Chi sono gli 007 che “spiano” la Meloni

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Chi sa leggere tra le righe, capirà cosa il prossimo premier dovrà fare, perché le fonti di intelligence dell’autore sono reali. Sottolineiamo il “dovrà” perché almeno dalla crisi economica del 2008 ogni Presidente del Consiglio dell’Unione Europea deve obbedire all’agenda sovranazionale. Non esiste movimento che si presenti alle elezioni ed ottenga risultati, che possa fermarla, se non “la mano di Dio”. Tutto il resto è propaganda. (.n.d.r.)

 

Missione: “ritorno al futuro”. All’estero, Giorgia premier non lascia indifferenti: entusiasma, inquieta, incuriosisce. Per questo le più influenti intelligence – dalla Cia americana all’inglese MI6 fino alla Siaz, la struttura dei servizi russi che risponde direttamente al presidente Putin e perfino i cinesi del Guojia – sono in Italia in “visita turistica”, in attesa delle elezioni politiche che in prospettiva potrebbero anche terremotare il placido Quirinale di Sergio Mattarella.

L’obiettivo è monitorare innanzitutto Fratelli d’Italia e quei partiti e quei candidati che gravitano nelle zone sensibili dove sono presenti le basi Nato, da Aviano a Sigonella, o nelle piattaforme di trasmissione dati di Tim Sparkle di Catania e di Crotone.

Ma ad analizzare gli orientamenti per capire lo scenario in Italia dopo il 25 settembre ci sono anche i cosiddetti “Centri per le strategie preliminari”, la cui esistenza è nota solo a pochi, e che Cossiga non esisterebbe a definirli la versione “millennial” della nostra Gladio, l’organizzazione paramilitare clandestina aderente a ‘Stay behind’, messa su negli anni ‘50 per prevenire eventuali attacchi sovietici. Si tratta di strutture ascose, sovranazionali e presenti in città strategiche del mondo, tra cui Washington, Mosca, Pechino, Gerusalemme, Teheran, Edimburgo, Berlino. I nostri Servizi, dal Dis all’Aise, da anni cercano di saperne di più.

Creare stati d’emergenza

All’interno di queste unità, personale altamente qualificato (militari, scienziati, economisti, politologi, religiosi, imprenditori, informatici, ecc.) raccoglie informazioni, le analizza e stila strategie per i governi, in stretto coordinamento con vari deep state, grazie anche all’utilizzo di tecnologia avanzata, con potenti server forse già in parte beneficiati dai traguardi della ricerca quantistica. Le loro analisi certificano un sistema di gestione globale (finanziario, politico, sociale, tecnologico) al collasso, non più capace di produrre risultati, quindi da sostituire con un vero e proprio cambio totale di paradigma. Ma come e a quale prezzo? Gli ingredienti sembrano quelli delle teorie definite complottiste: nelle visioni finora trapelate, ancora molto teoriche, si dice infatti che bisogna rompere le regole del “contratto”, creando degli “stati di emergenza”. Ed ecco che, in uno scenario distopico, pandemie, carestie e guerre possono diventare le cause migliori per orchestrare manovre “speciali”.

Il “Great reset”

Già Karl Schwab, patron del forum economico di Davos, come anche il principe Carlo d’Inghilterra, tra gli altri, hanno parlato del “Great reset” e di come realizzarlo attraverso una nuova infrastruttura globale politica, economica, sociale, tecnologica, persino religiosa. Le analisi descrivono la creazione di una piattaforma unica di Stati democratici occidentali (Usa, Europa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e di tutti quelli che vi vorranno aderire) con una sola governance compatta a dettare la linea. Senza farneticare, già Papa Bergoglio, nell’enciclica Laudato sí, evidenzia che “è arrivato il momento di costituire un organismo globale che abbia potere economico e politico sui singoli Stati”. Sempre Francesco ha parlato della proprietà privata come di un bene non più indispensabile e ha auspicato un reddito universale per tutti gli abitanti della terra. E ancora: togliere il cash per combattere l’evasione fiscale, il terrorismo e la criminalità e rendere tutto digitale; sì a una valuta digitale unica con cui controllare tutto e tutti e contribuire al progetto di globalizzazione e interconnessione. Le criptovalute private saranno bandite come già stanno facendo alcuni Stati, Cina in testa, dove si ritiene più funzionale controllare e contribuire al processo di globalizzazione, rendendo tutto e tutti interconnessi, manipolabili e orientati dagli algoritmi. Del resto, come si è visto su Raiuno, nel servizio dalla Cina di Marco Clementi per l’innovativa trasmissione “Codice”, le prove generali sono già in corso nella città di Chongqing. D’altro canto, Microsoft ha già preparato la sua valuta digitale così come Amazon, che tra l’altro, con il recente acquisto del robot per le pulizie domestiche Rumba, acquisirà anche le mappe delle nostre case e accelererà i pagamenti biometrici con la semplice scansione del palmo della mano. Con buona pace della nostra privacy.

Esecutori in Italia

Mario Draghi è ancora considerato il diligente esecutore di questa agenda ed il Pd il partito prescelto per eseguire il programma in Italia ma, a parte il Governatore Bonaccini in Emilia-Romagna con il suo Tecnopolo che ospita il Supercomputer europeo, il Nazareno di Enrico Letta naviga nell’inconsapevolezza più totale. Ormai i singoli Paesi contano sempre di meno, non hanno futuro, così come la politica parlamentare: si segue solo un’agenda sovranazionale, cioè globale, come quella Onu 2030.

Ma se in Italia dovesse vincere la destra, come riuscirà questo nuovo sistema orwelliano a rimanere a galla? Una cosa è certa: questa volta, per dirla con Sorrentino, ci vorrà davvero la ‘mano di Dio’ per sistemare le cose. Ed il piccolo mondo antico italiano, con le sue camarille, appare sempre più anacronistico e, nonostante Super Mario Draghi, ancora non si riesce neppure a fare una rete unica. Se il possibile non lo stiamo facendo, almeno per i miracoli di solito sappiamo attrezzarci.

Luigi Bisignani, Il Tempo 14 agosto 2022

“Supermario” è caduto per giochi di Palazzo, non per le proteste di piazza

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Sulla stessa linea di Marcello Veneziani, il nostro Responsabile Nazionale Matteo Castagna consiglia di andare tutti a votare il 25 Settembre per non lasciare mani libere al male assoluto rappresentato dalle sinistre. E…una stoccata al vetriolo ai fanatici no vax è servita su un piatto d’argento…

QUINTA COLONNA

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/07/28/supermario-e-caduto-per-giochi-di-palazzo-non-per-le-proteste-di-piazza/

I GOVERNI CONTE II E DRAGHI NON SI POSSONO ASSOLVERE DA UNA GESTIONE FOLLE DELLA PANDEMIA DA PARTE DI ALCUNI INCAPACI E INTERESSATI, PROBABILMENTE AL SOLDO DELLE MULTINAZIONALI DEL FARMACO

Tutti quelli che si sono messi a fare i tribuni della plebe, contro la “dittatura sanitaria”, supportando teorie strampalate, sciocchezze superstiziose, teosofia, pseudo-medicina, scienza olistica, teorie del complotto, profezie apocalittiche e molte altre amenità sono stati ferocemente sconfitti in ogni previsione.

Infatti, le elezioni si sono tenute e si terranno regolarmente; i giochini della politica sono uguali a quelli di trent’anni fa.

Le manifestazioni che, per alcuni soggetti, parevano la chiamata a raccolta dei pazienti psichiatrici del Paese, e gli starnazzamenti di certe oche non sono serviti a nulla.

Draghi ha inasprito la repressione, ora qualcuno vincerà qualche causa sporadica, ma “Supermario” è caduto per le logiche di Palazzo, non per la tanto paventata “rivoluzione popolare” della c.d. “resistenza”.

Quanto detto, naturalmente, non assolve i governi Conte II e Draghi da una gestione folle della pandemia da parte di evidenti incapaci e interessati, probabilmente al soldo delle multinazionali del farmaco.

Quanto accaduto dovrebbe essere un richiamo all’equilibrio nell’osservazione della realtà. Come è stato grottesco e talvolta assurdo lo scientismo delle virostar, altrettanto sciocco e fallimentare è stato il fanatismo di certi no vax.

Sappiamo che l’italiano medio diventa allenatore, medico, stilista, virologo, con supponenza dogmatica, ogni volta che si presenta l’occasione. E lo fa da maniaco compulsivo.

Tornando ai vari tribuni della plebe del novaxismo fanatico, agli alternativi del risveglio… induista, ai soloni della contro-informazione, avete notato che hanno quasi tutti fondato un partito? L’unico che pare non riuscirci, nonostante la voglia disperata, è il povero Massimo Viglione.

Ma allora, come un anno fa, mi chiedo: il fine di costoro era quello di dire la verità dei fatti, oppure cercare di crearsi un elettorato?

Tutta la canea montata con teorie di ogni genere servirà solo a far abboccare la gente più fragile con fini elettorali? Non è che se questi poi non entreranno in parlamento scompariranno dalla scena?

La mia previsione è che saranno tutti spazzati via il 25 settembre e, se qualcuno riuscirà a entrare in Parlamento, diverrà presto come gli altri. Scommettiamo?

 

 

Sanzioni Russia: l’UE stila il pacchetto più punitivo di sempre. Accordo UE-GB, veto sulle polizze delle navi russe

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di Aleksandra Georgieva

L’Unione Europea ha finalmente stillato i dettagli del sesto e più duro pacchetto di sanzioni economiche contro la Russia. Dopo una partenza in salita i 27 Paesi Ue hanno trovato il compromesso “giusto” per mettere in difficoltà il motore dell’economia russa ovvero il comparto energetico.

Sanzioni Russia, i nuovi divieti

L’accordo firmato ieri dai 27 paesi europei include l’embargo al petrolio russo importato soltanto via mare ma non quello che scorre attraverso l’oleodotto “Druzhba”, venendo così incontro alle richieste di Ungheria e Repubblica Ceca.

In sostanza entro sei mesi, a partire da gennaio 2023, verranno bloccati circa due terzi dell’”oro nero” di Putin facendo crescere progressivamente la percentuale fino al 90%.

“Ora le sanzioni mordono forte l’economia russa”, ha commentato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen concludendo il Consiglio straordinario.

Nel sesto pacchetto di sanzioni inevitabilmente vengono accolte molte delle esigenze dell’ungherese Victor Orbán, a causa della forte dipendenza di Budapest dal greggio russo, pari a circa due terzi delle importazioni del paese.

Se l’embargo del greggio è stato il punto principale sul tavolo del sesto pacchetto di sanzioni UE contro la Russia, sono poi state inserite anche alcune novità per colpire la cerchia ristretta di Vladimir Putin e la sua propaganda di regime. Sberbank, il principale istituto bancario russo è stato escluso dal sistema Swift (che veicola le transizioni tra le banche).

L’ultimo pacchetto colpisce anche tre emittenti principali della Russia: Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24 e TV Centre International.

È stato un Consiglio europeo un po’ lungo ma dei cui risultati possiamo essere soddisfatti”, ha detto il premier Mario Draghi in conferenza stampa. “L’accordo sulle sanzioni è stato un successo completo.”

Accordo UE-GB, stop alle polizze delle navi russe che trasportano greggio

Secondo quanto riporta il WSJ, l’UE e la Gran Bretagna hanno raggiunto anche un accordo per vietare le coperture assicurative delle navi russe che trasportano greggio. Il bando assicurativo rientra nell’ultimo pacchetto di sanzioni della UE contro Mosca nel tentativo di scombussolare ulteriormente l’economia russa. Il bando sulle polizze dovrebbe essere implementato nei prossimi sei mesi dando il tempo necessario agli stati specializzati nei noli come la Grecia e Cipro di adattarsi ai cambiamenti.

L’ultima mossa dei leader Europei di vietare le importazioni di petrolio via mare insieme al coinvolgimento del Regno Unito ed il bando sulle polizze rappresenta indubbiamente il colpo più duro nei confronti della Russia. Poche società sono disposte a noleggiare petroliere non assicurate. Ricordiamo che proprio questo tipo di blocco delle polizze ha frenato le esportazioni di greggio di Tehran, cercando di convincere il paese di rivedere i propri programmi nucleari.

L’ultima misura renderà difficile anche la rilocazione di Mosca anche verso il mercato Asiatico.

Secondo le previsioni degli organi di governo russo la produzione di petrolio diminuirà del 17% quest’anno a causa delle sanzioni dell’Occidente. Ciò rappresenta un problema di lungo termine per Mosca in quanto le infrastrutture del paese non sono adattate per rapidi e profondi tagli alla produzione.

Grano Ucraina: il piano di Bruxelles per evitare una crisi alimentare

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Segnalazione di Wall Street Italia

di Alessandra Caparello

E’ allarme per gli approvvigionamenti di grano a causa delle difficoltà legate alla guerra in Ucraina. Salvare il granaio ucraino è l’imperativo della Commissione europea che ha messo un piano ad hoc per stabilire “corridoi di solidarietà” con Kiev, al fine di facilitare le esportazioni di cereali verso l’Ue e il resto del mondo.

L’Ucraina è il granaio del mondo. Ostacolando esportazioni vitali il Cremlino sta minacciando la sicurezza alimentare di tutto il mondo. Oggi inizia la nostra azione per facilitare il trasporto di cereali dall’Ucraina e affrontare con urgenza le strozzature nelle forniture”.

Così ha scritto in un tweet la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen.

Il piano Ue per salvare il grano dell’Ucraina

L’Ucraina è uno dei principali produttori di cereali nel mondo e rappresenta il 10% del commercio internazionale di frumento tenero destinato alla panificazione ma anche il 15% del mais per gli allevamenti. E se un terzo dei cereali ucraini finisce in Europa, eguali quantità sono destinate alla Cina e all’Africa dove il blocco causato dall’invasione russa allarga l’area della povertà alimentare con il rischio di carestie.

Se fino all’anno scorso l’Ucraina riusciva a esportare circa 5 milioni di tonnellate al mese di cereali, ad aprile in piena guerra, la cifra è crollata a circa un milione o poco meno. Il problema è che la principale via di uscita – i porti di Odessa e Mykolaiv sul Mar Nero – è bloccata dalle mine ucraine e dalle navi da guerra russe.

Nel piano la Commissione Ue chiede ai privati di mettere urgentemente a disposizione vagoni merci, veicoli, navi, autocarri aggiuntivi e caricatori mobili di grano da piazzare in punti di contatto alla frontiera ucraina, individuati dagli Stati membri, dando la priorità alle spedizioni di derrate agricole anche attraverso slot ferroviari dedicati. Al momento migliaia di camion carichi di cereali sono in attesa di sdoganamento dalla parte ucraina. Il problema è anche logistico visto che il tempo medio di attesa attuale per i carri è di 16 giorni, mentre ad alcune frontiere è fino a 30 giorni.

Un piano coerente quello Ue, come riferisce la Coldiretti.  Nell’Unione Europea prima della guerra sono arrivate durante l’anno dall’Ucraina oltre 700mila tonnellate di grano pari al 4% delle importazioni totali e 65 mila tonnellate di grano duro, che rappresentano poco più dell’1%, ma anche quasi 9 milioni di tonnellate di mais (25% del totale import) e di circa 2 milioni di tonnellate di olio di girasole (45% del totale import), secondo le elaborazioni Coldiretti su dati del Centro Studi Divulga.

Obbligo, la data cerchiata in rosso: cosa può cambiare il 5 gennaio

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Nel Consiglio dei ministri del 5 gennaio nuove misure sul tavolo: spunta l’ipotesi dell’estensione del Super green pass per accedere al lavoro. Ma si valuta anche l’obbligo vaccinale: sale il pressing dei partiti

di Luca Sablone

Tempo qualche giorno e il governo prepara già la nuova stretta. Dopo aver approvato il nuovo decreto che di fatto mette spalle al muro i no-vax, nei primi giorni di gennaio il Consiglio dei ministri potrebbe tornare a riunirsi per varare un’ulteriore giro di vite per spingere sempre più verso la somministrazione del vaccino.

La data cerchiata in rosso è quella di mercoledì 5 gennaio, quando sul tavolo del Cdm potrebbe approdare una svolta nella lotta alla pandemia: l’obbligo di super green pass per i lavoratori. Di fatto sarebbe una sorta di obbligo di vaccinazione per accedere al lavoro, visto che il certificato verde rafforzato si ottiene solo con la somministrazione del siero o con la guarigione dal Covid-19. Ma si valuterà anche l’obbligo vaccinale, per cui sale il pressing dei partiti.

Cosa cambia al lavoro

Fonti governative fanno sapere che un secondo blocco di misure per il contenimento del Coronavirus potrebbe essere adottato appunto nei prossimi giorni. Viene da chiedersi quali potrebbero essere le nuove mosse dell’esecutivo e la risposta va trovata nello scontro che si è consumato ieri in Consiglio dei ministri: da una parte Forza Italia e Partito democratico favorevoli al super green pass per i lavoratori; dall’altra i dubbi di Lega e Movimento 5 Stelle che fanno saltare il provvedimento.

Ma l’asse gialloverde è destinato ad avere vita breve, visto che la nuova stretta potrebbe andare proprio in questa direzione: come riportato da La Repubblica, il prossimo passo potrebbe essere quello di estendere il super green pass a tutti i lavoratori, del settore pubblico e privato. Un punto su cui il premier Mario Draghi conta di ottenere il via libera in tempi brevi, sperando di risolvere le divisioni nella maggioranza.

Una conferma in tal senso è arrivata da Renato Brunetta, che ieri aveva messo sul tavolo la proposta che in sostanza impone a tutti i lavoratori di sottoporsi alla vaccinazione: il ministro della Pubblica amministrazione ha sottolineato l’importanza per l’Italia di non perdere la posizione di vantaggio rispetto agli altri Paesi, dicendosi ottimista sulla nuova misura più stringente che potrebbe vedere luce nel prossimo Cdm.

Pressing per l’obbligo

Nel frattempo aumenta il pressing per l’obbligo di vaccinazione, che finirà sul tavolo del Consiglio dei ministri di inizio gennaio. Un’ipotesi che valuta il premier Draghi e che dovrà essere attenzionato anche da tutti i partiti che sostengono il governo: conviene optare per il super green pass per i lavoratori o procedere direttamente con l’obbligo vaccinale per quasi tutti gli italiani?

Nel corso del Cdm di ieri i ministri di Forza Italia si sono espressi in modo favorevole all’obbligo vaccinale. Sulla stessa linea Enrico Letta, segretario del Partito democratico, secondo cui ora “bisogna prepararsi al passo successivo, cioè l’obbligo vaccinale e il ritorno allo smart working“. Parere favorevole lo ha dato anche Italia Viva, con il ministro Elena Bonetti che non si è messo di traverso: “L’obbligo vaccinale è la direzione giusta per sconfiggere la pandemia“.

Meno convinta la Lega, che però non chiude del tutto e chiede allo Stato di assumersi la responsabilità per eventuali conseguenze da vaccino e prevedere un elenco di “fragili” da esentare dall’obbligo. Un atteggiamento di apertura si è registrato pure tra le fila del Movimento 5 Stelle in occasione del dibattito sul super green pass per i lavoratori: il ministro Stefano Patuanelli ha sottolineato che fino a questo momento si è sempre ragionato per funzioni (forze dell’ordine, docenti, sanitari, lavori a contatto con le persone) e si è chiesto dunque quale sarebbe stata la ratio di distinguere tra lavoratori e disoccupati. “A questo punto conviene ragionare sull’obbligo di vaccinazione“, sarebbe stato in sostanza il ragionamento del M5S.

No pass a Trieste: una spy story con ombre cinesi

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di Luigi Bisignani
COSA POTREBBE STARCI DIETRO LE PROTESTE CHE INFIAMMANO TRIESTE

No vax no pax: ma siamo proprio sicuri che i manifestanti che infiammano Trieste siano così pacifici? E perché proprio Trieste, ora tallonata anche da Gorizia, è diventata tutt’a un tratto la capitale europea della protesta anti-vaccini? Molti indizi portano a conclusioni allarmanti, come sta approfondendo la Commissione parlamentare antimafia che ha già sentito in loco Autorità e investigatori in merito a un dossier su possibili infiltrazioni di frange estreme, e non solo, di stampo mafioso.

Il porto è considerato da sempre strategico e alla regione Friuli-Venezia Giulia dovrebbero essere destinati, dal Pnrr, quasi due miliardi di euro di finanziamenti. La Dia, Carabinieri e Guardia di Finanza stanno potenziando i propri presidi, così come Aise e Aisi. I nostri Servizi di sicurezza monitorano il via vai a Trieste e Gorizia di russi e cinesi che, sotto la crescente pressione degli Stati Uniti di Biden, potrebbero avere interesse a tenere vivo nel cuore industriale dell’Europa un focolaio di protesta. Trieste, proprio in quanto priva di ostacoli naturali su terraferma, rappresenta da sempre la naturale porta di ingresso e di uscita verso i paesi del Sud-Est europeo (Balcani, Grecia, Bulgaria, Romania, Ucraina, Turchia). È attraversata dal cosiddetto “Corridoio V” che unisce Lisbona a Kiev, una delle principali direttrici di traffico per linee ferroviarie dell’Alta Velocità previste dalla Ue. Con il suo porto, primo per traffico di merci in Italia costituisce, inoltre, uno snodo fondamentale sia dei traffici marittimi del Sud-Est del Mediterraneo con direttrici verso il Canale di Suez e il Mar Nero sia di quelli terrestri verso il Centro-Nord d’Europa (Austria, Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia) con sbocco finale nel Mare del Nord e nel Baltico.

Fu l’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, nel 700, che trasformò Trieste nel porto di Vienna per i traffici marittimi del suo Impero. A seguito di ciò, la città si sviluppò rapidamente, con la nascita di un importante polo bancario-assicurativo-industriale costituito nel tempo da Generali, Ras e Fincantieri. Ecco perché l’immagine della Trieste di oggi come la “Woodstock dei no vax” è poco convincente e i primi a non crederci sono gli stessi triestini. Chi paralizza la città mette in ginocchio l’intera regione “Alpe-Adria” in un momento storico in cui l’immigrazione dall’Afghanistan, e non solo, rischia di invadere l’Europa e in cui il leader bielorusso Lukashenko parla di blocco dei rifornimenti energetici. Dal porto di Trieste, infatti, passano l’energia diretta in Austria e Baviera e le merci destinate a nord verso i porti anseatici. Trieste, insomma, riproduce, in miniatura e per delega, il confronto tra cinesi e angloamericani.

Gli indizi non mancano.

1. Il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale è Zeno D’Agostino, il cui vero tallone d’Achille sono proprio le “ombre cinesi”. Sua, infatti, la firma dell’accordo-chiave sulla Via della Seta e cinesi erano le bandiere sventolate dai portuali quando D’Agostino venne temporaneamente rimosso dall’incarico per ordine dell’Anac. Vessilli adesso arrotolati e sostituiti da striscioni no vax.

2. La misteriosa morte di Liu Zhan, un alto funzionario dell’apparato cinese che ogni settimana faceva la spola tra la capitale e Trieste, seppellito al Verano dopo una cerimonia funebre alla presenza dell’ambasciatore cinese a Roma e di molti “colleghi” venuti appositamente dal Friuli-Venezia Giulia.

3. La Polizia postale – soprattutto dopo la denuncia del Governatore Fedriga, secondo la quale i manifestanti più facinorosi con esperienze da black bloc non sono triestini – sta indagando sulle sofisticate forme di reclutamento che passano dal dark web, oltre che dalla tanto discussa app “Telegram”, e sull’occupazione paramilitare della rete dei radioamatori le cui frequenze sono assegnate dal Ministero dell’Interno.

4. L’indizio finale, per cercare di capire cosa c’è sotto, sono le visite sempre più frequenti dei diplomatici americani a Trieste. Quella del console Robert Needham a luglio, peraltro, è stata particolarmente “vigorosa” ed un suo rapporto è finito dritto al Dipartimento di Stato nei desk dedicati a Italia e Balcani.

Attivi anche i servizi di sicurezza francesi che hanno bloccato alla frontiera alcuni pseudo manifestanti no vax, già noti per aver creato disordini ai tempi della Tav. L’Eliseo, infatti, non vuole alcun intoppo  provocato da cittadini francesi in Italia prima della firma del cosiddetto Trattato del Quirinale tra Parigi e Roma, a cui stanno lavorando in queste ore – non si sa bene a quale titolo  il consigliere economico di Palazzo Chigi, l’onniscente  e onnipresente Francesco Giavazzi e il Ministro dell’Innovazione, l’ex Vodafone Vittorio Colao. Gli articoli 2 e 7 che riguardano la Difesa e lo Spazio vengono scritti tenendo all’oscuro i ministri di competenza, Lorenzo Guerini (Difesa) e Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico), nonché gli alti Stati maggiori militari.

Il solito “one-man-show” di Mario Draghi che ha ormai esautorato il Parlamento o una strategia a tutto vantaggio di potenze straniere, come sembra confermare la possibile vendita del campione nazionale Oto Melara ai franco-tedeschi di Knds anziché a Fincantieri, la più dinamica azienda pubblica italiana? Misteri a cui forse non è estraneo il segretario del Pd Enrico Letta che, non a caso, ha trascorso gli ultimi anni nei bistrot, e non solo quelli, parigini. Ah, les italiens…

Luigi Bisignani, Il Tempo 14 novembre 2021

Tutto il bottino alle multinazionali-finanziarie globali, ecco la legge sulla concorrenza

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di Sonia Savioli

Fonte: Sonia Savioli

La cosiddetta legge sulla concorrenza è un altro passo verso la dittatura delle multinazionali. Un loro funzionario, Mario Draghi, assistito e ossequiato da quella corte parassita in cui si è trasformato il parlamento italiano, segue passo dopo passo le direttive del Forum Economico Mondiale, la cricca delle multinazionali più potenti del mondo, per il loro progetto di accelerazione della Quarta Rivoluzione Industriale.

Quel progetto a cui è finalizzato l’inganno pandemico.

La legge “concorrenza” è l’ennesima distruzione dei beni pubblici e delle piccole attività autonome, a vantaggio dell’economia globalcapitalista, che è decisa ad occupare tutto il mercato, senza lasciare una briciola neanche ai passeri.

Si sottraggono alle pubbliche amministrazioni servizi e trasporti, la gestione dei rifiuti, il potere di amministrare qualsiasi bene comune.

Si “agevola l’accesso all’accreditamento delle strutture sanitarie private”, e anche queste cosiddette “agevolazioni” sono in realtà una sottrazione di potere alle istituzioni e una eliminazione dei controlli sui privati. “Abolire le barriere al commercio e al profitto privato” dicevano i documenti del Forum Economico Mondiale a proposito della “pandemia”.

I grossisti dei farmaci non saranno più obbligati, come succedeva finora, a distribuire tutti i farmaci; potranno distribuire quelli che preferiscono, e non dubitiamo che saranno i farmaci delle multinazionali, in grado di concedere loro un margine di profitto più ampio.

Tutto questo è nella LEGGE PER ELIMINARE QUALSIASI CONCORRENZA ALLE COMPAGNIE MULTINAZIONALI.

Si affida la gestione degli impianti idroelettrici (dighe!) ai privati. Impianti idroelettrici costruiti coi nostri soldi e che i nostri soldi continueranno a tenere (o rimettere?) in piedi, come è successo per il ponte Morandi.

Si dà il via libera a multinazionali come Huber, un’azienda parassita e strozzina, che non produce niente ma si limita a prendere il pizzo sulle prestazioni fornite da privati (i passaggi in auto) e da altre attività (ristoranti, corrieri, fattorini), e le “app e piattaforme digitali” sostituiranno i lavoratori impiegati nelle aziende di taxi, mentre la multinazionale strangolerà le aziende che parassita: è questo lo sviluppo del capitalismo globale.

Le società di capitali potranno aprire farmacie. Ma, naturalmente, saranno catene di farmacie molto “digitalizzate”, che potranno occupare tutto il mercato.

Come sono contenti gli psicopatici del Forum Economico Mondiale!

Ciaociao taxisti, farmacisti, operai comunali, lavoratori e tecnici della gestione dei rifiuti, lavoratori e tecnici degli impianti idroelettrici!

E, mentre tutti questi lavori e lavoratori si allontanano e svaniscono come fantasmi di trapassati, avanzano verso il futuro i sistemi di controllo cibernetico della dittatura del ventunesimo secolo. Il nazipass, detto “green”, è solo uno di essi e, naturalmente, verrà potenziato, ma ce ne sono altri e la legge contro la concorrenza e gli ostacoli alle multinazionali si occupa di diffonderli.

Per esempio, se metteremo sul nostro veicolo dispositivi che ci controllino negli spostamenti (li chiamano “raccolta dati”), avremo degli sconti sull’assicurazione auto, e inoltre, con le nuove forme di mobilità che utilizzano le app e piattaforme tecnologiche pagheremo meno che prendendo un taxi.

E’ con bocconcini come questi che i topolini vengono attirati nella trappola.

Non sarebbe ora di svegliarci tutti? Vaccinati e non, siamo tutti sulla stessa barca, che i banditi del FEM progettano di far colare a picco. Non ci sarò salvezza per nessuno, se non ci uniamo contro il progetto tirannico e folle del capitalismo globale, che esso chiama Quarta Rivoluzione Industriale. Una sorta di impero in cui la cibernetica sostituisce la repressione violenta e i lager, rendendo lager interi paesi, senza barriere apparenti ma con evidenti e drammatiche costrizioni, che saranno sempre più soffocanti e liberticide.

Non sarebbe ora di svegliarci tutti? Ci hanno detto che niente sarà più come prima. Ce lo hanno detto i servi e i lacché del capitalismo globale. Bene, diciamolo noi a loro: Niente sarà più come prima, voi non ci sarete; faremo fallire il vostro progetto di dominio, costruiremo una società di uguaglianza e solidarietà, di rispetto e ripristino di quell’ambiente naturale che volete continuare a distruggere con il vostro falso “green new deal”. Una società dove non ci sarà più posto per la finanza globale, per le multinazionali e per i loro falsi scienziati e falsi politici.

Cominciamo subito, in tutte le piazze, in tutti i paesi e le città, in tutti i luoghi di lavoro e di studio: informare per resistere, resistere per cambiare.

Green pass ok, l’Italia di Mario Draghi non si è fermata

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di Antonello Barone

L’Italia di Mario Draghi non si ferma. Non si è fermata. Ieri gli italiani hanno lavorato, si sono spostati, hanno studiato, sono andati nei ristoranti, negli uffici, in vacanza, nei cinema, nelle biblioteche. Le merci hanno viaggiato e sono entrate e uscite dai porti. I servizi essenziali hanno funzionato: mobilità pubblica, ospedali e scuole non hanno subito significativi inconvenienti. Gli sportelli della pubblica amministrazione hanno riaperto al pubblico, tutti insieme.

Chi non si è ancora vaccinato, chi non ha potuto dimostrare con il tampone rapido o molecolare di essere negativo al Covid, non ha bloccato il sistema. Semplicemente è rimasto a casa, in aspettativa non retribuita. L’Italia è green. Semaforo verde per la stragrande maggioranza di lavoratori che sono potuti entrare regolarmente a lavoro.

Un’Italia vaccinata e sempre meno contagiata. Fiduciosa grazie al proprio senso civico e alla fiducia nella scienza che la pandemia sarà presto alle nostre spalle. Pronta a seguire le regole, severe, ma di buonsenso di un governo che ha deciso di non scendere a compromessi con chicchessia sulla salute dei propri cittadini, per mera paura del dissenso.

Il governo ha tenuto fede al principio democratico della forza della maggioranza. Perché il popolo dei novax, degli indecisi, degli ipocriti del “mi vaccino dopo perché non mi fido, vediamo prima cosa capita agli altri”, degli approfittatori che vogliono destabilizzare il quadro democratico è davvero una piccola minoranza. Chiassosa ed eterogenea, in alcune componenti anche pericolosa, ma pur sempre una minoranza. E come tale va trattata.

Con rispetto, ascoltandone le ragioni e le motivazioni quando espresse nell’alveo delle regole democratiche, ma senza assecondare la loro sindrome di Aristotele. Chi pretende di voler avere sempre ragione e si sente superiore, in realtà è affetto narcisisticamente da una propensione a non avere il dubbio di poter essere nel torto. Ma chi pretende che la propria presunta ragione prevalga sulla maggioranza delle opinioni contrarie, sulla fattualità dei dati, sulle evidenze empiriche è un pericolo per la democrazia.

Occorre stare all’erta soprattutto quando l’ego di queste persone viene solleticato dai cinici che ne cavalcano le posizioni per averne un ritorno meramente utilitaristico. Cosa pensare di chi protesta legittimamente convito delle proprie ragioni, protetto dal diritto costituzionale della libertà di pensiero, consente che altri dal passato oscuro si impadroniscano della sua rivendicazione per spargere violenza, odio, sedizione?

Le scene della devastazione della sede della CGIL sono state il 6 gennaio italiano. Come l’attacco al Congresso americano, anche la distruzione furiosa e il bivacco inscenato nella sede di Corso d’Italia, ci riporta all’evidenza dell’insensatezza di gesti collettivi compiuti da persone ignare realmente di quello che stanno compiendo. Come i topi nella fiaba del pifferaio magico, le masse a volte vengono soggiogate dalla flautata propaganda di pochi. La reazioni del sistema istituzionale e la vicinanza delle istituzioni al sindacato è stata un balsamo, ma resta l’evidenza che non tutti i partiti siano disposti a rinunciare al consenso di questa parte minoritaria dell’elettorato.

Così in un filo rosso che lega le scene di solidarietà alla CGIL del governo per l’attacco subito e la decisione dello stesso governo di non assecondarne le ultime richieste sul green pass unisce plasticamente la forza del rispetto per tutti gli attori democratici e il coraggio dell’autonomia nel svolgere il ruolo esecutivo che consiste in ultima analisi nel prendere decisioni e attuarle

In un Paese abituato al rinvio dell’ultimo secondo, alla certezza confortata dall’abitudine reiterata in ogni circostanza che i limiti temporali previsti dalle norme siano solo orizzonti mobili facilmente rinviabili ogni qualvolta si giunga nei loro pressi, deve essere stata una sorpresa il fermo no di Draghi posto ai sindacati alla loro richiesta di rinvio dell’efficacia nel green pass per i lavoratori.

Il governo ha mantenuto il punto, non ha sconfessato la propria strategia neanche cedendo sul tema dei tamponi gratuiti. Saper tenere fede per coerenza ad una posizione ritenuta fondamentale può apparire evento consueto nelle democrazie mature, ma non è un cosa che abbiamo spesso visto fare ai governi italiani.

La spinta gentile del green pass ha funzionato. I tempi sono stati adatti per consentire ai ritardatari di rimediare alla loro titubanza. Oltre l‘85,26% degli italiani ha fatto almeno la prima dose del vaccino. Nell’ultima settimana l’incremento rispetto a quella precedente è stato del +34%. Il sistema ha retto. Molti indecisi e i riottosi sono stati convinti e sospinti alla vaccinazione.

Gli ultimi probabilmente non lo saranno. Ma è stato dimostrato, grazie alla fermezza dell’esecutivo, pronto a verificare la giustezza della propria decisione che i novax non hanno la forza per fermare il sistema. L’Italia corre verso la fine del tunnel della pandemia e si avvia a una stagione di ripresa economica.

Scienza e democrazia sono gli artefici di questa condizione. E anche Aristotele ne converrebbe. 

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/economia/green-pass-ok-litalia-di-mario-draghi-non-si-e-fermata/?utm_source=nicolaporro.it&utm_medium=link&utm_campaign=economiafinanza

Elezioni: astensionismo e voto classista

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Ottima analisi di Luigi Tedeschi, che abbiamo fatto, identica nella sostanza, anche noi di “Christus Rex” (N.d.R.). I grassetti sono nostri.

di Luigi Tedeschi

Fonte: Italicum

Qual è il risultato sostanziale delle elezioni del 4/5 ottobre? La vittoria del centrosinistra, esaltata dalla retorica mediatica era scontata, a causa della prevedibile disfatta del M5S. In realtà, è il record delle astensioni il fatto più eclatante di questa tornata elettorale. L’astensionismo ha raggiunto la percentuale del 45,31 quota mai raggiunta nella storia repubblicana. Il record negativo è stato registrato a Milano e Torino, proprio nell’ex cuore pulsante dell’industria italiana, in cui la partecipazione politica di massa era più accentuata.

La democrazia italiana, già in stato comatoso, probabilmente morirà a causa del dissanguamento del corpo elettorale. Va estinguendosi cioè la partecipazione popolare alla politica, dato la divaricazione sempre più marcata creatasi sia nella società civile che nelle istituzioni politiche tra classi dirigenti elitarie e masse di cittadini emarginate ed escluse dai centri decisionali della politica.

La politica mediatica si pone l’irrisorio problema se questo risultato elettorale possa rafforzare o indebolire il governo Draghi. Ma per Draghi è del tutto indifferente l’esito di questa competizione elettorale, dato che il suo governo non si è insediato in virtù di una maggioranza emersa dal consenso popolare. E’ nella sostanza un governo tecnico (e governo del Presidente), camuffato politicamente dal sostegno di quasi tutto il parlamento, che impone l’attuazione delle direttive europee, a prescindere dagli orientamenti politici dei partiti.

Con il governo Draghi si è imposta una cabina di regia di stampo oligarchico e tecnocratico che di fatto ha esautorato il potere legislativo del parlamento. I partiti della compagine governativa rivestono una funzione notarile, quella cioè di legittimare politicamente decisioni ed indirizzi già concordati e, nella sostanza, imposti dagli organismi della UE (vedi riforme e condizionalità del NGEU). In questo contesto, le elezioni quindi di tramutano in acclamazioni, in un assenso formale simile a quello vigente dei regimi totalitari.

Gli stessi partiti di governo hanno accettato questo ruolo subalterno, con l’intento di deresponsabilizzarsi politicamente: non vogliono cioè assumersi la paternità di leggi e riforme impopolari. A tal fine hanno investito Draghi del potere decisionale, un uomo che vanta un grande prestigio nella UE e non necessita di consensi elettorali. Draghi è pertanto quotidianamente acclamato ed esaltato dalla politica ufficiale e dal circo mediatico, al punto di invocare una sua permanenza al governo illimitata, un premierato simile alla presidenza a vita conferita a Xi Jinping in Cina. Ma è certo che i partiti di governo pagheranno assai duramente questa svolta “draghista” in termini di consenso e credibilità.

La crisi della democrazia in Occidente è da imputare proprio alla formazione dei governi di unità nazionale scaturita da stati di emergenza, ma poi divenuta governance ordinaria e permanente. Con l’unità nazionale viene meno la dialettica democratica degli schieramenti contrapposti, del necessario confronto tra maggioranza e opposizione. La tradizionale contrapposizione tra destra e sinistra (ridotta ormai ad un talk show permanente), nell’unità nazionale si dissolve in un centrismo asettico conformista, privo di idee e contenuti politici, limitato alla gestione dell’esistente.

La politica si è convertita in antipolitica istituzionale. I poteri decisionali sono stati devoluti ad organismi sovranazionali: l’antipolitica ha soppiantato dal democrazia.

Quali le ragioni di questo astensionismo di massa? Esse sono molteplici. Ha certo influito l’emergenza pandemica, che ha prodotto uno stato di angoscia collettiva per la propria sopravvivenza. Si è quindi affermato un regime terapeutico, cui ha fatto riscontro una totale soggezione delle masse ai provvedimenti governativi emergenziali e alle autorità sanitarie. Si è generato un clima di accettazione acritica della politica dell’emergenza.

La pandemia ha inoltre determinato il fenomeno del riflusso nella sfera privata dell’esistenza e quindi un atteggiamento di indifferenza nei confronti di una politica divenuta estranea alle problematiche individuali.

Ma soprattutto ad incidere sulla diserzione dalle urne è stata la delusione derivante dal tradimento delle aspettative di cambiamento che il popolo italiano aveva riposto nel M5S, che, grazie al successo elettorale nelle elezioni politiche del 2018, era diventato partito di maggioranza relativa.

Il M5S, che formò con la Lega il governo gialloverde Conte 1, rappresentava il superamento della dicotomia destra / sinistra, adottò un atteggiamento critico verso la UE in difesa della sovranità nazionale, istituì il reddito di cittadinanza e approvò in tema previdenziale quota 100 (un parziale superamento della legge Fornero). Ma poi, sia il M5S che la Lega vennero meno alle promesse di cambiamento. Il M5S diede vita al governo giallorosso con il PD (aveva giurato “mai col PD”) e insieme alla Lega ha aderito al governo Draghi.

L’astensionismo di massa è quindi interpretabile come la manifestazione di netto dissenso verso la classe politica nella sua generalità, specie nei confronti di quei partiti che hanno tradito le istanze di cambiamento sistemico emerse dalla società civile. E’ stato ripetutamente affermato che il successo del PD sia frutto di una scelta dell’elettorato per i partiti tradizionali, in quanto “usato sicuro”, preferibile al velleitarismo confuso dei partiti populisti del cambiamento. Ma l’astensionismo dilagante dimostra invece che il PD, unitamente ai partiti ascari di Draghi, rappresentano invece un “usato da destinare allo smaltimento dei rifiuti urbani”. Infatti sia il centrodestra che il centrosinistra non sono riusciti a riconquistare le periferie.

L’astensione non è affatto un sintomo di qualunquismo e / o indifferenza, ma semmai della impotenza della politica a contrastare un modello neoliberista, la cui governance è appannaggio di una classe dominante finanziaria – tecnocratica, che ha determinato la destrutturazione delle istituzioni democratiche.

Non esiste oggi un partito anti – Draghi. Non esiste dunque una opposizione credibile e rappresentativa delle masse emarginate. Il popolo subisce gli effetti devastanti di un incombente processo di ristrutturazione del capitalismo, quale si rivela essere la quarta rivoluzione industriale. Si moltiplicano le crisi industriali, aumentano le diseguaglianze sociali e la disoccupazione. E non sarà certo Draghi ad affrontare questo dissesto sociale ed economico accentuatosi con la pandemia, dal momento che egli stesso ha dichiarato come non sia opportuno sostenere imprese non adeguate alla innovazione e alla competitività del mercato, vale a dire la piccola e media impresa.

Questa tornata elettorale ha evidenziato la stratificazione classista di questa società. Infatti, mentre la percentuale dei votanti è risultata elevata nelle aree residenziali delle classi più elevate, l’astensionismo è stato invece dilagante nelle periferie. Sono state le classi dominanti a determinare il successo del PD, quale  sostenitore talebano di Draghi, premier di un governo di esperti, liberali e convinti europeisti, soprattutto in avversione al populismo sovranista diffuso tra le classi popolari. Il PD è il partito della sinistra classista. Ma il suo classismo è capovolto, in favore delle elite. Le classi dominanti progressiste e liberiste, ostentano uno sdegnoso disprezzo, un quasi – razzismo nei confronti delle classi subalterne. Sostengono Draghi perché privo di una linea politica: sono infatti i meccanismi finanziari della UE e del libero mercato globale a determinare gli orientamenti della politica.

La borghesia che conta non ha partiti di riferimento, le sue scelte consistono nell’adeguamento dei propri interessi all’andamento della politica corrente. Non a caso, la Milano – bene, che per un ventennio circa aveva sostenuto Forza Italia, ha trasferito i suoi voti in massa in area PD. Tra l’altro, nelle stesse zone, anche Scelta Civica di Mario Monti aveva trionfato.

La nuova borghesia ha fatto propria l’ideologia neoliberista della global class, da cui tuttavia, presto o tardi sarà fagocitata e proletarizzata.

In realtà, nel sistema liberaldemocratico attuale, i voti non hanno soltanto una valenza numerica, ma hanno anche un peso politico differenziato. Tutti i voti rappresentativi di interessi consolidati nella società vengono ritenuti meritevoli di tutela politica e, oltre ad essere rappresentati nei parlamenti e nei governi, hanno il potere si influenzare l’indirizzo politico dei governi. Al contrario, i voti delle classi inferiori, non sono rappresentativi di interessi dotati di valenza politica. Anzi, il popolo necessita invece di tutele sociali e politiche occupazionali e assistenziali. Pertanto, alle esigenze delle classi popolari non è riservata una adeguata rappresentanza politica.

Gli stessi partiti, al di là delle percentuali di consenso popolare, hanno un peso specifico diverso. Solo quei partiti che rappresentano gli interessi delle classi dominanti nella società civile sono in grado di incidere nel governo del paese. Al contrario, qualsiasi partito populista, dinanzi ai rapporti di forza consolidati nella società civile, è totalmente disarmato, quand’anche esso disponga della maggioranza dei consensi elettorali.

Del resto, sono oggi i mercati a legittimare e orientare la linea politica dei governi abrogando, nei fatti, la democrazia e la sovranità popolare. Infatti, il commissario UE Oettinger, giudicando l’operato del governo gialloverde non compatibile con le direttive europee, ebbe ad affermare: “I mercati insegneranno agli italiani a votare in modo giusto”. La liberaldemocrazia è tornata alle proprie origini: nei fatti si sta tornando alla democrazia censitaria del secolo XIX°. Un sistema elitario cioè in cui il voto è divenuto un privilegio riservato alle classi abbienti e non un diritto politico universale ed indisponibile come nelle democrazie moderne.

Questa esplosione assenteista è l’espressione di una presa di coscienza generale delle masse della irrilevanza politica delle classi subalterne e quindi del voto popolare.         

Amministrative, i tre mali del centrodestra (o quattro?)

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IL COMMENTO POST ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2021

di Giuseppe De Lorenzo

È inutile nasconderselo: le elezioni amministrative 2021, che già iniziavano sotto cattivi auspici, sono andate persino peggio del previsto. Al di là del premio di consolazione – la Calabria e, forse, qualche Comune che la coalizione riuscirà a conservare – il centrodestra viene stracciato al primo turno a Milano e Napoli, a Torino parte in svantaggio e a Roma, probabilmente, soccomberà al ballottaggio (mai dare nulla per scontato, ma all’alba del giorno dopo, questa è la proiezione).

I tre motivi della disfatta

L’analisi della sconfitta non può prescindere da tre elementi di riflessione. I tre vicoli ciechi che hanno eroso una squadra, fino a poco tempo fa, col vento in poppa e dai quali non è detto sia possibile uscire.

1. L’incapacità di offrire una classe politica all’altezza, unita alla paura di amministrare. Un fattore abbastanza sorprendente soprattutto nel caso della Lega, che tradizionalmente aveva nel buongoverno locale un suo punto di forza. L’indisponibilità di big da giocarsi nelle metropoli, in realtà, è stata solo uno dei fattori in gioco: sicuramente, a spingere verso la scelta di candidati estranei ai partiti e oggettivamente deboli e impreparati, sono stati il timore di raccogliere sfide pericolose come banco di prova nazionale (Roma), le liti e le fratture interne alla coalizione e la costituiva difficoltà del messaggio sovranista a penetrare nei grandi centri urbani (Milano). Anche se – valga come monito a quelli di scuola giorgettiana – non hanno scaldato i cuori degli elettori nemmeno candidati tutt’altro che radicali, come i borghesissimi Luca Bernardo nel capoluogo lombardo e Paolo Damilano sotto la Mole.

2. È indubbio, tuttavia, che sulla disillusione dei sostenitori della coalizione – è il secondo spunto – abbia pesato la sostanziale irrilevanza politica dei sovranisti. Gli uni (Fdi), in quanto ancorati a una scelta d’opposizione coerente quanto si vuole, ma alla fine improduttiva: il partito di Giorgia Meloni ha un’indiscutibile forza critica, però è inevitabilmente marginale rispetto alle decisioni che contano e che esso deve limitarsi a subire. Gli altri (il Carroccio), nonostante avessero scelto di entrare nell’esecutivo di Mario Draghi proprio “per incidere”.

La realtà è che anche l’ala moderata o governista, alimentata dai presidenti delle Regioni del Nord e capitanata da Giancarlo Giorogetti, non ha portato a casa nulla: non l’apertura delle discoteche, non i tamponi gratis per il green pass, non la propulsione alla produzione di vaccini italiani, mentre l’abbandono dei lockdown duri derivava prevalentemente da un’intima convinzione di Draghi, il quale di sicuro non si concepisce come un uomo chiamato a gestire un Paese fermo. Giorgetti, per adesso, ha solo l’onere di affrontare le crisi industriali al Mise. Un ministero che appariva un grande riconoscimento alla Lega e che, a ben vedere, potrebbe essere stato un trappolone. Nel frattempo, Draghi & company preparano un’imboscata fiscale già nel cdm odierno. Tutto ciò ha suscitato una sensazione di disempowerment e di scoramento nell’elettorato d’area: la gente ormai ha capito che, comunque vadano le elezioni, non cambierà nulla.

3. Questo ci porta al terzo, più buio vicolo cieco: l’inagibilità politica. Un centrodestra a trazione sovranista finirebbe in un cul de sac, quand’anche vincesse le elezioni 2023. Da un lato, resterebbe esposto, com’era già successo ai gialloverdi nel 2018-2019, alle imboscate dei mercati finanziari e dell’élite europea. Dall’altro, sarebbe comunque vincolato in partenza agli impegni sottoscritti col Pnrr e modellati sulla base delle “raccomandazioni” dell’Ue all’Italia. Cercare di sottrarsi alla tenaglia significherebbe, con ogni probabilità, perdere l’accesso alle fonti di finanziamento del debito pubblico e le risorse garantite dal Next generation EU.

Noi di “Christus Rex” aggiungeremmo un quarto motivo: la mancanza più assoluta di un orizzonte valoriale metapolitico chiaro e condiviso da tutto il centrodestra. Ricordiamo che Salvini faceva incetta di voti quando parlava da cattolico e proponeva principi con solide radici cristiane, senza timore di andare controcorrente. Ci sarà ancora posto, nel centrodestra, per incidere come cristiani? Crediamo che nei fatti, nelle aperture anche alle persone maggiormente rappresentative di quest’area conservatrice e tradizionalista, della quale si sente orfano di rappresentanza almeno un milione di “tradizionalisti” anonimi, si possa e si debba ragionare. Se si annacqua il tutto per paura del politicamente corretto e del Pensiero Unico, il centrodestra è destinato, a nostro avviso, a continue debacle. Le linee siano chiare fin da principio, senza tentennamenti, ricordando che, anche in politica, come nella vita, nella morale, nell’etica, due + due fa sempre e solo quattro. (N.d.R.)

Come scrivemmo già su questo blog, il Recovery fund commissaria la destra per i decenni a venire. Il che, peraltro, rende quanto mai incerte le geometrie parlamentari del 2023, fermo restando che, per formulare ipotesi, è necessario scoprire chi arriverà al Quirinale. Ad esempio, se Draghi restasse a disposizione di un incarico a Palazzo Chigi, mettereste la mano sul fuoco sul fatto che Forza Italia s’imbarcherebbe in un’impresa con leghisti e meloniani, anziché riproporre una grande coalizione, ovvero una conventio ad excludendum contro i sovranisti?

Era ieri, quando il caos immigrazione metteva il turbo alla Lega di Matteo Salvini. Eppure, è come se fosse passata un’eternità.

Giuseppe De Lorenzo, 5 ottobre 2021

Fonte: https://www.nicolaporro.it/amministrative-i-tre-mali-del-centrodestra/

 

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