I BRICS lanciano la sfida: il piano per de-dollarizzare il mondo

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di Lepoldo Gasbarro

I BRICS alzano la voce e fanno capire al mondo che la loro forza, alimentata da una crescita straordinaria dei numeri demografici, in questo momento è l’unica in grado di poter cambiare il mondo. Staremo a vedere, ma intanto i leader dei Paesi (escluso Putin collegato in remoto) posano in una sorta di foto di famiglia e si abbracciano l’uno a l’altro. Putin, come detto, è intervenuto al vertice da remoto e ha sottolineato nel discorso in lingua russa che la de-dollarizzazione sta “guadagnando slancio”.

Secondo lui, la perdita di centralità globale del dollaro è un processo “oggettivo e irreversibile”. Il leader russo ha affermato che i cinque membri del BRICS – RussiaCinaIndiaBrasile e Sudafrica – stanno diventando i nuovi leader economici mondiali, aggiungendo che la loro quota cumulativa del PIL globale ha raggiunto il 26%. Ha osservato che, se misurati in base alla parità di potere d’acquisto, i BRICS hanno già superato il Gruppo delle Sette principali nazioni industrializzate – rappresentando il 31% dell’economia globale, rispetto al 30% del G7 .

Negli ultimi 10 anni, gli investimenti reciproci tra gli Stati membri del BRICS sono aumentati di sei volte. I loro investimenti totali nell’economia mondiale sono raddoppiati, mentre le esportazioni cumulative rappresentano il 20% del totale globale.

Putin ha anche criticato le “sanzioni illegittime” che “pesano gravemente sulla situazione economica internazionale” da parte degli Stati Uniti e dell’Occidente, oltre al “congelamento illegale dei beni degli stati sovrani”. Il messaggio dello Zar sarà sicuramente accolto positivamente da molti aspiranti candidati ai paesi Brics. “Stiamo costantemente aumentando le forniture di carburante, cibo e fertilizzanti agli stati del Sud del mondo”, ha aggiunto, imputando anche la carenza alimentare internazionale alle sanzioni “illegali” dell’Occidente.

Il presidente cinese Xi Jinping è arrivato in Sud Africa accolto dal presidente Cyril Ramaphosa, che ospita il vertice di Pretoria.

È il secondo viaggio all’estero del leader cinese quest’anno, dopo che a marzo aveva incontrato a Mosca Vladimir Putin . Putin sarà assente all’incontro dei BRICS dopo che il Sudafrica ha segnalato di essere sotto pressione per far rispettare lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (CPI) che richiederebbe al governo di arrestare il leader russo.

La dichiarazione pre-vertice di Xi ha inoltre affermato che i membri dell’associazione sono diventati “una forza costruttiva che ottimizza la governance globale e promuove la democratizzazione delle relazioni internazionali “.

Illustrando il divario sulla missione e sulla portata più ampia dei BRICS, il FT scrive:

“Se espandiamo i Brics fino a rappresentare una quota del PIL mondiale simile a quella del G7, allora la nostra voce collettiva nel mondo diventerà più forte”, ha detto un funzionario cinese, che ha voluto restare anonimo.

Naledi Pandor, ministro degli Esteri del Sud Africa, ha detto questo mese che è “estremamente sbagliato” vedere una potenziale espansione dei Brics come una mossa anti-occidentale. Tuttavia, è probabile che le capitali occidentali considerino la possibile adesione di Iran, Bielorussia e Venezuela come una mossa per abbracciare gli alleati di Russia e Cina.

Ma alcuni paesi influenti come il Brasile del presidente di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva probabilmente saranno dalla parte di Pechino, dato che Lula si è espresso a favore dell’ammissione di paesi vicini come Argentina e Venezuela – quest’ultimo nemico di lunga data di Washington. Alcuni leader vogliono anche l’ammissione dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, il che scatenerà il dibattito sulle condizioni e sui criteri per l’espansione. Attualmente l’Arabia Saudita è il paese più vicino a diventare il nuovo membro, dato che i colloqui sono in corso. Oltre 20 altri paesi hanno chiesto e fatto domanda per aderire.

Nonostante le voci secondo cui alcuni paesi, tra cui la Russia, stanno spingendo per la fine del dominio del dollaro, il FT ha citato fonti diplomatiche per sottolineare che una valuta comune non è all’ordine del giorno.

Guerra Ucraina, cosa può succedere in caso di prolungamento o de-escalation?

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di Redazione Wall Street Italia

di Simone Borghi

A più di un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina, mercati e investitori si chiedono come cambierà lo scenario nei prossimi mesi. Scontato dire che molto dipenderà dagli sviluppi del conflitto sia sul campo di battaglia che sul lato diplomatico. A questo proposito, gli esperti si dividono tra coloro che temono una guerra prolungata con un peggioramento della situazione geopolitica e quelli che credono in una de-escalation ancora possibile.

Innanzitutto, c’è da dire che i mercati non amano l’incertezza e ciò si visto dall’andamento dei listini a cavallo dei periodi di guerra e tensione geopolitiche. Ad apprendere dalla storia dell’ultimo secolo, la maggiore volatilità dei mercati è sempre stata dovuta all’incertezza del clima politico ed economico che precede l’esplosione di un conflitto importante. Gli investitori, infatti, non temono tanto le guerre quanto piuttosto la mancanza di controllo sugli eventi in corso.

A giudicare da quanto sta accadendo ai mercati globali in questo momento, che sono praticamente tornati sui livelli pre-conflitto, ci sono le premesse per supporre che anche il conflitto tra Russia e Ucraina determini conseguenze borsistiche coerenti a quanto avvenuto nella storia. Le ondate di volatilità che si sono viste sui listini sono una delle caratteristiche chiave del clima dei mercati nelle fasi subito precedenti o appena iniziali di un conflitto e storicamente tale clima si è sempre disteso a conflitto in corso i listini tornano invece a crescere. La storia insegna che le borse non “disdegnano” le guerre, ma la domanda che ci poniamo tutti è quando finirà il conflitto Russia-Ucraina.

Gli effetti di un prolungamento della guerra

La guerra senza fine potrebbe esacerbare la crisi energetica. È quello che pensano gli esperti di S&P Global Ratings, secondo cui c’è un rischio significativo che il conflitto militare tra Russia e Ucraina si protragga, esacerbando la crisi energetica dell’Europa, mentre i tassi d’interesse nei mercati sviluppati potrebbero essere costretti a salire ancora più bruscamente rispetto allo scenario di base, per mitigare le crescenti pressioni inflazionistiche. Ciò potrebbe portare a una recessione più profonda del previsto in Europa e, in misura minore, negli Stati Uniti, con un concomitante aumento della disoccupazione.

Considerando l’aumento dei rischi e la loro potenziale attuazione, S&P Global Ratings ha sviluppato uno scenario negativo, con una probabilità che si verifichi pari a uno su tre. In Europa, lo scenario negativo vedrebbe prezzi energetici elevati e razionamenti. La Bce sarebbe costretta a seguire la Fed a causa del deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, alimentando l’inflazione importata. Dal punto di vista borsistico, questo porterà al perdurare del clima di incertezza, che ai mercati proprio non piace, con ritorno di volatilità nel caso la situazione geopolitica peggiori.

Gli effetti di una de-escalation del conflitto

Uno scenario di de-escalation è quello invece prospettato dagli analisti di Barclays, i quali ritengono che qualsiasi forma di cessate il fuoco tra la Russia e l’Ucraina potrebbe ridurre la pressione sui mercati europei del gas, oltre che su quelle aziende che hanno un’esposizione più ampia alla Russia.

Guardando oltre, la storia degli ultimi cento anni ci insegna che il più delle volte i mercati reagiscono con grande forza alla fine di eventi dal grave impatto socio-economico. Il rimbalzo che solitamente si innesca a fine guerra viene dato dalla tempestività degli investitori nel modificare gli asset economici dalla fase bellica all’investimento post-bellico. Ed è tutta qui che si gioca la partita della ricostruzione.

Nei principali conflitti della storia i mercati azionari hanno impiegato circa 15 sedute per riprendersi. L’equilibrio dei mercati e le prospettive di ripresa sono in mano a tutte queste dinamiche, che gli investitori, anche nel caso del conflitto in corso, non possono ignorare.

Usa contro Cina: l’analisi dei servizi segreti italiani

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Pubblicata la relazione dei servizi segreti italiani per la sicurezza della Repubblica. All’interno l’analisi del confronto, soprattutto economico, tra Usa e Cina un rapporto che può cambiare i destini del Mondo come l’abbiamo conosciuto finora.

“Non c’è stato il sorpasso di Pechino nei confronti degli Stati Uniti, valutato invece da diversi analisti internazionali come imminente.

La tutela della sicurezza nazionale Il confronto tra Stati Uniti e Cina in dieci settori chiave è riportato nell’infografica sotto.

Usa contro Cina: l'analisi dei servizi segreti italiani

 

In molti campi la distanza tra Cina e Stati Uniti è ancora ampia. Non è affatto scontato che il sorpasso, se mai si vedrà, sia questione di anni o di lustri. A livello macroeconomico il rallentamento della crescita cinese rappresenta un nuovo equilibrio. La tendenza statunitense, di contro, rimane stabilmente in crescita. A livello finanziario la Cina è in forte ritardo a causa della sua riluttanza a liberalizzare i flussi di capitali. Inoltre, l’uso internazionale del renminbi rimane molto limitato per il commercio e per gli investimenti transfrontalieri. In relazione ad alcuni settori considerati strategici (aeronautica, semiconduttori, energetico, intelligenza artificiale, dispositivi medici), emerge come gli Stati Uniti siano leader globali, avanti a livello tecnologico, in grado di guidare l’innovazione globale. La Cina fa spesso affidamento sulla tecnologia straniera importata. Il confronto a livello demografico è favorevole agli USA. La popolazione statunitense continuerà a crescere nel corso del secolo. Dal punto di vista del capitale umano, la Cina è agli ultimi posti tra i Paesi al suo livello di sviluppo; gli Stati Uniti partono da una posizione di netto vantaggio”.

Il Mondo sta cambiando è evidente. I rapporti di forza stanno cambiando. Ma il cambiamento è nella storia dell’uomo

Leopoldo Gasbarro 04/03/2023

Le sanzioni non funzionano. La Russia cresce più di Germania ed UK

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L’avevamo scritto e detto più volte: le sanzioni non funzionano, ma indeboliscono gli europei che le pagano…(n.d.r.)

Le stime per 2023 e 2024 del Fondo Monetario Internazionale

 

Lo dice il Fondo Monetario Internazionale. La Russia crescerà effettivamente più velocemente della Germania, Germania che, nell’immaginario collettivo, viene considerata la potenza economica dell’Europa. Gli analisti del FMI hanno pubblicato le previsioni secondo le quali nel corso di quest’anno l’economia russa crescerà più di quella tedesca, mentre quella britannica si contrarrà.

Le sanzioni non funzionano. La Russia cresce più di Germania ed UK

La Yellen, segretario al tesoro americano, aveva predetto la devastazione dell’economia russa. In tanti pensavano al crollo del Rublo. E invece?

Invece le sanzioni occidentali sembra non abbiano sortito gli effetti sperati, se non quelli di aver creato ancor più prolemi ai Paesi che le hanno pensate e messe in opera. Così i blocchi del gas, ora del petrolio, non hanno minimamente intaccato o quantomeno non lo hanno segnato, l’economia di Putin.

Anche i russi si aspettavano una crisi economica più profonda. Qualcuno pensava ad un calo del PIL  di oltre il 10% per il 2022, mentre invece ha chiuso al 2,2%. Gli analisti prevedevano un calo del pil 2023 del 2,5% mentre ora il FMI parla di crescita di almeno lo 0,3% un dato che è in linea con le nazioni europee, addirittura meglio in alcuni casi

Insomma, il crollo che ci si aspettava non c’è stato. Ma come mai?

La risposta inizia con due storie economiche distinte: la prima, su ciò che sta accadendo all’interno della Russia; e la seconda, sui legami della Russia con il mondo esterno.

Le sanzioni occidentali erano progettate per fare pressione su Mosca sia a livello nazionale che internazionale; l’idea era di “ostacolare” l’economia interna della Russia e le sue relazioni commerciali. Le restrizioni includevano misure per tagliare fuori la banca centrale russa dal sistema finanziario internazionale, bloccandone l’accesso a miliardi di dollari in attività estere, e per espellere il settore bancario privato del paese dal cosiddetto sistema SWIFT che le consentiva di effettuare transazioni con controparti globali.

La ricaduta è stata quasi immediata. I russi ordinari, preoccupati per i loro risparmi quando le notizie sulle sanzioni hanno fatto notizia, hanno fatto la fila fuori dagli sportelli automatici all’inizio di marzo, affrettandosi a ritirare tutto il denaro che potevano nel timore che le banche potessero crollare.

Ma le prove ora mostrano che la Russia ha sperimentato una sorta di ripresa interna nella seconda metà del 2022. E il paradosso è che la guerra stessa ha contribuito a guidare l’inversione di tendenza.

Mentre la spesa per vari altri programmi domestici è diminuita di circa un quarto e alcune industrie hanno subito enormi perdite , l’economia di guerra nazionale si è espansa notevolmente.  Ha più che compensato la differenza.

I picchi di produzione in tutto il settore della difesa hanno fatto sì che le statistiche complessive per l’industria russa non fossero così catastrofiche come ci si sarebbe potuto aspettare. Nonostante le sanzioni internazionali, la produzione industriale nei primi 10 mesi del 2022 è diminuita solo dello 0,1%. E ora dovrebbe crescere.

Se il quadro interno è stato sostenuto dalle spese di guerra, oltre i suoi confini la Russia ha continuato a commerciare relativamente liberamente, e per decine di miliardi di dollari, anche se le sanzioni hanno reso più difficile per le aziende russe fare affari con controparti straniere.

Ci sono due ragioni principali per questo: la capacità della Russia di convincere i principali partner commerciali a ignorare le sanzioni occidentali; e le vaste e varie risorse naturali della Russia.

La Russia continua a detenere posizioni dominanti nei mercati mondiali del petrolio e del gas. È anche il più grande esportatore mondiale di fertilizzanti. E per molti paesi, abbandonare improvvisamente le forniture russe si è rivelato troppo costoso, qualunque sia la loro opinione sulla guerra in Ucraina.

L‘India, ad esempio, ha notevolmente aumentato il suo consumo di petrolio russo. In effetti, si stima ora che l’India importi 1,2 milioni di barili di petrolio russo ogni mese, 33 volte i livelli visti un anno prima, secondo i dati di Bloomberg .

E poi la Turchia, continua a commerciare con Mosca. A dicembre, ad esempio, ha importato 213.000 barili di gasolio russo al giorno , il massimo almeno dal 2016.

Anche le importazioni in Russia si sono dimostrate più resilienti di quanto suggerirebbero i titoli sulle sanzioni, poiché Mosca approfondisce le sue relazioni con paesi come Cina e Turchia. Le importazioni in Russia dalla Turchia , ad esempio, a dicembre si sono attestate a nord di 1,3 miliardi di dollari, più del doppio rispetto ai livelli dell’anno precedente.

E nella stessa Europa, anche se il continente si affretta a porre fine alla sua dipendenza dall’energia russa, i leader hanno deciso che non potevano semplicemente chiudere il rubinetto allo scoppio della guerra. Il gruppo di campagna sul clima Europe Beyond Coal stima che, nonostante la guerra, i paesi dell’Unione Europea abbiano speso più di 150 miliardi di dollari – esatto, miliardi – in combustibili fossili russi dall’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.

Insomma,  quasi un anno dall’inizio della guerra, e nonostante un’azione senza precedenti da parte dell’Occidente, l’economia russa non è crollata affatto e nessun indicatore ci porta in quel contesto di negatività neanche nell’immediato futuro.

03 febbraio 2023  LEOPOLDO GASBARRO

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/economia/le-sanzioni-non-funzionano-la-russia-cresce-piu-di-germania-ed-uk/

Facciamo attenzione ai segnali silenziosi

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Segnalazione Wall Street Italia

di Leopoldo Gasbarro

Dove stiamo andando? Che futuro ci aspetta? Probabilmente tra gli editoriali fatti per questo giornale questo è quello a cui tengo di più. Perché vi chiederete voi? Ma perché servirà a sottolineare un momento che definire complicato è quanto mai eufemistico. Al momento in cui scrivo queste righe, il Nasdaq sta perdendo quasi il 30% da inizio anno. I mercati obbligazionari hanno visto vaporizzare quasi 10 miliardi di euro in fuoriuscite dai fondi comuni.

Tantissimi di voi che stanno leggendo queste righe stanno perdendo importanti quantità di denaro. E non è finita, almeno fino al momento in cui sto scrivendo queste righe, non è finita. Eppure, per parlare come facciamo noi di investimenti, dobbiamo parlare del futuro, perché quello è l’unico posto verso cui stiamo andando. E purtroppo oggi ne abbiamo paura.

Chi saprà tradurre quel grosso punto interrogativo dipinto davanti ai nostri occhi avrà la capacità di trasformare il suo futuro. Già, perché c’è chi guarda al rumore generale e chi invece si guarda attorno con attenzione, elimina il rumore di fondo, e si sofferma su quei segnali che sembrano deboli ma che caratterizzano realmente il percorso verso il domani. Sembrerebbe assurdo parlare di Metaverso in momenti come questo. Ma ci sembrava assurdo anche guardare all’uomo sulla luna prima che ci arrivassero gli americani, prima che l’impronta dell’uomo si poggiasse indelebilmente sul suolo del nostro satellite. E la Luna sembra la nostra nuova impresa da raggiungere, e poi Marte e poi chissà cosa?

Il mondo ci sta stretto, non sta finendo. La Cina, fedele alleato della Russia, ha deciso di costruire una ferrovia che porterà le proprie merci direttamente sui mercati europei. Sapete che caratteristiche ha questa linea? Eviterà ogni territorio russo. è un po’ come se Xi avesse detto a Putin: “Ciccio, siamo compari, ma gli affari sono affari. Tu continua i tuoi giochi di guerra e non fare troppo rumore. Io penso a fare altro”.

Intanto crescono gli investimenti per cercare soluzioni all’uso del gas e del petrolio. Le energie rinnovabili? Il nucleare pulito? La fusione? Chissà cos’altro ancora? Credo che l’età della pietra, lasciandoci in eredità un mucchio di pietre sparse qua e là dovrebbe farci capire che succederà lo stesso anche stavolta: finirà l’era del gas senza che il gas finisca.

Si accettano scommesse.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di ottobre 2022 del magazine di Wall Street Italia

Gas, ora l’Europa ci chiede il “massimo sforzo”. Ma che vuol dire?

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di Leopoldo Gasbarro

Massimo sforzo“. Lo chiede l’Europa. Sarà infatti obbligatorio, e dettato dall’Unione Europea, il taglio dei consumi di gas, in caso di ulteriore riduzione delle forniture. Lo dice la bozza del nuovo piano europeo per la gestione della crisi legata al gas, piano che sarà presentato ufficialmente domani ma che è stato già visionato in anteprima dall’Ansa.
L’indiscrezione ci fa comprendere, se sarà confermata, quanto la crisi energetica dettata dalla gestione del gas naturale, in arrivo dalla Russia, stia assumendo dimensioni sempre più importanti. Nonostante tutti i problemi, che ormai sembrano scontati per l’ultimo trimestre dell’anno, la politica europea fatica a trovare le parole per dire chiaramente come stanno le cose. Eppure, i cittadini che sono anche elettori sono abbastanza maturi per comprendere la difficoltà di un momento che in qualche modo si tende a nascondere. L’Ansa evidenzia come siano spariti dal documento i riferimenti (contenuti in una prima versione del testo) all’obbligo, per gli edifici pubblici, di limitare il riscaldamento a 19 gradi e i condizionatori a 25. Introduce però un principio criptico e tutto da interpretare, perché “massimo sforzo” che vuol dire tutto e niente.

Il mistero del “massimo sforzo”

Speriamo che un giorno ce lo spieghino, ma la sensazione è che quelle due parole: massimo e sforzo, messe così insieme, rappresentano un problema di difficile soluzione. Insomma, è come dire senza aver detto. E’ come dire che con “massimo sforzo” se la situazione dovesse essere più seria di quanto si dica.  I limiti alle temperature di riscaldamento e condizionamento potrebbero essere modificati radicalmente, e potrebbero arrivare a zero. E non sarebbe questa l’unica scelta da fare. Forse è il caso di prepararsi davvero a decisioni dure.

“Massimo sforzo”. Ora ci chiedono il “massimo sforzo” non si parla più di limiti alla temperatura. Non si parla più di razionamento, ma di “massimo sforzo”, nel senso che vale qualunque cosa.

Spread, i politici italiani contro Bce e Lagarde. Ma cosa hanno fatto contro il debito pubblico?

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di Leopoldo Gasbarro

Venerdì scorso, all’esplosione dello spread e della negatività sui mercati finanziari, ha fatto seguito una lunga, forte e sostenuta azione di contrasto con la Bce dei nostri politici. Lo hanno fatto per demagogia?

Cari politici, va bene lo spread, va bene l’incertezza va bene tutto tranne che, dal “whatever it takes” di Mario Draghi del 26 luglio 2012 sono passati 10 anni. Ma cosa è stato fatto da allora? Quante azioni sono state messe in piedi per ridurre la quota di debito pubblico italiano? Nessuna. Non è stato fatto niente in 10 anni. Anzi, una cosa è stata è fatta: abbiamo fatto finta che il problema non ci fosse. E invece c’è, eccome. E ora i nodi stanno arrivando al pettine.

La crescita del debito pubblico italiano

Non stimo Christine Lagarde, ma ancor meno stimo chi non ha mosso un dito per provare a cambiare le cose. Anzi, gli ultimi 10 anni sono stati quelli in cui si è generato maggiore debito:

E poi dal 2019, con Conte prima, e Draghi poi:

In pratica è aumentato di quasi altri 475 miliardi: 2,7 miliardi di euro buttati via, tra banchi a rotelle, bonus monopattini, bonus da 200 euro che non serve ne a chi ne ha bisogno ne a chi non ne ha e altre astruse scelte senza costrutto.

Spread, che fare?

Bisognerebbe far quadrato invece che una continua campagna elettorale. Bisognerebbe passare dal tutti contro tutti al tutti insieme per salvare il salvabile. L’Europa ci ha sostenuto, se lo avesse fatto anche la politica interna avremmo agito e ci saremmo trovati in condizione diversa. Tutto questo non vuol dire che stimi la Lagarde. Anzi, non la reputo all’altezza del suo ruolo?

Sarà una giornata difficile? Probabile, a meno che non la si renda diversa con scelteforti.  Bisogna fermare la guerra. Non c’è altra strada. Chi lo deciderà? L’Europa se esistesse, Biden se abbassasse i toni. La guerra  è stata l’ultimo anello di una catena partita dal lockdown che ha generato le attuali storture finanziarie. E’ d’obbligo ripartire da lì, altrimenti, attenti a risparmi, banche, redditi e tasse…

Valute, gas, materie prime: in palio c’è il dominio del mondo

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di Leopoldo Gasbarro

Vincerà chi avrà il controllo della produzione di materie prime. La guerra, la vera guerra, non la si combatte a colpi di mitragliatrici e di cannoni, non la si conduce da un carrarmato o dalla cabina di un aereo a reazione. La guerra che si sta combattendo è una guerra economico-finanziaria ed in palio c’è il dominio del Mondo, per meglio dire di Mezzo Mondo.

Quella che si sta consumando in Ucraina è stata definita Guerra Ibrida. C’è quella sul campo di battaglia, sempre più cruenta, c’è quella che ruota attorno alla sicurezza informatica,c’è quella finanziaria e poi, forse la più importante, c’è quella combattuta attraverso la comunicazione, immagini, notizie, con milioni di canali che si rincorrono.

Però oggi occupiamoci della parte di economia e finanza. Qual è il vero obiettivo di questa guerra? E soprattutto chi ne avrà vantaggio? Lo scenario che sta emergendo potrebbe portare alla nascita di un fronte molto netto: da una parte la CIna che ha bisogno come il pane della cisterna di gas e petrolio rappresentata dalla Russia; dall’altra gli Stati Uniti che hanno necessità di trovare qualcuno a cui vendere il loro gas.

Insomma, stando così le cose, non è difficile immaginare che la Russia possa diventare un vassallo Cinese e che l’Europa lo diventi degli Stati Uniti. In questo contesto l’attuale braccio di ferro finanziario esistente tra Russia e Occidente assume sempre più importanza e risalto.Così il taglio dei tassi della banca centrale russa hanno fatto risalire le quotazioni del rublo, ma al tempo stesso la riapertura all’utilizzo delle transazioni di valuta straniera, sempre concertata dal massimo organo finanziario di Putin permetterà alle banche russe di vendere di nuovo valute estere in contanti ai loro cittadini riaprendo, di fatto, alle operazioni su tutti i mercati.

Questo vuol dire che continua ad esistere una sorta di dualismo finanziario in cui da una parte ci si chiude a riccio e dall’altra si riapre alle connessioni con l’occidente. Tutto questo avviene nel momento in cui la Russia sembra essere sull’orlo del baratro finanziario, sull’orlo di un default che qualcuno ha definito “selettivo”.

E’ come se si volesse arrivare al fallimento della Russia ma lasciando, al tempo stesso, porte aperte a possibili trattative. Sin qui la comunicazione e la finanza. Ma la guerra ibrida di cui stiamo parlando continua anche sui campi di battaglia. Le dichiarazioni di chi continua ad alimentarla diventano sempre più inaccettabili.

La pace non è barattabile, men che meno con un climatizzatore. L’Italia non è un paese che vuole la guerra, a differenza di ciò che esprimono spesso e volentieri i suoi massimi vertici politici. Parlare addirittura di patrimoniali necessarie per riarmare il paese appare come la più assurda delle scelte.

2.800 miliardi di debito pubblico rappresentano la certezza di un futuro nerissio per i nostri figli. Che si lavori sulla crescita, sulle prospettive di sviluppo e sugli investimenti verso un futuro in cui la pace non debba passare per proclami roboanti e belligeranti, che non debba passare per guerre ibride.

Rinunciare agli atti di forza è l’unico vero atto di forza accettabile. Costringere la diplomazia internazionale, la Nato, anche con posizioni opposte a quelle americane rappresenterebbe e rappresenta l’unica vera via d’uscita. Qui non c’è in gioco qualche grado in meno d’estate e Draghi lo sa benissimo; qui c’è in gioco il lavoro di milioni di persone, il futuro di centinaia di migliaia di aziende.

Leopoldo Gasbarro, 10 aprile 2022

 

E’ l’ora del REGEN-COV: la forza degli anticorpi monoclonali

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di Leopoldo Gasbarro

Ed ora arriva il Regen-Cov, il farmaco basato su un cocktail di anticorpi monoclonali in grado di proteggere per otto mesi dagli assalti del Covid 19 riducendo fino all’82% le eventuali sintomatologie.

Dopo le notizie relative agli antivirali di Merck e Pfizer della settimana scorsa, si rincorrono altre notizie importanti relativamente a cure o a contromisure contro il COVID-19. Sicuramente avere a disposizione una specie di aspirina in grado di combattere gli effetti più deleteri del coronavirus rappresenta un elemento di crescente sicurezza ma anche di speranza che la guerra che stiamo combattendo possa terminare in fretta.

Gli antivirali, come ha sottolineato l’amministratore delegato di Pfizer, rappresentano la vera chiave del successo nella lotta al coronavirus, anche per la capacità di diffondere il farmaco senza particolari procedure di conservazione così come attualmente si è costretti dall’uso dei vaccini stessi. Ma bisogna dire che i vaccini stanno facendo la loro parte degnamente.

Senza voler essere faziosi i numeri e i grafici che vi presentiamo evidenziano come la gravità delle conseguenze per chi contrae il Covid 19, dipende esclusivamente, o quasi esclusivamente, dalle coperture vaccinali. E’ evidente dai grafici che vi riportiamo qui in basso quello che sta succedendo.

La colonna azzurra che nel grafico del professor Marco Spada rappresenta i non vaccinati, parla da sola. Ma poco importa. Dopo gli antivirali di Merck e Pfizer la notizia odierna del possibile uso del farmaco Regen- Cov strutturato su un mix di anticorpi monoclonali apre ulteriori spazi di speranza visto che ne è stato dichiarato l’uso negli Stati Uniti per ora nei trattamenti terapeutici di casi con sintomatologie gravi.

La compagnia farmaceutica che lo produce, la Regeneron Pharmaceuticals, ha chiesto alle autorità americane di poter espandere le autorizzazioni anche all’uso preventivo delle infezioni da Covid 19. Del resto i test hanno dimostrato che la protezione generata dall’assunzione del Regen-Cov garantisce una protezione per oltre otto mesi, riducendo dell’82% le sintomatologie infettive.

Durante lo studio, nessuna delle persone trattate con il nuovo farmaco è stata costretta a ricoveri causa Covid e naturalmente nessuna terapia intensiva né morte è stata registrata. 

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/economia/e-lora-del-regen-cov-la-forza-degli-anticorpi-monoclonali/?utm_source=nicolaporro.it&utm_medium=link&utm_campaign=economiafinanza

E’ in atto il “disordine complesso”: così ci spinge nel caos economico

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di Leopoldo Gasbarro

Vi ho raccontato in questi giorni con i miei ultimi articoli di quanto stia accadendo alla filiera produttiva mondiale, a tutte le strozzature e alle difficoltà che stanno generando interruzioni nella produzione di beni e servizi. Il tema sta diventando sempre più scottante e il mio scopo non è certo quello dì creare tensioni, isterismi, come ha scritto qualcuno, o inutili allarmismi.

Il ruolo di un giornalista è quello di informare, anche se a volte l’informazione stessa può risultare scomoda da ricevere. Personalmente credo sia sempre meglio conoscere che non conoscere, sapere che non sapere. La possibilità di scelta nelle nostre vite, oppure la libertà di scelta, sta nella conoscenza.

Chi ci lascia o ci vuole ignoranti non ha intenzione di permetterci di essere liberi.

Proprio per incrementare i livelli di conoscenza sugli argomenti trattati in questi giorni, soprattutto relativamente ai due argomenti principe da me trattati: Gas e grano, vi riporto integralmente un articolo pubblicato su Bloomberg a firma di Tyler Cowen che spiega, con estrema semplicità, ciò di cui vi ho già parlato.

La cattiva notizia è che i problemi della catena di approvvigionamento mondiale sono più persistenti e più gravi di quanto si pensasse in precedenza. La notizia peggiore è che non c’è un unico motivo e quindi nessuna soluzione semplice. E la notizia ancora peggiore è che nessuno sa davvero quando la situazione migliorerà.

Per quanto riguarda la buona notizia?

Sta almeno diventando possibile ricostruire una storia di come tutto questo è successo. Fondamentalmente, alcuni centri nevralgici chiave dell’economia mondiale sono stati colpiti da un mix di Covid e sfortuna, soprattutto nell’ultima parte di quest’anno.  Il trasporto, l’energia e i chip semiconduttori di alta qualità stanno tutti vivendo grossi problemi allo stesso tempo, per ragioni diverse ma ampiamente correlate.

Inizia con il trasporto. Mentre alcuni porti cinesi sono rimasti inattivi o operano a capacità ridotta a causa del Covid, questo non è certo l’unico problema. Un robusto commercio di beni durevoli ha messo a dura prova container, navi e operazioni portuali in tutto il mondo. Il prezzo dei container è salito alle stelle e può essere più di 10 volte superiore a quello di appena due anni fa. In breve, molto commercio internazionale ha subito un notevole rallentamento, inoltre parte di esso non è più redditizio.

In alcuni casi, i servizi relativi ai trasporti vengono razionati, poiché i prezzi vengono mantenuti bassi, forse per evitare di allienarsi gli acquirenti fedeli, o forse perché i venditori non sono sicuri che gli attuali shock della domanda siano permanenti. Ancora una volta, il risultato netto è che molti scambi semplicemente non avvengono in modo tempestivo.

Molti fornitori richiedono componenti commercializzati a livello internazionale per completare la produzione e la distribuzione dei loro beni e servizi. Ora sono bloccati. Inoltre, molte attività portuali e il relativo trasporto locale richiedono molta manodopera. Molte parti del mondo stanno affrontando carenze di manodopera, poiché le persone non sono sicure di come riconfigurare il loro futuro lavorativo post-Covid, o in alcuni casi i benefici del governo potrebbero impedire loro di lavorare. Ciò aggiunge ulteriori ritardi alle reti commerciali.

Una tipica risposta del mercato potrebbe essere quella di produrre più container (è più difficile e più lento aumentare il numero di navi o porti). Ma ciò richiederebbe proprio alle reti commerciali e di trasporto che attualmente sono malfunzionanti. Man mano che l’intero processo procedeva, le scorte si sono esaurite, il che significa che l’economia globale è stata molto meno fiacca.

Poi ci sono i problemi energetici del mondo, che hanno radici più profonde. Molti paesi hanno cercato di passare a forniture di energia più verdi, ma senza prima disporre di alternative sufficienti. Giappone e Germania hanno deciso di abbandonare i loro precedenti impegni sull’energia nucleare e, più recentemente, la Cina ha visto carenze di energia.

Le reti energetiche globali sembravano funzionare bene un anno fa, ma con l’avanzare della ripresa la fornitura di gas naturale non è stata sufficiente per soddisfare la nuova domanda. La produzione e l’esplorazione di gas sono state respinte nelle prime fasi della pandemia e la ripresa è stata più forte e più rapida di quanto previsto dal settore energetico.

Nel Regno Unito, i prezzi del gas naturale sono aumentati del 700% nell’ultimo anno, mentre l’Europa corre il rischio di non avere abbastanza energia per il prossimo inverno.
Naturalmente l’energia è un input significativo nella produzione di molti altri beni e servizi. Quindi questo crea un’altra serie di effetti a catena. E se le reti per l’energia e il commercio internazionale non funzionano bene, molte altre parti dell’economia saranno malfunzionanti.

Un’ulteriore area problematica sono i chip per computer di alta qualità. L’economia globale dipendeva già troppo da due paesi per l’approvvigionamento: Taiwan e Corea del Sud. Poi sono successe tre cose: le fabbriche di chip sono state chiuse durante i blocchi, una serie di sfortunati disastri naturali ha danneggiato l’offerta di chip e la domanda di chip è aumentata con l’aumento della domanda dei consumatori di beni durevoli come automobili ed elettrodomestici. Ai margini attuali, la produzione di automobili è gravemente limitata dalla disponibilità di chip, motivo per cui i prezzi delle auto nuove e usate rimangono così alti.

Quindi da un lato dell’equazione ci sono ritardi negli scambi, ritardi negli input, maggiori costi commerciali e di trasporto, prezzi dell’energia molto più alti e carenza di chip. Dall’altra ci sono i consumatori americani ed europei, che hanno risparmiato enormi quantità di denaro nel corso del 2020 e all’inizio del 2021 e che ora lo stanno spendendo.

Questa combinazione ha alimentato l’inflazione dei prezzi. La domanda sta colpendo il mercato e l’offerta non riesce a recuperare. E non è solo un problema che ha una soluzione facile e diretta, ma piuttosto una serie di percorsi interconnessi di caos economico e ritardo.

Questi problemi con la catena di approvvigionamento alla fine si risolveranno da soli, anche se nessuno può dire esattamente quando. Nel frattempo, fornitori e distributori – così come i consumatori – possono forse trarre qualche piccola consolazione dal fatto che stanno navigando, e si spera perseverando, attraverso un disordine complesso che non ha un parallelo stretto nella storia recente.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/economia/e-in-atto-il-disordine-complesso-cosi-ci-spinge-nel-caos-economico/?utm_source=nicolaporro.it&utm_medium=link&utm_campaign=economiafinanza

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