la trattativa col nemico in parallelo alla conduzione delle operazioni militari, come da Westfalia al Vietnam si è sempre fatto.
La causa lontana della guerra in Ucraina è l’espansione a Est della NATO. Secondo logica di potenza, essa non è conforme all’interesse strategico degli Stati Uniti, perché provoca inutilmente la Russia, una potenza che non è in grado di diventare egemone regionale sul continente europeo; e perché getta la Russia nelle braccia della Cina, della quale sarebbe rivale naturale (4250 km di frontiera in comune). Nonostante i ripetuti, chiari moniti russi, gli americani perseguono l’espansione NATO sino all’Ucraina, integrandovela de facto se non de jure, e provocano le attuali ostilità.
Quest’ultima forzatura statunitense è anche l’ultima manifestazione della logica dell’ordine internazionale unipolare liberal-democratico.
L’Ucraina è un interesse vitale russo, ma non è un interesse vitale degli USA. Infatti, gli USA si guardano bene (e razionalmente) dall’intervenire militarmente a sostegno dell’Ucraina.
Però, la reazione statunitense all’invasione russa è, su tutti i piani tranne quello che conterebbe davvero ossia il piano militare, violentissima. Contro la Russia, USA e UE scagliano un vero e proprio anatema, quando sarebbe nell’interesse americano (per tacere dell’interesse europeo) limitare i danni provocati dal proprio errore strategico e, in vista del conflitto con la Cina, non alienarsi radicalmente la Russia.
Perché l’anatema? Qual è la posta in gioco, per gli USA?
Per gli USA, la posta in gioco è il prestigio della loro posizione di guida dell’ordine internazionale unipolare. Dico “il prestigio”, perché nei fatti, con il sorgere di due grandi potenze come Russia e Cina, l’ordine internazionale unipolare è già finito.
Quel che non è finito è “il prestigio” di guida di quell’ordine, che gli USA ancora detengono e vogliono conservare.
È infatti questo prestigio che consente agli USA di presentarsi nel mondo come Stato eccezionale, che non conosce né superiori né eguali, e che dunque può pretendere di presentarsi come “giudice terzo” nelle controversie internazionali. Da questo scranno inarrivabile gli USA possono decidere che cosa è giusto, che cosa sbagliato, che cosa bene e che cosa male; quale regime sociale sia accettabile (la democrazia liberal-progressista) e quale inaccettabile (tutti gli altri); possono chiamare le loro guerre “instaurazione dei diritti e della democrazia”, e se le perdono, “sfortunati errori”: mentre le guerre altrui, vinte o perse, sono sempre “crimini”; possono insomma, come Dio nella teologia islamica, decidere a piacer loro se il fuoco debba esser caldo o freddo.
Con la sconfitta politica che conseguirà alla guerra ucraina, questo prestigio degli Stati Uniti, o se si vuole la loro “investitura” di eccezionalità e superiorità, comincerà a logorarsi.
Non può essere “giudice terzo” nelle controversie internazionali uno Stato incapace di eseguire le proprie sentenze.
Non può essere “eccezionale” uno Stato che promette protezione a un suo cliente, lo spinge a confrontarsi con un’altra grande potenza minacciandone un interesse vitale, e poi lo abbandona al suo destino.
Non può realizzare universalmente nell’effettualità i “diritti inalienabili dell’individuo” se rifugge dal confronto militare con una “dittatura” come la Russia, che agisce in conformità alla pura logica di potenza, la quale è sempre particolare, mai universale: perché la ratio della logica di potenza è l’anarchia del sistema-mondo, nel quale ciascuna potenza è costretta a garantire da sé la propria sicurezza, nel conflitto permanente con le altre.
Il prestigio o investitura degli Stati Uniti come guida dell’ordine internazionale unipolare liberal-democratico è il garante, o se si vuole, nel linguaggio della finanza, “il sottostante”, di tutto il pensiero dominante occidentale: “diritti inalienabili dell’individuo”, liberal-democrazia, primazia dell’economico, cosmopolitismo, universalismo politico.
Logoratosi e poi spentosi questo prestigio, deposta questa investitura, il pensiero dominante occidentale smetterà di essere dominante. I luoghi comuni, i riflessi condizionati, le certezze che oggi il pensiero dominante dà per scontate non saranno più scontate. Chi pensa nel mondo occidentale, ossia tutti gli occidentali, pensatori o no che siano, dovranno di nuovo interrogarsi su che cosa è uomo, che cosa è mondo, che cosa è giusto, che cosa è sbagliato, che cosa male e che cosa bene: e dovranno chiedersi “da che punto di vista pensiamo e parliamo”: un punto di vista che non sarà mai più l’unico vero punto di vista da cui guardare il mondo e l’uomo.
Come diceva un orientale,” Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente.”

Ora è il momento di sedersi, rilassarsi e guardare il declino dell’Occidente

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di Pepe Escobar

Fonte: L’Antidiplomatico

A Davos e oltre, la narrativa ottimista della NATO suona come un disco rotto, mentre sul campo la Russia sta accumulando vittorie che potrebbero far crollare l’ordine atlantico.
Tre mesi dopo l’inizio dell’Operazione Z della Russia in Ucraina, la battaglia dell’Occidente (12%) contro il Resto del mondo (88%) continua a creare metastasi.
Eppure, la narrazione – stranamente – rimane la stessa.
Lunedì, da Davos, il presidente esecutivo del World Economic Forum Klaus Schwab ha presentato il comico e presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nell’ultima tappa del suo tour di sollecitazione di invio delle armi, con un caloroso tributo. Herr Schwab ha sottolineato che un attore che impersona un presidente che difende i neonazisti è sostenuto da “tutta l’Europa e l’ordine internazionale”.
Intende, ovviamente, tutti tranne l’88 per cento del pianeta che aderisce allo Stato di diritto – invece del falso costrutto l’Occidente chiama un “ordine internazionale basato su regole”.
Tornata nel mondo reale, la Russia ha lentamente ma inesorabilmente riscritto l’Arte della Guerra Ibrida. Eppure, all’interno del carnevale delle psyops della NATO, dell’aggressiva infiltrazione cognitiva e della sbalorditiva ondata adulatoria dei media, si sta dando molto risalto al nuovo pacchetto di “aiuti” statunitensi da 40 miliardi di dollari all’Ucraina, ritenuto in grado di diventare un punto di svolta nella guerra.
Questa narrativa “rivoluzionaria” viene per gentile concessione delle stesse persone che hanno bruciato trilioni di dollari per proteggere l’Afghanistan e l’Iraq. E abbiamo visto come è andata a finire.
L’Ucraina è il Santo Graal della corruzione internazionale. Quei 40 miliardi di dollari possono cambiare le regole del gioco solo per due classi di persone: in primo luogo, il complesso militare-industriale degli Stati Uniti e, in secondo luogo, un gruppo di oligarchi ucraini e ONG neo colonialisti, che metteranno alle strette il mercato nero delle armi e degli aiuti umanitari , e poi riciclare i profitti nelle Isole Cayman.
Una rapida ripartizione dei 40 miliardi di dollari rivela che 8,7 miliardi di dollari andranno a ricostituire le scorte di armi statunitensi (quindi non andranno affatto in Ucraina); 3,9 miliardi di dollari per USEUCOM (l'”ufficio” che detta le tattiche militari a Kiev); 5 miliardi di dollari per una “filiera alimentare globale” confusa e non specificata; 6 miliardi di dollari per armi reali e “addestramento” in Ucraina; 9 miliardi di dollari in “assistenza economica” (che scomparirà in tasche selezionate); e 0,9 miliardi di dollari per i rifugiati.
Le agenzie di rischio statunitensi hanno declassato Kiev a un cassonetto di entità che non rimborsano i prestiti; quindi, i grandi fondi di investimento americani stanno abbandonando l’Ucraina, lasciando l’Unione Europea (UE) e i suoi stati membri come l’unica opzione del paese.
Pochi di questi paesi, a parte entità russofobe come la Polonia, possono giustificare alle proprie popolazioni l’invio di enormi somme di aiuti diretti a uno stato fallito. Quindi spetterà alla macchina dell’UE con sede a Bruxelles fare quanto basta per mantenere l’Ucraina in coma economico, indipendente da qualsiasi input da parte degli Stati membri e delle istituzioni.
Questi “prestiti” dell’UE, per lo più sotto forma di spedizioni di armi, possono sempre essere rimborsati dalle esportazioni di grano di Kiev. Questo sta già accadendo su piccola scala attraverso il porto di Costanza in Romania, dove il grano ucraino arriva su chiatte sul Danubio e viene caricato ogni giorno su dozzine di navi mercantili. Oppure, tramite convogli di camion che viaggiano con il racket delle armi per il grano. Tuttavia, il grano ucraino continuerà a nutrire il ricco occidente, non gli ucraini impoveriti.
Inoltre, aspettatevi che quest’estate la NATO elabori un altro mostro psyop per difendere il suo diritto divino (non legale) di entrare nel Mar Nero con navi da guerra per scortare le navi ucraine che trasportano grano. I media pro-NATO lo mostreranno come l’Occidente che ha “salvato” dalla crisi alimentare globale, che sembra essere direttamente causata da pacchetti seriali e isterici di sanzioni occidentali.

La Polonia punta all’annessione morbida
La NATO sta infatti aumentando massicciamente il suo “sostegno” all’Ucraina attraverso il confine occidentale con la Polonia. Questo è in sintonia con i due obiettivi generali di Washington: primo, una “guerra lunga”, in stile insurrezione, proprio come l’Afghanistan negli anni ’80, con i jihadisti sostituiti da mercenari e neonazisti. In secondo luogo, le sanzioni strumentalizzate per “indebolire” la Russia, militarmente ed economicamente.
Altri obiettivi rimangono invariati, ma sono subordinati ai primi due: assicurarsi che i Democratici siano rieletti a medio termine (non succederà); irrigare il complesso industriale-militare con fondi che vengono riciclati come tangenti (già in atto); e mantenere l’egemonia del dollaro USA con tutti i mezzi (difficile: il mondo multipolare sta facendo il suo dovere ).
Un obiettivo chiave che viene raggiunto con sorprendente facilità è la distruzione dell’economia tedesca, e di conseguenza dell’UE, con una grande quantità di società sopravvissute che alla fine verranno svendute agli interessi americani.
Prendete, ad esempio, Milan Nedeljkovic, membro del consiglio di amministrazione della BMW, il quale spiega alla Reuters che “la nostra industria rappresenta circa il 37% del consumo di gas naturale in Germania”, che affonderà senza le forniture di gas russe.
Il piano di Washington è di mantenere la nuova “lunga guerra” a un livello non troppo incandescente – si pensi alla Siria negli anni 2010 – alimentata da file di mercenari e caratterizzata da periodiche escalation della NATO da parte di chiunque provenga dalla Polonia e dai nani baltici alla Germania.
La scorsa settimana, Josep Borrell, il pietoso eurocrate che si atteggiava ad Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha dato il via al gioco durante l’anteprima dell’imminente riunione del Consiglio Affari esteri dell’UE.
Borrell ha ammesso che “il conflitto sarà lungo” e “la priorità degli Stati membri dell’UE” in Ucraina “consiste nella fornitura di armi pesanti”.
Poi il presidente polacco Andrzej Duda ha incontrato Zelensky a Kiev. La sfilza di accordi firmati dai due indica che Varsavia intende trarre profitto dalla guerra per rafforzare la sua influenza politico-militare, economica e culturale nell’Ucraina occidentale. I cittadini polacchi potranno essere eletti negli organi del governo ucraino e anche aspirare a diventare giudici costituzionali .
In pratica, ciò significa che Kiev sta trasferendo la gestione dello stato fallito ucraino alla Polonia. Varsavia non dovrà nemmeno inviare truppe. Chiamatela annessione morbida.

Il rullo compressore in movimento
Così com’è, la situazione sul campo di battaglia può essere esaminata in questa mappa . Le comunicazioni intercettate dal comando ucraino rivelano il loro obiettivo di costruire una difesa a più livelli da Poltava attraverso Dnepropetrovsk, Zaporozhia, Krivoy Rog e Nikolaev, che sembra essere uno scudo per la già fortificata Odessa. Niente di tutto ciò garantisce il successo contro l’assalto russo in arrivo.
È sempre importante ricordare che l’operazione Z è iniziata il 24 febbraio con circa 150.000 combattenti, e sicuramente non le forze d’élite russe. Eppure, hanno liberato Mariupol e distrutto il battaglione d’élite neonazista Azov in soli cinquanta giorni, ripulendo una città di 400.000 persone con perdite minime.
Mentre combattevano una vera guerra sul campo – non quei bombardamenti indiscriminati americani dall’aria – in un paese enorme contro un grande esercito, che affronta molteplici sfide tecniche, finanziarie e logistiche, i russi sono anche riusciti a liberare Kherson, Zaporizhia e praticamente l’intera area dei “gemelli”, le repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk.
Il comandante delle forze di terra russe, il generale Aleksandr Dvornikov, ha turbo missili, artiglieria e attacchi aerei a un ritmo cinque volte più veloci rispetto alla prima fase dell’operazione Z, mentre gli ucraini, nel complesso, sono a corto o molto basso di carburante, munizioni per artiglieria, specialisti addestrati, droni e radar.
Ciò che i generali americani della poltrona e della TV semplicemente non riescono a comprendere è che nella visione russa di questa guerra – che l’esperto militare Andrei Martyanov definisce “un’operazione combinata di armi e polizia” – i due obiettivi principali sono la distruzione di tutte le risorse militari del nemico preservando la vita dei suoi stessi soldati.
Quindi, mentre perdere carri armati non è un grosso problema per Mosca, perdere vite lo è. E questo spiega quei massicci bombardamenti russi; ogni obiettivo militare deve essere definitivamente distrutto. I colpi di precisione sono fondamentali.
C’è un acceso dibattito tra gli esperti militari russi sul motivo per cui il Ministero della Difesa non punta a una rapida vittoria strategica. Avrebbero potuto ridurre l’Ucraina in macerie – in stile americano – in pochissimo tempo. Non succederà. I russi preferiscono avanzare lentamente e con sicurezza, in una sorta di rullo compressore. Avanzano solo dopo che i genieri hanno completamente sorvegliato il terreno; dopotutto ci sono mine ovunque.
Lo schema generale è inconfondibile, qualunque sia lo sbarramento di spin della NATO. Le perdite ucraine stanno diventando esponenziali: fino a 1.500 uccisi o feriti ogni giorno, ogni giorno. Se ci sono 50.000 ucraini nei vari calderoni del Donbass, se ne andranno entro la fine di giugno.
L’Ucraina deve aver perso fino a 20.000 soldati nella sola Mariupol e dintorni. Si tratta di una massiccia sconfitta militare, che ha ampiamente superato Debaltsevo nel 2015 e in precedenza Ilovaisk nel 2014. Le perdite vicino a Izyum potrebbero essere anche superiori a quelle di Mariupol. E ora arrivano le sconfitte all’angolo di Severodonetsk.
Stiamo parlando delle migliori forze ucraine. Non importa nemmeno che solo il 70 per cento delle armi occidentali inviate dalla NATO arrivi sul campo di battaglia: il problema principale è che i migliori soldati se ne vanno. Se ne vanno e non verranno rimpiazzati. I neonazisti Azov, la XXIVa brigata, la XXXVI brigata, varie brigate d’assalto aereo: hanno subito perdite superiori al 60% o sono state completamente demolite.
Quindi la domanda chiave, come hanno sottolineato diversi esperti militari russi, non è quando Kiev “perderà” come punto di non ritorno; è  quanti soldati Mosca è disposta a perdere per arrivare a questo punto.
L’intera difesa ucraina è basata sull’artiglieria. Quindi le battaglie chiave che ci attendono coinvolgono l’artiglieria a lungo raggio. Ci saranno problemi, perché gli Stati Uniti stanno per consegnare sistemi M270 MLRS con munizioni a guida di precisione, in grado di colpire bersagli a una distanza fino a 70 chilometri o più.
La Russia, però, ha un contraccolpo: il Piccolo Complesso Operativo-Tattico Hermes, che utilizza munizioni ad alta precisione, possibilità di guida laser e una portata di oltre 100 chilometri. E possono funzionare in combinazione con i sistemi di difesa aerea Pantsir già prodotti in serie.

La nave che affonda

L’Ucraina, entro i suoi attuali confini, è già un ricordo del passato. Georgy Muradov, rappresentante permanente della Crimea presso il presidente della Russia e vice primo ministro del governo di Crimea, è irremovibile: “L’Ucraina nella forma in cui era, credo, non rimarrà più. Questa è già l’ex Ucraina”.
Il Mar d’Azov è ormai diventato un “mare di uso comune” da parte della Russia e della Repubblica popolare di Donetsk (DPR), come confermato da Muradov.
Mariupol sarà ricostruita. La Russia ha avuto molta esperienza in questo settore sia a Grozny che in Crimea. Il corridoio terrestre Russia-Crimea è attivo. Quattro ospedali su cinque a Mariupol hanno già riaperto e sono tornati i mezzi pubblici, oltre a tre distributori di benzina.
L’imminente perdita di Severodonetsk e Lysichansk suonerà seri campanelli d’allarme a Washington e Bruxelles, perché rappresenterà l’inizio della fine dell’attuale regime a Kiev. E questo, per tutti gli scopi pratici – e al di là di tutta l’alta retorica del “l’ovest sta con te” – significa che i giocatori pesanti non saranno esattamente incoraggiati a scommettere su una nave che affonda.
Sul fronte delle sanzioni, Mosca sa esattamente cosa aspettarsi, come ha dettagliato il ministro dello Sviluppo economico Maxim Reshetnikov: “La Russia procede dal fatto che le sanzioni contro di essa sono una tendenza piuttosto a lungo termine, e dal fatto che il perno verso l’Asia, l’accelerazione del riorientamento verso i mercati orientali, verso i mercati asiatici è una direzione strategica per la Russia. Faremo ogni sforzo per integrarci nelle catene del valore proprio insieme ai paesi asiatici, insieme ai paesi arabi, insieme al Sud America”.
Negli sforzi per “intimidire la Russia”, i giocatori farebbero bene ad ascoltare il suono ipersonico di 50 missili all’avanguardia Sarmat pronti per il combattimento questo autunno, come spiegato dal capo di Roscosmos Dmitry Rogozin.

Gli incontri di questa settimana a Davos portano alla luce un altro allineamento che si sta formando nella battaglia mondiale unipolare contro multipolare. La Russia, le repubbliche gemelle, la Cecenia e alleati come la Bielorussia sono ora contrapposti ai “leader di Davos”, in altre parole, l’élite occidentale combinata, con poche eccezioni come il primo ministro ungherese Viktor Orban.
Zelensky starà bene. È protetto dalle forze speciali britanniche e americane . Secondo quanto riferito, la famiglia vive in una villa da 8 milioni di dollari in Israele. Possiede una villa da 34 milioni di dollari a Miami Beach e un’altra in Toscana. Gli ucraini medi sono stati mentiti, derubati e, in molti casi, assassinati dalla banda di Kiev che presiede: oligarchi, fanatici dei servizi di sicurezza (SBU), neonazisti. E gli ucraini rimasti (10 milioni sono già fuggiti) continueranno a essere trattati come sacrificabili.
Nel frattempo, il presidente russo Vladimir “il nuovo Hitler” Putin non ha assolutamente fretta di porre fine a questo dramma più grande della vita che sta rovinando e marcendo l’Occidente già in decomposizione fino al midollo. Perché dovrebbe? Ha provato di tutto, dal 2007, sul fronte del “perché non possiamo andare d’accordo”. Putin è stato totalmente respinto. Quindi ora è il momento di sedersi, rilassarsi e guardare il declino dell’Occidente.

La resistenza del Venezuela

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L’ANTIDIPLOMATICO

di Gianni Mina’

Fra le tante frottole che vengono raccontate quotidianamente dai media occidentali riguardo al Venezuela ce n’è una che purtroppo è stata sposata anche dal nostro ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi.

Il ministro nel corso della sua esposizione alle Camere ha affermato che l’opposizione in Venezuela, quella facente capo a personaggi discutibili come Leopoldo Lopez, Maria Corina Machado ed Henrique Capriles, non aveva partecipato alle ultime elezioni perché la consultazione elettorale non era credibile, anzi era truccata.

Ora a parte che tutto il mondo, se non è in malafede, sa che la defezione fu invece dovuta all’incapacità dell’opposizione di reperire un candidato decente dopo i fallimenti dei presunti combattenti per la democrazia nel paese, è palese che la verità è un’altra.

Mortificare la validità delle ultime elezioni è stato il metodo consueto per giustificare il fallimento dell’opposizione.

Ricordo le campagne anti-Chávez, smentite dai fatti, e ricordo i fatti stessi che avevano come garanti, tra gli altri, Adolfo Perez Esquivel, premio Nobel per la pace, Eduardo Galeano, coscienza critica del Continente e addirittura la Fondazione dell’ex Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, gente la cui onestà intellettuale non era smentibile. E ricordo le numerose campagne elettorali, la cui validità democratica era monitorata da più di 150 osservatori internazionali. A maggio 2018, ad esempio, l’ex premier della Spagna, Josè Luis Zapatero aveva criticato l’atteggiamento sconsiderato della Comunità Europea che aveva lasciato il Venezuela al suo destino di isolamento. Continua a leggere

“Come ultimo rapporteur Onu in Venezuela vi dico: nessuna crisi umanitaria e le sanzioni di Stati Uniti e Unione Europea sono omicidio premeditato”

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. “Chi è morto per la malnutrizione o per mancanza di dialisi o altre medicine è morto per colpa delle sanzioni di Stati Uniti e Unione Europea”

Sulla crisi in Venezuela nessuno più di Alfred de Zayas, laureato ad Harvard, professore di diritto internazionale a Ginevra dal 2007 e unico rapporteur delle Nazioni Unite in Venezuela negli anni della Rivoluzione bolivariana, può essere una voce attendibile nel marasma di fake news in cui siamo immersi in questi giorni.

Abbiamo avuto come redazione dell’Antidiplomatico la possibilità di intervistarlo.

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“Soros papers”: come la Open Society Foundation controlla un terzo del parlamento europeo

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di Francesco Galofaro

"Soros papers": come la Open Society Foundation controlla un terzo del parlamento europeo

Fonte: L’Antidiplomatico

Con questo articolo Marx XXI si accinge a pubblicare una serie di approfondimenti sui Soros Papers. Si tratta di documenti riservati della Open Society Foundation che fa capo al discusso finanziere naturalizzato statunitense George Soros, pubblicati dal sito DC Leaks. La nostra inchiesta parte dal Parlamento europeo e dal modo in cui la Fondazione esercita attività di tipo lobbistico su un terzo dei deputati eletti nel 2014. Nei prossimi numeri ci occuperemo più nello specifico della campagna elettorale del 2014 e del modo in cui la Fondazione ha tentato di influenzarla. Infine, approfondiremo le finalità della Fondazione Open Society, per chiederci se il suo modo di procedere non costituisca una minaccia per la democrazia.

La fonte

DC Leaks è un sito noto per aver divulgato, in passato, le mail dei partecipanti al congresso democratico del 2016 [1], rivelando come il gruppo dirigente avesse sabotato la campagna elettorale di Bernie Sanders. Nell’agosto del 2016 DC Leaks ha pubblicato 2600 file relativi alle attività e alle strategie della fondazione Open Society. Secondo le accuse delle agenzie di sicurezza USA, dietro la pagina si celerebbe il gruppo russo Fancy Bear, specializzato nello spionaggio cibernetico. Non è certo il modo in cui i documenti sono stati ottenuti. Per ammissione di Laura Silber, portavoce della fondazione, i dati provengono da una intranetutilizzata dai membri del consiglio di amministrazione, dallo staff e dai partner della fondazione [2], il che fa pensare a una gola profonda (whistleblower) interna all’organizzazione, mossa da motivazioni ideali, oppure alla tecnica dello spear phishing, con mail ad personam che sfruttano dati sul destinatario allo scopo di convincerlo a collaborare. Continua a leggere

La crisi strutturale del sistema mediatico

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di Gennaro Scala

La crisi strutturale del sistema mediatico

Fonte: L’Antidiplomatico

E’ in atto una crisi radicale del sistema mediatico occidentale, all’interno di una trasformazione complessiva del sistema politico di carattere globale ed epocale(1). Il centro di propagazione del terremoto è negli Usa, ma ha la sua risonanza anche in Italia, che potrebbe diventare un importante laboratorio a livello europeo, in cui si potrebbero sperimentare delle nuove strutture per far fronte al sommovimento in corso. Il terremoto, al momento, ha le parvenze di un bradisisma, con un’instabilità costante fatta di polemiche quotidiane al di sopra delle righe, ma potrebbe erompere in movimenti più drammatici. La trasformazione della geografia sociale è già in corso, da vedere saranno invece le soluzioni attuate per farvi fronte. La crisi potrebbe sfociare in un nuovo sistema in cui potrebbero venir meno le garanzie formali democratiche, che potrebbe essere la facile “soluzione” alla crisi della “sinistra”, ormai sempre più spesso evocata (un esempio tra i tanti: il libro di Jason Brennan, “contro la democrazia” che ha avuto la prefazione di Sabino Cassese, nel 2013 uno dei candidati Pd alla presidenza della Repubblica), oppure in un nuovo sistema che invece sfrutti le potenzialità dei nuovi mezzi per una ristrutturazione della democrazia finalizzata ad un diverso coinvolgimento di massa, indispensabile nella gestione di società complesse come le nostre.
I principali fattori di crisi del sistema mediatico, visti all’interno della crisi complessiva del sistema politico sono, innanzitutto, la fine dell’“epoca della globalizzazione”, in realtà un periodo abbastanza breve e transitorio, terminato con il ritorno in campo della Russia, e con la definitiva affermazione della Cina quale potenza globale. Il fallimento della globalizzazione impone un ripensamento radicale delle strategie politiche e delle ideologie ad esse concomitanti. La cosiddetta “globalizzazione” è stata quel breve periodo, se commisurato ai tempi storici, in cui gli Usa, a capo dei “paesi occidentali”, quando già l’Urss mostrava una crisi irreversibile, avevano pensato di poter diventare l’unica potenza mondiale. Contesto in cui si è formata un’ideologia globalista diventata dominante basata sul politicamente corretto, che facciamo iniziare simbolicamente con il “Live aid” del 1985 in cui il mondo occidentale proclamava per mezzo delle sue “star”: “We are the world”. Continua a leggere

Carlo Freccero: Foa, finalmente un Presidente Rai fuori dal frame

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Carlo Freccero: Foa, finalmente un Presidente Rai fuori dal framedi Carlo Freccero

Foa fa parte di un piccolo gruppo di opinion leader, blogger, giornalisti e pensatori, che presentano su internet l’altra faccia della medaglia, i fatti al di là della propaganda

Ho scritto tempo fa su queste pagine che l’ordine del discorso sta cambiando. La proposta di Foa a presidente Rai è una conferma della mia affermazione. Dirò di più. Qualora alla proposta succedesse la nomina, ci sono buone possibilità che questo processo ne sarebbe accelerato, perché l’informazione è fondamentale per la formazione dell’opinione pubblica. La prova? La reazione isterica con cui è stata colta la sua candidatura da tutta la stampa mainstream. Il Movimento 5 Stelle ha suggerito Salini e nessuno ha avuto niente da eccepire. La Lega ha proposto Foa e si è scatenato il putiferio. E’ paradossale che Foa venga combattuto come spacciatore di fake-news. In questo ambito Foa è un precursore, ma in senso inverso.

E’ dal 2006, anno che in termini di lotta alle fake-news si colloca nella preistoria, che Foa analizza il problema della verità in politica. Il suo libro Gli stregoni della notizia, di cui tra l’altro è uscito l’aggiornamento, analizza criticamente il fenomeno degli spin doctors e le sue ricadute in termini di democrazia. La figura dello spin doctor non è un parto della fantasia dei complottisti, ma una figura ufficiale, ben retribuita, che da tempo si occupa in America di organizzare le campagne elettorali dei candidati democratici e repubblicani e che, più recentemente, è stata introdotta anche in Italia. Ricordo lo spin doctor che seguì il governo Monti e la completa americanizzazione della campagna elettorale renziana. Lo spin doctor non è vincolato alla verità. Continua a leggere

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