Il 2020 sarà ricordato come l’anno del Covid ma anche della sconfitta del sovranismo? Le due cose non sono estranee l’una all’altra. È arrivato dalla Cina il Drago che ha sconfitto la Strega populista. È stato il coronavirus, a mettere fuori uso Trump. E per tutto l’anno c’è stata la guerra sulla pandemia contro i paesi sovranisti accusati di sottovalutare il virus – la Gran Bretagna di Johnson, il Brasile di Bolsonaro, l’America di Trump, per molti versi la Russia di Putin e l’Italia di Salvini. E il covid, secondo la narrazione ufficiale planetaria, li aveva presi particolarmente di mira.
Contro il virus non si è vista una vincente strategia sanitaria, sono state finora infruttuose la virologia e la medicina e non è stato approvato alcun protocollo per affrontare nei suoi primi livelli la pandemia, se non le misura arcaiche di nascondersi.
In compenso si è fronteggiato il virus sul piano morale, ideologico, attraverso l’etica della mascherina e la virtù del distanziamento sociale. Di conseguenza, si può dire al termine di un anno che ha visto il virus protagonista assoluto sul piano mondiale, che sia nato il covid democratico, rappresentato dai governi progressisti, inclusa la futura amministrazione Biden, che come Obama per la Pace, appena insediato, ha preso il suo Nobel preventivo per la lotta al Covid. Con Trump gli Usa sono arrivati a 300mila morti che in rapporto alla popolazione sono di poco sotto i nostri 64mila (Italia leader europea per vittime).
L’avvento del covid democratico ha spazzato via Trump: lui sarebbe stato rieletto nonostante la guerra mondiale permanente contro di lui, per i grandi risultati conseguiti nel rilancio dell’economia, l’occupazione, l’assenza di guerra, i buoni successi internazionali. Ma il covid, e la sua spavalderia nell’affrontarlo, anzi la sua arroganza, come l’ha chiamata il suo precursore italiano Berlusconi, lo hanno sconfitto. È passato il messaggio che ha identificato negli States la catastrofe della pandemia con la sua leadership. E gli americani per chiudere col covid hanno chiuso con lui.
Ma resta un gigantesco interrogativo che sovrasta come una nuvola sospesa sul mondo: ma con Trump è stato sconfitto e debellato il sovranismo, è finita l’era dei sovranismi? Sconfitto può darsi, debellato troppo presto per dirlo. Anche perché Trump è stato solo un veicolo del populismo sovranista, un collettore, ma non è stato né l’inventore né il titolare unico della sua formula politica. Perché si tratta di un fenomeno mondiale con radici profonde e reali, insorto contemporaneamente in diversi paesi, fiorito in Europa, e già imbrigliato alle ultime elezioni europee, ma non per questo debellato.
Il problema è che i disagi, le proteste, le aspettative che hanno generato il sovranismo sono rimaste tutte in piedi. Si può parlare di interpreti inadeguati, a cominciare da Trump. Si può parlare d’insufficiente capacità di affrontare la realtà e le sue articolazioni, o meglio – in tanti casi – di una grande capacità di raccogliere voti ma senza altrettanta perizia poi nel governare e tradurle in una visione compiuta. Ma si deve soprattutto parlare dell’enorme difficoltà di governare avendo contro l’establishment, la macchina mediatica e giudiziaria, le oligarchie finanziarie e intellettuali, le agenzie d’influenza come la Chiesa di Bergoglio.
Ciònonostante la sconfitta di Trump non è la fine del sovranismo, ma indica la sua necessità di ridefinirsi e ridisegnarsi. Trump aveva fatto una scelta precisa e vistosa: non si era posto come leader globale del sovranismo ma come il presidente degli Stati Uniti che intendeva pensare prima di tutto al suo Paese, non al mondo, tutelarlo dagli attacchi e proteggerlo sul piano economico e commerciale. Di conseguenza la sua influenza sugli altri paesi è stata pressoché inesistente; mai Trump ha preteso di dar vita a un’Internazionale sovranista, ma si è posto in concorrenza commerciale e in antagonismo con la Cina, con l’Asia, con l’Europa. La sua parola d’ordine è stata “dazi”, non certo divulgare il sovranismo. Trump ha opposto il protezionismo alla globalizzazione.
Di conseguenza la sua sconfitta non fa saltare nessuna filiera, nessuna internazionale sovranista. Durante i suoi quattro anni, Trump non ha nemmeno tentato di affrontare la battaglia culturale contro il politically correct sul piano globale; non ha contrapposto un modo di pensare e di vedere alternativo a quello dominante. Si è limitato, ed è già tanto, a difendere l’America reale di sempre, sul piano pratico e giuridico. L’unico tentativo vagamente abbozzato è stato quello di Steve Bannon, ed è stato presto sconfessato da Trump.
Insomma, il sovranismo come variante nazionale e decisionista del populismo, è rimasta ancora una scommessa da giocare. Però dopo Trump deve ridefinire i suoi confini, fare un salto di qualità e di visione, non limitarsi a giocare in difensiva col protezionismo e la chiusura nel primato nazionale.
Quel che manca a questo punto è un audace sovranismo europeo, una specie di gollismo 2.0, riveduto e aggiornato, alternativo rispetto al serpentone atlantico, che si ripresenti come confederazione delle sovranità nazionali. il covid ha confermato un’Europa che procede per ranghi sparsi, tempi sfasati, difese scollate e comunque divergenti, anche quando il problema comune è sanitario e non geopolitico. L’Europa torna ad essere terza forza tra la società americana del politically correct e la dittatura cinese che globalizza prodotti, virus e misure restrittive.
L’anno che sta finendo, uno dei più brutti nella nostra storia e il più brutto per noi contemporanei, dovrebbe essere superato con una nuova visione pubblica, civile e culturale, prima che politica; e con una nuova consapevolezza degli scenari geopolitici. Il nemico non è la Merkel, e nemmeno il pur scarso Macron. Ma è la pandemia ideologica espressa dal cortocircuito cino-americano e dalla loro colonizzazione globale.
MV, Il Borghese dicembre 2020
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