L’ombra sinistra che lega il Covid e la crisi energetica

Condividi su:

di Claudio Romiti

Se ne parla assai poco o non se ne parla affatto. Tuttavia, a mio modesto parere, c’è una sinistra linea di continuità tra l’emergenza Covid, enfatizzata oltre ogni misura in Italia, e l’emergenza energetica, colossale problema che non potrà certamente essere affrontato con la nostra tipica improvvisazione. E per comprendere in estrema sintesi l’assunto, è sufficiente un rapido raffronto basato sui numeri, che come è noto hanno la testa sempre maledettamente dura. Nel maggio nel 2021 per comprare un euro ci voleva circa 1 dollaro e 22, mentre ora bastano appena 96/97 centesimi. Una perdita assai rilevante in appena 18 mesi, che i keynesioti fanatici della svalutazione competitiva tenderanno a considerare assai vantaggiosa.

Tuttavia, a beneficio di chi invoca scorciatoie di tipo monetario, ricordo che una tale svalutazione impatta in modo diretto sui prezzi delle materie prime, petrolio e gas in primis, e sui cosiddetti semilavorati, i quali vengono acquistati in molte parti del mondo e pagati essenzialmente in dollari. Tant’è che l’Italia, basata su una economia di trasformazione, importa una quantità enorme degli stessi semilavorati e in buona parte da Paesi extracomunitari.

Ed ecco che comincia a intravedersi l’ombra sinistra di una manipolazione monetaria, in sostanza una inondazione di liquidità operata dalla Bce e resasi necessaria dalla catastrofe economica determinata dalle restrizioni sanitarie. In soldoni, è accaduto che vuoi attraverso la via indiretta di un forsennato riacquisto dei titoli di Stato sul mercato secondario e vuoi con il trasferimento diretto di ingenti risorse monetarie create dal nulla ai membri della zona euro, con grande prodigalità nei riguardi proprio dell’Italia, il valore della moneta unica è sceso ad un livello che non si vedeva da molti anni.

E dal momento che la moneta non è altro che un titolo di debito, questa colossale operazione di rifinanziamento realizzata attraverso i computer della Banca centrale europea, tra le altre cose, ha determinato almeno due evidenti contraccolpi:

1. ha implicitamente distrutto ogni barriera di salvaguardia sul piano della disciplina di bilancio, consentendo al Belpaese di raggiungere un livello di indebitamento prima d’ora impensabile e, per questo, esponendoci al rischio di non riuscire più a sostenere un tale, mostruoso indebitamento;

2. al netto delle conseguenze scaturite dalla guerra in Ucraina e dal deciso rialzo, precedente all’attacco Russo, nei prezzi di molte materie prima, di fatto la debolezza dell’euro sta importando una forte dose addizionale di inflazione, causando una spirale di rincari a cascata che stanno scuotendo dalle fondamenta l’intera economia europea.

Da qui la decisione, non più rinviabile, presa dalla Bce di interrompere gli acquisti di nuovi titoli di debito dei Paesi membri lanciati con la pandemia, limitandosi a sottoscrivere quelli in scadenza. Ciò significa che l’Italia, se vorrà sostenere le bollette di imprese e famiglie, evitando una catastrofe economica senza precedenti, dovrà far ricorso agli odiati mercati finanziari, a meno di improbabili tagli draconiani alla spesa pubblica.

Solo che questa volta, con un debito sovrano che sfiora il 155% del Pil e nel bel mezzo di una drammatica stagflazione, la tanto bistrattata disciplina di bilancio sarà assolutamente necessaria per garantire a chi ci presta i quattrini che saremmo sempre in grado di pagargli quanto meno gli interessi.

Pertanto, il nuovo governo, che si sta per insediare nella peggiore situazione possibile, non potrà in alcun modo prendere in considerazione le ben note sirene del nostro ben noto teatrino politico-sindacale, su cui spicca sempre sul piano della facile demagogia la Cgil di Maurizio Landini. Non è questo proprio il tempo di ascoltare le irresponsabili pretese di chi vorrebbe far aumentare i salari a prescindere dalla condizione drammatica che stiamo vivendo, all’interno di una cornice con più welfare e meno tasse.

Claudio Romiti, 10 ottobre 2022

Fonte: https://www.nicolaporro.it/lombra-sinistra-che-lega-il-covid-e-la-crisi-energetica/

Valute, gas, materie prime: in palio c’è il dominio del mondo

Condividi su:

di Leopoldo Gasbarro

Vincerà chi avrà il controllo della produzione di materie prime. La guerra, la vera guerra, non la si combatte a colpi di mitragliatrici e di cannoni, non la si conduce da un carrarmato o dalla cabina di un aereo a reazione. La guerra che si sta combattendo è una guerra economico-finanziaria ed in palio c’è il dominio del Mondo, per meglio dire di Mezzo Mondo.

Quella che si sta consumando in Ucraina è stata definita Guerra Ibrida. C’è quella sul campo di battaglia, sempre più cruenta, c’è quella che ruota attorno alla sicurezza informatica,c’è quella finanziaria e poi, forse la più importante, c’è quella combattuta attraverso la comunicazione, immagini, notizie, con milioni di canali che si rincorrono.

Però oggi occupiamoci della parte di economia e finanza. Qual è il vero obiettivo di questa guerra? E soprattutto chi ne avrà vantaggio? Lo scenario che sta emergendo potrebbe portare alla nascita di un fronte molto netto: da una parte la CIna che ha bisogno come il pane della cisterna di gas e petrolio rappresentata dalla Russia; dall’altra gli Stati Uniti che hanno necessità di trovare qualcuno a cui vendere il loro gas.

Insomma, stando così le cose, non è difficile immaginare che la Russia possa diventare un vassallo Cinese e che l’Europa lo diventi degli Stati Uniti. In questo contesto l’attuale braccio di ferro finanziario esistente tra Russia e Occidente assume sempre più importanza e risalto.Così il taglio dei tassi della banca centrale russa hanno fatto risalire le quotazioni del rublo, ma al tempo stesso la riapertura all’utilizzo delle transazioni di valuta straniera, sempre concertata dal massimo organo finanziario di Putin permetterà alle banche russe di vendere di nuovo valute estere in contanti ai loro cittadini riaprendo, di fatto, alle operazioni su tutti i mercati.

Questo vuol dire che continua ad esistere una sorta di dualismo finanziario in cui da una parte ci si chiude a riccio e dall’altra si riapre alle connessioni con l’occidente. Tutto questo avviene nel momento in cui la Russia sembra essere sull’orlo del baratro finanziario, sull’orlo di un default che qualcuno ha definito “selettivo”.

E’ come se si volesse arrivare al fallimento della Russia ma lasciando, al tempo stesso, porte aperte a possibili trattative. Sin qui la comunicazione e la finanza. Ma la guerra ibrida di cui stiamo parlando continua anche sui campi di battaglia. Le dichiarazioni di chi continua ad alimentarla diventano sempre più inaccettabili.

La pace non è barattabile, men che meno con un climatizzatore. L’Italia non è un paese che vuole la guerra, a differenza di ciò che esprimono spesso e volentieri i suoi massimi vertici politici. Parlare addirittura di patrimoniali necessarie per riarmare il paese appare come la più assurda delle scelte.

2.800 miliardi di debito pubblico rappresentano la certezza di un futuro nerissio per i nostri figli. Che si lavori sulla crescita, sulle prospettive di sviluppo e sugli investimenti verso un futuro in cui la pace non debba passare per proclami roboanti e belligeranti, che non debba passare per guerre ibride.

Rinunciare agli atti di forza è l’unico vero atto di forza accettabile. Costringere la diplomazia internazionale, la Nato, anche con posizioni opposte a quelle americane rappresenterebbe e rappresenta l’unica vera via d’uscita. Qui non c’è in gioco qualche grado in meno d’estate e Draghi lo sa benissimo; qui c’è in gioco il lavoro di milioni di persone, il futuro di centinaia di migliaia di aziende.

Leopoldo Gasbarro, 10 aprile 2022