La guerra in Ucraina lo dimostra: l’Italia non conta nulla

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L’Ue si è dimostrata totalmente ininfluente sullo scacchiere internazionale. E l’Italia ha fatto peggio

di Salvatore Di Bartolo

L’escalation militare tra Russia e Ucraina ha contribuito esponenzialmente a far emergere tutte le fragilità dell’Unione europea. In queste ultime settimane, infatti, l’Ue si è dimostrata totalmente ininfluente sia nella fase in cui si sarebbe ancora potuto operare per scongiurare lo scoppio del conflitto, che nella fase immediatamente successiva all’invasione dell’Ucraina.

Il fallimento dell’Europa

Invero, l’inconsistenza politica dell’Unione non rappresenta affatto una novità: già con l’Afghanistan, ed ancor prima nel caso della guerra in Siria e delle primavere arabe, Bruxelles era risultata incapace di far sentire la propria voce e di interpretare il ruolo da protagonista che le sarebbe spettato di diritto. Il medesimo copione si sta adesso riproponendo con l’Ucraina, con un’Unione che continua a confermare uno scarso peso specifico ed una preoccupante subalternità politica agli Usa, anche in presenza di un conflitto che interessa così da vicino i territori e gli interessi dei Paesi del vecchio continente.

Un’Europa, che ha quindi colpevolmente scelto di abdicare al proprio ruolo, lasciando peraltro campo libero a paesi come Cina e Turchia, la cui sfera d’influenza continua espandersi a macchia d’olio, soprattutto nel Mediterraneo, con tutto ciò che ne consegue per gli interessi strategici europei.

Italia marginale nel mondo

L’inconsistenza dell’Unione europea, tuttavia, non rappresenta politicamente l’unica nota stonata evidenziata dal conflitto russo-ucraino. Ciò che di preoccupante è emerso in questi ultimi concitati giorni è, infatti, l’assoluta marginalità dell’Italia nello scacchiere geopolitico internazionale (ed anche in tal caso non si tratta certamente di una novità, bensì di un’amara realtà ormai tristemente accettata).

Un Paese, il nostro, dimostratosi sinora inadeguato ad interpretare il ruolo di mediatore tra gli interessi russi e quelli ucraini, che si sta esclusivamente limitando ad agire per delega commissionando la tutela degli interessi nazionali a francesi e tedeschi. E ciò, nonostante l’autorevolezza ed il prestigio internazionale di cui gode Mario Draghi.

A ciò, vanno poi a sommarsi, come se il quadro appena descritto non fosse già abbastanza sconfortante, le magre figure rimediate dai leader politici italiani in trasferta nell’est europeo. Da Matteo Salvini, partito dell’Italia con tutte le migliori intenzioni del caso, ma costretto ad incassare un imbarazzante sgarbo istituzionale da Wojciech Bakun, sindaco nazionalista di Przemysl, cittadina polacca vicina al confine ucraino, fino al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che di certo è riuscito a fare molto peggio di Salvini.

Dopo essere stato letteralmente ridicolizzato dal suo omologo russo Sergej Lavrov, che dopo averlo incontrato ebbe a dire di lui: “Ha una strana idea di diplomazia”, per giungere ad altri poco gratificanti episodi, che hanno contribuito a mettere in luce (qualora ve ne fosse il bisogno) la scarsa vena diplomatica del titolare della Farnesina, che nelle occasioni in cui è stato sinora chiamato in causa si è dimostrato essere tutt’altro che autorevole.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/la-guerra-in-ucraina-lo-dimostra-litalia-non-conta-nulla/

Clamoroso: per giocare al Quirinale, Di Maio diserta la riunione sull’Ucraina

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di Nicola Porro

Mentre siamo qui a pensare a quale sarà il prossimo presidente della Repubblica, e a vedere che il parlamento dopo quattro votazioni è ancora nel pantano, ci sono forse altre questioni di cui dovremmo discutere. Le bollette? La crisi un Ucraina? Ecco: vorrei far presente che Di Maio ultimamente, per stare dietro al caos Quirinale, non ha partecipato ad un vertice sulla tensione a Kiev. E su questo avrei due cosette da dire…

Nicola Porro, da Stasera Italia del 26 gennaio 2022

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Grillini in fuga, Senato in bilico

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Il gruppo M5s passa a 99 membri. E rischia di scendere ancora. I rosso-gialli così hanno 166 voti, solo 5 in più della maggioranza

All’inizio della legislatura, dopo il voto del 4 marzo 2018, i senatori del M5s erano 112. Oggi, dopo l’ultima defezione di Luigi Di Marzio, sono 99. Tredici in meno. Di questo passo, se l’esodo dovesse continuare, a rischiare seriamente sarà l’intera maggioranza. I rosso-gialli, infatti, che possono contare su 166 voti a Palazzo Madama, devono stare attenti a non scendere sotto la soglia di 161. Già oggi, però, Di Maio non può fare sogni tranquilli, perché tra i 166 senatori che sostengono il governo 6 di loro sono ex grillini passati al Misto. Bisogna comunque tener conto anche dei voti che possono arrivare in soccorso dai senatori a vita, almeno su tre di loro: Mario Monti, Elena Cattaneo e Liliana Segre.

Il problema in casa 5 Stelle ruota attorno alla figura del capo politico. I dissidenti sono sempre più insofferenti. Ormai i documenti con cui chiedono un passo indietro a Di Maio sono messi nero su bianco, senza paura di metterci la faccia in riunioni che un tempo venivano tenute segrete. I cosiddetti malpancisti, nei giorni scorsi sono usciti allo scoperto con il manifesto firmato da Emanuele Dessì, Primo Di Nicola e Mattia Crucioli, ai quali si sono aggiunti Gianni Marilotti, Cataldo Minnino e Giorgio Trizzino. C’è chi dice che sarebbero una ventina i grillini del gruppo di Palazzo Madama pronti a seguirli, anche se forse questo numero deve essere rivisto al ribasso. Alla riunione che si è tenuta mercoledì a Palazzo Valdina a Roma i partecipanti sarebbero stati diciotto. Erano presenti, tra gli altri, i senatori Mauro Coltorti, Giuseppe Auddino e i deputati Luigi Gallo (presidente della commissione Cultura vicino a Roberto Fico), Fabio Berardini, Elisa Siragusa e Jessica Costanzo…

Da https://www.iltempo.it/politica/2020/01/17/news/grillini-in-fuga-senato-in-bilico-1267565/

Caso Gregoretti, Bongiorno: “Conte e Di Maio sapevano. Abbiamo le prove”

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“Non vedo l’ora di andar in tribunale, per rispondere del reato di difesa dei confini del mio Paese”. Intervistato dal Gr1, Matteo Salvini rilancia la sua sfida politica sul caso Gregoretti. La vicenda arriverà a uno snodo il 20 gennaio, quando la giunta del Senato si riunirà per decidere se autorizzare il procedimento contro il capo della Lega, indagato per sequestro di persona e abuso di poteri. La partita si gioca tutta sul fatto che l’allora ministro dell’Interno avesse condiviso o meno con il governo la scelta di bloccare lo sbarco dei migranti. Ed è una partita tanto “tecnica”, quanto politica. Giuseppe Conte e Luigi Di Maio negano la circostanza, ma – anticipa in una intervista di oggi Giulia Bongiorno – bluffano e il loro gioco sarà scoperto.
Bongiorno: “Scelta condivisa, ci sono i documenti”
L’ex ministro della Pubblica amministrazione, nonché difensore di Salvini nel caso, spiega infatti a La Verità che “la decisione è stata presa nell’interesse pubblico ed era stata condivisa“. Non importa che poi non sia approdata anche in Consiglio dei ministri, come sottolineano di continuo Conte e Di Maio, perché “non serve un atto formale”. “Ciò che conta – chiarisce la senatrice leghista – è la condivisione effettiva di quella scelta e la compartecipazione attiva per trovare una soluzione al problema della redistribuzione dei migranti”. “Ci sono documenti – aggiunge Bongiorno – che ricostruiscono quei giorni e le varie comunicazioni che intercorsero”.

“Il caso Gregoretti è gemello della vicenda Diciotti”

L’avvocato Bongiorno non anticipa di cosa si tratti, per rispetto – sottolinea – al lavoro della giunta alla quale per prima saranno presentati. Una cosa però la dice: quelle carte “attestano” che il caso Gregoretti è “gemello” del caso Diciotti. “E Conte, da giurista, sa bene che in entrambi i casi si perseguiva l’interesse pubblico”.

Di Maio, dunque, “sbaglia” quando dice che le vicende sono diverse. “È evidente – commenta Bongiorno – che si cercano appigli per giustificare il repentino cambiamento di posizione. Dunque, la questione è tutta politica e Bongiorno si dice fiduciosa che “tra le chiacchiere e i documenti prevarranno i documenti”.

Di Maio, dunque, “sbaglia” quando dice che le vicende sono diverse. “È evidente – commenta Bongiorno – che si cercano appigli per giustificare il repentino cambiamento di posizione. Dunque, la questione è tutta politica e Bongiorno si dice fiduciosa che “tra le chiacchiere e i documenti prevarranno i documenti”.

Salvini vince comunque

“Se le decisioni in Senato verranno prese sulla base degli atti e della logica – spiega ancora – sarà riconosciuto il preminente interesse pubblico. Se invece saranno decisioni a prescindere dal merito e solo di natura politica, miranti ad abbattere Salvini per via giudiziaria, allora non saprei. Ma – conclude Bongiorno – non credo che gli elettori premierebbero questa strategia“. Una realtà che Salvini sembra aver compreso molto bene, a differenza dei suoi ex alleati.

Da https://www.secoloditalia.it/2019/12/caso-gregoretti-bongiorno-conte-e-di-maio-sapevano-abbiamo-le-prove/?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook

Il M5S correrà da solo in Emilia Romagna e Calabria. Di Maio cerca di salvarsi in corner

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Roma, 30 ott – A quanto pare, il Movimento 5 Stelle correrà da solo alle prossime elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria. Dopo la pesante sconfitta subita in Umbria (dove i 5 Stelle hanno perso ben 20 punti percentuali fermandosi al 7,4%) in una coalizione insieme al Pd, i “gialli” si candideranno senza i “fucsia”. “Non c’è modo di nascondervi nulla, sapete già tutto“: con una battuta il capo politico del M5S Luigi Di Maio ieri sera, uscendo dal Senato, ha così confermato quanto trapelato dalle riunioni che ha tenuto sulle Regionali in Emilia Romagna e Calabria con gli eletti e i referenti pentastellati sul territorio. Continua a leggere

Boomerang caso Di Maio, cresce M5S. Italiani non credono ai media. Ecco perché

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Boomerang caso Di Maio, cresce M5S. Italiani non credono ai media. Ecco perché

Il caso Di Maio e i lavoratori in nero si rivela un boomerang. L’opposizione al governo la fanno i giornalisti di sinistra. Il nuovo quarto Stato

 

di Antonio Amorosi

 

Certe cose, nella nostra bella italietta, bisogna farle in modo etico e intelligente, come si fanno a sinistra.

Se papà Di Maio avesse messo in piedi una bella cooperativa di muratori, rossa o bianca, tutto questo non sarebbe successo.

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Flat tax e reddito minimo, cosa ci sarà nella manovra

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Il governo alla prova della legge di Bilancio: “Flat tax e reddito minimo non alternativi, ma manterremo conti in ordine”

di Chiara Sarra

“Faremo sorridere gli italiani”. Dopo il vertice di maggioranza in vista della manovra economica.

Luigi Di Maio rassicura “i mercati e soprattutto le famiglie con figli disoccupati e con genitori che non riescono ad andare in pensione o hanno nonni che hanno una pensione minima”.

“Reddito cittadinanza e flat tax non sono alternativi”, ha promesso il vicepremier M5s parlando delle misure più care alle due anime del governo. Poco prima a Radio Radicale aveva parlato di una “rivoluzione copernicana nello spendere i soldi degli italiani”: “Tutte le risorse disponibili si cominciano a spendere per un paese che per anni ha visto andare i soldi alle banche e invece adesso si comincia a spendere per gli italiani”, ha spiegato. Il tutto – promette – “con una legge di bilancio coraggiosa e che terrà i conti in ordine”: “L’obiettivo è realizzare le misure economiche, non sfidare l’Europa sui conti”.

La manovra conterrà comunque – assicurano da Palazzo Chigi – tutti i temi economici affrontati dal contratto. “Nella legge di Bilancio deve esserci il reddito di cittadinanza, il superamento della Fornero, gli aiuti alle imprese”, ha detto Di Maio, “Tutto questo è possibile se iniziamo a cambiare il paradigma, se mettiamo al centro i cittadini. Fare reddito di cittadinanza in Italia significa aiutare le imprese e gli artigiani, perché quella gente che sarà destinataria del reddito spenderà soldi, si formerà per nuovi lavori e potremo reinserirla eliminando una parte di povertà in Italia. È quello il fattore che ci sta portando in una condizione sociale per cui le diversità aumentano”. Continua a leggere

Aiuto, i Comuni hanno finito i soldi (e anche così si spiega il voto ai Cinque Stelle)

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Segnalazione Linkiesta

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Aiuto, i Comuni hanno finito i soldi (e anche così si spiega il voto ai Cinque Stelle)

Dalle amministrazioni costrette a vendere pezzi di strade a quelle in cui i dipendenti vengono impiegati come spazzini: anni di tagli hanno portato migliaia di comuni sul lastrico. Un’austerità che ha colpito soprattutto il Mezzogiorno, con evidenti conseguenze sull’ultimo voto. (di Gianni BalduzziLEGGI)

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