Lo Spettro delle Elezioni si aggira sull’Italia
A Dio piacendo si voterà Domenica 25 Settembre 2022…
di Alfio Krancic
Le dimissioni di Draghi e la sua uscita di scena, hanno causato un’ondata di emozione e di dolore senza precedenti fra le élite atlantiste, eurocratiche e globaliste. Lamentazioni e gemiti si sono levati alti verso il cielo. Sull’Italia e su coloro che hanno causato la caduta del Santo Banchiere sono state auspicate le 10 piaghe d’Egitto. Da Bruxelles la Von der Leyen ha lanciato una fatwa, accompagnata da maledizioni e profezie di sventura. Altri augurano al nostro paese, come sommo castigo, uno spread impazzito e fuori controllo. Gli oligarchi di Bruxelles hanno previsto per l’Italia “pianto e stridor di denti“, sciagure e miseria. e morte.
Tutti i rappresentanti delle euro-oligarchie, hanno tessuto lodi sperticate verso lo scomparso Supermario e si sono uniti alle condoglianze per l’immensa perdita. Giornalisti singhiozzanti e con le lacrime agli occhi hanno intonato un “Magnificat” laico verso il Dimissionario. Paolo Mieli, con grande sprezzo del ridicolo, è arrivato a definire “sublime” il discorso finale al Senato di Draghi. Pare infine che Mattarella, padrino del fu PdC, si aggiri nella sua reggia ovattata e silenziosa, per i solitari corridoi, fra corazzieri silenti, invocando fra le lacrime il nome del perduto Draghi.
Fonte: https://alfiokrancic.com/2022/07/21/lo-spettro-delle-elezioni-si-aggira-sullitalia/
Ridateci il diritto di essere contro
di Marcello Veneziani
Fonte: Marcello Veneziani
Il diritto vale anche a rovescio; ossia tutela e garantisce anche chi dissente dal potere e diverge dall’opinione dominante. Ma da qualche tempo i diritti si vanno restringendo, le imposizioni crescono insieme al conformismo coatto. Prima con la pandemia, l’infinito strascico di restrizioni e obbligazioni, vaccini e green pass, sorveglianza e controllo; poi con la guerra in Ucraina e l’allineamento generale ai falchi della Nato e degli Stati Uniti. Ma ci sono anche altri precedenti e altre vicende collaterali che hanno spinto in quella direzione.
Ugo Mattei, giurista, ordinario di diritto civile, ha pubblicato un libro che già nel titolo contiene la sua tesi, Il diritto di essere contro (Piemme), dedicato al dissenso e alla resistenza nella società del controllo. Si comincia dai vaccini, dai controlli e dai pass, nel nome di una religione scientista, sanitaria e supponente, e si arriva a estenderli ad altri ambiti, fino a instaurare un bieco regime di sorveglianza.
Mattei è tra i firmatari del documento “Dupre” che esprime dubbi e preoccupazione sul regime sanitario e i suoi inquietanti sviluppi. Come lui sono firmatari anche l’oncologo e biologo Mariano Bizzarri e il filosofo Massimo Cacciari; il primo è autore di un recente, affilato pamphlet, Covid-19 un’epidemia da decodificare. Tra realtà e disinformazione (Byoblu edizioni), con un saggio di Cacciari che ne esalta il rigore scientifico e la libertà di giudizio. Per restare nella linea del dissenso è da segnalare un libro-dialogo tra Francesco Borgonovo e lo storico Luciano Canfora, che si occupa dell’altro versante scottante, La guerra in Europa, L’Occidente, la Russia e la Propaganda (Oaks editrice), offrendo una lettura divergente rispetto all’Informazione ufficiale e istituzionale.
A Mattei, Bizzarri, Cacciari, Canfora e Borgonovo, persone di diversa estrazione, non è negato il diritto di essere contro, i loro libri non saranno vietati. Neanche quelli di Alessandro Orsini e di Toni Capuozzo, di Giorgio Agamben e di Carlo Freccero (neanche i miei, se è per questo). Ma saranno ignorati, emarginati o disprezzati e derisi in coro dall’Intellettuale Collettivo. Chi è fuori dalla cappa o dalla cupola, costeggia ai bordi l’editoria, i social e magari si affaccia pure in tv; ma è fuori dal sistema che non ammette contraddittori al suo interno, ma solo ai margini, fuori. La linea divisoria tra insider e outsider è sempre più marcata, come un fossato.
E non si tratta di voci isolate, minoranze esigue in via d’estinzione; ma esprimono un pensiero, un sentire, un’opinione assai larga, forse perfino maggioritaria. Che emerge nei social, affiora nei sondaggi, si trasmette col passaparola. A volte attraversa anche categorie come i medici, i ricercatori, gli intellettuali, i diplomatici, i militari ma il timore di sanzioni, problemi alla carriera e gogna mediatica, li induce a confessare in privato opinioni, dubbi e preoccupazioni che in pubblico sono prudentemente nascoste o stemperate.
Con la scusa dell’emergenza ormai permanente, anche se mutano le sue ragioni, si instaura un regime. Mattei accusa Draghi e Mattarella, ma anche Monti e Napolitano, la magistratura compiacente, i piani scellerati di svendita pubblica e privatizzazione, il servilismo atlantista verso gli Stati Uniti, Big Pharma, i colossi della finanza e del capitalismo globale. Siamo entrati nell’era della Sottomissione, definizione fino a ieri riferita al fanatismo islamista (si pensi al libro omonimo di Michel Houellebecq). Secondo Mattei l’Italia è il luogo in cui l’Occidente sta sperimentando la sostituzione del diritto con l’antidiritto, una forma di controllo sociale sul tipo cinese o coreano, tramite ricatti, tracciamenti, algoritmi, censure. Stiamo arrivando tramite il neo-liberismo a una nuova forma di “dispotismo occidentale”.
Il limite dell’invettiva di Mattei è che da un verso non vede il ruolo parallelo e decisivo che ha avuto l’ideologia progressista e i suoi cascami, il politically correct, la cancel culture sulla distorsione della mentalità, la negazione della realtà e della varietà, i divieti e la fabbrica dell’intolleranza. E dall’altro si ostina a giudicare tutto questo come fascismo, contro cui auspica una nuova resistenza e un nuovo comitato di liberazione. Ora, dai residui ideologici che ne sono il sostrato, dagli interessi privati che si perseguono, dai modelli adottati (come quello cinese), tutto si può dire meno che sia un nuovo fascismo. E quando Mattei vede Draghi come il nuovo fascismo, asservito al capitalismo finanziario, all’atlantismo e all’apparato liberista, va del tutto fuori strada; il fascismo è agli antipodi. Sarebbe invece molto più proficuo interrogarsi sul perché il nuovo globalismo armato e sanitario, finanziario e tecnocratico, abbia trovato nei progressisti la loro guardia bianca, nei dem il loro partito-regime e i falchi nella salute, nella censura come nelle armi. Il regime si fonda sulla saldatura tra sinistra radical e capitalismo global, tra liberal e liberisti.
Il quadro che ne traccia è veritiero: in Occidente un oligopolio finanziario globale controlla i mass media, procede al gran reset, sfonda i confini tra il pubblico e il privato. E si accinge a imitare il modello cinese, abolendo il contante per sorvegliarci con la carta elettronica, inserendo la cittadinanza a punti, censurando il dissenso. Ma poi Mattei si lascia prendere la mano e confessa di preferire “un partito unico funzionale” come quello cinese, a “un finto pluralismo di pagliacci, nani e ballerine”. Allora si, che “il diritto di essere contro” verrebbe del tutto sradicato…
Un 25 Aprile di liberazione dalle bugie e dalla retorica
L’EDITORIALE DEL LUNEDI – BUON 25 APRILE, FESTA DI SAN MARCO EVANGELISTA A TUTTI I LETTORI
di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/04/25/un-25-aprile-di-liberazione-dalle-menzogne-e-dalla-retorica/
L’AGGRESSIVITÀ BELLICA ANDREBBE FERMATA INVIANDO ARMI TENUTE SOTTO SEGRETEZZA? ARMANDO SEMPRE DI PIÙ I CIVILI, I MERCENARI, I COSIDDETTI NEONAZISTI? RINUNCIANDO AL GAS RUSSO, FACENDO SCHIZZARE ALLE STELLE IL COSTO DELLE BOLLETTE E CHIUDENDO TUTTE LE NOSTRE AZIENDE, PERALTRO DA DUE ANNI IN CRISI A CAUSA DELLA PANDEMIA?
Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky ha annunciato che le armi richieste all’Occidente sono arrivate. Ciascun Paese ha fatto la sua parte: Joe Biden ha rifornito di droni, obici, veicoli corazzati, munizioni per un ammontare di 800 milioni di dollari.
La Germania aveva annunciato l’invio di 1.000 armi anticarro, 500 missili terra-aria Stinger, circa 2.700 missili antiaerei Strela e munizioni. Secondo i media, avrebbe inviato anche circa 100 mitragliatrici, 100.000 granate, 2.000 mine, 15 bombe demolitrici, detonatori e cariche esplosive. Spagna, Francia, Norvegia, Svezia, Finlandia, Polonia hanno mandato in Ucraina missili antiaerei Mistral di fabbricazione francese, armi anticarro M72, equipaggiamento militare e pezzi di artiglieria pesante. Il Regno Unito afferma di aver distribuito più di 200.000 pezzi, inclusi 4.800 missili anticarro NLAW, 120 veicoli corazzati Mastiff, Wolfhound e Husky nonché un nuovo sistema missilistico antinave.
Il Canada, che finanzia l’Ucraina dal 2015 per un ammontare di 141 milioni di dollari canadesi (112,6 milioni di dollari) ha annunciato l’invio di aiuti militari difensivi, armi e munizioni, bombe a mano, lanciarazzi, apparecchiature di sorveglianza e rilevamento, nonché obici M777 e munizioni. Il Giappone ha annunciato che invierà generatori elettrici e droni, mentre hanno contribuito anche la Grecia con 400 kalashnikov, i Paesi Bassi con 200 missili Stinger. il Belgio, la Slovenia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l’Estonia, la Lituania, la Lituania e la Romania hanno provveduto agli approvvigionamenti militari per milioni di euro.L’Italia, al contrario degli altri Paesi, mantiene le sue consegne di armi all’Ucraina sotto segretezza. Però, il Presidente della Repubblica nata dalla Resistenza, all’incontro con i rappresentanti delle associazioni combattentistiche d’arma, in vista del 25 Aprile, ha detto che “forse serviranno sacrifici per l’Ucraina, ma saranno comunque inferiori ai rischi di subire questa aggressività bellica”. Quindi, rischiamo l’invasione da parte della Russia? Continua Mattarella: «Ci si dimentica dei valori del 25 aprile e della Resistenza. L’attacco violento della Federazione Russa al popolo ucraino non ha giustificazione alcuna» ha detto Mattarella. “Il 25 aprile ci ricorda anche «un popolo in armi per affermare il proprio diritto alla pace dopo la guerra voluta dal regime fascista». Fu «un’esperienza terribile; che sembra dimenticata, in queste settimane, da chi manifesta disinteresse per le sorti e la libertà delle persone, accantonando valori comuni su cui si era faticosamente costruita, negli ultimi decenni, la convivenza pacifica tra i popoli». Dunque, l’aggressività bellica andrebbe fermata inviando armi tenute sotto segretezza? Armando sempre di più i civili, i mercenari, i cosiddetti neonazisti? Rinunciando al gas russo, facendo schizzare alle stelle il costo delle bollette e chiudendo tutte le nostre aziende, peraltro da due anni in crisi a causa della pandemia?
Da Mariupol le persone, intanto, iniziano a raccontare delle atrocità e dei crimini compiuti dal battaglione Azov, che dovranno essere oggetto di una commissione speciale d’inchiesta, il più possibile imparziale, assieme a tutte le azioni di guerra compiute in Ucraina, fin dal 2014 in Donbass. Ma, di questo, Mattarella non ha parlato. Nessuno ne parla. Si continua nella narrazione tra opposte tifoserie, ove l’occidentale è obbligato a prendere la parte atlantica da un’arroganza sistemica simil totalitaria, che mai avrei pensato di vivere nel nostro Paese. Si cerca di silenziare la ricerca della verità dei fatti, che vede enormi responsabilità da parte degli USA e della NATO, si impone la propaganda, si cancella incredibilmente la diplomazia, al punto che ci si può legittimamente chiedere chi sia a volere che la guerra continui?
Chiunque voglia approfondire, porre dubbi, viene etichettato come un collaborazionista del nemico russo, un po’ come chi si chiedeva se la gestione del green pass fosse davvero efficace e non riceveva risposte, ma il marchio a fuoco di “no vax”, da esporre al pubblico ludibrio. C’è qualcosa di enorme che non va, quindi, nelle democrazie (o plutocrazie?) occidentali che turba la maggior parte delle persone che credono di poter avere un’opinione circostanziata, non conforme alla narrativa corrente, senza aver mai visto un rublo né conoscere agenti del Cremlino. Gli Stati hanno già inviato un arsenale bellico in Ucraina, la cui portata avrebbe dovuto far ritirare i russi, ma questo non accade. Semmai è Putin che sta prendendo l’Ucraina.
C’è, dunque, un chiaro cortocircuito nel mainstream, che pare un disco rotto nel raccontare verità parziali o evidenti bugie. Che sia un 25 Aprile di liberazione dalle menzogne e dalla retorica, in onore di san Marco Evangelista. L’uomo ricordi che può ingannare gli uomini, e fino ad un certo punto. Ma non potrà mai prendersi gioco di Dio. Quando si troverà davanti al Suo giudizio, tenga presente che “Egli è misericordioso, ma anche giusto, e perciò è obbligato a castigare chi l’offende . Egli usa misericordia, ma a chi? A chi lo teme” (S. Alfonso Maria de’ Liguori, Apparecchio alla morte, Cons. XXIII, p. 2).
Elezioni anticipate e vittoria dell’astensionismo?
L’EDITORIALE DEL LUNEDI
di Matteo Castagna https://www.informazionecattolica.it/category/editoriali/#:~:text=EDITORIALI-,Elezioni%20anticipate%20e%20vittoria%20dell%E2%80%99astensionismo%3F,-14%20Febbraio%202022
NELLA “NUOVA NORMALITÀ”, LE IDEE SONO ACCANTONATE, I PRINCIPI ANNULLATI, I CONTI NON SI FANNO SULL’EFFETTIVA CAPACITÀ DEL POLITICO DI AMMINISTRARE…
Luigi Bisignani non è una persona qualunque. Era l’uomo di fiducia di Giulio Andreotti, conosce molti segreti dell’Italia repubblicana. E’, anche, “L’uomo che sussurra ai potenti” (Casa editrice Chiarelettere) in cui egli si racconta e fornisce una testimonianza unica nel suo genere, perché con sagacia e fine ironia racconta come funzioni in potere, quello vero, che non ha bisogno di tante parole o proclami. Quello che agisce e basta.
Può apparire cinico, si può pensare ciò che si vuole della storia controversa di Bisignani, ma una cosa è certa: questo libro e i suoi articoli su Il Tempo sono sempre molto interessanti, perché hanno uno stile diverso e contenuti molto concreti. Ogni parola viene ben pesata ed armonizzata come in un piccolo romanzo, rendendo di facile comprensione anche i meccanismi più contorti e difficili del sistema plutocratico che, negli anni, ha progressivamente sostituito la Politica classica, così come da tutti conosciuta e concepita, in cui il primato dell’alta finanza governa i popoli in funzione dei suoi interessi, dopo aver demolito ogni ideale e relegato all’irrilevanza la filosofia, la teologia politica, gli ideali, le più alte aspirazioni rivolte al bene comune.
Intervistato da Affari Italiani, Bisignani racconta che “l’operazione Mattarella era studiata a tavolino da mesi e per la sinistra prima si vota e meglio è, visto che il centrodestra si è disintegrato”.
Sei mesi fa, ebbi modo di dire e di scrivere che il Mattarella-bis sarebbe stata la soluzione più semplice per il Parlamento attuale, in quanto sarebbe stata l’unica a poter garantire il mantenimento dello status quo e il sederino di molti eletti che non saranno riconfermati, a causa della legge che ne riduce il numero, inchiodato sugli scranni romani fino al raggiungimento della fatidica data del vitalizio che, poi, chiamano pensione.
Il Pd, inoltre, non tanto per la bravura di Enrico Letta, ma per l’esperienza di lungo corso dei vecchi arnesi della “politica politicante” democristiana, si è mantenuto il partito di Sistema più solido in assoluto. Non a caso, i sondaggi dicono che il Pd è, oggi, il primo partito.
Più draghista di Draghi, sostiene posizioni oltranziste quanto alle misure restrittive, fino ad arrivare ad affermazioni pesantissime da parte di alcuni suoi uomini di punta o di riferimento. Appiattendosi su un premier che, stato d’emergenza permettendo, comanda, non governa, si è seduto sulla sedia d’onore, accanto al “Padrone della Plutocrazia” italica, per vincere in quanto accodato come un cagnolino al guinzaglio, sotto il tavolo del “migliore tra i migliori”. Dunque Bisignani aggiunge che “il Pd deve passare all’incasso rapidamente. Mattarella, oramai, non ha più alcun motivo di gratitudine verso i 5 stelle e il suo obiettivo è quello di far governare il centrosinistra per i prossimi dieci anni“.
Nella nuova normalità, le idee sono accantonate, i principi annullati, quindi i conti non si fanno sull’effettiva capacità del politico di amministrare la cosa pubblica con rettitudine e giustizia sociale, ma secondo i due criteri del PNRR nel caos e dello Spread in salita. Bisignani prevede, a causa di questi due fattori, elezioni anticipate a settembre “e con l’attuale legge elettorale, dato che non si metteranno mai d’accordo per riformarla”. Ciò significa adeguare con qualche criterio da boiardo di Stato gli attuali collegi, scombussolati dalla riduzione dei parlamentari e andare ad elezioni prima della scadenza naturale, con una legge elettorale papocchio che garantirà solo le segreterie della partitocrazia, che potrà far eleggere i suoi galoppini nei listini bloccati.
Come era previsto e prevedibile, il destino di Mario Draghi sarebbe “un prestigioso incarico internazionale: Commissione europea o Banca Mondiale“. Pare che SuperMario ci stia portando gradualmente al superamento delle restrizioni, dalla mascherina alla conclusione dello stato di emergenza al 31 Marzo 2022, come molti osservatori avevano previsto, già un anno fa. Questo non gli consentirà più di comandare, ma di dover accontentarsi a governare, ossia cercare la sintesi per accontentare i desiderata dei partiti. “Mission impossible” anche per lui, soprattutto con la campagna elettorale alle porte e totalmente contraria all’inclinazione dell’uomo, abituato alla BCE a fare il monarca assoluto in strutture che funzionavano e, soprattutto, che eseguivano ciò che lui voleva. “La lite tra i vari partiti sullo scostamento di bilancio” potrebbe essere la scusa per mandare tutti a quel paese e lasciarli a begare su questioni nelle quali una personalità come quella del Presidente del Consiglio manco vuole metter becco.
Dunque, chi ha vinto con la rielezione di Mattarella? Luigi Bisignani dice “Ugo Zampetti, Segretario Generale del Colle. E’ un gigante assoluto, il vero vincitore e soprattutto il vero Presidente ombra. E’ l’uomo più potente d’Italia. Ora vedremo come difenderà i suoi ministri, primo fra tutti Enrico Giovannini, che è anche il più criticato. I veri vincitori della partita del Quirinale sono stati Dario Franceschini, la sinistra DC e proprio Zampetti“. Ancora, in questo particolare momento storico, il referente della plutocrazia è la sinistra DC, riciclata nel Pd. Sarebbe ora che nei partiti suonasse la sveglia, perché se l’apparato che, almeno dal dopoguerra, si impone è sempre quello, i casi sono due: o i partiti hanno sempre sbagliato i bersagli per impreparazione, dilettantismo assenza di una minima visione politica, oppure, in fin dei conti, sono tutti funzionali a tale condizione. Poi, però, non si lamentino, se la gente comune, oramai completamente sfiduciata e disgustata, alla canna del gas, anche per l’aumento spropositato delle spese per il riscaldamento, concede il 60% delle preferenze al partito dell’astensionismo.
Ora revochiamo l’onorificenza al macellaio Tito
In un mondo in cui a sinistra si fa la classifica politica dei morti di serie A e morti di serie B, sarebbe ora di togliere onorificenze ai macellai (n.d.r.)
Il 10 febbraio ricordiamo la tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo, ma non abbiamo mai cancellato la più alta onorificenza italiana concessa a Josip Broz Tito
di Fausto Biloslavo
Il 10 febbraio ricordiamo la tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo, ma non abbiamo mai cancellato la più alta onorificenza italiana concessa a Josip Broz Tito, il capo degli aguzzini che massacrarono migliaia di connazionali costringendo alla fuga 350mila persone dall’Istria, Fiume e Dalmazia.
Il Giorno del Ricordo deve essere simbolo di pacificazione senza nascondere le colpe precedenti del regime fascista, ma è giunto il momento di cancellare la vergognosa medaglia. L’onorificenza campeggia sempre sul sito del Quirinale ricordando che il 2 ottobre 1969 il presidente jugoslavo, che aveva le mani sporche del sangue degli infoibati, veniva decorato come «Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica italiana» con l’aggiunta del Gran Cordone, il più alto riconoscimento del nostro Paese. Il capo dello Stato di allora, Giuseppe Saragat, aveva consegnato a Belgrado, fra sorrisi, brindisi e abbracci, l’onorificenza in una custodia verde a un compiaciuto Tito. E mai nella prima visita in Jugoslavia dopo la guerra osò accennare anche lontanamente alle foibe e all’esodo preferendo alzare i calici «alle fortune dei popoli jugoslavi e all’amicizia fra i nostri Paesi». Tremenda realpolitik, ricambiata dalla visita di Tito a Roma un anno dopo, accolto come una star del socialismo reale distanziato da Mosca.
Dopo la storica immagine di Francesco Cossiga inginocchiato davanti alla foiba di Basovizza, gli omaggi dei capi di stato che sono seguiti al monumento nazionale sul Carso triestino e la mano nella mano di Sergio Mattarella con lo sloveno Borut Pahor dello scorso luglio è anacronistico, paradossale e oltraggioso non cancellare l’onorificenza a Tito. Ancor più a diciott’anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo con il voto quasi unanime del Parlamento. Un insulto alle vittime delle foibe e discendenti, che in molti casi non hanno neanche una tomba dove deporre un fiore e agli esuli e loro figli. Un obiettivo che, almeno in teoria, dovrebbe essere condiviso in maniera bipartisan dalla politica, ma che viene sempre rispedito al mittente grazie a un cavillo legislativo. Si può togliere un’onorificenza per «indegnità» solo se il personaggio insignito è ancora in vita. Nel 2012 l’Italia lo ha fatto, giusto o sbagliato che sia, con il presidente Bashar al Assad, accusato di massacrare il suo popolo nella guerra civile in Siria. Per Tito, che sarà pur stato un grande leader della Jugoslavia, ma ha lanciato la pulizia etnica e politica contro gli italiani e una parte del suo popolo «non è ipotizzabile alcun procedimento essendo il medesimo deceduto» scriveva nel 2013 il prefetto di Belluno, a nome del governo. In Parlamento langue da tempo una proposta di legge di un paio di righe per cambiare la (folle) norma, che esalta Tito.
Se vogliamo onorare veramente i martiri delle foibe girando una volta per tutte questa triste pagina volutamente strappata della storia e guardare avanti, senza strumentalizzazioni, togliamo la medaglia della vergogna al boia degli italiani.
Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/politica/ora-revochiamo-lonorificenza-macellaio-tito-2009486.html
Mattarella, il bis degli incapaci
PARTITA DEL QUIRINALE ANCORA IN STALLO. LETTA PUNTA SU DRAGHI E MATTARELLA BIS. MA È UN ERRORE
di Giuseppe De Lorenzo
Gli scatoloni così come li hai riempiti, facilmente puoi svuotarli per far tornare appunti e ammennicoli al loro posto. Giovanni Grasso, scaltro portavoce di Sergio Mattarella, lo sa benissimo. E il presidente della Repubblica anche. Se ne è andato a Palermo per qualche giorno, all’uscita dalla messa alcuni cittadini gli hanno chiesto di restare al Colle, un po’ come accadde alla Scala. E per quanto il Capo dello Stato abbia ripetuto urbi et orbi che non intende replicare il settennato, la possibilità è meno peregrina di quanto ci si possa attendere. Non tanto per volontà di Mattarella, cui ovviamente altri sette anni di sue foto in tutti i tribunali non farebbero schifo. Ma soprattutto per l’incapacità manifesta della classe politica di produrre un’alternativa.
Per intenderci: secondo la Costituzione può essere eletto “ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici”. Ci saranno più di 20 milioni di italiani che rispondono a queste caratteristiche. Certo: nessuno s’immagina un epilogo stile “Benvenuto Presidente” di Claudio Bisio, con un ignaro Giuseppe Garibaldi eletto per errore e senza esperienze politiche pregresse. Ma certo l’elenco di uomini delle istituzioni è ben fornito di ultra 50enni dalle indubbie capacità etiche e morali. Possibile che i partiti debbano anche solo pensare all’ipotesi di rimettere Mattarella sul Colle più alto di Roma?
La riconferma di Sergio sarebbe la pietra tombale sulla credibilità della politica. E non perché Mattarella non sia stato un discreto presidente, per quanto interventista e tutt’altro che “super partes”. Ma perché dimostrerebbe l’incapacità dei leader di trovare un accordo e di partorire alcunché, proprio come avvenne con Giorgio Napolitano. Renderebbe plastica l’inettitudine del centrodestra di mettersi d’accordo su un nome condiviso, quando avrebbe l’opportunità più unica che rara nell’ultimo secolo di nominare (finalmente) un arbitro non ostile. Ma sarebbe anche una debacle per la sinistra, tutta spocchia e veti, che da settimane si occupa solo di boicottare gli avversari convinta di avere il diritto divino di dare le carte, ma che si ritrova a lunedì 24 gennaio altrettanto priva di nomi realmente presentabili.
Certo resta in piedi l’opzione Draghi, il quale però nasconde dei rischi per la tenuta del governo. Pierferdinando Casini qualche chance le ha. Casellati, Pera e Moratti per ora si scontrano contro l’incomprensibile veto del Pd. E poi? Nessun altro? Il fatto che Letta ritenga “il massimo” e “la soluzione perfetta” la rielezione di Mattarella dà il senso del crinale da cui la politica italiana sta precipitando. Incapace di accordarsi su un nome “nuovo”, preferendo l’usato sicuro.
Giuseppe De Lorenzo, 24 gennaio 2022
Fonte: https://www.nicolaporro.it/mattarella-il-bis-degli-incapaci/
Mattarella ribadisce: niente bis. E se proprio Draghi gli chiedesse di restare?
di Adolfo Spezzaferro
Roma, 1 gen – Mattarella nel discorso di fine anno ribadisce che non vuole fare il bis, come un Napolitano qualsiasi, ma attenersi alle regole. “Ho sempre vissuto questo tradizionale appuntamento di fine anno con molto coinvolgimento e anche con un po’ di emozione. Oggi questi sentimenti sono accresciuti dal fatto che, tra pochi giorni, come dispone la Costituzione, si concluderà il mio ruolo di Presidente“. E’ l’esordio del discorso del capo dello Stato, in piedi, con le bandiere sullo sfondo, in una scenografia da congedo imminente.
Mattarella ribadisce: niente bis. E attacca un’ultima volta i non vaccinati
Nel suo discorso (qui il testo integrale), breve e programmatico per chi verrà dopo di lui, il presidente della Repubblica si è dilungato sulla pandemia e i vaccini salvifici, attaccando un’ultima volta i cosiddetti no vax. “Sprecare i vaccini è un’offesa a chi non li ha avuti“, è il monito del Presidente. “Anche nei momenti più bui, non mi sono mai sentito solo e ho cercato di trasmettere un sentimento di fiducia e di gratitudine a chi era in prima linea. Ai sindaci e alle loro comunità. Ai presidenti di Regione, a quanti hanno incessantemente lavorato nei territori, accanto alle persone”, dice poi sulla gestione della pandemia.
Ecco l’identikit del suo successore
Dopodiché traccia le linee programmatiche del dopo Mattarella, in un certo senso. “Il volto reale di una Repubblica unita e solidale. È il patriottismo concretamente espresso nella vita della Repubblica. La Costituzione affida al Capo dello Stato il compito di rappresentare l’unità nazionale. Questo compito – che ho cercato di assolvere con impegno – è stato facilitato dalla coscienza del legame, essenziale in democrazia, che esiste tra istituzioni e società; e che la nostra Costituzione disegna in modo così puntuale. Questo legame va continuamente rinsaldato dall’azione responsabile, dalla lealtà di chi si trova a svolgere pro-tempore un incarico pubblico, a tutti i livelli. Ma non potrebbe resistere senza il sostegno proveniente dai cittadini”, chiarisce Mattarella.
Il lascito dell’ex diccì a chi verrà dopo di lui
Ancora, per l’ex diccì, “unità istituzionale e unità morale sono le due espressioni di quel che ci tiene insieme. Di ciò su cui si fonda la Repubblica. Credo che ciascun Presidente della Repubblica, all’atto della sua elezione, avverta due esigenze di fondo: spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale, del bene comune come bene di tutti e di ciascuno. E poi salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che – esercitandoli pienamente fino all’ultimo giorno del suo mandato – deve trasmettere integri al suo successore“. E’ questo il lascito a chi verrà dopo di lui, insomma.
Se Mattarella va via il rischio che crolli tutto è concreto
All’indomani del suo discorso, gli scenaristi ribadiscono che nelle parole del Presidente è ribadito forte e chiaro che non è disponibile a un irrituale bis, che vuole concludere il suo settennato. Lasciando nei guai Draghi, perché di questo stiamo parlando. Senza Mattarella al Colle viene meno quel dream ticket – chiamiamolo così – che ha gestito la vaccinazione di massa e garantito l’unità nazionale con una maggioranza ampissima. Ma anche tenuta insieme dell’emergenza e che senza i presupposti e i paletti giusti cadrebbe in un batter di ciglia. Ma al di là di Letta che siccome non dà le carte per la battaglia del Quirinale minaccia la crisi di governo, il rischio che crolli tutto è concreto.
I paletti di Draghi nel caso andasse lui al Colle
Draghi va tenuto a Palazzo Chigi, dicono i partiti della maggioranza (e The Economist). Il premier dal canto suo, si è detto disponibile a tutto, come “nonno al servizio delle istituzioni”. Ma ha messo dei paletti: la maggioranza deve restare ampissima e il governo non deve cadere, chiunque sarà il premier. In sostanza, Draghi dice ai partiti: se vado al Colle piazzo un premier di mia strettissima fiducia e voi continuate a fare quello che dico io. Il problema è che quando i partiti potranno eleggere il nuovo capo dello Stato, potranno farlo finalmente in autonomia. Al di là del monito di Draghi di non eleggere un Presidente di parte. Nel senso insomma che seppure l’attuale premier avesse un disegno per andare al Colle e mettere – tanto per fare un esempio – l’attuale titolare del Mef a Palazzo Chigi – al momento del voto in Aula potrà succedere di tutto.
Ma i partiti in Aula votano chi vogliono
Renzi è stato il primo a ricordare che lui fece eleggere Mattarella con una maggioranza diversa dalla maggioranza di governo. E che si può fare. In ballo c’è la candidatura di Berlusconi e il fatto che i centristi, Italia Viva compresa, potrebbero votarlo. Stavolta il pallino infatti è in mano al centrodestra. Per non parlare dei cosiddetti franchi tiratori. Insomma, dalla quarta votazione in poi, quando basta la maggioranza assoluta (la metà più uno dei votanti), può accadere di tutto.
E se Draghi provasse a convincere Mattarella a restare?
Ecco perché non possiamo escludere che Draghi in persona provi a convincere Mattarella a restare, per il bene supremo della nazione. Così l’ex numero uno della Bce resterebbe dove sta, a gestire i soldi del Pnrr, come chiedono Ue, Usa, Nato ecc. ecc. E il Presidente continuerebbe a fare il garante di tutti e della Costituzione. Squadra che vince non si cambia, no? E chi a quel punto proverebbe a far cadere il governo Draghi, accollandosi la responsabilità di gettare l’Italia nel caos in un momento così delicato?
La democrazia muore senza oppure
di Marcello Veneziani
Fonte: Marcello Veneziani
E dopo Draghi? Un altro Draghi. E dopo Mattarella? Un altro Mattarella. E dopo il Vaccino? Un altro vaccino. E dopo l’Emergenza? Un’altra emergenza. Si procede replicando, sempre lo stesso o un suo facsimile. Non c’è soluzione migliore di quella che è in corso o in scadenza. Non muta la risposta se chiedi dell’Europa, del Mercato, della storia, della scienza, della sanità, dei diritti e di ogni altro ambito. Non sto mettendo in discussione uomini, vaccini, leggi e istituzioni; magari si dovrebbe, ma non è questa l’intenzione, almeno in questo caso. Sto ponendo una questione di fondo, un criterio e un dubbio di principio, che però ha implicazioni pratiche nella realtà, molto più decisive di quanto si possa immaginare. La cosa più preoccupante non riguarda singoli presidenti, ritenuti insostituibili, o specifici dispositivi sanitari e securitari ma è la convergenza di piani, settori, mondi diversi. Ogni ambito non prevede altro che replicare l’esistente, senza possibilità di deviazione.
Denuncio pubblicamente la scomparsa dell’Oppure. Chi è, cos’è l’Oppure? Non è una semplice congiunzione o disgiunzione, stiamo discutendo di una cosa assai più importante. Una democrazia senza oppure non è democrazia, un pensiero senza oppure non è un pensiero, una libertà senza oppure non è libertà. Ci stiamo giocando tutto questo con la cancellazione dell’oppure. Dove manca l’oppure manca la democrazia, il pensiero, la libertà.
L’intelligenza si esercita sugli oppure: l’automa, la macchina, l’imbecille, il gregge non conoscono l’oppure, procedono lungo il percorso prefissato, seguono l’input ricevuto o l’impulso che è stato loro impresso. L’intelligenza, invece, è la capacità di compiere altre scelte, di stabilire rapporti tra realtà diverse e studiare e provare alternative. L’intelligenza è collegare il possibile al reale, è la capacità di capire che le possibilità eccedono sui fatti, si tratta di selezionarle e metterle in campo. Si possono fare percorsi alternativi, e per congiungere due punti non c’è solo la linea retta: se ragioniamo in termini puramente geometrici, la linea retta è la più diretta a congiungere i due punti; ma la vita, il tempo, l’umanità, la storia e la natura non camminano nello spazio puro e vuoto, conoscono altre leggi che riguardano l’intensità, la durata, la qualità, l’efficacia, la curiosità, l’emozione, la relazione, la logica, il ricordo, l’aspettativa, la fantasia e potrei ancora continuare. O su altri piani ridurre la direzione a una linea fissa è perdere la dimensione sferica e circolare, la curvatura e la poligonia del mondo, con le sue tante facce. Il mondo ha bisogno degli oppure.
La vita è complessa, come la realtà, e richiede l’esercizio dell’intelligenza. La mancanza degli oppure è la riduzione della complessità a un segnale stradale che indica il senso unico; è la mortificazione delle differenze, delle varietà.
Stiamo scivolando senza accorgerci nel regno del conforme e dell’uniforme che sopprime l’oppure; e non è solo la soppressione dell’opposizione, del diverso parere, dell’alternativa, dell’altro lato delle cose ma anche della ricerca, della possibilità di vedere e agire altrimenti. Senza questo è la fine della libertà, della democrazia, del pensiero e dell’intelligenza.
Stiamo vivendo questa fase, anzi abbiamo intrapreso questa china, e la cosa peggiore è che lo stiamo vivendo con disinvolta routine, senza porci nemmeno il problema, accettando tutto con automatismo, che è il peggiore dei fatalismi perché estirpa alla radice anche solo l’ipotesi di vedere le cose in altro modo.
Qualcuno potrà obbiettare: ma con chi ce l’hai di preciso, chi è che impone questo modo di vedere? Vedi fantasmi, sei complottista, sei no pax, contro la pace. Ma non c’è bisogno di correre dietro a chi sa quale congettura, è l’agenda generale dell’establishment che viene dettata ogni giorno in tutte le sedi, alla luce del sole e dei media; è l’agenda dei poteri dominanti che hanno il monopolio, o se preferite, l’egemonia, che fabbrica e controlla l’Opinione Pubblica. Sui social, magari leggi e ascolti voci diverse e dissonanti, in politica assai meno però c’è ancora qualche barlume di differenza: ma a livello di governance, di istituzioni, di mass media, di informazione pubblica e in gran parte privata, di apparati e di controllori, e perfino di influencer, artisti e saltimbanchi, quello è lo schema fisso, e rigido. La scelta migliore, il presidente migliore, è quella, quello che c’è già, in carica, in vigore.
Sul piano sanitario, ad esempio, l’adozione di protocolli standard segna la fine della medicina, che è una corda tesa tra arte e scienza per curare ad personam e non per generi e stoccaggi. Ora non si cura più la persona e il suo caso specifico ma si stabilisce il protocollo a cui attenersi in generale. La fine degli oppure è la fine della medicina, della sua efficacia e della sua umanità.
Potremmo notarlo così, en passant, come una specie di curiosità, senza darci troppo peso. E invece è una cosa terribile. Non sarà la prima volta che succede nella storia, ma certo è una brutta piega per una democrazia e per un mondo che si definisce libero, plurale ed evoluto. Il conformismo ha sempre accompagnato il lungo corso delle democrazie, ma una volta c’erano almeno divergenze ideologiche e politiche su scelte e priorità o perlomeno erano enunciate in modo diverso. Ora no. Come il mercato globale tende irresistibilmente verso i monopoli, così le opzioni si stanno paurosamente restringendo a una, quella ufficiale, canonica, vigente; sennò è il disastro. Volete continuare in questo modo? O quantomeno volete acconsentire, tacere o fingere contentezza per questo mondo monoseriale? E se ricominciassimo dagli oppure?
Trattato del Quirinale: i punti salienti del testo
di Eugenio Palazzini
Roma, 26 nov – “Italia e Francia insieme per un futuro comune”, per una “cooperazione bilaterale rafforzata” e per “un’Europa più forte”. Slogan conditi da buoni auspici, preambolo festoso per un accordo siglato al Colle. Il Trattato del Quirinale è realtà, firmato oggi dal primo ministro italiano Mario Draghi e dal presidente francese Emmanuel Macron, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Dall’asse franco-tedesco a quella italo-francese
Un patto tra due nazioni dal sapore antico, un tuffo nel primo Novecento quando l’Europa unita era una chimera e il vecchio continente non era stato ancora sconquassato da due enormi conflitti. Un trattato che fuor di allitterazione è stato preceduto da una lunga trattativa, iniziata nel 2018 su spinta del governo francese e dell’allora premier italiano Paolo Gentiloni. Un accordo bilaterale tra due Paesi membri dell’Unione europea e che per questo pone – di nuovo – seri dubbi sulla solidità dell’Ue stessa. Di nuovo perché già nel 2019 Macron ad Aquisgrana ne siglò un altro di trattato bilaterale, con la Germania di Angela Merkel.
In quel caso sulla carta fu un’estensione del precedente accordo – del 1963 – tra Charles de Gaulle e Konrad Adenauer, con la firma simbolica avvenuta lo stesso giorno: il 22 gennaio. Fu de facto molto di più e fece tremare gli alti papaveri di Bruxelles: le locomotive d’Europa si muovevano autonomamente, infischiandosene dell’Unione continentale. Allora si parlava di asse franco-tedesco, oggi si parla di asse italo-francese e attenzione, invertendo l’ordine dei firmatari il risultato cambia eccome. Il rischio di trasformarci in un protettorato economico di Parigi è stato di fatto ben illustrato su questo giornale da un acuto pezzo di Filippo Burla, a cui rimandiamo in questa sede: Trattato del Quirinale: così diventeremo (per iscritto) una colonia francese.
Buon vecchia pace di Vestfalia
Ora gli storici più attenti potranno evocare facilmente la pace di Vestfalia, correva l’anno 1648 e lo stato moderno veniva consacrato come attore unico della politica. Un paragone senz’altro azzardato se consideriamo oggi la presenza determinante – a tratti dominante – degli agenti globali non governativi, sovranazionali e in quanto tali svincolati da un reale controllo statale. Eppure l’Ue non può che guardare con sospetto alle mosse di due Stati membri che bypassano in un certo qual modo la linea comunitaria, tracciandone un’altra parallela. Ma cosa sappiamo davvero di questo Trattato del Quirinale, cosa prevede e che ruolo potrà giocare l’Italia?
Cosa prevede il Trattato del Quirinale: il testo
Oggi è finalmente spuntato il testo dell’accordo, composto da 11 capitoli su 11 specifici temi: Esteri, Difesa, Europa, Migrazioni, Giustizia, Sviluppo economico, Sostenibilità e transizione ecologica, Spazio, Istruzione formazione e cultura, Gioventù, Cooperazione transfrontaliera e pubblica amministrazione. Undici punti con un programma di circa trenta pagine in cui si prova a delineare il modo in cui Francia e Italia dovranno centrare gli obiettivi elencati. Punto per punto, vediamo le parti che a nostro avviso sono maggiormente rilevanti.
Politica estera e difesa
Articolo 1, comma 3: “Riconoscendo che il Mediterraneo è il loro ambiente comune, le Parti sviluppano sinergie e rafforzano il coordinamento su tutte le questioni che influiscono sulla sicurezza, sullo sviluppo socio-economico, sull’integrazione, sulla pace e sulla tutela dei diritti umani nella regione, ivi incluso il contrasto dello sfruttamento della migrazione irregolare. Esse promuovono un utilizzo giusto e sostenibile delle risorse energetiche. Esse s’impegnano altresì a favorire un approccio comune europeo nelle politiche con il Vicinato Meridionale e Orientale”
Sicurezza e difesa
Articolo 2, comma 1: “Nel quadro degli sforzi comuni volti al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, e in coerenza con gli obiettivi delle organizzazioni internazionali cui esse partecipano e con l’Iniziativa Europea d’Intervento, le Parti s’impegnano a promuovere le cooperazioni e gli scambi sia tra le proprie forze armate, sia sui materiali di difesa e sulle attrezzature, e a sviluppare sinergie ambiziose sul piano delle capacità e su quello operativo ovunque i loro interessi strategici s’incontrino. Così facendo, esse contribuiscono a salvaguardare la sicurezza comune europea e rafforzare le capacità dell’Europa della Difesa, operando in tal modo anche per il consolidamento del pilastro europeo della NATO. Sulla base dell’articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord e dell’articolo 42, comma 7, del Trattato sull’Unione Europea, esse si forniscono assistenza in caso di aggressione armata. Le Parti contribuiscono alle missioni internazionali di gestione delle crisi coordinando i loro sforzi”.
Affari europei e politiche migratorie
Articolo 3 comma 4: “Le Parti si consultano regolarmente e a ogni livello in vista del raggiungimento di posizioni comuni sulle politiche e sulle questioni d’interesse comune prima dei principali appuntamenti europei”.
Politiche migratorie, giustizia e affari interni
Articolo 4, comma 10: “Le parti programmano incontri, a cadenza regolare, tra le rispettive forze dell’ordine al fine di analizzare e risolvere le questioni di interesse comune, nonché individuare e implementare buone prassi nell’applicazione degli strumenti di cooperazione di polizia. Le Parti s’impegnano altresì a favorire lo scambio di membri delle forze dell’ordine e a sostenere l’attuazione di attività di formazione comune e lo scambio di conoscenze e competenze in ambito securitario, promuovendo e organizzando corsi comuni di formazione o brevi programmi di scambio professionale presso le rispettive amministrazioni”.
Cooperazione economia, industriale e digitale
Articolo 5, comma 3: “Le Parti riconoscono l’importanza della loro cooperazione al fine di rafforzare la sovranità e la transizione digitale europea. Esse s’impegnano ad approfondire la loro cooperazione in settori strategici per il raggiungimento di tale obiettivo, quali le nuove tecnologie, la cyber-sicurezza, il cloud, l’intelligenza artificiale, la condivisione dei dati, la connettività, il 5G-6G, la digitalizzazione dei pagamenti e la quantistica. Esse si impegnano a lavorare per una migliore regolamentazione a livello europeo e per una governance internazionale del settore digitale e del cyber-spazio”.
Articolo 5, comma 5: “E’ istituito un forum di consultazione fra i Ministeri competenti per l’economia, le finanze e lo sviluppo economico. Esso si riunisce con cadenza annuale a livello dei Ministri competenti al fine di assicurare un dialogo permanente nell’ambito di due distinti segmenti: il primo sulle politiche macro-economiche; e il secondo sulle politiche industriali, sull’avvicinamento dei tessuti economici dei due Paesi, sul mercato interno europeo e sulle cooperazioni industriali che coinvolgono imprese dei due Paesi
Sviluppo sociale, sostenibile e inclusivo
Articolo 6, comma 5: “Nel riconoscere il ruolo significativo della mobilità e delle infrastrutture nel perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), del Green Deal europeo e del contrasto dei cambiamenti climatici, le Parti cooperano a livello bilaterale e in ambito Unione Europea per ridurre le emissioni prodotte dai trasporti e per sviluppare modelli di mobilità e d’infrastrutture puliti e sostenibili a sostegno di una transizione ambiziosa, solidale e giusta. A tal fine, un Dialogo strategico sui trasporti a livello di ministri competenti per le infrastrutture e della mobilità sostenibili si tiene alternativamente in Italia e in Francia”.
Spazio
Articolo 7, comma 3: “Attraverso la loro cooperazione, le Parti mirano a rafforzare la strategia spaziale europea e a consolidare la competitività e l’integrazione ’dell’industria spaziale dei due Paesi. Nel settore dell’accesso allo spazio, esse sostengono il principio di una preferenza europea attraverso lo sviluppo, l’evoluzione e l’utilizzo coordinato, equilibrato e sostenibile dei lanciatori istituzionali Ariane e Vega. Le Parti riaffermano il loro sostegno alla base europea di lancio di Kourou, rafforzando la sua competitività e la sua apertura. Nel settore dei sistemi orbitali, esse intendono incoraggiare e sviluppare la cooperazione industriale nel settore dell’esplorazione, dell’osservazione della terra e delle telecomunicazioni, della navigazione e dei relativi segmenti terrestri.
Istruzione e formazione, ricerca e innovazione
Articolo 8, comma 3: “Le Parti si adoperano per una cooperazione sempre più stretta tra i loro rispettivi sistemi di istruzione, con l’obiettivo in particolare di contribuire alla costruzione dello Spazio europeo dell’istruzione. Esse incoraggiano la mobilità giovanile, in particolare per l’istruzione e la formazione professionale, in un’ottica di apprendimento permanente, con l’obiettivo di istituire dei centri di eccellenza professionale italo-francesi ed europei e di favorire il riconoscimento di tali percorsi. Esse sviluppano i percorsi dell’Esame di Stato italiano e del Baccalauréat francese (“Esabac”) e incoraggiano i partenariati sistematici tra gli istituti italiani e francesi che li offrono, nonché la mobilità degli studenti e dei loro docenti. Inoltre, esse s’impegnano a cooperare per un’educazione allo sviluppo sostenibile e alla cittadinanza globale, attraverso programmi di collaborazione dedicati”.
Cultura, giovani e società civile
Articolo 9, comma 1: “Le parti istituiscono un programma di volontariato italo-francese intitolato ‘servizio civile italo-francese’. Esse esaminano la possibilità di collegare questo programma al Corpo europeo di solidarietà”.
Cooperazione transfrontaliera
Articolo 10, comma 5: “Le parti favoriscono la formazione dei parlanti bilingue in italiano e in francese nelle regioni frontaliere, valorizzando in tal modo l’uso delle due lingue nella vita quotidiana”.
Articolo 10, comma 6: “Le parti studiano congiuntamente le evoluzioni dello spazio frontaliero, mettendo in rete i loro organismi di osservazione territoriale“.
Organizzazione
Articolo 11, comma 1: “Le Parti organizzano con cadenza annuale un Vertice intergovernativo. In tale occasione, esse fanno un punto preciso di situazione sull’attuazione del presente Trattato ed esaminano ogni questione prioritaria d’interesse reciproco”.
Disposizioni finali
Occhio infine al comma 3 dell’articolo 12: “Il Trattato ha durata indeterminata, fatta salva la facoltà di ciascuna Parte di denunciarlo con un preavviso di almeno dodici mesi per via diplomatica. In questo caso, il Trattato cessa di essere in vigore al compimento di sei mesi dopo la data di ricezione della denuncia”.
Eugenio Palazzini
Fonte: www.ilprimatonazionale.it