Bankitalia choc: “Il prezzo dell’energia deve aumentare per la transizione green”

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Il catechismo green

Le parole del governatore e del dg di Banca d’Italia: in nome dell’ambiente devono crescere i costi dei cittadini

di Matteo Milanesi

Se dovessimo indicare la religione del nostro tempo, i cui dogmi non possono mai essere discussi e smentiti, faremmo riferimento, senza alcun dubbio, al fondamentalismo climatico. Ecolatria, ossessioni apocalittiche, previsioni sulla fine del mondo: questo e molto altro rappresenta l’altra faccia dell’ecologismo, quello che, in modo efficace, il giornalista Giulio Meotti ha riassunto con la formula “Il Dio Verde”.

In nome del climatismo, tutto può essere sostituito e abbattuto: meno smog, meno industria, meno circolazione a motore. Insomma, meno tutto. Per ultimo, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha deciso che i diesel euro 4 e 5 non potranno più circolare nell’Area B di Milano, se non rispettando un limite massimo di chilometri percorribili. Più di mezzo milione di auto soffriranno l’impatto di questa misura: si tratta di lavoratori che non potranno più entrare in città, proprio in nome del conclamato rispetto ambientale. Non importa se, ogni mattina, i cittadini debbano percorrere chilometri e chilometri per raggiungere il posto di lavoro. No, non importa: tutto deve essere subordinato all’intoccabile “Dio Verde”.

“Sì all’aumento dei prezzi”

Di questo avviso sono anche il governatore Ignazio Visco ed il dg di Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini. Per il primo, l’attuale aumento dei prezzi, causa crisi inflattiva ed energetica, sarebbe uno straordinario incentivo per la transizione: “Viviamo in momenti difficilissimi, con rischi di razionamenti, ma non dobbiamo perdere la loro utilità ad accelerare la transizione energetica”. Basta carbone o fossili, ben vengano solo le rinnovabili, indipendentemente dalle esigenze materiali dell’economia, delle imprese, delle famiglie. Ma soprattutto, indipendentemente dal fatto che la Cina, ovvero il principale pericolo alla democrazia ed alla globalizzazione mondiale, sia la prima produttrice di carbone a livello globale, con oltre il 50 per cento della produzione totale. Insomma, noi siamo ecologici – con conseguente danno economico – mentre il nostro principale competitor rimane tutt’altro che sostenibile. Due pesi e due misure.

A ciò, si aggiungono le parole del dg Signorini, il quale ha espresso il proprio consenso alle misure attuate dal governo, proprio perché sarebbero una straordinaria opportunità affinché “i prezzi crescano per raggiungere i nostri obiettivi di lungo termine della transizione climatica”. Insomma, nonostante 2 milioni di famiglie italiane vivano sotto la soglia di povertà, a cui si affiancano quasi 6 milioni di cittadini nelle stesse condizioni, per i vertici di Banca d’Italia, l’aumento dei prezzi sarebbe una vera e propria grazia climatistica.

Crisi economica

Il calo del Pil, dopo il primo anno di pandemia da Covid-19, ha sfiorato la mastodontica cifra del 9 per cento; pochi giorni fa, Confindustria ha ribadito come la crescita del 2023 sarà pari a zero, fino ad arrivare ad una percentuale inflattiva record – oggi al 9 per cento, mai così alta dal 1983 – che sarà destinata a crescere inesorabilmente. Tutto ciò è subordinato alla religione ambientale: “Meglio concentrare le limitate risorse di bilancio pubblico disponibili sulle famiglie più colpite, sugli investimenti nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica”, ha concluso Signorini. Non c’è spazio per aziende, privati oppure per uno choc fiscale che possa risollevare il potere d’acquisto degli italiani.

Dalla nostra umiltà, desidereremmo offrire un consiglio assolutamente gratuito: perché non stanziare gli oltre 40 miliardi, che l’Italia attualmente spende in sussidi, direttamente per una radicale riduzione di tasse? Si tratterebbe, peraltro, di una cifra che il nostro Paese non ha mai conosciuto per applicare una misura di sani principi liberisti. Inoltre, significherebbe eliminare anche tutte le imposizioni fiscali verdi, cosa che non piacerebbe ai vertici di Banca d’Italia. Ma, si sa, questa è la principale differenza tra liberali e socialisti. E i primi non hanno mai primeggiato.

Matteo Milanesi, 11 ottobre 2022

Fonte: https://www.nicolaporro.it/bankitalia-choc-il-prezzo-dellenergia-deve-aumentare-per-la-transizione-green/

Gli Usa: “C’è Kiev dietro l’attentato alla figlia di Dugin”

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Scoop clamoroso del New York Times sull’assassinio dello scorso agosto

di Matteo Milanesi

Dopo l’annessione delle quattro regioni ucraine, con referendum già ratificato dai deputati russi della Duma, arriva un nuovo decreto da parte di Vladimir Putin: la centrale nucleare di Zaporizhzhya è nella lista degli asset federali di Mosca. La città fa parte dell’omonimo oblast – uno dei quattro oblast del referendum di pochi giorni fa – ma ora il Cremlino ne ha ufficializzato la formale nazionalizzazione.

Nel frattempo, sul campo di battaglia, prosegue imperterrita l’offensiva ucraina. Parte delle forze russe avrebbe lasciato la città di Snigur Ivka, snodo ferroviario cruciale circa gli esiti del conflitto locale, nella regione di Mykolaiv, a cui si affianca l’inizio della “liberazione della regione di Lugansk”, così come riferito dal governo di Kiev.

Anche lo scenario internazionale continua a destare numerose preoccupazioni. Il portavoce alla presidenza di Putin, Peskov, ha affermato che gli Stati Uniti sono diventati “parte diretta del conflitto”, specificando la responsabilità della Casa Bianca nell’aver “creato una situazione molto pericolosa nel conflitto”.

Ed è proprio da Oltreoceano che arrivano clamorose notizie. Secondo l’intelligence americana, infatti, dietro all’omicidio di Daria Dugina, la figlia del filosofo nazionalista Aleksandr Dugin, da molti considerato l’ideologo di Putin, avvenuta poche settimane fa, ci sarebbe proprio l’esecutivo di Zelensky. “Parti del governo” di Kiev, stando a quanto riportato dal New York Times, avrebbero autorizzato l’attentato alla trentenne, che il 23 agosto è stata fatta saltare in aria nella sua macchina. Il quotidiano della Grande Mela ha però ribadito la totale estraneità di Washington all’assassinio, condannato anche dal Papa: “Gli Usa non hanno preso parte all’attacco, né fornendo informazioni, né altre forme di assistenza”, ma l’azione sarebbe un’operazione autonoma dei servizi segreti ucraini.

Il Nyt, inoltre, ha specificato come il reale obiettivo fosse il padre di Daria, Aleksandr. Intanto, il consigliere della presidenza ucraina ha ribadito la totale estraneità ai fatti del Paese, affermando: “In tempi di guerra, ogni omicidio deve avere un senso, tattico o strategico. Dugin non era un obiettivo tattico e strategico per l’Ucraina”.

Il giornale americano ha citato fonti dei servizi statunitensi; nei mesi scorsi, in effetti, si sono verificate alcune operazioni di Kiev, che sono state compiute all’oscuro degli alleati americani. A fine aprile, per esempio, Joe Biden contestò al governo Zelensky di non inviare i reali numeri del bollettino di guerra, sottostimando quelli ucraini e facendo il contrario con i feriti ed i decessi delle truppe russe.

Allo stesso tempo, rimane difficile pensare che membri dei servizi ucraini possano essere riusciti a raggiungere Mosca, in tempi di piena guerra, e programmare indisturbati un attentato nel fulcro della Federazione Russa. Sin da subito, il Cremlino ha incolpato il “regime nazista ucraino”; ma se la versione del New York Times fosse confermata, una della poche ipotesi plausibili potrebbe essere quella del tradimento da parte di una talpa russa, subordinata agli ordini del nemico di Kiev.

Il mistero continua a infittirsi. Ma non può essere escluso che la notizia venga poi utilizzata dai russi, come monito per azioni ben più “radioattive” di quelle attuate finora.

Matteo Milanesi, 6 ottobre 2022

Price cap, detto fatto: la Russia non ci venderà più nulla

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Il vertice del G7, che si terrà venerdì, discuterà la fissazione del price cap al greggio russo. Ma Mosca ci avvisa

 

Prosegue il dibattito, del tutto atlantico, sulla fissazione di un tetto massimo al prezzo delle esportazioni di petrolio russo. Le ultime dichiarazioni, favorevoli al price cap, sono state quelle della segretaria del Tesoro Usa, Janet Yellen, seguita dal cancelliere dello Scacchiere britannico, Nadhim Zahawi, definendosi “ottimista” per il raggiungimento di un accordo con i partner dell’alleanza occidentale.

Ormai dall’inizio di queste estate, l’istituzione di un limite di prezzo, contro Mosca, è al centro del tavolo americano ed europeo, di cui il governo Draghi ne risulta essere tra i principali portatori, tant’è che l’Italia riuscì a far entrare la proposta all’interno del vertice G7, svoltosi lo scorso giugno.

La risposta di Mosca al price cap

Immediata la risposta del Cremlino: la Russia sospenderà le forniture di petrolio a tutti i Paesi che attueranno la misura in questione. La dichiarazione viene direttamente dal vice premier russo, Alexander Novak, il quale pare non essere spaventato dalle sanzioni europee, visto il grande aumento delle esportazioni russe nell’enorme mercato interno cinese.

Un avvertimento che rischia di gelare le stanze dei bottoni a Bruxelles. La stessa Italia pare trovarsi in condizioni ben più critiche, rispetto a molti altri Stati membri. Solo il mese scorso, infatti, Roma ha aumentato del 400 per cento gli acquisti di greggio da Mosca, soprattutto per via della raffineria russa in provincia di Siracusa. Insomma, anche in tema di esportazione, vige un doppiopesismo inspiegabile: il gas può essere sanzionato, mentre il petrolio rimane un infinito tabù.

Ma non finisce qui. Germania e Francia hanno già azzerato la propria dipendenza da alcuni mesi; la Polonia l’ha ridotta del 72 per cento, contro il 45 dei Paesi Bassi. Il governo Draghi, al contrario, non sembra ancora porsi la questione. Anzi, presenta, in sedi internazionali, proposte autolesioniste, capaci di danneggiare radicalmente il nostro tessuto economico.

Il cortocircuito europeo

Paradossalmente, il nostro Paese è tra i primi ad aiutare e sostenere la Russia di Putin, con una beffa ulteriore: il rischio, serio e concreto, di rimanere a secco anche sul lato di greggio. Al di fuori delle oggettive difficoltà che l’Ue sta trovando per porre riparo alla dipendenza dal gas russo, ecco che il mondo petrolifero pare essere il secondo ostacolo da affrontare, causa le sanzioni applicate a partire dallo scoppio del conflitto in Ucraina.

Il cortocircuito per eccellenza, però, riguarda il “caso indiano”. Nuova Delhi è, infatti, uno dei Paesi a cui Mosca ha applicato sconti in tema di acquisto di petrolio russo. Ed ecco che gli Stati membri dell’Ue sono tra i principali acquirenti indiani. Ciò vuol dire che Putin vende il proprio greggio all’India, la quale poi lo rivende all’Occidente, ottenendo così guadagni sui margini di raffinazione.

Insomma, è la solita tragicommedia bruxelliana. Da una parte, dichiara di combattere al fianco di Kiev; dall’altra, alimenta, in modo paradossale, il mercato russo e quello dei suoi partner più stretti. Questo venerdì, il G7 discuterà definitivamente la possibilità di introdurre un tetto al prezzo del petrolio russo. Ma pare che, in questa partita, l’Occidente si sia già scottato da tempo.

Matteo Milanesi, 2 settembre 2022

https://www.nicolaporro.it/price-cap-detto-fatto-la-russia-non-ci-vendera-piu-nulla/

La Cina oltrepassa il confine. Così ora circonda Taiwan

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Le tensioni tra Cina e Taiwan

Nella notte, la Cina ha superato la linea mediana dello Stretto di Taiwan. E arriva la risposta di Nancy Pelosi dal Giappone

 

Proseguono le tensioni del Pacifico tra Taiwan e Cina. In queste ultime ore, anche il Giappone è stato interessato dal lancio di cinque missili balistici del Dragone, nella sua Zona Economica Esclusiva. Immediata è stata la risposta delle istituzioni: il primo ministro parla di “grave problema che influisce sulla sicurezza nazionale“, schierandosi a sostegno della causa di Taipei, e confermando ancora una volta l’alleanza con gli Stati Uniti. Il lancio è avvenuto dopo che l’ambasciatore cinese in Giappone ha esortato Tokyo a dissociarsi dal sostegno a Taiwan ed alla visita di Nancy Pelosi a Taipei.

In queste ore, il primo ministro del Sol Levante, Fumio Kishida, ha ricevuto la presidente del Congresso americana, proprio per discutere delle tensioni tra Pechino e l’isola di Formosa. Pelosi cerca di smarcarsi, affermando come “la modifica dello status quo non fosse nelle sue intenzioni”. Allo stesso tempo, però, ricorda come gli Usa “non permetteranno l’isolamento di Taiwan”.

Insomma, in caso di invasione cinese, il messaggio implicito sembra chiaro: gli Stati Uniti saranno pronti ad agire direttamente a fianco di Taipei. E questa è anche la posizione del presidente Biden e del segretario di Stato, Anthony Blinken. Quest’ultimo, infatti, direttamente dall’East Asia Summit in Cambogia, ha parlato di “azione palesemente provocatoria” di Pechino, rimarcando il ruolo degli Stati Uniti “a fianco dei loro alleati e partner”.

La Cina continua a far paura

Il rischio di escalation rimane tremendamente alto. Nelle prime ore di questa mattina, esattamente alle 5 italiane, la Cina ha superato la linea mediana dello Stretto di Taiwan, con “aerei e navi da guerra”, così come riferito dal ministro della Difesa taiwanese. L’azione provocatoria si instaura all’interno di un’isolamento totale dell’isola, da parte delle forze navali del Dragone, in sette punti differenti. E questo status, insieme alle quotidiane violazioni dello spazio aereo di Taipei, durerà almeno fino al 7 agosto, data in cui Pechino ha dichiarato la cessazione delle esercitazioni militari. Di sotto, ecco il posizionamento delle forze militari del Dragone, intorno alla “provincia cinese ribelle”.

Nel frattempo, sempre in queste ore notturne, Singapore ha disposto la cancellazione di tutti i voli da e per Taiwan, proprio a causa “della crescente restrizione dello spazio aereo”. E ancora: “La sicurezza del nostro staff e dei passeggeri sono la nostra priorità”, ha dichiarato il portavoce della compagnia aerea Airlines.

Matteo Milanesi, 5 agosto 2022

Delirio a sinistra: la cancel culture fa altre due vittime

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QUINTA COLONNA
L’EGEMONIA CULTURALE POLITICAMENTE CORRETTA HA MESSO ALL’INDICE PURE SHAKESPEARE E JEFFERSON

di Toc Toc

Cercando di offrire una risposta sul perché le rivoluzioni comuniste non si fossero verificate anche nei Paesi industrializzati, Antonio Gramsci elaborò il concetto di egemonia culturale: per creare una rete di capillare diffusione delle idee comuniste, era necessario prendere il controllo di tutti gli strumenti culturali, in primis la scuola, le biblioteche ed i mezzi di comunicazione di massa, figli dell’ideologia dominante capitalista.

Gramsci ideò la distinzione tra dominio e direzione. Secondo il padre fondatore del Pci, il dominio coincideva con il potere governativo, pressoché irraggiungibile per i comunisti a causa della fortissima popolarità dei liberali e dei socialisti, mentre la direzione consisteva nell’imposizione di un’egemonia intellettuale comunista che doveva fungere da collante tra le varie classi sociali del Paese. Se l’auspicio di Gramsci si è dimostrato vincente – soprattutto in Italia, in cui librerie e giornali alzano un coro unico raccontando e descrivendo la politics quotidiana – oggi tutto questo non sembra più sufficiente.

Negli ultimi anni, hanno preso forza due modi di riscrivere e sanificare la grande cultura letteraria: il primo è quello della distruzione di opere e statue – come dimostrato dalle azioni deliranti del gruppo Black Lives Matter. Il secondo consiste nell’adattarle alla nostra epoca, giudicarle secondi i canoni conformistici e morali della nostra attualità. Entrambe, indistintamente, possiamo considerarle due forme diverse di cancel culture, tra i segmenti più influenti dell’ideologia del politicamente corretto.

Come riportato dal Telegraph, anche William Shakespeare e Thomas Jefferson sono caduti vittima della cultura della cancellazione. Non due qualsiasi, ma rispettivamente il più importante poeta inglese ed uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, alla Casa Bianca dal 1801 al 1809. L’opera teatrale shakespeariana in discussione è La Tempesta, una delle ultime del grande drammaturgo, che racconta la storia di Prospero, duca di Milano in esilio, dovutosi rifugiare con la figlia su un’isola incantata dopo il naufragio della barca. Qui, pone in schiavitù l’unico abitante dell’isola, Calibano. Per il Globe Theatre – proprio il teatro londinese in cui recitava la compagnia di Shakespeare – questo è bastato per liquidare la commedia come “razzista” e “colonialista”, definendola pure “problematica”.

Spostandoci dall’altra parte dell’Atlantico, invece, la New York Public Design Commission ha votato all’unanimità per rimuovere la statua di Thomas Jefferson dalla camera di consiglio del municipio della città. E questo perché, quado morì nel 1826, l’ex Presidente possedeva 130 schiavi. Non conta il periodo storico in cui Jefferson o Shakespeare sono vissuti, né i canoni morali dell’epoca, e neanche il contesto in cui i grandi del passato sono cresciuti, conta solamente che le memorie, i monumenti e le pagine di storia siano conformi alla nostra epoca, assurgendoci presuntuosamente a migliore generazione umana mai vissuta, legittimata a decidere ciò che può essere raccontato, tramandato e insegnato.

All’inizio dell’articolo, ricordavamo come l’obiettivo di Gramsci consistesse nell’assumere il controllo dei mezzi di comunicazione. Oggi siamo andati oltre: è necessario, se non doveroso, mettere al bando tutte le testimonianze che siano estranee ai nostri canoni morali, politici e sociali. Anche cercando – perché no – di emarginare tutti coloro che cercano di porsi in contro corrente a questa logica perversante. Non è né uno scherzo né un complotto. Un eccellente articolo di Giulio Meotti sul Foglio ha testimoniato “la vita di alcuni prof alle prese con la cancel culture”, vittime di dimissioni, sit-in davanti a casa e boicottaggi: “Per una frase fraintesa come un commento razzista (la parola spook, il cui primo significato è “fantasma”, ma che in gergo ha anche il senso spregiativo di “negro”), Coleman – professore di lettere antiche ad Athena – non difeso da quella Facoltà di cui era stato la stella, ha dovuto rassegnare le dimissioni.”

Insomma, ieri Gramsci parlava di “forma di controllo”, oggi i progressisti di cancellazione. Chissà se, in un futuro prossimo, si discuterà se configurare un reato nel possesso di alcuni libri o volumi. Intanto, in una società distopica, questa possibilità è già stata straordinariamente raccontata da Ray Bradbury nel romanzo di fantascienza Fahrenheit 451. Guarda caso, l’anno in cui si ambienta è il 2022…

Matteo Milanesi, 28 ottobre 2021

Fonte: https://www.nicolaporro.it/delirio-a-sinistra-la-cancel-culture-fa-altre-due-vittime/