La battaglia di Vienna, che ci salvò dall’invasione islamica

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Historia magistra vitae. Purtroppo l’attuale Europa dimentica la propria identità. Noi intendiamo ricordarla, perché non si compiano gli errori del passato (n.d.r.)

di Matteo Castagna

UNA GUERRA SCONOSCIUTA AI PIÙ, PROBABILMENTE PERCHÉ POCO STUDIATA IN QUANTO POLITICAMENTE SCORRETTISSIMA

Una guerra sconosciuta ai più, probabilmente perché poco studiata in quanto politicamente scorrettissima, ha fatto la storia dell’Europa: la battaglia di Vienna del 12 Settembre 1683. Di questa straordinaria e fondamentale vittoria, paladini della cristianità del XVII secolo: il cappuccino Carlo Domenico Cristofori, chiamato Marco D’Aviano e il Papa Innocenzo XI. la crociata fu preparata da un’ intensa opera di apostolato e predicazione in tutta l’Europa, effettuata instancabilmente dal frate, ed accompagnata da una serie di miracoli che accrescevano la credibilità e l’autorevolezza del religioso, in tutto il continente.

Innocenzo XI si fidò unicamente della Provvidenza divina: “In sola spe gratiae coelestis”. Si è occupato della riforma dei costumi, soprattutto in riguardo allo stato spirituale degli ecclesiastici. In particolare, si scagliò contro il lusso che regnava tra i vescovi e cardinali dell’epoca. Nella sua camera e nel suo studio si vide solo la figura di Cristo risorto. “Era tale la compassione che Innocenzo XI provava per i poveri, che si tenne la stessa veste per tutta la durata del pontificato: mai la volle cambiare, nemmeno quando divenne logora e quasi inutilizzabile […]”. Lo storico Ludwig von Pastor, nella sua “Storia dei Papi”, descrive così Benedetto Odescalchi: “Il significato storico-universale del suo pontificato, di gran lunga il più importante e glorioso nella seconda metà del secolo XVII…consiste nella sua politica, mantenuta ferma sino all’ultimo respiro, di unire le potenze cristiane contro l’attacco violento dell’islam”. Naturalmente l’impegno più importante per cui sarà ricordato per sempre è la liberazione di Vienna dall’assedio degli Ottomani nel 1683. Contemporaneamente, Padre Marco d’Aviano trascorreva un’esistenza austera e isolata, dormiva solo tre per notte su un letto di foglie secche, per il resto pregava e leggeva. Mangiava pochissimo, mai carne, uova e formaggio, la sua dieta era poco latte e poi frutta e verdura. Cercò sempre di rispettare scrupolosamente le regole dell’Ordine francescano. Sostanzialmente condusse una “vita intensa e spirito di preghiera; devozione e contemplazione; pratica radicale dell’altissima povertà interiore es esteriore […] grande ardore nella predicazione e apostolato ricondotto alla semplicità e umiltà evangeliche; carità concreta e prontezza nel servire ogni fratello bisognoso; spirito ecclesiale nella sottomissione e totale docilità al Pontefice romano e alla Chiesa gerarchica: queste erano le linee fondamentali della spiritualità ‘cappuccina’ che adottò il frate di Aviano”.

Il Seicento fu, per l’Europa cristiana, intriso di paura di essere invasi e conquistati dai turchi. Di fronte a questo vero e proprio incubo, c’era la divisione politica dell’Europa. In particolare, la Francia di Luigi XIV era in continuo dissidio sia con l’imperatore Leopoldo I, che con la Chiesa di Roma. Capita che alcuni governanti diventano protestanti per accaparrarsi i beni della Chiesa. Il re di Francia osteggiò apertamente gli Asburgo nella lotta contro gli ottomani.“Per tutto il Seicento, la discordia fra i principi all’interno degli stati cristiani fu grande e capillarmente diffusa. Essi si combatterono e si indebolirono a vicenda per egoistiche ragioni di predominio”. Invece padre Marco e Innocenzo XI, lavoravano per la liberazione della cristianità dal flagello turco, pertanto appoggiarono l’impero. Addirittura, il Papa affermò: “[…] saria andato volentieri alla testa dell’esercito e salito sulle navi da guerra per combattere contro il comune esercito”. Il pensiero dominante del Pontefice era quello di organizzare una Lega difensiva contro il pericolo turco. Oltre ai due beati, altre grandi personalità li affiancarono o con essi si scontrarono in quel frangente per il futuro dell’intero continente europeo.

Solo qualche nome, segnalo oltre a Luigi IV e Leopoldo I d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero. Il compagno di viaggio di Marco D’Aviano, padre Cosma da Castelfranco. Giovanni III Sobieski re di Polonia e granduca di Lituania, grande ammiratore di padre Marco. Infine, Eugenio di Savoia-Garignano, comandante supremo dell’esercito imperiale. E poi Kara Mustafa Pasha di Merzifon, comandante in capo dell’armata turca.

Le truppe cristiane erano composte da settantamila uomini, un numero assai inferiore rispetto ai centocinquantamila dell’armata turca del gran visir Kara Mustafa Pasha che intendeva conquistare prima Vienna e successivamente Roma per fare di San Pietro la scuderia per i suoi cavalli. A questo proposito scrive lo storico Arrigo Petacco in “L’ultima crociata”: “con i se e con i ma la storia non si fa, va comunque sottolineato che se a Vienna, quel 12 settembre 1683, un qualsiasi accidente avesse fermato la carica degli ‘ussari alati’ che si scatenarono contro i turchi come arcangeli vendicatori, oggi probabilmente le nostre donne porterebbero il velo”.

Il 12 settembre prima della battaglia, sulle alture del Kahlemberg, padre Marco celebra la Messa, servita da due chierichetti d’eccezione: il re di Polonia e il Duca di Lorena, distribuisce la comunione ai comandanti, benedice l’esercito cristiano con la sua croce di legno. Attorno alle 12 ebbe inizio la battaglia. Lo scontro viene descritto da padre Cosma, testimone diretto dell’evento. La battaglia ben presto costringe miracolosamente i turchi alla resa. I trionfi dell’esercito cristiano – scrive il “cardinale” Schonborn – a Vienna, e poi a Buda, allontanarono il serio rischio di un’islamizzazione dell’Europa”. L’esultanza in tutta l’Europa fu immensa, l’unico a non esultare fu il re di Francia.

La preoccupazione dei due grandi della Civitas Christiana, Innocenzo XI e padre Marco, “fu la difesa della cristianità, e del cattolicesimo in modo particolare, e non la supremazia sull’islam. Si trattò, dunque, di un’azione di tutela e non di una crociata…”. Ne è convinto anche Petacco, le crociate, furono invece una legittima risposta al jihad. Tra l’altro padre Marco dopo queste liberazioni cercò di convincere i regnanti di completare l’opera di liberazione dei territori europei ancora in mano agli ottomani, la salvezza dell’Europa era sempre in cima ai suoi pensieri.

Il cattolico tiepido o chi si finge cattolico è restio a riconoscere la verità storica, determinata sia dall’eccezionale spiritualità dei due sopraccitati protagonisti, che dalle loro indiscutibili capacità politiche, nell’arte della mediazione, della diplomazia, dell’intuizione, della capacità oratoria, basate su quel connubio inscindibile tra Fede e Ragione così caro a San Tommaso d’Aquino. oggi, se si parla di loro, lo si attraverso un’oleografia molto parziale per non urtare la sensibilità degli islamici. Fortunatamente, il beato Innocenzo XI e padre Marco d’Aviano non furono buonisti, altrimenti da almeno 500 anni saremmo tutti in ginocchio verso la Mecca.

Fonte: https://www.informazionecattolica.it/2023/09/12/quella-battaglia-che-ci-salvo-dallinvasione-islamica/

I BRICS vogliono un nuovo ordine multipolare

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L’EDITORIALE

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/08/28/i-brics-vogliono-un-nuovo-ordine-multipolare/

tradotto in spagnolo dall’O.d.G. dell’America Latina per la rivista “Voces del Periodista”: https://vocesdelperiodista.mx/voces-del-periodista/internacional/los-brics-quieren-un-nuevo-orden-mundial/

I BRICS DENUNCIANO LA POLITICA UNILATERALE ED OPPRESSIVA STATUNITENSE

Dal 22 al 24 Agosto 2023 si è tenuto, a Johannesburg, il XV vertice dei Paesi emergenti: i BRICS+, acronimo di Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica + una settantina di altri Paesi ospiti, tra cui tutti quelli africani. Assente Vladimir Putin, sul quale pende, da parte della Corte penale internazionale, un mandato di arresto internazionale per presunti crimini di guerra in Ucraina. La Russia è stata rappresentata dal suo fedelissimo Ministro degli Esteri Serghei Lavrov. Putin ha comunque rilasciato la dichiarazione ufficiale che avrebbe fatto in presenza, da remoto, prima del meeting.

I BRICS+ si sono ritrovati dopo 5 anni di stop, dovuto all’emergenza Covid. I media occidentali hanno snobbato o trattato con sufficienza questo evento, ritenendo che i BRICS dovrebbero sciogliersi perché alquanto divisi tra loro, senza, però, specificare quali sarebbero questi motivi di divisione. Anche il Presidente della Commissione Esteri alla Camera e del think thank Aspen Institute Italia On. Giulio Tremonti ha sostenuto che i BRICS non possono vincere la sfida con l’Occidente. L’ha motivata perché sono Paesi privi di libertà, Oltre alla presenza di una netta divergenza tra India e Cina, che potrebbe compromettere l’unità e la coesione del gruppo.

Diversi economisti occidentali tendono a scoraggiare l’assemblea dei BRICS+ perché il dominio del dollaro e il suo effetto distorsivo sui processi di sviluppo sono un dato di fatto con cui i paesi in via di sviluppo dovrebbero rassegnarsi a convivere. In poche parole, non gli può riuscire il paventato cambio di valuta per i commerci, che, effettivamente è loro espressa volontà, ma che in Sudafrica non si è concretizzato, per quanto discusso ampiamente, su larga scala. Il 90% del commercio globale continua ad essere condotto in dollari statunitensi, sebbene il progresso dei rapporti e delle alleanze tra Stati molto ricchi non faccia di questo un dogma perpetuo.

Come spesso ripete Putin, la teoria del multipolarismo si basa sul fatto che gli attori internazionali hanno influenza e potere in diverse materie e regioni del mondo, però nessuno di loro può imporre unilateralmente la propria volontà sugli altri. Su questo i BRICS+ sono tutti compatti, denunciando la politica unilaterale ed oppressiva statunitense. Ci sono tutti i motivi per pensare che il futuro veda il mondo riunito in un unico blocco, con gli Stati Uniti e l’UE nell’angolo. Putin, dalla guerra in Ucraina ha scatenato una reazione di avvicinamento globale di tutti i Paesi stanchi di subire l’unipolarismo americano. Obiettivo comune è e resta sfidare il radicato dominio geopolitico dell’Occidente. Lo zar, sfruttando politicamente la guerra in Ucraina, è riuscito a mettere assieme il mondo arabo con le civiltà orientali, con l’Africa e buona parte dell’America Latina.

Il cambio di paradigma finanziario, contrariamente a quanto si dice in Occidente, diverrebbe una ovvia conseguenza al fatto che i BRICS+ i nuovi 4 arrivi rappresentano l’85% della popolazione del pianeta, (3,7 milioni di abitanti) ed il 36% del Pil del pianeta, con tre Paesi che risultano, già oggi, tra le prime cinque economie globali, secondo i dati forniti dalla banca mondiale. Resta imprescindibile e da non sottovalutare, che la seconda economia mondiale dopo la Cina è rappresentata dagli Stati Uniti. La Russia è la quinta economia del mondo. L’Occidente dovrebbe lasciar da parte ogni spocchia e senso si supremazia economica e culturale, perché gli altri “mondi” si stanno organizzando in fretta, sono disponibili al dialogo ed alla collaborazione, ma l’atteggiamento deve cambiare se non si vuole il suicidio politico-finanziario, che sembrerebbe già pronto nell’agenda 2030 dei BRICS+.

Il summit ha ottenuto risultati importanti nel medio e lungo termine, che potrebbero favorire l’abbandono del dollaro: “Abbiamo raggiunto un accordo, per poter invitare Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, a diventare membri a pieno titolo dei BRICS..Il loro ingresso avverrà il primo gennaio 2024” – ha dichiarato il Presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa. Le riserve di petrolio e gas degli Stati Uniti, insieme all’influenza geopolitica, forniscono agli americani una certa indipendenza, ma l’Europa sembra debole e con una strategia inadeguata, perché semplicemente sottomessa ai diktat di USA e NATO. La UE non ha una strategia propria e non l’avrà perché i padroni non lasciano le colonie agire da sole. Nonostante si parli di allontanamento dall’influenza della Cina, la dipendenza dell’Europa dalla produzione e dai mercati asiatici cresce. Le strategie europee si basano sui minerali africani, sui metalli, sugli idrocarburi e sulle fonti di energia rinnovabile, tutti sempre più alla mercé di alleanze mutevoli, presto convergenti nei BRICS+ assieme ai giganti dell’energia della galassia islamica.

La convergenza di Arabia Saudita, Egitto, Algeria, Brasile e Russia conferisce ai BRICS+ il controllo di oltre il 60% delle riserve e della produzione energetica globale. I leader africani hanno sottolineato che sta aprendosi un’era completamente nuova per il mondo intero. Questo è l’inizio della formazione di un nuovo ordine mondiale, senza la pressione selvaggia dell’Occidente. Si parla di un nuovo NOM “alternativo” fatto dai BRICS+, ove indipendenza e cooperazione, rispetto delle tradizioni e valuta unica, sinergia energetica e collaborazione politica, interscambio delle materie prime sarebbero i principi fondamentali. Queste premesse appaiono l’opposto di quanto pianificato dagli “illuminati” anglo-americani, da Mackinder e Brzezinsky, fino a Bill Gates e ai Rothschild. Se andasse in porto un’alleanza simile composta da: BRICS + i 4 ingressi previsti tra quattro mesi e il graduale ingresso dei quaranta altri Paesi che hanno fatto richiesta, senza intoppi e svincolata dal dollaro, il deep state sarebbe ampiamente ridimensionato e la politica della UE subirebbe la più grande crisi della sua storia.

Il futuro dell’identità umana

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/08/14/il-futuro-dellidentita-umana/ https://www.2dipicche.news/il-futuro-dellidentita-umana/ e in spagnolo, tradotto dall’Ordine dei Giornalisti dell’America Latina: https://vocesdelperiodista.mx/voces-del-periodista/opinion/el-futuro-de-la-identidad-humana/

Il futuro dell’identità umana – San Tommaso d’Aquino affermava che i filosofi si valutano in rapporto alla verità o falsità delle loro argomentazioni; dal confronto tra le tesi della filosofia tomista e di quella rahneriana emerge con evidenza che mentre il tomismo è una filosofia realista, il cui oggetto di indagine è l’analisi della realtà come è in se stessa, quella di Rahner è una filosofia antirealista, di origine cartesiana, che ha posto al centro della riflessione l’io umano e il suo pensiero.

Nell’età moderna, la concezione realista di S. Tommaso appare essere talmente vera, da esser utile a chiunque ad osservare ciò che lo circonda, traendone un pensiero critico. In un certo senso siamo tutti filosofi, se ci atteniamo a questo principio. Il filosofo che si fa chiamare tale, nel III° millennio sembra, invece, solo un furbacchione, che cerca un modo “stimabile” per non lavorare.

La realtà odierna ci fa osservare che, mentre nel passato le strategie, le lobby di potere, gli interessi economici più importanti erano mantenuti in una certa riservatezza, oggi, nell’era digitale e dei social, tutto è di pubblico dominio.

Viviamo nell’era dell’Intelligenza Artificiale.

E così, in libreria troviamo liberamente un testo molto interessante che a “L’era dell’ Intelligenza Artificiale“, sottotitola “il futuro dell’identità umana”.

Anche la casa editrice è prestigiosa: Mondadori, 2023.

“Tre fra i pensatori più autorevoli e lucidi di oggi riflettono sull’intelligenza artificiale e su come stia trasformando il nostro modo di sperimentare la realtà, la politica e la società”.

I tre sono: Henry Kissinger, ex Segretario di Stato americano e consigliere geopolitico dei grandi della Terra; Eric Schmidt, ex amministratore delegato di Google e l’informatico e decano del MIT Daniel Huttenlocher. Essi ci spiegano cosa rappresenta l’IA: “un terreno di gioco fondamentale che determinerà gli assetti geopolitici futuri”.

Non certo una cosa da poco. Curioso che a spiegarci un qualcosa che stravolgerà le nostre vite siano tre distinti signori che immagino seduti in un caffé, a discutere sulle sorti dell’umanità. Per loro, l’Intelligenza Artificiale è un grande fattore di progresso, che viene assimilato a tutti gli altri mezzi tecnologici che nel corso dei secoli hanno caratterizzato la nostra storia.

Essa è un’impresa grandiosa con enormi potenziali vantaggi. “Noi la stiamo sviluppando, ma la useremo per rendere la nostra vita migliore o peggiore?

Reca con sé la promessa di medicine più efficaci, di un’assistenza sanitaria più efficiente e più equa, di pratiche ambientali più sostenibili e di altri progressi.

Allo stesso tempo, però, può distorcere o come minimo aggravare, la complessità del consumo dell’informazione e dell’identificazione della verità, spingendo alcune persone a lasciar atrofizzare la propria capacità di ragionamento e giudizio indipendente” (pag.196 ibidem).

Una “Commissione”

I tre pensatori sognano una commissione composta da figure di massimo livello del governo, dell’imprenditoria e del mondo accademico statunitensi, che abbia almeno due funzioni:

  1. Sul piano nazionale: massima attenzione alla competitività dell’ IA.
  2. Sul piano globale: studio delle implicazioni connesse all’intelligenza artificiale e promozione della consapevolezza verso questa nuova tecnologia.

“L’intelligenza umana e artificiale si stanno incontrando, proprio mentre vengono applicate a obiettivi di scala nazionale continentale e persino globale”.

Servirà, secondo i tre big della strategia mondiale, sviluppare un’etica che ci permetta di orientarci attraverso di essa, col contributo di scienziati, strateghi, statisti, filosofi, religiosi e amministratori delegati.

“È’ ormai giunto il momento di definire tanto la nostra collaborazione con l’IA quanto la realtà che verrà così a formarsi”.

Stiamo parlando quindi di una nuova etica, di cui ancora non conosciamo i contenuti che vada a interagire con l’Intelligenza Artificiale.

Si opera al contrario, dando per buona l’IA e solo dopo creare un’etica tramite una commissione di ignoti.

Solo per questo, potremmo dire che l’IA priva di regole definite è immorale e non andrebbe utilizzata, perché troppo pericolosa.

La teologia morale ci insegna che il problema fondamentale dell’etica filosofica è la ricerca della norma suprema dell’agire umano; e la sua soluzione dipende necessariamente dalle linee generali dei singoli sistemi filosofici.

Il danno del “liberalismo”

Molto difficile, se non impossibile, al mondo d’oggi, avere una “norma suprema dell’agire umano” perché secoli di liberalismo hanno imposto all’Occidente e, poi, al resto del mondo, il relativismo e il soggettivismo come paradigmi della giustizia sociale.

Sperando di essere smentito, credo si voglia sostituire l’uomo con le macchine in molti settori, creando disoccupazione e povertà.

L’unico criterio intrinseco a cui lo sviluppo tecnico-economico risponde è quello dell’efficienza, della massimizzazione dell’utile, sull’altare del quale ogni altro principio o valore deve venir sacrificato in quanto fonte di inerzia, perdite, in una parola: di inefficienza.

Perciò non può esistere alcuna etica in questo processo di sostituzione.

Il futuro pare, dunque, pressoché scritto: le élite sono pronte a sacrificare l’uomo sull’altare della tecnocrazia, mentre l’uomo viene distratto dai tantissimi mezzi di intrattenimento.

La consapevolezza di cui ragiona Kissinger è profondamente diversa da quella nostra. Quando l’umanità anestetizzata e distratta dal Sistema, si accorgerà della realtà, ovvero del predominio delle macchine, sarà troppo tardi, salvo che qualcosa o qualcuno intervengano per fermare l’abisso dell’autodistruzione.

La manipolazione del potere e gli antidoti

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QUINTA COLONNA

di Matteo Castagna

Gianluca Magi è uno storico delle idee e delle religioni ed un filosofo particolarmente prolifico di scritti e opere interessanti. E’ alla VI ristampa 2021 di Goebbels. 11 tattiche di manipolazione oscura per quelli di “Piano B Edizioni”.

“La propaganda è un’arte, non importa se questa racconti la verità” – Joseph Goebbels.

Il desiderio di dominio dell’uomo sull’uomo, le strategie di manipolazione, il controllo sociale e l’arte dell’inganno sono antiche quanto la storia dell’umanità. Per molti rappresentano l’arma più potente nel gioco del potere. L’essere umano contemporaneo è ridotto ad un soggetto passivo e il pensiero critico è sacrificato alla claustrofobia digitale.

Dalle 30.000 pagine che costituiscono i Diari (Tagebucher) di Joseph Goebbels, scritti dal 1923 al 1945, dalla sua vasta produzione pubblicistica, Gianluca Magi ha desunto 11 principi operativi di propaganda e manipolazione, assieme ad altri insigni collaboratori. L’attualità delle tecniche utilizzate dal Prof. Goebbels paiono molto simili a quelle del mainstream odierno e di molta controinformazione prezzolata, funzionale al Sistema di potere, perché controlla e mantiene nel recinto le masse, fingendo un’opposizione fittizia e, quindi, completamente inutile e priva di risultati.

Queste tattiche si basano sul presupposto dell’incapacità di giudizio delle masse. Se leggiamo il famosissimo testo di Gustave Le Bon Psicologia delle folle che ebbe gran successo tra il 1910 e il 1930, ci rendiamo conto che esse sono caratterizzate da: 1. Impulsività, mutevolezza, irritabilità. 2. Suggestionabilità e credulità tanto da poter osservare completa uguaglianza del dotto e dell’imbecille nella folla. 3.Esagerazione e semplicità dei sentimenti delle masse. Esse non conoscono né il dubbio, né l’incertezza e si pongono sempre agli estremi. 4. Intolleranza degli avversari e obbedienza assoluta a capi carismatici, mancanza di senso critico personale fino all’adulazione e all’idealizzazione di chi si identifica come leader.

Goebbels, così come tutti gli esperti di comunicazione, propaganda e manipolazione sono consapevoli delle dinamiche e delle caratteristiche indicate dallo studio del medico Gustave Le Bon e, pertanto, si possono scorgere in loro almeno una delle 11 caratteristiche che sono state individuate da Gianluca Magi:

  1. Semplificazione e nemico unico: adottare una sola idea, un unico simbolo. Scegliere un avversario e insistere sull’idea che sia lui la fonte di tutti i mali. nei mass media l’applicazione di questo principio consiste nel giocare la carta della confusione, amplificando ed enfatizzando una presunta dichiarazione o gesto, così da renderli “criminali” e creare nell’ascoltatore il convincimento che quello sia il vero male dei mali.
  2. Unanimità. Condurre la gente a credere che le opinioni espresse siano condivise da tutti. Creare l’illusione che siano opinioni approvate, universalmente diffuse e professate. In tal modo si crea una falsa impressione di umanità.
  3. Volgarizzazione. Tutta la propaganda deve essere popolare, semplice, chiara, stereotipata, fare appello ai sentimenti e alla fantasia, adattandosi al meno intelligente degli individui ai quali è diretta. Quanto più grande è la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale da realizzare. la capacità ricettiva delle masse è molto limitata e la loro comprensione media scarsa, così come la loro memoria.
  4. .Orchestrazione. La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e slogan e ripeterli instancabilmente, senza dubbi né incertezze. Uniformi nei principi e multiformi nelle sfumature: presentarli sotto diverse prospettive e forme, però convergendo sempre sullo stesso concetto. Una menzogna, tanto più è sfrontata e ripetuta, tanto più risulta convincente. La parola propaganda fu usata per la prima volta da papa Gregorio XV, allorché istituì nel 1622 la Sacra Congregazione De propaganda fide (“sulla fede da diffondere”) un’eccellente organizzazione che servì a contrastare la crescente minaccia protestante.
  5. Continuo rinnovamento. Occorre pubblicare costantemente informazioni e argomenti nuovi, anche non strettamente pertinenti, per denigrare l’avversario a un tale ritmo che, quando eventualmente risponderà, il pubblico sarà già interessato ad altre cose. Le risposte dell’avversario non devono mai avere la possibilità di fermare il livello crescente delle accuse. Questo metodo è utilizzato, fin dalla Riforma luterana, con i mezzi del progresso, contro la Chiesa Cattolica, accusata di ogni peggior crimine come l’Inquisizione, il processo a Galileo Galilei, le Crociate, la morale sessuale.L’addetto stampa di Goebbels, il dott. Wilfred Von Oven disse che “Propaganda significa combattere su tutti i campi di battaglia dello spirito, generare, moltiplicare, distruggere, sterminare, costruire, abbattere”. Se ci pensiamo è ciò che dal Concilio Vaticano II i “papi conciliari” ed i loro collaboratori stanno facendo nei confronti della Tradizione Cattolica e della liturgia.
  6. Contagio psichico. Riunire diversi avversari in una sola categoria o in un solo individuo. “L’uomo se non è percosso, non apprende” – Menandro – Epigrafe greca dei Diari di Goebbels 17/10/23 – 25/06/24 La propaganda è sempre un mezzo in vista di un fine. La propaganda che ottiene i risultati desiderati è buona. Così, la propaganda è il primo passo verso l’organizzazione.
  7. Trasposizione e contropropaganda. Scaricare costantemente sull’avversario i propri errori, difetti e responsabilità. Rispondere all’attacco con l’attacco. Surrogarsi all’avversario nelle sue vittorie. Se non è possibile negare le cattive notizie, se ne inventino di nuove per distrarre e incolpare qualcun altro. nel mondo moderno i media spesso fungono da “arma di distrazione di massa” da un vero problema verso uno più futile ma di interesse.
  8. Esagerazione calcolata e travisamento. Trasformare qualunque aneddoto, per piccolo che sia, in minaccia grave. Il continuo “allarme fascismo”, a seguito di futili episodi di cronaca da parte  di certi giornalisti e di alcuni media è giunto al grottesco ma su una fascia di popolazione che si vuole coccolare per mantenerne certo il voto, la tessera o l’acquisto del quotidiano, fa ancora presa. Nella cosiddetta falsa controinformazione, invece, prende piede un altro inganno: “stiamo assumendo al nostro servizio tutti gli esperti di profezie occulte – scriveva Joseph Goebbels nei suoi Diari – che riusciamo a trovare. Nostradamus dovrà rassegnarsi una volta di più ad essere citato”. E non solo lui. Pur di eccitare le passioni del volgo per crearsi una “pétite Eglise” o un piccolo orto ove raccogliere generosi oboli, o una visibilità personale a causa di frustrazioni, si scomodano i santi, i profeti e l’Apocalisse al fine di accalappiare creduloni e persone generalmente in disagio sociale o crisi religiose.
  9. Silenziamento. Passare sotto silenzio le cattive notizie e le domande sulle quali non ci sono argomenti e dissimulare con diversivi le notizie che potrebbero favorire l’avversario. Tipico delle sètte non solo religiose. “Non voltarti, continua a marciare”! – direbbe Goebbels, perché non deve giungere all’adepto alcun dubbio sulle persone o sui loro comportamenti poco ortodossi.
  10. Verosimiglianza. Costruire argomenti fittizi a partire da fonti diverse, attraverso i cosiddetti palloni sonda, o attraverso informazioni frammentarie, o calunnie e presentare questi argomenti come confermati da fonti solide, autorevoli e diversificate, se necessario, anche prezzolate. Il lettore contemporaneo faccia da sé il parallelismo più adeguato.
  11. Trasfusione. Diffusione di argomenti che possano mettere le radici in atteggiamenti emotivi e primitivi, tra cui pregiudizi, odi, amori.

E’ chiaro che per non cadere nelle trappole della propaganda e della manipolazione sono necessari degli anticorpi. Il primo è la ragionevolezza, il secondo è la prudenza, il terzo è lo studio, il quarto è l’informazione diretta, il quinto è una vita sociale attiva ed eterogenea, il sesto è il confronto con persone assolutamente fidate, il settimo è un’esperienza di vita personale in più ambienti, l’ottavo è il retto discernimento che proviene da un buon senso critico basato sui dati fattuali e sulla logica, il nono è la capacità di comprendere le menzogne e smascherarle, il decimo è costruirsi una rete di informatori ampia e molto credibile, l’undicesimo, che racchiude tutte le altre è la Fede, che se ben conosciuta, dà le risposte corrette ad ogni incertezza.

E se il dollaro crollasse?

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L’EDITORIALE

di Matteo Castagna perhttps://www.informazionecattolica.it/2023/07/24/e-se-il-dollaro-crollasse/  – pubblicato anche da www.2dipicche.news – www.tgpadova.telenuovo.org

e all’estero, tradotto in spagnolo dai giornalisti messicani per www.info.Hispania.it e Voces del Periodista

LA POTENZIALE FINE DEL REGNO DEL DOLLARO USA COME VALUTA DI RISERVA GLOBALE

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L’ambasciata russa in Kenya ha pubblicato su Twitter la seguente dichiarazione: “I paesi BRICS stanno pianificando di introdurre una nuova valuta commerciale, che sarà sostenuta dall’oro. Sempre più contee hanno recentemente espresso il desiderio di aderire ai BRICS”.

Questa mossa verso la de-dollarizzazione simboleggia una potenziale fine del regno del dollaro USA come valuta di riserva globale. Gli impatti di questo cambiamento si svilupperanno senza dubbio nei prossimi mesi, suggerendo la fine di un’era di dominio statunitense e l’inizio di una nuova era di stabilità economica e prosperità per le nazioni BRICS+.

Al loro prossimo vertice di agosto a Johannesburg, in Sudafrica, previsto tra il 22 e il 24 Agosto, Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e numerosi altri Stati africani e latino-americani delibereranno in merito.

John Maynard Keynes (1883 – 1946) ha scritto che non c’è mezzo più sicuro per rovesciare un sistema economico che minare la fiducia nella sua moneta. L’ economia americana, pur rimanendo la più grande del pianeta, oggi corrisponde solo al 20% del pil mondiale. Il primato del dollaro, a livello geopolitico, pone gli Stati Uniti in una situazione di vantaggio senza eguali, soprattutto per quanto riguarda le materie prime, come gas naturale e petrolio, che la Federal Reserve può giocarsi come meglio crede nei confronti dei commerci internazionali. Ma la crisi politica, successiva alle elezioni di metà mandato, ha consegnato la maggioranza al Congresso ai repubblicani e una risicata maggioranza dei democratici al Senato.

Filippo Gori, su Limes (n.6/2023) scrive: “Il rischio di un default conseguente al mancato innalzamento del tetto d’indebitamento, danneggia la fiducia negli Stati Uniti e nel dollaro, cioè nella stabilità economico-politica del paese che è alla base del primato della sua valuta nel sistema finanziario globale. Non solo. Il costo per i paesi detentori di riserve valutarie in dollari – tipicamente accumulate con l’acquisto di titoli del Tesoro statunitense – di una possibile insolvenza americana pesa sull’utilizzo del biglietto verde negli scambi internazionali. Il ricorrere di crisi del tetto del debito, pertanto, non configura solo un rischio per la stabilità economica della più grande economia del mondo, ma anche una minaccia al ruolo dominante del dollaro nel sistema finanziario internazionale”.

In tale contesto, si andrebbe a favorire l’ingresso nel mercato globale di valute alternative, come quella anticipata ai media dai portavoce BRICS+. Osserva acutamente, sempre Gori: “la sempre maggiore frammentazione geopolitica, l’aumento delle tensioni economico-strategiche e il crescente uso del dollaro come strumento di politica estera da parte statunitense spingono tuttavia i rivali strategici di Washington, su tutti Russia e Cina, verso sistemi di pagamento indipendenti dal dollaro. Pechino, per volume di scambi commerciali e rilevanza economica, è oggi l’unico paese in grado di offrirne uno”.

Molti Paesi potrebbero far venir meno la loro fiducia nei confronti del biglietto verde se, come appare all’orizzonte, gli Stati Uniti andassero incontro a ricorrenti crisi del tetto del debito. E’ certo che – come conclude Filippo Gori – “non c’è mezzo più sicuro per rovesciare l’attuale sistema economico che minare la fiducia nella sua moneta”.

La crisi americana non è, però, soltanto di natura economica, perché è in corso uno sviluppo multipolare destinato ad emarginare il dollaro, quanto sociale e, quindi politica. Sembrerebbero raffreddarsi le posizioni americane e UE pro Zelensky, cui viene vietato l’ingresso nella NATO, forse per non provocare la Russia e mantenere al passo coi cambiamenti gli interessi finanziari statunitensi, che hanno visto un’ importante tappa nell’incontro tra il sempreverde Henry Kissinger e il Presidente cinese Xi Jinping.

Negli stravolgimenti socio-culturali dell’ideologia wok, che muta ogni paradigma naturale e ovvio, consacrando la dimensione, spesso distopica, dell’assurdo come forma di nuova normalità, l’Occidente liberale, costituito dall’Europa sembra seguire, senza ragionare, la deriva d’Oltreoceano, che rischia di crollare miseramente, se venisse accantonato il dollaro e, quindi, il potere globale degli americani venisse ampiamente ridimensionato.

Anziché intestardirsi nel rifiutare un mondo multipolare, il patto atlantico dovrebbe guardare al resto del mondo senza pregiudizi, guarendo dalla miopia che lo attanaglia, perché il processo di cambiamento di potere è già in corso e, difficilmente, farà passi indietro.

I BRICS+, seppur con sfumature differenti, mantengono una visione della vita molto lontana da quella liberal, che si avvicina a quella dell’ortodossia cattolica in campo etico e morale. Inconcepibile per loro che un uomo si faccia chiamare donna, come sancito dal Tribunale di Trapani, così come non è accettabile la mercificazione dei corpi, il genderismo e le conseguenti amenità dem del Vecchio Continente americanizzato e post-cristiano. Sarebbe, dunque necessario, ovviare al pacchetto cosiddetto progressista, che morirebbe con un forte indebolimento degli States nel mondo.

Per non finire come i filistei, le Istituzioni europee dovrebbero ricordare una grande lezione di uno dei più grandi intellettuali e scrittori inglesi del secolo scorso, quale G.K. Chesterton (1874 – 1936) che su Ortodossia, dato alle stampe nel 1908, aveva già colto l’essenziale: “l’ortodossia è non solo l’unico guardiano sicuro della morale e dell’ordine, ma è anche l’unico guardiano logico della libertà, dell’innovazione, del progresso. Se vogliamo far cadere il ricco oppressore, non possiamo farlo con la nuova dottrina della perfettività umana, ma con la vecchia dottrina del peccato originale. Se vogliamo sradicare crudeltà innate o risollevare popolazioni disperate, non possiamo farlo con la teoria scientifica, secondo cui la materia precede lo spirito, ma con la teoria sovrannaturale secondo cui lo spirito precede la materia. […]

Se desideriamo che la civiltà europea vada in soccorso delle anime così come ne va all’assalto, dovremmo insistere fermamente sul fatto che esse sono davvero in pericolo, piuttosto che affermare che il pericolo al quale sono esposte sia in fin dei conti irreale. […] Soprattutto se desideriamo proteggere i poveri dovremmo essere a favore di regole fisse e di dogmi chiari. Le regole di un club, di tanto in tanto, sono a favore dei membri più poveri. La tendenza di un club è sempre a favore di quelli ricchi”.

IL SACCHEGGIO DI UNA NAZIONE: LA STORIA DELLE PRIVATIZZAZIONI

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di Nico Arena e Matteo Castagna

MC – La politica era la passione della mia famiglia, sia per parte paterna che materna. Entrambi ferventi cattolici, impegnati nel sociale, mi crebbero a pane, religione e politica. Nel 1989, quando avevo solo 13 anni, la scuola, i media e, ovviamente mamma, papà e loro amici, discutevano del crollo del Muro di Berlino. Era caduto il comunismo. In una famiglia in cui mio nonno materno veniva minacciato dagli ex partigiani rossi di impiccagione ad un pilone elettrico in Piazza del Popolo a San Michele Extra, quartiere di Verona, mentre i miei genitori si distinguevano assieme a molti altri per il loro viscerale anticomunismo accanto alla mia pro-zia che fece il Consigliere Comunale in città, era praticamente naturale che io seguissi giovanissimo quella strada, mai abbandonata. Nel 1990 mi avvicinavo alla Liga Veneta di Franco Rocchetta, leggevo ogni giornalino ed opuscolo. Ero affascinato da quel mondo, che non era mai appartenuto alla mia famiglia, ma si poneva come una novità politica che mi attraeva sui temi del federalismo e per la storia della Serenissima Repubblica di Venezia: 1.100 anni di vita, che a scuola si liquidava in quattro righe. D’altro canto, il pensiero al nonno paterno, aviatore durante la R.S.I. tornato a casa, nel 1950, dopo 5 anni di deportazione in Russia, quando era già stato seppellito tra i dispersi, mi fece approfondire un ambiente che già frequentavo per motivi di tifo calcistico, che era il M.S.I. ed in particolare alcuni esponenti dell’epoca del Fronte della Gioventù. A loro devo letture importanti che mi hanno formato (Evola, Romualdi, Rauti, Pound ecc.) e l’esempio militante per un ideale mai morto, seppur sconfitto. C’era fermento negli anni di Tangentopoli. Per un sedicenne come me era, assieme agli amici di allora, era un grande momento di ricostruzione nazionale, in cui vedevamo molti aspetti compatibili tra la Lega Nord di Bossi e il M.S.I. di Pino Rauti. Poi arrivarono le liti e il M.S.I. veniva smantellato a Fiuggi da Gianfranco Fini, mentre a Verona nasceva la federazione della Fiamma Tricolore in cui confluirono tutti i miei amici e conoscenti di allora. Nel 1993 avevo fatto la mia scelta: portare nella Lega Nord quanto potevo di un’Idea immortale, adeguandola ai tempi con un federalismo che non dispiaceva nell’ambiente missino scaligero. Ricordo che tutti eravamo dei gran forcaioli nei confronti di quelli che consideravamo dei “ladroni”, in particolare la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista. All’epoca delle monetine a Bettino Craxi fuori dall’Hotel Excelsior tifavamo per i sampietrini. Ma la storia non è mai quella che sembra. Tutto va approfondito e colto in un’analisi razionale non passionale come quella di un manipolo di giovanissimi incendiari.

di Nico Arena col contributo di Matteo Castagna

I veri responsabili della distruzione del sistema economico italiano.
Lo scempio delle privatizzazioni in Italia 
Dopo la seconda guerra mondiale e la nascita della Repubblica, i maggiori partiti italiani dell’epoca, la DC e la sinistra facente capo al PCI, si trovarono a decidere insieme quale struttura economica dare al ri-nascente Stato italiano. Vennero rifiutati entrambi i sistemi dominanti dell’epoca, cioè il liberismo statunitense e il collettivismo sovietico; la nuova forma economica che prese vita fu quella dello stato imprenditore. Con questo modello il potere economico statale si trovava a competere con le leggi del mercato, in concorrenza con i privati, con lo scopo di incoraggiare, anche con l’ausilio privato, l’economia del paese. Questo è il sistema della cosiddetta “terza via”, che aiuterà l’Italia a crescere dal dopoguerra in avanti.
Alla base dello stato imprenditore vi era l’IRI, nato nel 1933 come ente di “salvataggio”, che dopo il 1948 divenne il vero e proprio regolatore dei rapporti statali nel mondo industriale ed economico. Dagli anni cinquanta in poi fu il vero strumento di ammodernamento del paese; il suo campo d’azione era vastissimo. E’ giusto ricordare agli odiatori di professione che l’IRI fu una creatura del Fascismo, così ben riuscita da far da asse per tutto ciò che vedremo dopo, in particolare la sua svendita. E smantellarlo gradualmente, non fu un bene per l’Italia. Probabilmente lo direbbe Mussolini, l’ha detto Bettino Craxi ad Hammamet.
Esso comprendeva: acciaierie, autostrade, telecomunicazioni, settore finanziario, settore alimentare, trasporti, ecc. Sostanzialmente l’IRI fu una delle strutture produttive nazionali complesse, capace di misurarsi e competere con i settori di alta tecnologia e alta produttività sorti nel resto d’Europa. Un altro ente importante per comprendere al meglio la presenza dello stato nell’economia era l’ENI, impegnato nel settore degli idrocarburi. Ente Pubblico Economico nel 1953, sotto la direzione di Enrico Mattei, fascista per la CIA, che fu presidente fino alla sua morte nel 1962 Esso gestiva le partecipazioni statali nel settore dell’industria petrolifera e nei settori della petrolchimica, e fu all’avanguardia nella ricerca, lo sfruttamento e il trasporto degli idrocarburi. Da menzionare per la loro relativa importanza nel campo dell’intervento statale, l’EFIM (ente finanziamento industria meccanica) e l’EGAM (ente gestione aziende minerarie). Al fine di coordinare al meglio lo Stato imprenditore, nel 1956 fu istituito il “ministero delle partecipazioni statali”, che si basava sull’idea dell’azienda pubblica come motore di sviluppo economico e strumento di politiche sociali ed occupazionali.
Fin qui la storia sembrerà sicuramente didascalica e scolastica, però tutto ciò è necessario conoscerlo, per affrontare la parte interessante e “sconvolgente” di questa narrazione avendo acquisito una buona dose di concetti base.
Entriamo finalmente nel vivo, e arriviamo alle avvisaglie di quello sarà poi il grande saccheggio della nostra Nazione.
Anni ’80: qui incontriamo i primi due personaggi chiave: Romano Prodi e Carlo De Benedetti. Il primo venne nominato presidente dell’IRI nel 1982, il secondo, invece, era ed è il proprietario del gruppo Repubblica/Espresso. Prodi, nei 7 anni che sarà alla guida dell’IRI, darà prova di grande ambiguità e scaltrezza, infatti, in qualità di presidente concederà alla società di consulenze finanziarie “Nomisma”, della quale è dirigente, incarichi miliardari (alla faccia del conflitto di interesse). Il primo grande colpo di Prodi alla presidenza dell’IRI fu la vendita dell’Alfa Romeo alla FIAT, dalla quale la sua Nomisma prese grosse somme in tangenti, per soli 1000 miliardi a rate, mentre la FORD offriva 2000 miliardi in contanti (il fiuto per gli “affari” è sicuramente innato!).[3] E’ nel 1986 che Carlo De Benedetti sale in cattedra. Infatti, un anno prima, il governo presieduto da Bettino Craxi decise di privatizzare il comparto agro‐alimentare dell’IRI, la SME, che presentava bilanci in deficit. Il consiglio di amministrazione dell’IRI fu incaricato dell’operazione, anche se la decisione finale spettava al governo.[4] Il buon Romano Prodi si mise subito all’opera. Con accordi privati con la Buitoni (presieduta da De Benedetti), svende il 64,36% della SME a soli 393 miliardi, quando il valore complessivo di mercato era di circa 3.100 miliardi.
Naturalmente, secondo chissà quale visione economica naif, Prodi non prende neanche in esame le offerte maggiori degli altri acquirenti interessati alla SME. Alla fine, comunque, a rompere le uova nel paniere al duo De Benedetti‐Prodi è Bettino Craxi, il quale non diede autorizzazione di vendita e ritenne di mantenere la SME nell’ambito pubblico.[6] Queste sono solo le prime avvisaglie di un “colpo grosso”, che porterà allo smantellamento completo dell’assetto economico italiano.
Anni ’90: si aprirono subito con grandi sconvolgimenti e grandi temi da affrontare: iniziò la stagione di “mani pulite”, furono assassinati i giudici antimafia Falcone e Borsellino, il debito pubblico arrivò ai massimi storici e vi fu un attacco speculativo alla lira e alle altre valute europee, da parte del finanziere George Soros, che portò alla distruzione del “sistema monetario europeo”.
Andiamo con ordine, è il 2 giugno 1992, sul panfilo “BRITANNIA” di sua Maestà la Regina Elisabetta, ci fu un incontro più o meno riservato tra top manager italiani e britannici. Erano presenti i presidenti di ENI, INA, AGIP, SNAM, ALENIA e Banco Ambrosiano, oltre all’ex ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e al direttore generale del Tesoro “Mario DRAGHI”. La discussione fu incentrata sul tema delle “privatizzazioni” del comparto pubblico italiano, e la discussione si basò soprattutto su una critica al sistema italiano, reo di essere “lontano da un vero processo di privatizzazioni per ragioni culturali, di sistema politico e di specificità delle aziende da cedere”, come ebbe a dire sullo “yacht reale” il presidente dell’INA Lorenzo Pallesi.[8] Ad inasprire il dibattito ci pensò il consigliere di Confindustria Mario Baldassarri, che incalzò:” Per privatizzare servono 4 condizioni: una forte volontà politica; un contesto sociale favorevole; un quadro legislativo chiaro; un ufficio centrale del governo che coordini tutto il processo di privatizzazioni. Da noi oggi non se ne verifica nemmeno una”.[9]
Quindi, se in quell’Italia la volontà politica non era propensa alle privatizzazioni, i vari manager pubblici e persone del calibro di Draghi, uomo della finanza internazionale, erano già catapultati verso il nuovo indirizzo economico, e la loro volontà veniva incontro agli interessi degli “amici” britannici, che avevano fretta nel spartirsi una bella torta dal valore di circa 100 mila miliardi di lire.
Torniamo indietro di 5 mesi, andiamo al 17 febbraio 1992, data dell’arresto di Mario Chiesa, che darà avvio alla stagione di “mani pulite”. Da lì a pochi mesi un’intera classe politica sarà spazzata via dalle inchieste di Di Pietro & co. I partiti letteralmente distrutti da questa stagione giudiziaria furono la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista, i quali avevano una caratteristica comune: erano fortemente intrisi di “statalismo”, cioè erano fortemente inseriti nella concezione delle partecipazioni statali, e non avevano scrupoli ad offrire prebende ed elargizioni di Stato per comprare il consenso dei cittadini. Sicuramente, questo era un sistema lontano anni luce da quello degli affaristi della “city” di Londra e dei nuovi liberal/liberisti italiani. Da qui inizia la fase dei cosiddetti “governi tecnici” e nel 1993 il Presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi e il suo governo istituiscono il “Comitato Permanente di Consulenza Globale e Garanzia per le Privatizzazioni”, con presidente Mario Draghi (vedi “Britannia”), e il ministro degli Esteri Beniamino Andreatta (vedi “Britannia”) istituirà accordi con il commissario europeo alla concorrenza Karel Van Miert, affinché le aziende di Stato possano diventare appetibili per il capitale privato.
Avete notato cosa è successo? Ricordate le 4 condizioni per le privatizzazioni del “Britannia”?
Numero 1 (una forte volontà politica): dopo la scomparsa, causa Tangentopoli, dei partiti storici DC/PSI, si avvicendarono al governo vari “tecnici”, tutti fortemente propensi al nuovo corso economico; i nomi e cognomi di questi tecnici sono: Carlo Azeglio Ciampi, Giuliano Amato, Lamberto Dini, i già citati Andreatta e Draghi ed in seguito anche altri protagonisti.
Numero 2 (un contesto sociale favorevole): beh, in quegli anni di grande caos, dove l’indignazione contro una classe politica “corrotta”(e statalista) che veniva spazzata via dalle inchieste(?) era alta, e dove il debito pubblico schizzava alle stelle, anche se non era un reale problema, il contesto era sicuramente favorevole per lasciare spazio alle privatizzazioni.
Numero 3 (un quadro legislativo chiaro): il quadro normativo cominciò ad essere chiaro dal 1993, con il già citato accordo Andreatta/Van Miert, che regolava la ricapitalizzazione del settore siderurgico a patto che lo si privatizzasse e l’azzeramento del debito delle imprese statali. [12] Inoltre, con il cosiddetto “decreto Amato” si trasformarono in società per azioni l’IRI, l’ENI, l’ENEL e l’INA, e con successivi decreti verrà regolamentata la pratica delle privatizzazioni.
Numero 4 (un ufficio centrale del governo che coordini tutto il processo di privatizzazioni): ed ecco anche l’ufficio, cioè il “Comitato Permanente di Consulenza Globale e Garanzia per le Privatizzazioni”, presieduto dal tecnocrate Draghi.
Ecco, ora i tasselli del puzzle sembrano incastrarsi meglio, nel giro di pochi anni gli interessi della grande finanza sono riusciti a mettere tutte le cose in ordine, grazie a: tangentopoli (giustizia a orologeria?) e ad una classe politica completamente asservita (vedi sopra). Vediamo ora il secondo step di questo processo e cioè le privatizzazioni vere e proprie. Nel corso del 1993 ritorna in auge un personaggio che abbiamo già incontrato nella nostra storia: Romano Prodi. Ritornato alla presidenza dell’IRI, dopo esser stato consulente per la Goldman Sachs, Prodi procedette alla svendita del gruppo Cirio-Bertolli-De Rica (comparto SME), alla società Fisvi, la quale non aveva i requisiti necessari per l’acquisto. Ed ecco perché questo giochetto: la Fisvi acquista a due soldi il gruppo, e a sua volta cederà il controllo della Bertolli all’UNILEVER (multinazionale alimentare anglo-olandese). Chi era “l’advisory director” (direttore per le consulenze) dell’UNILEVER?? La risposta è semplice: l’impareggiabile Romano Prodi.[14]
Risale al 1993 anche la prima privatizzazione di una delle grandi banche pubbliche, il “Credito Italiano”. La “Merril Lynch” (banca d’affari americana), incaricata come consulente dall’IRI, valuterà il prezzo di vendita del Credito Italiano in 8/9.000 miliardi, ma alla fine verrà svenduta per 2.700 miliardi, e cioè il prezzo stabilito dalla “Goldman Sachs”(altra banca d’affari americana).
Sempre quell’anno verranno cedute anche le quote della COMIT, che assieme al Credito Italiano e alla BNL detenevano il 95% delle azioni della Banca d’Italia. Come consulenti per la cessione delle banche furono chiamati uomini come Mario Monti, Letta, Tononi e Draghi, tutti gravitanti nell’orbita “Goldman Sachs”.[16]
Nel 1994, dopo le prime elezioni post Tangentopoli, al governo andrà il centrodestra guidato dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, sul quale peserà il sospetto di eccessiva accondiscendenza ad Alleanza Nazionale, che aveva in Antonio Parlato, sottosegretario al Bilancio, e nel vicepremier Giuseppe Tatarella due posizioni fortemente contrarie alle privatizzazioni.[16] Comunque, il governo Berlusconi durò pochi mesi, e alla presidenza del consiglio fu sostituito dal “tecnico” Dini.
Con Dini, nel 1995, cominciò la prima fase di privatizzazione dell’ENI, dove fu dismesso circa il 15% dell’intero pacchetto azionario.[18] Nel 1996, a vincere le elezioni è il centrosinistra guidato dal “santo spirito” Romano Prodi, che cede un altro 16% delle quote ENI ed inoltre privatizzò la Dalmine e la Italimpianti appartenenti al gruppo IRI. E’ nel 1997 che Prodi dà il meglio di sé, infatti, ritorna a “trattare” col suo vecchio amico l’Ingegner Carlo De Benedetti. Sugli “affari” fatti dai due, l’ex segretario del Partito Liberale ed ex ministro dell’Industria Renato Altissimo sentenziò: “Infostrada — cioè la rete telefonica delle Ferrovie dello Stato – fu ceduta all’Ingegnere per 750 miliardi di lire da pagare in comode rate.
Subito dopo De Benedetti vendette tutto per 14mila – ripeto – 14mila miliardi di lire ai tedeschi di Mannesman”.[19] Un vero e proprio regalo si direbbe! Sempre quell’anno Prodi mise sul mercato “Telecom”, con le azioni che furono vendute ad un prezzo irrisorio, infatti, appena un anno dopo le stesse azioni varranno sul mercato 5 volte di più (+ 514%).Dopo la caduta del governo Prodi nell’Ottobre 1998, a prendere il suo posto è Massimo D’Alema, uno dei tanti post-comunisti convertitisi alla causa liberista, che nel Novembre dello stesso anno privatizzerà la BNL, con la consulenza della JP Morgan (altra banca d’affari americana).[21] Nel 1999, dopo il “decreto Bersani” che liberalizzava il settore dell’energia, venne privatizzata l’ENEL e sempre quell’anno venne ceduta la società Autostrade alla famiglia Benetton (quella delle magliette). L’ultima fase di privatizzazione riguarda quel poco che era rimasto all’ENI, infatti, l’onnipresente Goldman Sachs acquisterà l’appetibile patrimonio immobiliare dell’ente per il valore di 3000 miliardi di lire. La cara Goldman farà incetta anche di altri immobili, come quelli della Fondazione Cariplo, mentre la Morgan Stanley (ennesima banca d’affari americana) si catapulterà all’acquisto dei patrimoni di Unim, Ras e Toro. Secondo studi eseguiti dal “Sole 24 ore”, i gruppi esteri oramai posseggono più patrimoni ex-pubblici di quanti ne posseggano gruppi italiani.[22] La fase delle privatizzazioni si può ritenere chiusa nel 2002, con la dismissione e la liquidazione dell’IRI.
Così, in meno di 10 anni, un intero sistema economico viene distrutto e tutto quello che ha reso l’Italia uno dei più grandi paesi a livello internazionale viene ridotto a poco più che uno spezzatino. Grazie allo scempio di queste svendite l’Italia si è giocata il 36% del suo PIL, e cioè della sua ricchezza. I maggiori artefici di questo processo predatorio dello Stato italiano sono gli stessi uomini che ci hanno consegnato nelle mani dell’Europa e nella morsa della moneta unica. Sono gli stessi che oggi vengono pontificati come profeti della buona politica, “grandi statisti”; ma prima o poi arriverà anche per loro, il giorno in cui dovranno rispondere al tribunale della storia e a tutti gli italiani per il loro alto tradimento alla patria. Per gli affaristi, che hanno svenduto l’Italia e gli italiani al peggiore offerente, quel giorno arriverà. “Ridurranno l’Italia in miseria, la venderanno, per poi umiliarla” – diceva Craxi nel lontano 1997. Ci siamo quasi?

Russia ed Europa divorziano per sempre?

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Tradotto dall’Ordine dei Giornalisti dell’america Latina in spagnolo e pubblicato su “La Voces del Periodista” (Messico) e Info.Hispania. Ripreso da www.2dipicche.news e altri siti

L’EDITORIALE 

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/07/03/russia-ed-europa-divorziano-per-sempre/

L’IDEA DI EUROPA È UN SOGNO IRREALIZZATO PERCHÉ NON INCLUDE LA RUSSIA

Quando in Russia si pensa all’Europa non si intende solamente un concetto di natura geografica, ma soprattutto un concetto culturale, storico, metafisico, simbolico cui la Russia aspira.

L’idea di Europa è un sogno irrealizzato perché non include la Russia che si sente parte integrante di essa. I grandi intellettuali russi duecento anni fa e i progressisti di trecento anni fa aspiravano ad un Vecchio Continente che fosse inclusivo della loro Patria. Invece, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’Unione Europea, sostenuta dagli USA, ha impostato un rapporto con la grande Potenza che fu degli zar dettando tutta una serie di norme e disposizioni legali. Eppure la strutturazione dell’Europa contemporanea e quella della Federazione russa sono pressoché contemporanee. La Russia è apparsa sulla mappa politica il 25 dicembre 1991 e l’Unione Europea ha iniziato ad esistere nel febbraio 1992.

La compatibilità tra le due “federazioni” sarebbe potuta essere un progressivo obiettivo politico, etico, culturale, economico, oltre che geograficamente attiguo. L’integrazione di due mondi molto simili, al netto del comunismo, avrebbe portato una ricchezza enorme al Vecchio Continente. Avrebbe creato dinamiche internazionali tra gli Stati, oggi impensabili. Invece, ha prevalso l’indifferenza o, ancor di più, la diffidenza dell’Occidente e la totale indisponibilità dell’unica Superpotenza di allora, che credeva di perdere terreno e spazi di potere a favore di quello che fu il suo storico nemico.

La posizione dei Paesi europei, nonostante qualche liason con Putin, in un passato non propriamente remoto, è orientata verso un divorzio definitivo, completamente appiattito sugli interessi atlantisti.
Probabilmente, per la prima volta nella storia, l’Europa non è più il centro del mondo, come immagine ideale, perché il contesto globale è cambiato.

Al lettore sorgerà naturale e spontanea la domanda: cosa vuol dire essere un paese di cultura europea, in un mondo sempre meno eurocentrico? Fedor Luk’janov su Limes (5/2023) sostiene che “l’Europa non aspira più ad avere un ruolo centrale ma a quanto si può giudicare punta ad essere la “moglie preferita del signore” “, che ha la bandiera a Stelle e Strisce. La Russia, a partire dall’operazione speciale in Ucraina è fuori da questo paradigma, derubricata a male assoluto da sconfiggere. In coppia con la Russia si sta ponendo come partner privilegiato la Turchia. I detrattori della Russia di Putin parlano già di auto-isolamento della stessa, mentre al Cremlino la Russia è stata definita uno “Stato-civiltà a sé stante”. Il distacco tra Europa e Russia sia dal punto di vista fisico che economico è avvenuto in maniera repentina e contraria al buon senso da entrambe le parti.

In questa situazione caotica e profondamente incerta, si nota un rafforzamento, per alcuni un totale assorbimento, dell’Europa verso Oltreoceano, mentre è chiaro che Putin sta intensificando i rapporti coi Paesi asiatici e col Medio-Oriente, in particolare con Iran e Arabia Saudita e, comumque strizzando l’occhio alla galassia filo-palestinese.

Oggi l’Asia appare il centro dello sviluppo mondiale, la Cina e la maggioranza delle Nazioni globali non hanno alcuna intenzione di fare gli scendiletto degli Stati Uniti.

In tale contesto, la Russia non dovrebbe puntare ad essere il leader mondiale che soppianta gli Stati Uniti, perché questo finirebbe in un lago di sangue, ma, sempre come osserva il russo Luk’janov su Limes (5/2023) dovrebbe creare le condizioni per divenire nel prossimo futuro una “potenza (nazione) indispensabile”, un indispensabile power, senza il quale non si va da nessuna parte, come sosteneva Madeleine Albright negli anni Novanta. In un certo senso l’India si sta ponendo in questo modo, ora. E’ finita l’era dell’Occidente messianico.

Non sarà accettata neppure una Russia messianica o una Cina che esporta il suo modello a Roma. Invece, una Russia come paese di buon senso, con una forte identità culturale e ideale derivante dal Cristianesimo potrebbe divenire un eccellente garante d’equilibrio mondiale, “che ha molto da dare a coloro che si rapportano a essa con rispetto”. Questa è una di quelle folli fantasie che finora trovano posto solo tra i desideri di Luk’janov e miei.

 

Politica fluida e conservatori bolsi: così l’ideologia woke travolge l’Europa

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L’EDITORIALE – su Affaritaliani.it di oggi

di Matteo Castagna
A fronte di una galassia conservatrice sempre più fiacca divampa l’ideologia woke: il totalitarismo culturale che banna tutto ciò che non è politically correct
Politica e ideologia woke, “se i conservatori non si svegliano dal torpore dovremo soccombere al delirio transumano progressista”: il commento 
Nell’agone politico, destra e sinistra nascono con la Rivoluzione Francese nel 1789. Il filosofo francese Marchel Gauchet scrive che “coloro i quali tenevano al re e alla religione si erano messi alla destra del presidente per sfuggire ai discorsi, alle indecenze e alle urla che avevano luogo nella parte opposta, dove stava la componente rivoluzionaria”.
Nel periodo della Restaurazione, in Francia e poi in Europa, la destra era occupata dai monarchici cattolici contro-rivoluzionari, mentre dalla parte opposta vi erano coloro che intendevano sovvertire l’ordine morale, sociale e politico, ovvero i giacobini anticattolici e anticlericali. Nel XX secolo, la sinistra era rappresentata dai social-comunisti, mentre la destra dai monarchici e dai fascisti. Ci furono ulteriori sfumature, che inglobavano i liberali e i cattolici, a seconda delle circostanze storiche. Nel XXI secolo non ha più senso parlare di “destra e sinistra” perché le ideologie che le reggevano sono sostanzialmente morte.
Nel XXI secolo si parla di posizioni conservatrici e patriottiche per quella che fu, storicamente, la destra, e di progressiste e globaliste per quella che fu la sinistra. Ad eccezione delle posizioni radicali, che non sono rappresentate in Parlamento, almeno in Italia, la globalizzazione viene accettata da tutto l’arco costituzionale e tutti si dichiarano liberali, liberisti e libertari.
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Per cui sfumano le differenze tra le due parti, soprattutto sul piano economico (tutti liberisti) e morale (tutti libertari). Questa situazione si è creata perché il modello imposto dai vincitori della Seconda Guerra Mondiale, è stato quello anglo-americano, con una decisiva accelerata dopo il crollo del muro di Berlino, nel 1989. Possiamo, dunque, parlare di evoluzioni e involuzioni nel tempo, del pensiero e dell’azione di entrambe le parti. Le crisi, generalmente, sono le cause dei cambiamenti. Le guerre sono i mezzi con cui si impongono i nuovi ordini/disordini. Il maggior potere possibile sul mondo è il grande Vitello d’Oro, il fine degli avidi e dei corrotti.
Oggi, osserviamo una politica fluida come la società, ove tra i conservatori prendono posizione tre corpi estranei, che ne riducono l’efficacia subordinando lo schieramento ai paradigmi dei progressisti, ridimensionando l’orizzonte valoriale: i liberali, gli anticattolici, gli opportunisti globalisti, che potrebbero tranquillamente cambiare casacca, senza colpo ferire. Anche tra i globalisti, buona parte della componente liberale e ex democristiana, figlia del modernismo, è trasformista per stipendi e privilegi, ma a livello culturale e sociale si sta imponendo una nuova ideologia che, progressivamente costituirà il bagaglio elettorale dei globalisti, ovvero del partito Radicale di massa.
Al momento, dalla parte opposta, si notano le pesanti infiltrazioni di questa wéltanschauung che oscura il sovranismo e l’identità e affievolisce la Tradizione, che dovrebbe costituire la solida roccia sulla quale basare la filosofia, l’economia e l’azione politiche. “La destra è sempre tradizione – ha scritto recentemente Marcello Veneziani – ho un’idea diversa da quella irregimentata nell’establishment italo-euro-atlantico, che include anche la destra di governo”.(cfr. Barbadillo, 7/4/2023)
Dunque, a fronte di una galassia conservatrice fiacca un po’ confusa, ha gioco più facile la nuova ideologia, costola del globalismo, che, come per il movimento sovversivo del 1968 muove i primi passi nelle Università francesi ma giunge dagli Stati Uniti. Si definisce “cultura woke“.
“La woke culture è inoltre il substrato della call-out culture (molto vicina alla più nota cancel culture) – scrive il giornalista ed esperto di comunicazione Andrea Zanini su Formiche del 06/12/2021 –  ossia la minacciosa e spesso violenta censura nei confronti di soggetti ritenuti colpevoli di idee e comportamenti disallineati da valori considerati progressisti e, più in generale, politicamente corretti; sono infatti molteplici i casi in cui attivisti woke hanno ostracizzato professori e accademici impedendogli di parlare ad eventi pubblici, manipolandone le dichiarazioni e proscrivendoli sui social e sui media tradizionali, fino ad arrivare, in alcuni casi, a provocarne le dimissioni”.
La nuova “ghigliottina woke” è l’isolamento assoluto dell’uomo della tradizione, che non avrà mai alcuna difesa da parte di quei Conservatori bolsi, che pensano solo agli affari e si vendono al miglior acquirente. Questo fenomeno sta pericolosamente dilagando nelle università americane, laddove woke è sinonimo di vigile allerta nella lotta contro le “ingiustizie della maggioritaria e prepotente cultura dei maschi bianchi”, che penalizzerebbero gli afroamericani, le donne, le identità sessuali diverse da quelle categorizzate biologicamente e via dicendo. Nelle teorizzazioni più estreme gli ideologi della woke culture affermano addirittura l’inutilità della lettura di testi o della fruizione di opere di autori non conformi ai canoni woke.

Zanini prosegue nello spiegare questo inquietante scenario: “Un altro requisito di questo totalitarismo culturale è la pretesa che siano gli studenti a decidere che cosa studiare. E’ la negazione della fondamentale figura del maestro, colui che per studi ed esperienza ha titolo ad insegnare…”. E’ evidente a tutti che, nel mondo dominato dai social media, qualsiasi mitomane possa, grottescamente, laurearsi su Facebook. Al voto si sostituirebbe il numero di like…

C’è infine un elemento che rappresenta il vero il cavallo di Troia della woke culture, ossia la pretesa di voler difendere dalla cultura dominante dei maschi bianchi le culture oppresse, ghettizzate e negate, un obiettivo sul quale liberali progressisti non possono che concordare. Peccato che gli assunti e i metodi della woke culture portino alla società dell’assurdo, del caos e della follia. Il problema è che di fronte a questa minaccia, una società dalla pancia piena, quasi totalmente apatica e paurosa come quella occidentale, non riesca a reagire.

I conservatori, troppo spesso appiattiti su questa decadenza o in altre faccende affaccendati, dovrebbero riflettere sulle loro responsabilità verso i figli d’Europa, che non possono avere come modello i Ferragnez, Bello Figo o i Maneskin, senza cadere nella peggiore decadenza, mai vista nella storica culla della Civitas Christiana.

 

Rosso&Nero – Telenuovo Castagna. “basta guerra, società multipolare”

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Circa una volta al mese il nostro Responsabile Nazionale Matteo Castagna viene invitato alla trasmissione Rosso&Nero su Telenuovo dal conduttore Mario Zwirner.

Ecco l’ultima volta, lunedì 5 Giugno 2023, conduttrice Antonella Manna in sostituzione temporanea di Mario Zwirner. Ospiti con Castagna collegato tramite Skype: Etta Andreella (Pd), Marcello Bamo (Lega, sindaco di Noventa Padovana) Qualche piccolo sfottò ironico con Andreella, che avendo presagito cosa io avrei potuto dire sul ruolo delle donne nella loro dimensione domestica, si è beccata la battuta d’esser la “maga Circe” di Telenuovo, che legge nel pensiero altrui… e un rimbrotto all’esponente della Lega sulla guerra in Ucraina, che gli fa fare marcia indietro…

la registrazione: https://play.telenuovo.it/rosso-e-nero/tit-13282314

L’Occidente liberale è anestetizzato, succube di un potere che può fare ciò che vuole

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di Matteo Castagna

 

L’articolo è stato pubblicato anche su Arianna Editrice di ieri e su “Il 2 di Picche” di oggi.

 

TRE MILIONI DI FRANCESI SI SONO RIVERSATI NELLE STRADE E HANNO MESSO A FERRO E FUOCO LE CITTÀ

Tre milioni di francesi si sono riversati nelle strade e hanno messo a ferro e fuoco le città, incendiando il municipio di Bordeaux, in un moto rivoluzionario che, per numeri, durata e modalità, non si hanno ricordi. Tutti contro Macron ed il governo che ha innalzato di due anni l’età pensionabile. Sappiamo bene che l’Occidente liberale è anestetizzato, succube di un potere che può fare ciò che vuole, imporre regole assurde, rubare e metterci le mani nel conto corrente, imporre leggi folli e giustificare i rincari spaventosi delle bollette e dei beni di prima necessità con una grottesca richiesta di sacrifici a pensionati e lavoratori già oberati dalla pressione fiscale più alta d’Europa.

Riescono, addirittura, con un abile utilizzo della comunicazione pubblica, a propinarci che l’energia ed il cibo abbiano costi da capogiro per colpa di Putin, che ha chiuso i rubinetti e voluto la guerra. Sappiamo, invece, che la responsabilità è delle sanzioni che l’Ue ha imposto alla Russia, ma che, di fatto, pagano i cittadini dei Paesi membri, tramite inflazione e rincari. Noi siamo sempre pronti a cedere. Ci fanno andare in pensione a 67 anni e non a 62 come in Francia, ma da noi i sindacati cosa fanno e a cosa servono? Noi italiani ce lo confidiamo al bar, oppure lo scriviamo sui social. I francesi si spingono oltre. Si ribellano. E noi, sempre con quello spirito disincantato e malinconico, siamo, subito, pronti al confronto piagnone: perché nel Belpaese le persone tartassate ed umiliate stanno sul divano, pur subendone di ogni sorta da una Ue sanguisuga, che ci sta indebitando e dettando un’agenda spaventosa?

Il problema è antropologico. Non abbiamo alle spalle quei secoli di monarchia unitaria e di abitudine a vivere insieme che formano, secondo Renan, la base psichica di una nazione. “Nei “paesi della fiducia”, la critica può spingersi fino a bruschi trapassi e terremoti elettorali. I “paesi della sfiducia” sono immobili, stagnanti, il loro voto è lento, “vischioso”, come si dice da noi. Li spazzano a tratti ondate di furore nichilista, meglio vi prospera il disordine. A un Nord di libera iniziativa e democrazia fondamentalmente sana, si contrappone un Sud perpetuamente in bilico tra miasmi anarchici e tentazioni autoritarie, con economie zoppicanti e le più basse percentuali di popolazione attiva: l’Italia, la Spagna, il Portogallo, il carnevale dell’America Latina. […]

La riflessione di Leopardi, “Gl’italiani non scrivono né pensano sui loro costumi”, resta, per la nostra classe politica, attualissima. A differenza dai colleghi francesi, nessuno dei nostri capi di Stato, di governo o di partito, sembra preoccuparsi profondamente, al di là dei discorsi ufficiali ed elettorali, dell’Italia come motivo di riflessione, di indagine, di affetto. Alla nave dello Stato in pericolo, Orazio si rivolgeva come ad una persona cara. Mentre i nostri capi di governo e ministri non dedicano all’Italia una indagine, uno studio, un pensiero. Se sono docenti, scrivono trattati scolastici, dispense. Andreotti, il solo ministro con la fama di uomo “colto”, ha gl’interessi di un canonico dell’Ottocento. Un ministro socialdemocratico scrive romanzetti per coprire di immondizie la sua giovinezza fascista. E basta.

Non voglio dire che i ministri francesi scrivano e siano colti, e i nostri no. Poco m’importa di queste gare. Dico che là c’è gente che pensa, e studia, e soffre e s’interroga sulle sorti di quella che, incontestabilmente, e per tutti, è la Patria. E qua, dove nessuno adopera questo nome obsoleto, tutti parlano sciattamente di un “Paese”, che sarà laboratorio di nuove formule, arengo di chiacchiere, forziere da saccheggiare, ma a nessuno viene in mente di farne oggetto di studio di riflessione, di cura affettuosa.

Se è vero (è sempre Leopardi) che “il popolaccio italiano è il più cinico dei popolacci”, è vero anche che gli corrisponde la più cinica delle classi dirigenti che mai si siano viste in Europa. E ciò spiega tante cose”. Questo virgolettato che sembra scritto oggi, è stato pubblicato su “Il Giornale” del 18 gennaio 1980 e firmato da Piero Buscaroli. Abbiamo avuto anche noi gente che pensava e amava la Patria. Ora, stretti dalla svogliatezza borghese o indifferenti per il nichilismo strisciante, oppure perché “tanto non cambia nulla” siamo tutti più o meno consapevolmente un po’ Fantozzi e un po’ Tafazzi. E il Sistema ride, mentre noi che guardiamo solo al nostro piccolo orticello, siamo troppi ad esser convinti che agisca per il nostro bene.

 

Per la lettura completa: https://www.informazionecattolica.it/2023/04/03/loccidente-liberale-e-anestetizzato-succube-di-un-potere-che-puo-fare-cio-che-vuole/

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