Logico no?

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Riceviamo e pubblichiamo questo interessante articolo

di Lorenzo Merlo

Poche righe per inquadrare la natura del mistero.
Se chiedi al pesce: “Com’è l’acqua?” Ti guarderà stranito dicendo: “Quale acqua?”
Come il cefalo siamo immersi nella nostra acqua, anche se solitamente la chiamiamo concezione. La concezione determina la realtà, le parole per descriverla, i pensieri per considerarla, le idee per progettarla, le azioni per realizzarla.
Non a caso, a parità di problematica, il Bushido samuraico-giapponese, il Kanun nord-albanese, il Codice barbaricino barbagio-sardo, il Pashtunwali pashtun-afghano-pakistano, l’Adat islamico-caucasico-balcanico, tutti disciplinatori delle questioni sociali, hanno forti similitudini nelle modalità di gestione delle problematiche comunitarie, quali l’ospite, la famiglia, la proprietà, il matrimonio, l’eredità, l’onore, il furto, l’omicidio, la vendetta, la giustizia, eccetera, non c’è aspetto della vita tralasciato, hanno adottato soluzioni alquanto simili, nonostante la separazione culturale che li contraddistingue. La concezione della questione era identica per tutti.

Digressione consuetudinaria a parte, la nostra acqua si chiama logica. Un grande oceano che tutto contiene, oltre il quale non ci sarebbe niente. I cui mari minori sono detti razionalismo, materialismo, scientismo.
Ogni cefalo nuota tranquillo credendo di visitare la realtà. Non sospetta di essere il creatore di ciò che vede ed esperisce. Ovunque si rechi, la logica, il razionalismo, il materialismo, lo scientismo glielo impediscono.
Immerso nell’acqua, il cefalo non dispone di altra concezione di una realtà altra dalla propria. Di vedere che l’osservato e l’osservatore costituiscono una diade, non se ne parla neppure. Non ha proprio i mezzi per maneggiare la questione. Emanciparsi dalla certezza che il suo pensiero e il suo credere siano autonomi e indipendenti dall’ambito in cui sorgono in lui, non lo riguarda. Anzi, se la prende, classificando ciarlatani coloro che gliene fanno cenno.

Dunque, come ogni cefalo, ritiene che oltre all’acqua non ci sia mondo. Una convinzione così totale che non lo disarmi neppure quando gli fai presente che il suo oceano non solo è grande ma deve necessariamente essere allora infinito. Sarebbe logico, no? Eppure, pur riconoscendo – sempre per logica – che effettivamente non lo è, e non può esserlo, non ritiene di prendere in considerazione alcunché che logico non sia, non ritiene che la logica abbia qualche difetto. Quindi per lui il tempo è sempre lineare, la natura e l’uomo sono macchine, la realtà, come detto, è oggettiva, la verità è possibile, il principio di causa-effetto è il solo, materia e energia sono di natura differente, la mente è il luogo dei pensieri, l’intelligenza è nel cervello: nel mare – dice – c’è tutto.
A ben guardare c’è del vero, nel momento in cui si limita il mondo ai campi chiusi delle conoscenze tecniche, qui dette anche amministrative. In questi, tutti coloro che chi vi albergano o transitano sanno tutto, linguaggio e regole, e anche condividono il castigo nei confronti di chi non le rispetta.

Ma sono un sisma umanistico, un ingorgo evolutivo, quando la logica, il razionalismo, il materialismo e lo scientismo divengono modalità che vogliono imperare anche in campo aperto, ovvero nelle libere relazioni dove gli universi diversi che siamo si incontrano e scontrano, senza il sospetto che le reciproche affermazioni hanno un alto potere d’equivoco e basso di comunicazione. È sempre così quando non c’è perché non c’è teterreno comune, sentimento o emozione condivisa. Dove – per diritto di logica – crediamo che gli altri stiano alle nostre regole, che non conoscono e che pure a volte non conosciamo noi stessi.

Dove siamo incapaci di vedere il sopruso del nostro ordine morale, di vedere che esso funziona solo e soltanto entro campi riconosciuti e condivisi, o da soli, quando infatti tronfi vediamo la soluzione dei problemi, e non capiamo perché questa non funziona più quando la esponiamo al campo aperto degli universi diversi degli interlocutori che, infatti, “sono loro che non capiscono”, dice tranquillo il cefalo.
Ignaro del limite dell’acqua, il cefalo avanza come uno squalo lasciando scie di sangue e questioni che non risolve per le quali fa spallucce. Una di queste è il mistero.
Che fa il cefalo davanti al mistero? Intanto, non si cura della contraddizione tra riconoscere nei suoi pensieri la presenza del mistero e la logica che, in quattro e quattr’otto – visto che con essa tutta la verità dovrebbe venire a galla – dovrebbe darne di conto e non assillarlo più.

Secondariamente, ma questo in quanto cefalo glielo si può concedere, non si avvede che il mistero non è altro che il confine del suo oceano e che – ulteriormente difficile – quel confine è proprio lui a disegnarlo, nel momento in cui ci chiede: “Quale acqua?” Ma c’è un terzo argomento, più forte dei precedenti. Il cefalo non si avvede che è proprio la modalità della logica a generare il mistero, quando con i suoi inadatti strumenti vuole indagare ciò che non sta sul suo limitato banco di lavoro. Il mistero di A e B non sa che farsene e anche proporgli un AB è solo un penoso logico tentativo destinato all’insuccesso, oltre che dimostrazione dell’inettitudine del cefalo.

Dunque il mistero e tutte le sue forme, quindi dio, la natura, il cosmo, la vita, la coscienza, eccetera, secondo le considerazioni qui in corso, sono un’entità creata dalla logica. Assurdo? Come?
La logica per funzionare richiede A e B, non soltanto uno dei due. Il cefalo, ma anche lo scientista, quando gliene viene meno uno, torna indietro, cambia strada. E, se gli chiedi perché, la risposta è sempre la stessa: “Di lì non c’è niente”. Nonostante questa conclusione ferma e ripetuta, non si perde d’animo. Seguita a non riconoscere l’inadeguatezza dei suoi strumenti cognitivi. Del resto, è lui che ce lo insegna, la scienza misura la realtà e la realtà non misurabile, semplicemente non lo è o, quantomeno, non conta nulla sulla bilancia della verità. Infatti, siccome la logica non porta a sciogliere il misterioso problema di dio, a che punto arriva lo scientista forte del suo metodo? Nessun problema, lui ha la soluzione. “Non ci sono prove, quindi non esiste”. Se solo sapesse di essere lui stesso ciò che sta cercando e anche escludendo, sarebbe tutto un altro oceano.

È proprio il suo sistema, il suo oceano logico la sola base di partenza dal quale spicca il volo il problema del mistero. A volte è meglio evitare di dirglielo, i forconi ce li ha sempre appresso. Eppure, è proprio dalla logica che nasce il mistero. Un simile bisticcio non è, evidentemente, alla portata del cefalo, che infatti seguita a nuotare nelle sue convinzioni. Tranquillità che, peraltro, gli permette di accusare di pregiudizi e bias, chiunque gli parli dell’acqua dell’oggettività in cui vive. E soprattutto, come se lui ne fosse libero. Così pensa il cefalo.
Se il mistero è creato dalla logica in quanto fuori dalle sue, per altro eccellenti doti amministrative, significa che sottraendo la logica dalla supremazia nei pensieri, non solo il mistero non è più creato ma sparisce dall’orizzonte delle problematiche, cioè dalle questioni che l’arroganza oceanica dei cefali ritiene di poter tralasciare. Sparisce perché invece di analizzarlo come un oggetto, avvieremmo i processi per esserlo.
Per il cefalo esploratore, sarebbe logico porsi in ricerca di quanto non sta alle regolette del campo chiuso della scienza – soprattutto per una macchina, quale deve, per coerenza meccanicista, riconoscere di essere – eppure è proprio così, il magico e l’alogico per lui non esistono. (Tralascio di commentare la sua concezione del magico, che gli impone pensieri e parole sideralmente lontane dalla natura del tema). Anzi, se gli parli dell’uomo come creatore del mondo, ti prendi, come detto, del ciarlatano. Sempre meglio di un’inforcata. Se gli fai presente che gli uomini realizzano solo e soltanto ciò che risiede in loro, che senza un’idea non c’è creazione, e che in questo processo replichiamo nel piccolo ciò che il mistero ci impone di ritenere qualcuno o qualcosa abbia a suo tempo fatto in grande, non fa una piega. Si gira dall’altra parte e se ne va. Il ciarlatano non gode di pari dignità con il cefalo-scientista. Che se è proprio gentile, come si trattasse di una specie di equazione, si mette di buzzo buono e inizia a spiegarti come effettivamente stanno le cose nell’oceano.

In più, preda della rete lanciata dalla vulgata del cristianesimo, facilmente crede che quel dio sia un signore saggio e giusto che sta in cielo. No. Non è così cefalo da arrivare a tanto, anche se ci va vicino. Sì, perché lo concepisce come fuori da noi, come del resto fa tutta la marmaglia filo cristiana, ma, è bene accennarne, anche filo-islamica, mica che i probiviri della par condicio, in combutta con quelli dell’inclusività, si inalberino e imbraccino i forconi contro un ciarlatano qualsiasi.
Cultura liquida a parte, – ma neanche tanto visto che le ragioni logiche sono molte a sostenerla e quelle spirituali “non esistono” – bisogna rispettare che il mondo logico del cefalo concepisce dio e il mistero come esterno al creato per la banale osservazione che la logica non gliene permette altra.

La relazione allora non è più con un dio esterno al quale chiedere pietà nel male e ringraziare nel bene. Essa riconosce invece la natura divina di noi stessi, quali creatori della nostra migliore o peggiore condizione, proprio in funzione dell’accettazione degli eventi o del rifiuto di questi in quanto non secondo noi meritati. Si tratta perciò di un terreno dove la logica non è che un piccolo espediente storico di convivenza o scontro. Si tratta del campo libero della magia, dei poteri umani che la logica ha castrato, delle dinamiche della realtà, delle forze, non brute e meccaniche, che la muovono.
In sostanza, l’incantesimo del mistero, come oggetto da scomporre per vedere di cosa e come è fatto, per svelarlo, in una parola, si risolve prendendo consapevolezza dell’acqua in cui nuotiamo. È a quel punto che il cefalo vede il cielo e l’infinito che contiene il suo piccolo, bricioloso, oceano. È a quel punto che la verità alogica e magica, prende diritto di pari dignità con quanto la cultura logica del cefalo pensava di esaurire il mondo. È quel punto che anche la fisica, ha iniziato a intravvedere, riconoscendo così il limite della realtà creduta asetticamente osservabile e dalla logica meccanicistica, su cui basava la vantata universalità delle sue autoreferenziali modalità di ricerca.

Il mistero si risolve accettandolo, essendolo, cessando di crederlo un problema indagabile con pinza e microscopio. Si risolve andando oltre il nostro io e quello che crediamo di essere, scambiando ciò che sappiamo, ciò con cui descriviamo il mondo come verità. Si risolve riconoscendo che nel cielo non ci sono le parti, gli A e i B, ma solo gli interi. Che è dal cielo iperuranico che gli uomini cefalici prendono le metà degli interi che necessitano per portare avanti i loro discorsi sul palco della storia. Metà affinché mantengano alta la superstizione e l’arroganza della conoscenza e con essa le fiamme dell’inferno, che innocentemente chiamano realtà. E se il cefalo non l’ha capito, bisogna dirglielo meglio: la logica non è tutto come crede lui, è una parte. Scambiarla per tutto, fa difetto.
Allora il mistero inizia a parlare e le nostre carni a recepire, che il progresso è da compiere dentro, affinché la vita da pena muti in gioia.
Ma c’è sempre un cefalo fuori standard. Il quale giustamente chiede: “E i sentimenti, le sensazioni? Amore e odio, piacere e sofferenza, non bastano a confermare che oltre il dualismo non v’è altro? Che oltre la storia non esiste nulla?”

Bella domanda, nel senso che quando si pensa, il mondo si muove, e la pari dignità delle prospettive che lo raccontano si realizza.
La risposta è elementare, se per formularla si adotta una prospettiva differente dalla cefalica. Non si tratta infatti di credere che solo il piacere e l’amore possano fare a meno del loro contrario. Non è questa la via, per il semplice fatto che la questione non si dipana su un piano logico. Questa, sta invece nell’emancipazione dall’interpretazione egocentrica di quanto ci accade. L’uomo nella storia non può eludere il dualismo ma può invece emanciparsi dal loro dominio, dalla cultura materialista e avviarsi alla conoscenza liberandosi dal conosciuto imparato a casa e a scuola. Un passo necessario per accedere alla consapevolezza che l’interpretazione personale esalta desideri, aspettative, sentimenti e sensazioni, quindi che genera la pena, il male, la malattia, quando questi non sono soddisfatti.

Dunque il culmine del discorso risiede nel prendere coscienza che accogliere ciò che ci accade come accade a tutti gli uomini, consente di vivere con la migliore presenza, energia e creatività la vita. Allora la logica e il materialismo da tiranno dei nostri pensieri torneranno ad essere semplici strumenti sul banco di lavoro dell’esistenza.
Sarebbe logico allora concludere con le parole di un amico: “Abbiamo intuito che quando difendiamo con calore e a spada tratta un’opinione siamo i primi a non esserne convinti fino al fondo delle nostre profondità”. Sarebbe, ma non per il cefalo.

Il ponte

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di Lorenzo Merlo

Parole al vento di cui soltanto alcuni, agli sgoccioli della generazione, avranno modo di cogliere il senso. Per tutti gli altri, i giovani e quelli che verranno, saranno pensieri di un mondo di cui non avranno consapevolezza, rappresentato dai sussidiari di regime come l’era buia dalla quale ci si è finalmente liberati.

Ci stanno spingendo. Con cani da guardia intelligenti, a cui non serve più mostrare i canini, ci fanno avanzare verso l’imbocco del ponte. È una transumanza che lascia i pascoli analogici, a misura d’uomo, per portarci a quelli digitali, algoritmici e disumani. Come altrimenti nominare la cultura, la società, la politica, gli ideali, i valori, l’educazione fondata sul relativismo?

Tuttavia nel pensiero che considera il relativismo un traguardo raggiunto, da esibire e vantare, è nascosto, si muove il germe del nichilismo. Che non è una corrente filosofica, ma uno stato esiziale dello spirito umano. Una condizione in cui, inconsapevole del doloroso significato che implica, l’uomo celebra la separazione dalla propria trascendenza. Lo condanna ad un’esistenza che i cattolici chiamano Inferno, che i buddhisti e altri riempiono di sofferenza. Uno stato in cui il maligno ha campo libero, e la potenza e la creatività degli uomini sono limitate al loro proprio ego.

Il relativismo è considerato un bene conquistato dall’attuale società del pugno di mosche, in contrasto a quella fondata sui gerarchici, inequivoci, duraturi valori tradizionali. Come in questa sussistevano le solidità identitarie e sociali, all’opposto nell’attuale, transumanistica, dominano i pensieri e le idee propri di un ordoindividualismo a tutto esteso. L’aveva già detto Zygmunt Bauman nel 1999 (1).

La persona, entità base della comunità, che poteva analogicamente relazionarsi a tutto il mondo, è divenuta individuo, entità incapace di comunità se non digitali, virtuali, dall’identità effimera, in quanto aggregata al momento della bisogna, spesso del piacere o dell’interesse personale. Un essere che con due soldi è stato convertito in consumatore e, in quel solo modo, a sua insaputa soppesato. Poi, algoritmicamente anticipato, paurosamente reso prevedibile, digitalmente sempre più sorvegliato. La vita a punti, da guadagnare o perdere in funzione dell’ubbidienza o meno ai canoni che ci attendono al di là del ponte, ne rappresenta l’epilogo. Tutti schedati o, se reietti, progressivamente emarginati dai servizi sociali, fino alla loro resa, autodistruzione o eliminazione.

Il capitalismo della sorveglianza, diversamente da quanto qualcuno lo crede, limitato e alimentato soltanto dai social, dove tra gridolini e cianfrusaglie tutti mettono in pubblico diverse profondità di se stessi, si attua in assai più numerosi percorsi. Riconoscimento facciale e vocale, digitalizzazione pervasiva di tutti gli aspetti della vita, velocità di trasmissione dati, inoculazione informatica. Naturalmente, tutto presentato come progresso, tecnologia salvifica e servizio di miglioramento della vita. Uomini ridotti a dati, elaborati da algoritmi in costante raffinazione che, a boomerang, indurranno loro – quando e dove – a gridolinare, – come e perché – a cianfrusagliare.

La volontà di relativismo è dunque una corrente in cui i pesci convertiti all’individualismo trovano cibo in abbondanza. Una conversione spontanea, che non ha richiesto né spada né solennità d’investitura. L’adepto è infatti desideroso di entrare in scena, di far parte del futuro che verrà. Lo fa con senso di responsabilità, dedicandosi all’ambiente con l’auto elettrica, alla riduzione del riscaldamento globale con la rinuncia al porco e al manzo, all’abbraccio dei diritti individuali; aderendo al politicamente corretto, alla demolizione di ruoli, alla criminalizzazione del parere contrario al proprio. È un individuo che s’indigna se scrivi finocchio, ma che non fiata davanti al ripugnante comportamento dei media d’informazione. Che, sorridendo, riduce a slogan le menzogne di stato.

Lo fa in quanto del tutto ignaro che l’industria della paura non è argomento da complottista, ma una banale osservazione che, forse, per essere compiuta richiede di scendere dal divano. Un’industria che ha anche il monopolio della comunicazione, a sua volta solido sostegno del femminismo di superficie e della bandiera a otto colori. Quella così orgogliosamente e allegramente sventolata nelle piazze, nella cultura, nella politica, nelle istituzioni. Che insieme a quelle della biotecnologia e della bioingegneria, in una grande festa virtuale, conclamerà che la transumanza è stata compiuta. Ormai, da ogni dove si diffondono i suoni e i canti del melodioso concerto che sta accompagnando il gregge sereno e danzante al di là del ponte. Tutti intenti a cercare fuori da sé come affermarsi, inconsapevoli del potere che è nel proprio sé, che neppure sanno cosa sia. Ignari della bellezza come guida e del benessere come ordinarietà. Al loro posto, ora, inseguiamo i loro lontani surrogati, succedanei offerti dall’opulenza e dalla menzogna dei farmaci.

È un’industria estesa, capillare, in grado di inquinare spirito, pensieri e azioni. Che si sposa con la société sécuritaire. Colei che ci vende sicurezza un tanto al chilo, ma sotto clausola, che ci impone una connessione permanente. Che ci ha resi assuefatti e quindi dipendenti, tanto che quella connessione ora è pretesa. Fin dall’infanzia.

Osservazioni banali che, oltre che gravi, sono anche una premessa di atroce garanzia: le culture saranno cancellate, le parole significheranno altro o l’opposto, e le identità saranno a piacere, i bonus faranno sopravvivere gli inutili impegnati in guerre tra poveri, intelligentemente pasturate da chi sa come gira il fumo. La Neolingua di 1984 (2) ne è stata la consapevole anticipazione, ora pienamente in atto.

Perduti ed esauriti nel ciclo dei desideri, gli uomini, assuefatti e dipendenti, vorranno sempre nuovi giri di giostra. Finché esausti, alieni a se stessi, non saranno gettati fuori, lungo qualche tangente marchiata dall’arco nero della depressione, della psicopatologia, della disperazione, dell’ansia permanente, dell’angoscia mortificante.

È il frutto della pianta del nichilismo. Cibo potenzialmente destinato a tutti, e latentemente appeso su tutti come la Spada di Damocle della postmodernità. Alimento che, sebbene con difficoltà, potrà essere rifiutato soltanto da coloro che avranno distinto la natura apparente ed effimera dell’io da quella eterna e infinita del sé. Da quelli che si saranno emancipati dalla logica dell’egocentrismo e, dunque, da quella dell’antropocentrismo. Vera dottrina dell’attuale mattanza spirituale.

Note

  1. Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Bari, Laterza, 2011.
  2. George Orwell, 1984, Milano, Mondadori, 2016.

Guerra aperta

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di Lorenzo Merlo

Ora che i contendenti non sono più occultabili, e così la posta in gioco – egemonia mondiale americana, sopravvivenza della Russia e suo spazio nel mondo – anche le armi finora tenute a freno potrebbero avere occasione di uscire dal cassetto e far risuonare la loro voce in campo aperto.

Finora era stata una guerra chiusa. Nel senso che, agli angoli del quadrato, c’erano i contendenti chiusi entro il dibattito delle reciproche ragioni. Diritto internazionale, stato sovrano e questione interna per l’Ucraina, Accordi di Kiev, armamenti sul confine e nazismo antirussofono per la Russia.

Tra gli sfidanti, sul tappeto del ring, si sono succeduti diversi arbitri che non sono riusciti a ridurre lo scontro fino ad un accordo di pace.

In platea, a guardare l’incontro, il resto del mondo: inizialmente apparentemente estraneo e poi accalcatosi in curve opposte. Chi dava sostegno all’Ucraina e chi no. Chi si univa intorno all’idea della multipolarità e chi sbraitava per non perdere l’egemonia mondiale che – credeva – gli spettasse di diritto divino.

Agli angoli, la squadra americana sosteneva il proprio combattente, nonostante fosse più volte sembrato sul punto di cedere. Dall’altro lato, sapevano delle sostanze proibite che venivano somministrare all’uomo giallo-azzurro.

Il combattimento procedeva, il sangue versato non contava niente. Fuori dallo stadio, il tifo si diffondeva a macchia d’olio sull’irrefrenabile onda delle emozioni. Gli altoparlanti rivolti al mondo potevano dire qualunque cosa tornasse funzionale ai loro interessi, certi che sarebbero stati ascoltati e creduti. Lo scontro, che era praticamente globale, pareva procedere su un riff nel quale danzava la speranza che qualcuno o qualcosa potesse trovare come ridurre il conflitto, accontentare i contendenti e cessare di temere il peggio per loro e soprattutto per noi.

Alla faccia di quella speranza, neri assi sono usciti dalle maniche e ora sono sul tavolo.

Le corde che contenevano il ring hanno ceduto. Il campo che era chiuso ora è aperto. Le regole che valevano – o, per meglio dire, che erano presenti – non contano più nulla. Vale tutto.

I referendum delle repubbliche russofone – Crimea a parte, in quanto già consumato – e il sabotaggio dei gasdotti sono colpi sotto la cintola di uno scontro senza più spazio per alcun arbitro.

La mossa di Putin impone la legalizzazione del referendum per l’indipendenza del Kosovo del 17 febbraio 2008, finora ritenuto inaccettabile dalla Serbia, dalla Russia, dalla Cina e da molti altri paesi, europei e non (1). Permette, in linea teorica e legittima, un eventuale referendum per l’indipendenza di Taiwan e del Kurdistan, turco e non solo. Praticamente nuovi macelli potrebbero prendere la scena sul palco della storia.

Non a caso, Erdogan ha preso le distanze dalla scelta di Putin e Xin Pi: in stile confuciano, si è astenuto dal proferire parole a sostegno del presidente della Federazione russa.

Chi, a questo punto, volesse riconoscere i nuovi confini stabiliti dai referendum plebiscitari, contemporaneamente accenderebbe una miccia che altri popoli potrebbero raccogliere per dar fuoco alle loro polveri di autodeterminazione.

Dal lato opposto, i sabotaggi dei gasdotti non sono altro che un’azione già messa in conto dagli americani – chi storce il naso, spieghi bene cosa volessero dire le esplicite affermazioni del Sottosegretario di stato per gli affari politici Victoria Nuland e del presidente Biden (2) – per sparigliare la partita.

Questa, come la stampaccia di regime ha sempre negato, lasciando ai “miserabili del web” (3), antesignani inclusi (4), il dovere di farlo presente fin da subito, non è tra Ucraina e Russia. Riguarda l’egemonia sul mondo. Riguarda gli americani che, alla faccia delle critiche morali, hanno saputo elaborare e attuare una strategia di provocazioni a vario livello che, al momento, pare ancora valida.

Chi aveva pensato fin da subito che nei loro progetti, oltre all’indebolimento della Russia, c’era anche quello dell’Europa, forza industriale germanica in primis?

Un’Europa rivolta a Est non era mai stata così sconveniente per quella ontologica lotta egemonica a cui, fin dal Destino manifesto (5), gli americani non potevano rinunciare. Meglio prenderla al lazo.

Rompere i tubi a che altro potrebbe servire?

Note

(1)   Su 193 paesi facenti parte dell’ONU, 98 hanno formalmente riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. A questi si aggiungono Taiwan, le Isole Cook e il Niue, non membri dell’ONU. Hanno, invece, esteso e poi ritirato il loro riconoscimento i seguenti paesi: Suriname, Burundi, Papua Nuova Guinea, Lesotho, Comore, Dominica, Grenada, Isole Salomone, Madagascar, Palau, Togo, Repubblica Centrafricana, Ghana, Nauru, Sierra Leone.

Fra i 27 paesi dell’Unione Europea, 22 hanno riconosciuto l’indipendenza. Vi si oppongono ancora Spagna, Cipro, Grecia, Romania e Slovacchia.

(In caso di referendum che non dovessero ottenere l’indipendenza, il sostegno alla consultazione popolare da parte di stati terzi potrebbe sparigliare comunque il castello di carta dell’equilibrio geopolitico).

(2)   Nuland, 27 gennaio 2022: “Vorrei dire francamente: se la Russia invaderà l’Ucraina, in ogni caso, il Nord Stream 2 non funzionerà”. https://piccolenote.ilgiornale.it/mondo/il-sabotaggio-ai-gasdotti-e-la-profezia-della-nuland

https://www.youtube.com/shorts/igAfB8LdZaE

Biden, 7 febbraio 2022: “Se la Russia invade l’Ucraina, stop al gasdotto Nord Stream 2”.

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/usa-biden-incontra-scholz-se-la-russia-invade-l-ucraina-stop-a-nord-stream-2_45480743-202202k.shtml

https://www.youtube.com/watch?v=b3fUd8hmgy8  https://www.youtube.com/watch?v=-pbMqY8xzfA

(3)   https://www.la7.it/otto-e-mezzo/rivedila7/guerra-di-bombe-e-di-propaganda-otto-e-mezzo-puntata-del-1632022-16-03-2022-429219 min. 5.21.

(4)   Giulietto Chiesa: Telegram, https://t.me/nonsiamoinvisibilicanale, 30/09/2022, h. 12.59.

(5)   Stephanson Anders, Destino manifesto – L’espansionismo americano e l’Impero del Bene, Milano, Feltrinelli, 2004

La struttura

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di Lorenzo Merlo 

La struttura

Fonte: Lorenzo Merlo

Se legittimamente possiamo non essere consapevoli di tutto, altrettanto colpevolmente non possiamo esimerci dall’operare per emanciparci dai vincoli che la struttura ci impone.

La struttura corrisponde a solidità.
La formazione che subiamo, succubi, servi e promotori di una cultura positivista e scientista, impone in noi il dominio di una prospettiva progressista. Crediamo così di procedere in avanti verso un futuro che, per sua storpiata ontologia, sarà meglio del passato. Siamo perfettamente idonei all’inettitudine verso tutto ciò che esula dal campetto di gioco che ci ha cresciuti e che, con giochi di specchi, ci pare il solo e disponibile a contenere la conoscenza.
Con quella struttura prêt-à-porter, avanziamo nella vita impettiti di verità, capaci all’occorrenza di uccidere – metaforicamente e non – chiunque non dimostri pari allineamento alla verità costituita, quella che noi e solo noi possiamo vantare e dobbiamo difendere.
Assumiamo la struttura senza colpa. Tutto l’orizzonte è coordinato per dimostrare che è la sola possibile. Non ci offre alternative. La realtà è quella! Le cose sono così! La verità è chiara!
Ma – almeno per contrasto narrativo – con colpa non ce ne emancipiamo. Preferire il divano, il tg, la société sécuritarie, il progresso senza fine, l’America, Speranza, le sanzioni alla Russia, Zelensky non è una scelta. Corrisponde al vero, al giusto. Perché mai dovremmo fare diversamente, dialogare con chi non ha capito nulla, cambiare idea? Ma neppure ci poniamo quest’ultima domanda. Siamo oltre.
Oltre, dentro la nostra stessa struttura, la cui prima attenzione è cercare cibo per alimentarla, travi di moltiplicate controventature. Chi più delle Fonti ufficiali, delle Istituzioni, del Governo, della Scienza, degli Esperti, dei Veri giornalisti può offrirne? Non sono loro che hanno censurato innumerevoli volte i “miserabili del web”(1), i falsi giornalisti? Non sono loro che ci dicono chi diffonde notizie false sul covid, sul Great reset, sullo stato profondo, sulla guerra della Nato contro la Russia? Non sono loro che ci hanno rassicurato sulla necessarietà e innocuità dei vaccini, mentre i miserabili volevano farci credere altro?
Così oltre da non potere altro che stare sul binario dove siamo stati posti fin dall’inizio dell’esistenza. Una linea, un percorso obbligato. Cosa potevamo fare di diverso da quanto abbiamo fatto? Come potevamo dare ascolto ad altre narrazioni? Come potevamo sottrarci dal ruolo dei boia, che sul binario tutti dicevano essere onorevole! Come potevamo evitare di augurare la morte a chi non si vaccinava? Come potevamo evitare di urlare in faccia, a chi ci faceva presente le ragioni russe, di andare a vivere in Russia se gli piaceva così tanto?
Non potevamo, finché non ci siamo accorti della struttura che ci conteneva. Di più, nella quale eravamo identificati. Non potevamo! La struttura avrebbe pericolato! Saremmo morti! L’orizzonte ci sarebbe stato sottratto, ci saremmo trovati perduti!
Ma è accaduto che la resistenza dei “miserabili” alla fine ci ha scosso. Dai sottoscala, le loro contronotizie, sono arrivate anche in tv e su qualche testata. Qualcuno di noi, forse in stato di grazia, si è messo a fare due conti e ha visto che qualcosa non tornava. Ha visto la gabbia concettuale in cui era stato rinchiuso e soprattutto che, se non se ne fosse liberato, la responsabilità non era che sua. Ha visto che non sarebbe più riuscito a comprimere il mondo dentro le quattro categorie che la cultura gli aveva servito.
Così, ora che non lo siamo più, non vogliamo fare la quarta dose e capiamo le ragioni russe. Capiamo che la politica è finita, venduta e governata dalla finanza, che la strada sulla quale ci beavamo di andare a sciare è criminale, è senza uscita. Capiamo solo ora che non è vero che il vaccino ci salverà, né che Nato corrisponde a bene.
Ora vediamo anche il tentativo di costringerci entro la nuova struttura del Great reset dalla quale, nuovamente, cercheranno di mostrarci un solo orizzonte, nel quale riconosceremo una sola realtà e una sola verità.

Note:
(1)    https://www.iltempo.it/esteri/2022/03/16/news/massimo-giannini-disinformazione-guerra-russia-ucraina-orrore-nascondere-miserabili-web-accuse-otto-e-mezzo-30859176/ https://www.la7.it/otto-e-mezzo/rivedila7/guerra-di-bombe-e-di-propaganda-otto-e-mezzo-puntata-del-1632022-16-03-2022-429219 

Contro l’artiglieria della repressione delle idee…

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Segnalazione di Federico Prati

di Lorenzo Merlo

Contro l’artiglieria della repressione delle idee, della censura, non abbiamo che cerbottane. Se fossimo un unico corpo, ci avrebbero già spazzati via. Essere sparpagliati è la nostra sopravvivenza. Con la pazienza e l’ascolto potremmo moltiplicare la nostra potenza. Noi sappiamo a cosa e come mirano. Loro non potranno eliminarci tutti.

“Se volete impegnarvi in battaglia, fingete di essere disordinati”
Sun Tzu (1).

Si sta ripetendo. Quelli della mia generazione avevano visto Martin Luther King e Nelson Mandela, ma la maggioranza non aveva incarnato che significava essere estromessi, essere considerati secondari, essere perseguitati, essere uccisi. La questione era etico-politico-ideologica, non empatico-sentimentale.
Ciò che sta accadendo ora, qui da noi in casa, ci spiega la differenza tra le due conoscenze e ci fa sentire nel corpo ciò che prima era un fatto intellettuale.
Naturalmente, per il momento, la censura che si sta verificando qui non è che una pallida ombra di quanto hanno dovuto subire i negri americani e sudafricani.

Ciò che sta accadendo qui ha qualcosa che assomiglia ad una vera lotta, forse più vera di quella sanguigna, in quanto più sottile e profonda. La capacità di attendere restando lucidi sarà forse una dote più importante di quella dei cannoni.

Le forze d’accerchiamento del regime sono avviluppanti. La quantità di armamenti d’ordine vario è dalla loro. Posseggono il reggimento più numeroso possibile, il popolo. Dispongono della sua inerzia, una qualità flaccida, difficile da spostare, eccellente nell’assorbire, elementare da farcire di pensieri e idee. Hanno le armi a ripetizione martellante migliori e in quantità soverchiante. Hanno alleanze con potentati più forti degli stati.
Dunque, oltre alle menti, anche le braccia, cioè la tv, la stampa, gli influenti, big tech.

La partita appare persa. Come dovevano sentirsi quei negri se non pieni di voglia di sottrarsi a tanta mortificazione? Come si sentono tutti gli uomini quando un bruto li mette all’angolo?

Ma la disperazione non è permessa. Avvicinerebbe la resa. È necessario resistere alla piega che ha preso il mondo. Una paziente attesa si impone affinché le risorse non vadano sprecate in vittimismo e TNT.

Il poco web che resta è una specie di vena d’oro, che si mostra soltanto a chi sa di aver concorso a trovarla, a darle forma. Tuttavia, è infiltrata di impurità. La mitragliatrice denigratoria spara inquinanti senza sosta su chi si pone domande e chiede risposte. E, siccome si può essere certi che chi dispone della forza la userà, le raffiche intorbidatrici non cesseranno di risuonare. Noi “i miserabili del web” (2) da ordinari individui, siamo divenuti di ordinaria eliminazione.

Possiamo essere certi, infatti, che gli apparati istituzional-privatizzati hanno investito e investiranno affinché manciate di gramigna vengano sparse tra e su noi, corpo ideale della nostra vena aurea. Un atto dovuto, affinché chiunque – per qualche dubbio sovvenuto o menzogna scoperta dell’ufficiale narrazione – sceso dal divano da dove si scorpacciava di Giannini, di Gruber, di Severgnigni, di Parenzo, di Mentana, di “vero giornalismo”, di “vera scienza”, di “vera democrazia”, non possa che restare disorientato.
Ma affinché anche quelli senza divano e senza tv si trovino di fronte al grande portale della realtà unica, sul cui timpano, a chiare lettere, leggeranno ancora il solo ritornello di quest’epoca malvagia: “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” (3) fino a dubitare di se stessi, fino ad accettare le pillole di bromurica libertà a punti. Un’altra loro arma di controllo di menti e di corpi.

Tutti abbiamo fatto l’esperienza che, operando sul piano razionale, si può anche arrivare ad ottenere un consenso da qualche fan della narrazione governativa della realtà, covidica, bellica o post-umanistica. Ma è un piano che non genera nelle persone una autentica capacità critica. Affinché ciò accada è necessaria una ricreazione personale, una motivazione profonda, un senso di sopruso subito, un interesse individuale. Se non scatta la scintilla, avremo ancora le medesime persone sotto incantesimo. Ci vuole un’emozione. Solo ponte su cui transitano i cambiamenti, le informazioni, le prese di coscienza. Pubblicitari, giornalisti, governativi e potentati lo sanno. Sanno come usare un’arma relazionale, come oltrepassare la barriera orwelliana così, apparentemente, insuperabile.
Solo con l’opportuna emozione ci si mette in moto. Diversamente, si capisce soltanto. L’intelletto non è il corpo. La comprensione cognitiva non è la ricreazione.
Tentare il proselitismo non serve. Esso si fonda sulla dimensione razionale, la più superficiale intelligenza tra quelle umane. E anche la più sopravvalutata e accreditata.

Senza ricreazione, l’amebica massa resta flaccida e senza mezzi per mutare se stessa. Mantiene le doti per fagocitare ogni corpo che le viene gettato addosso. È il suo cibo, della realtà divora tutto. Siano azioni incostituzionali, straccio dei diritti, imposizioni all’antrace, armi per ottenere la pace, eccetera.
Il menù che è in grado di digerire comporta un sussulto per ogni milite ignoto, per ogni Martin Luther King e Nelson Mandela, di qualunque colore essi siano esistiti. Comporta il Nobel sfregio della Pace a Barack Obama.

Non scomponiamoci dunque. La modalità dell’ascolto si impone, quella dell’affermazione è da tenere a bada. Sotto il ponte della sfibrante attesa passerà il momento utile per provocare emozione. Solo così quelli sul divano, tanto più alto da terra, quanto più fisso alla tv, troveranno il modo, da soli, di saltar giù, senza rischiare di rompersi l’osso della biografia. Perché è così che va quando ci si ricrea.

“Coloro che conoscono le condizioni del nemico sono certi di sottometterlo”
Sun Tzu (4).

Note
(1) Suz Tzu, Sun Pin, L’arte della guerra, Vicenza, Neri Pozza, 1999, p. 295.
(2) https://www.iltempo.it/esteri/2022/03/16/news/massimo-giannini-disinformazione-guerra-russia-ucraina-orrore-nascondere-miserabili-web-accuse-otto-e-mezzo-30859176/
https://www.la7.it/otto-e-mezzo/rivedila7/guerra-di-bombe-e-di-propaganda-otto-e-mezzo-puntata-del-1632022-16-03-2022-429219
(3) Orwell George, 1984, Milano, Mondadori, 1973, p. 39.
Sun Tzu, L’arte della guerra, Milano, Bur, 1997, p.