La nuova campagna elettorale di Biden costerà molti aborti

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Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Come già fu per il primo mandato, anche l’eventuale rielezione di Joe Biden potrebbe costare molte vite umane. La sua campagna elettorale ha fatto dell’aborto, infatti, uno dei propri cavalli di battaglia. A colpi di spot, come quello intitolato «These Guys», lanciato lo scorso 1° settembre e programmato per due settimane in sette Stati americani ovvero Arizona, Georgia, Michigan, Pennsylvania, Nevada, Wisconsin e Carolina del Nord.

Forti le critiche giunte in merito dalle associazioni pro-life, che han definito, senza mezzi termini, «estreme» le politiche abortiste promosse da un Biden, che solo a parole ama proclamarsi “cattolico”. Laura Echevarría, portavoce di National Right to Life, ha evidenziato come Biden sia «il presidente più favorevole all’aborto nella storia della nostra nazione», al punto da coinvolgere l’intera amministrazione «per promuovere e proteggere l’aborto illimitato», oltre tutto a spese dei contribuenti.

D’altra parte, la lobby pro-choice negli Stati Uniti può contare su finanziatori potenti. E non si tratta solo della multinazionale dell’aborto, Planned Parenthood, che ovviamente è parte in causa, bensì anche di miliardari pronti a sostenere coi propri soldi la ferale causa. Come l’amministratore delegato della multinazionale Berkshire Hathaway, Warren Buffett, quinto uomo più ricco al mondo: ad un’età (93 anni), in cui bene sarebbe fare i conti con la propria anima, ha deciso invece di sponsorizzare la campagna abortista. Negli ultimi vent’anni ha destinato per questo decine di miliardi di dollari, convinto della necessità di ridurre la popolazione del pianeta, come ha rivelato un dettagliato reportage in due puntate, firmato da Hayden Ludwig per Restoration News. L’agenzia d’informazione InfoCatólica ha riportato anche le dichiarazioni della figlia di Buffett, Susie, che nel 1997 ha specificato come il controllo demografico sia «ciò che mio padre ha sempre ritenuto essere il problema più grande e più importante».

Quest’indagine giornalistica ha permesso di evidenziare come dal 2000 ad oggi Buffett abbia versato almeno 5,3 miliardi di dollari a favore di attivisti ed esecutori di aborti. Dal 2002 avrebbe elargito anche 41 miliardi di dollari a quattro fondazioni, impegnate a promuovere l’aborto all’estero. Assolutamente fittizio e fuorviante, dunque, quanto dichiarato dallo stesso Buffett nel 2003, quando annunciò che le azioni della Berkshire Hathaway non sarebbero più state donate a gruppi abortisti: in realtà, ha spiegato Hayden Ludwig nel proprio reportage, «migliaia di sovvenzioni sono state versate negli ultimi due decenni» dalla Howard G. Buffett Foundation, dalla NoVo Foundation e dalla Susan Thompson Buffett Foundation, tutti organismi gestiti da membri della famiglia Buffett. Da qui sarebbero usciti più di 3 miliardi di dollari, destinati tutti ad organizzazioni dichiaratamente pro-choice quali Planned ParenthoodMarie Stopes International, la National Abortion FederationNaralDKT International e molte altre. Con questi soldi sarebbero stati finanziati aborti non solo negli Stati Uniti, ma anche nel Regno Unito, in Africa ed altrove.

L’ideologia mortifera però si serve anche di altri strumenti, per imporsi come pensiero dominante ovunque, anche cancellando chiunque abbia un’opinione differente. Ed il web in questo torna a distinguersi una volta di più quale veicolo privilegiato dell’incubo orwelliano.YouTube, ad esempio, secondo quanto rivelato dalle agenzie InfoCatólica Zenit, starebbe predisponendo una nuova politica atta a censurare i contenuti pro-life od, in ogni caso, contrari all’aborto ed alle linee-guida dell’Oms in materia (linee-guida, che considerano l’aborto un “diritto umano”), con modalità ancora da definire, ma tali in ogni caso da vanificare i dubbi di quei pochi, che ancora ne nutrissero, circa l’imparzialità dei social media – come anche Meta (o Facebook, che dir si voglia) e Twitter nella moderazione dei contenuti.

 

Soros lascia l’Europa. Ma non è necessariamente un buon segnale…

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Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

L’OSF-Open Society Foundations, fondata, voluta e guidata dal miliardario George Soros, saluta l’Europa. La sua ritirata dal Vecchio Continente è pressoché totale. Una vittoria, come molti hanno ritenuto forse un po’ troppo frettolosamente? Tutt’altro, in realtà rappresenta un’autentica sconfitta. Poiché la decisione sarebbe giunta dopo aver valutato come ormai la maggior parte dei governi e degli organismi istituzionali europei stia già seguendo politiche identiche a quelle sostenute dalla Fondazione e, oltre tutto, investendovi capitali più che adeguati. Inutile quindi insistere oltre, meglio spostare interessi e denaro dove ancora manchino. E questo a partire già dal prossimo anno.

A darne notizia sono state contemporaneamente diverse agenzie d’informazione, come la spagnola InfoCatólica, la francese Médias-Presse-Info e l’italiana LaPresse, nonché quotidiani come l’italiano Domani. I nuovi obiettivi geografici di Soros ancora non sarebbero noti, ma la strategia resterebbe la stessa: sostenere economicamente Ong, think-tank e lobby di vario tipo per promuovere ovunque aborto, gender, Lgbtq+, eutanasia ed, in generale, una visione ultraprogressista della società.

Del resto, l’interesse dei “padroni del mondo” verso le istituzioni più significative e rappresentative a livello planetario non deve sorprendere, non è né un mistero, né una novità: pochi mesi fa, per la precisione lo scorso 23 maggio, secondo quanto riferito sempre da Médias-Presse-Info, l’OMS-Organizzazione Mondiale della Sanità ha firmato un rapporto di partnership con Fondazione Rockefeller, allo scopo di rafforzare, soprattutto – è stato detto – in termini di prevenzione, il Centro di informazione sulle Pandemie e sulle Epidemie. Valore dell’accordo, 5 milioni di dollari. Lo spunto verrebbe offerto insomma da un problema vero, ma per giungere dove? E soprattutto come?

Nel comunicato-stampa, con cui si è data notizia dell’intesa, è stato anche precisato come, in realtà, OMS Fondazione Rockefeller collaborino da ben 75 anni con sovvenzioni, solo negli ultimi vent’anni, pari a circa 27 milioni di dollari. Ancora: nel gennaio 2022 Fondazione Rockefeller, peraltro grande azionista dell’industria farmaceutica,è stata anche ammessa come attore non statale nelle relazioni ufficiali con l’Oms. Sostanzialmente lo stesso modus operandi è riscontrabile in un’altra, analoga realtà, la Bill & Melinda Gates Foundation.E questo pone seri punti interrogativi sulla direzione che enti in ogni caso privati possano imprimere alle politiche di organismi internazionali, di per sé istituzionali, privi di reali esigenze economiche perché sostenuti dai governi ed autorevoli solo nella misura in cui possano essere e dirsi realmente liberi e indipendenti da pressioni esterne di singoli o gruppi.

È evidente come diverso sia lo status di semplice benefattore e quello invece di partner, con la possibilità concreta di incidere in una politica attiva di definizione degli obiettivi e dei progetti su scala internazionale.Tale politica di trasparenza viene purtroppo offuscata da operazioni magari formalmente legittime, tali tuttavia da lasciare più di un dubbio circa la loro effettiva limpidezza. E, ad evidenziarlo, è stato, nemmeno a farlo apposta, un altro big dell’hi-tech, Elon Musk, che lo scorso 15 maggio si è dichiarato pronto ad avviare un’azione legale proprio contro le Ong finanziate da Soros, accusate di diffondere informazioni false, pur di ottenere i propri scopi: in un rapporto, ad esempio, avrebbe denunciato un dubbio aumento nel numero degli «incidenti d’odio», finalizzato in realtà a sostenere limitazioni e censure più severe alla libertà di espressione in Occidente, in particolar modo – nel caso specifico – in Irlanda e Scozia. Che sia vero o meno, saranno eventualmente i tribunali a stabilirlo, ammesso che Musk sia disposto a proseguire in un’accusa, che potrebbe tramutarsi in un boomerang a fronte di sue iniziative, alquanto discutibili e non meno inquietanti, assunte tramite le sue aziende. Del resto, fu Benedetto XVI a distinguere in modo chiaro nell’enciclica Deus Caritas est, ai numeri 30 b e 31a, la sostanziale differenza tra le «molteplici organizzazioni con scopi filantropici, che si impegnano per raggiungere, nei confronti dei problemi sociali e politici esistenti, soluzioni soddisfacenti sotto l’aspetto umanitario» ed, invece, la «carità cristiana», per la quale occorre, sì, «competenza professionale», ma anche e soprattutto «umanità» e «formazione del cuore», capace di condurre i propri operatori «a quell’incontro con Dio in Cristo, che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo sia una conseguenza derivante dalla loro fede, che diventa operante nell’amore». E questa è una cifra, una specificità, un valore aggiunto che né Soros, né Gates, né Musk, né alcun altro magnate dell’alta finanza può vantare, al netto di critiche, sospetti ed accuse.

«Ma il Figlio dell’uomo troverà la fede sulla terra?»

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Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

In Germania la crisi interna alla Chiesa cattolica diviene sempre più acuta ed ormai oltre un terzo dei tedeschi – il 36%, per la precisione – è convinto di uno scisma imminente con Roma: a rivelarlo, è un sondaggio promosso dal settimanale cattolico Die Tagespost. Il 42% degli intervistati non sa e non intende sbilanciarsi, solo il 22% è convinto che, alla fine, tutto sia destinato a rientrare. Le percentuali divengono ancora più drammatiche, qualora si consideri un campione costituito dai soli cattolici: in questo caso, ben il 42% degli intervistati prevede lo scisma, peraltro a breve, il 29% non sa e solo il restante 29% è convinto del lieto fine. Mentre nel Vecchio Continente prosegue quell’«apostasia silenziosa», già chiaramente espressa nel 2003 da Giovanni Paolo II al n. 9 dell’Esortazione apostolica Ecclesia in Europa, altrove, in Africa per la precisione, Nigeria e Kenya risultano essere i due Paesi al mondo con la più alta percentuale di cattolici praticanti. Il che ha dell’incredibile, trattandosi di territori segnati dal sangue del terrorismo islamico con organizzazioni quali Boko Haram nel primo caso e al-Shabaab nel secondo, aree cioè in cui essere e dirsi cristiani non è scontato, né facile, né prudente. Eppure, a confermarlo è l’indagine condotta dal World Values Survey sulla base di dati provenienti da 36 Paesi del mondo.

Tutto indurrebbe a ritenere che nelle terre della jihad sia necessario non ostentare la propria fede, viverla in modo nascosto, per evitare di pagare con la vita tale coraggio. Invece, accade proprio il contrario: nell’Occidente, dove – teoricamente – tutto sarebbe possibile, ci si vergogna non solo di dirsi cattolici, ma ancor più di vivere i valori e le virtù, insegnati dalla Dottrina, dal Magistero e dal diritto naturale; nell’Africa, in cui professare il proprio credo può costare il martirio, si è pronti al sacrificio, pur di non rinunciare e di non rinnegare Dio.

Così, ecco in Nigeria il 94% degli adulti cattolici recarsi alla santa Messa ogni settimana; in Kenya fa altrettanto il 73% dei fedeli, in Libano il 69%. Seguono Filippine (56%), Colombia (54%) e solo al sesto posto si trova il primo Paese europeo, la Polonia, col 52%. E poi ancora Ecuador (50%), Bosnia-Erzegovina (48%), Messico (47%), Nicaragua (45%), Bolivia (42%), Slovacchia (40%), Italia (34%), Perù (33%), Venezuela (30%), Albania (28%), Spagna e Croazia (27%), Nuova Zelanda e Regno Unito (25%), Ungheria e Slovenia (24%), Uruguay (23%), Australia ed Argentina (21%), Portogallo e Repubblica Ceca (20%), Austria e Usa (17%; negli Stati Uniti era il 24% prima del Covid), Lituania (16%), Germania e Canada (14%), Lettonia e Svizzera (11%), Brasile e Francia (8%) e Paesi Bassi (7%). Si può notare come la maggior parte dei Paesi, culla della societas christiana, si trovino nella zona più bassa della classifica, da una parte confermando le previsioni di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI circa il suicidio spirituale dell’Europa, dall’altra contestualizzando meglio la portata e le dimensioni di un eventuale scisma in una Germania, in cui, indipendentemente da esso, la presenza cattolica è già oggi quasi irrilevante e ridotta ai minimi storici. Viceversa gli Stati, caratterizzati da maggiore instabilità sociale, violenza e miseria, sono anche quelli, ove più salda risulta l’appartenenza religiosa degli intervistati. E questo è un dato molto significativo, su cui il cosiddetto Occidente dovrebbe riflettere.

L’indagine individua anche una relazione tra il Pil pro capite e la religiosità di un Paese: maggiore è il primo, minore è la seconda, come se il benessere immanentizzasse il cuore degli uomini, anziché spalancarlo alla dimensione spirituale (non foss’altro che per una doverosa gratitudine nei confronti della Divina Provvidenza). Viceversa il gruppo di nazioni con un Pil pro capite inferiore ai 25 mila dollari registra le percentuali più alte di religiosità dichiarata. Sono dati significativi, perché la dicono lunga non solo con numeri e grafici, bensì con i contenuti, per intuire cosa alberghi nel cuore dell’uomo. Ed allora riecheggia, forte e grave come una condanna, la domanda che Nostro Signore Gesù Cristo pose: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18, 8).

 

La Vita avanza negli Usa ed in Spagna

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Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

La Corte d’Appello federale, negli Stati Uniti, ha bloccato definitivamente le controverse leggi volute su mandato dello stesso presidente americano Joe Biden, per costringere i medici cristiani a praticare gli aborti ed interventi chirurgici di transizione sessuale, contro la propria coscienza ed annullando una norma di segno esattamente opposto varata a suo tempo dall’amministrazione Trump. Ciò – è stato notato dai giudici – viola la legge federale, che tutela la libertà religiosa.

I funzionari del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani vorrebbero obbligare i sanitari di strutture religiose no-profit for-profit ad eseguire operazioni, nonché a porre in atto procedure, consulenze e trattamenti, mirati ad alterare il sesso biologico dei pazienti, nonché ad uccidere i figli nel grembo materno. Vasto il dissenso scoppiato evidentemente tra i sanitari, decisi a fermare tali provvedimenti liberticidi.

A fronte di una vittoria, altri scenari foschi si addensano all’orizzonte, come il tentativo posto in essere dalla Commissione americana per le pari opportunità e per l’Impiego, che, applicando in modo errato il Titolo VII della normativa sulla discriminazione sessuale, vorrebbe obbligare i datori di lavoro di enti religiosi a pagare ai propri dipendenti la copertura assicurativa necessaria per aborti ed interventi di transizione sessuale, ricorrendo anche all’antilingua e quindi rimpiazzando il termine «sesso» con quello, molto diverso, di «genere», come tristemente avvenuto in Europa. Insomma, non essendoci arrivati in un modo, da irriducibili coerenti, cercano di arrivarci nell’altro, ma v’è da auspicare che anche questo ennesimo tentativo venga azzerato.

Intanto, il Consiglio Superiore della Magistratura spagnolo ha messo in guardia: togliere l’obbligo del consenso dei genitori dalla scelta, compiuta da sedicenni e diciassettenni, di abortire – come previsto nel progetto di riforma della legge di merito, presentato dal ministro dell’Uguaglianza Irene Montero, esponente di Podemos – va contro la Costituzione, poiché si scontra con l’obbligo del padre e della madre di svolgere «funzioni inerenti alla potestà genitoriale», come previsto dall’art. 154 del Codice Civile. Della questione, comunque, il Consiglio discuterà in sessione plenaria il prossimo 22 dicembre: il parere dell’organo giudiziario è obbligatorio, ma non vincolante.

Intanto, lo scorso 8 dicembre, nonostante le minacce di azioni legali giunte dalla galassia pro-choice,la Contea di Lea, nel Nuovo Messico, ha approvato all’unanimità un’ordinanza relativa alla costituzione di una «Città-santuario per i non nati». È stata la prima iniziativa del genere negli Stati Uniti, come ricavato da Mark Lee Dickson, direttore di Right to Life of East Texas, ma un’altra sessantina di città ha già fatto altrettanto e molte altre sono pronte a provvedere entro l’inverno. Risoluzioni a favore della vita, benché non formulate quali leggi vincolanti, sono state approvate, inoltre, in Arkansas e nella Carolina del Nord.

A seguito di tale ordinanza, Whole Woman’s Health,catena di cliniche abortiste, ha deciso di non trasferirsi nella Contea di Lea, facendo saltare l’accordo immobiliare raggiunto. Si tenga presente che Whole Woman’s Health è una presenza molto strutturata, già presente in altre zone del Nuovo Messico: assicura l’organizzazione di aborti entro 24 ore e l’invio di pillole abortive per posta. Se questa volta ha rinunciato, è perché evidentemente ha intuito non esservi a Lea l’humus adatto per insediarsi. Da quando il Texas, con la legge sul battito cardiaco, ha limitato l’accesso all’aborto, l’industria pro-choice ha dirottato la propria utenza verso le città di confine del Nuovo Messico – come Lea per l’appunto -, potendo in questo Stato uccidere i figli in grembo senza particolari restrizioni. Ma l’iniziativa delle «Città-santuario per i non nati» sposta di nuovo l’attenzione verso la vita e, di conseguenza, verso le responsabilità intrinseche di chi la voglia spegnere. Sarebbe bello che tale iniziativa potesse essere assunta anche all’estero, magari anche in Italia.

Si scrive «affidamento», si legge «adozione»

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Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Strana realtà, Bergamo: da una parte è la terra, che vanta 22 santi, 9 beati e 11 Servi di Dio; dall’altra è la città, che trasforma il suo Pride arcobaleno in un comizio della Sinistra in giorno di silenzio pre-elettorale e che trasforma la Fondazione Donizetti in uno strumento di diffusione della propaganda gender. Così pure il suo sindaco, Giorgio Gori: sulla stampa è riuscito a proclamarsi ad un tempo «credente» e fautore del suicidio assistito, anticamera dell’eutanasia, calpestando il Catechismo della Chiesa cattolica, come già ha fatto, del resto, sposando la causa Lgbtqia+ ed in molte altre occasioni, tanto nella vita pubblica quanto in quella privata.

Ed ancora, una volta di più, Bergamo non cessa di stupire, come si rileva dall’interpellanza a risposta scritta, presentata lo scorso 21 luglio dal consigliere comunale di Fratelli d’Italia, Filippo Bianchi, prendendo spunto dalla decisione del Centro Affidi familiari municipale di affidare una neonata ad una “coppia omogenitoriale” ovvero composta da due uomini di Carobbio degli Angeli, nemmeno “uniti” civilmente, decisione subito accolta da grande consenso mediatico.

«È in gioco il diritto della bambina a crescere all’interno di una famiglia naturale, l’unica tra l’altro riconosciuta anche dal nostro ordinamento giuridico», si legge nell’interpellanza del consigliere Bianchi, che evidenzia come «le scienze umane e neurologiche la garantiscano come la più idonea, nell’esclusivo interesse del minore. Come confermato dalla natura, dalla nostra civiltà e dall’abbondante letteratura scientifica in materia, la conoscenza del sé, corporeo e psichico, richiede il confronto diretto, costante, stringente e solidale con le figure, che “incarnano” la similarità e la differenza sessuale, fisica e cognitiva, del bambino (maschio e femmina) ed attraverso cui “impara” la complementarietà, sessuale e sociale, di tali differenze». Del resto, «quando in gioco c’è lo sviluppo e la crescita di un bambino, almeno sul piano del “principio di precauzione” – giuridicamente riconosciuto e stabilito a livello internazionale, proprio nella prospettiva della “salute” della biosfera, di cui l’uomo è figura centrale – è certamente necessario che questi sia affidato ad una coppia eterosessuale e stabile». Si noti come un documento del consiglio dell’American College of Pediatricians, pubblicato sulla rivista Pediatrics, contesti esplicitamente la cosiddetta “omogenitorialità”: «Troviamo questa posizione insostenibile e, se attuata, gravemente dannosa per i bambini e la famiglia».

Da qui la richiesta, mossa all’assessore municipale ai Servizi Sociali orobico, di sapere per quali motivi il Centro Affidi familiari del Comune abbia viceversa scelto di affidare la neonata ad una coppia «composta da due uomini, ledendo i diritti del minore». Sui media l’assessore Marcella Messina ha già dichiarato: «Abbiamo fatto ciò che la legge italiana prevede, avendo a cuore innanzi tutto l’interesse del minore e verificando che la coppia affidataria rispondesse ai criteri di idoneità richiesti». Emerge la prospettiva che, in realtà, tutta questa storia, presentata dai media con sentimentalismo strappalacrime, possa rappresentare l’ennesimo grimaldello, con cui cercare di forzare l’impianto giuridico italiano, in merito alquanto complesso. Affermano su BergamoNews i due “partner affidatari: «Siamo stati giudicati idonei come genitori affidatari. Idonei a fare un servizio allo Stato. Però di fronte all’eventualità dell’adozione, improvvisamente per la legge non andiamo più bene. È strano, no? Eppure siamo sempre noi due»…Dunque, si scrive affidamento e si legge adozione. Non v’è infatti in Italia una legge, che ammetta esplicitamente l’adozione da parte delle coppie omosessuali, specie per quelle non “unite” civilmente, v’è invece un pronunciamento, emesso nel 2016 dalla Corte di Cassazione, che ha riconosciuto anche ciò che la norma non prevede ancora. Ecco allora qualcosa di concreto cui puntare, ecco un obiettivo appetibile nell’escalation gender: fare in modo che l’istituto dell’adozione per una “coppia” gay Lgbt venga regolato e codificato espressamente da una normativa vera e propria, per rafforzarlo e renderlo incontestabile. L’operazione potrebbe svolgersi secondo modalità già poste in essere altrove: prima il caso umano, poi il clamore mediatico, infine l’invocazione a gran voce di una legge, magari con tanto di referendum, grazie anche ad una letteratura “scientifica” viziata in origine: «La letteratura legale in materia di genitorialità omosessuale è estremamente unilaterale – denuncia il prof. Lynn Wardle dell’Università dell’Illinois –. È principalmente letteratura militante, che promuove la legalizzazione della genitorialità omosessuale. C’è un evidente tabù all’interno della nostra professione che vieta la stesura o la pubblicazione di articoli, che si oppongano o critichino il matrimonio omosessuale o la genitorialità omosessuale. La letteratura delle scienze sociali, citata a sostegno della tesi secondo cui la genitorialità omosessuale non è significativamente dannosa per i bambini, non è affidabile. Vizi e difetti metodologici di analisi abbondano nelle ricerche. La ricerca è viziata in modo significativo da un pregiudizio a favore della genitorialità omosessuale. Nonostante i commenti favorevoli sui dati, alcune ricerche suggeriscono che ci sono alcuni gravi danni potenziali per bambini cresciuti da genitori omosessuali». Discorso, questo, su cui convergono e con cui concordano molti autorevoli studi. E che mostra come l’intera architettura ideologica dell’“adozione per tutti”, costruita ad arte, non sia fondata su basi certe ed incontrovertibili, pur affermando d’agire, naturalmente, nell’«interesse del minore»…

Dopo Bergamo Pride, l’“Opera” Lgbtqia+ da 500 mila euro

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QUINTA COLONNA

Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Ancora non s’è spenta l’eco delle polemiche conseguenti al Bergamo Pride, “celebrato” con tanto di sigle di partito (tutte di Sinistra) presenti tra i promotori, nel corteo e sul palco, peraltro infischiandosene e calpestando il silenzio pre-elettorale, che già l’universo Lgbtqia+ torna alla carica e continua a far parlare di sé nel capoluogo orobico e sulla stampa.

Da L’Eco di Bergamo dello scorso 17 giugno, infatti, si è appreso delle fratture interne al consiglio d’amministrazione della Fondazione Teatro Donizetti dopo la proposta del direttore artistico del Festival Donizetti Opera, Francesco Micheli, di realizzare un’opera lirica dedicata a Raffaella Carrà. Le divisioni verterebbero sui costi, particolarmente importanti, e sul taglio «sfidante e innovativo» – ma meglio sarebbe dire forzosamente provocatorio –, che si vorrebbe dare a questo lavoro, totalmente slegato dal contesto del Donizetti Opera e dalla tradizione e identità bergamasca, proprio nell’anno in cui – oltre tutto – la città, assieme a Brescia, viene chiamata ad essere capitale italiana della cultura.

«L’amministrazione comunale di Bergamo continua incessantemente nella sua opera rivoluzionaria – afferma in merito il consigliere comunale Filippo Bianchi di Fratelli d’Italia – all’insegna della propagazione dell’ideologia gender. Dalla Sinistra non viene portato nessun rispetto per il grande compositore bergamasco Gaetano Donizetti, poiché anche l’autorevole fondazione, che porta il suo nome, viene utilizzata, senza alcun ritegno» per tale scopo «con grande dispendio di risorse pubbliche». E prosegue: «La cittadinanza bergamasca è nauseata dalle continue imposizioni subite, secondo la volontà dell’agenda delle minoranze arcobaleno, che lottano per scardinare l’ordine naturale dalla società, introducendo il liberticida ddl Zan, l’aberrante pratica dell’utero in affitto, l’ideologia gender nelle scuole e sostituendo le vocali con gli asterischi». Ma non è tutto: «La Fondazione Teatro Donizetti – dice Bianchi – negli ultimi anni è divenuta, attraverso la Direzione artistica e la Donizetti web tv, uno strumento per veicolare la propaganda gender nella società. I bergamaschi sono stanchi di tutto questo, pretendono una Direzione artistica della Fondazione Teatro Donizetti in armonia con il tessuto sociale e spettacoli, che non trattino unicamente di ideologia gender. Inoltre, la cittadinanza si sta da tempo domandando, se la Fondazione Teatro Donizetti offra ruoli artistici di rilievo anche a chi sia eterosessuale, senza discriminazioni, o se solo personaggi del mondo arcobaleno, come testimonial del Bergamo Pride o espressione del sito web Gay.it, possano ambire a tali ruoli».

Il Corriere di Bergamo ha fornito intanto ulteriori dettagli sullo spettacolo ipotizzato, dettagli sconvolgenti: il budget previsto è di circa 500 mila euro per l’opera, che dovrebbe essere dedicata «alle conquiste di genere» e che dovrebbe prevedere la partecipazione del gruppo musicale «La Rappresentante di Lista», esponente del genere «queer pop» o della «queer music», come ribadito in numerose interviste. Nel n. 8 del 2021 di Vanity Fair Dario Mangiaracina, fondatore del gruppo assieme a Veronica Lucchesi, ha dichiarato che il loro duo si sente portatore di un’identità «fluida, perché la sessualità non ha confini. Ma son servite le definizioni, le lotte per i diritti, per poter affermare, come faccio io, di non volere essere “fissato” in uno schema di genere». Secondo loro, «ogni lotta è collegata. Non si può essere femministi, senza essere antispecisti, senza essere antifascisti». Ed ecco che ritornano i soliti luoghi comuni, in particolare quell’antispecismo, che ha originato il transumanesimo e che tutela il koala più dell’embrione umano.

Secondo il quotidiano online Prima Bergamo, Giorgio Berta, presidente del cda della Fondazione Donizetti, avrebbe congelato la proposta. Al momento, non vi sarebbero certezze circa l’entità dei fondi pubblici destinati a coprire la colossale cifra pretesa. Intanto, però, la temperatura politica è immediatamente tornata rovente. Il consigliere comunale Bianchi ha inviato un’interpellanza a risposta scritta, in cui specifica come, tra l’altro, «il gruppo musicale La Rappresentante di Lista si sia politicamente speso facendo pubblicare una lettera sul quotidiano La Stampa in favore del ddl Zan, richiedendone la calendarizzazione in Parlamento». Tutto considerato, chiede se si intenda esplicitamente dare «un taglio conforme all’ideologia gender» allo spettacolo ipotizzato a Bergamo, città il cui legame e quello della Fondazione Donizetti con Raffaella Carrà resta poi tutto da spiegare. Il consigliere Bianchi chiede, tra l’altro, chi siano gli altri artisti immaginati e quali i loro compensi, quali altri teatri italiani prevedano la messa in scena e «se sia confermata la notizia che il Presidente del Consiglio d’amministrazione della Fondazione Teatro Donizetti, Giorgio Berta, intenda prudentemente congelare o archiviare tale progetto, dispendioso oltre misura ed ideologico», tale oltre tutto da non avere «nulla a che vedere con la tradizione e l’identità bergamasca».Insomma, Gay Pride ovunque, concerti, spot, artisti, film, telefilm, persino cartoni animati: il pressing della sfera Lgbtqia+ è continuo, insistente, provocatorio, martellante, prepotente, numericamente ridotto, ma deciso a far la voce grossa almeno finché chi la pensi diversamente non si arrenda e non se ne stia zitto. Ed è forte il sospetto che la totale assenza di rispetto più volte emersa contro la Chiesa cattolica dipenda da quel numero del Catechismo, il 2357, in cui le relazioni omosessuali vengono definite come «gravi depravazioni» ed «atti intrinsecamente disordinati», peraltro «contrari alla legge naturale», cioè tali da non poter essere «in nessun caso approvati». «Depravare», vocabolario alla mano, significa «corrompere moralmente, pervertire», con buona pace di quei sacerdoti e di quei vescovi, che ritengono che a far problema durante i Gay Pride siano solo le immagini blasfeme e non invece, come in effetti è in ambito cattolico, proprio i cortei in quanto tali.

Lgbt senza più freni, “arruolato” anche Babbo Natale

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di Mauro Faverzani

Niente da fare, l’ideologia gender è ormai eretta a sistema mondiale e da ogni fessura entra nelle nostre case, con la pretesa d’imporsi ovunque. Non v’è bocciatura politica che tenga: ddl Zan o meno, par rientrare dalla finestra quanto uscito dalla porta. A volte complice proprio la politica, com’è accaduto in Nuova Zelanda, dove, dopo il via libera giunto dalla Commissione parlamentare speciale sulla governance e sull’amministrazione, è giunto ad approvazione un disegno di legge, per rendere “neutra” o, per meglio dire, per cancellare di fatto l’indicazione del sesso dai certificati di nascita oppure per consentire di cambiarla anche ripetutamente, una volta raggiunta la maggiore età. Tutto questo, come dichiara la Commissione speciale, per far capire come «il genere possa essere fluido». L’importante, quando si cambi sesso, è non pretendere poi di tornare indietro, poiché tale scelta potrebbe sembrare cisgender, propria cioè di coloro per i quali identità e sesso biologico coincidano, il che rappresenterebbe un dietrofront assolutamente intollerabile, politicamente scorrettissimo, quindi controproducente per la galassia Lgbt. Il provvedimento del governo neozelandese coltiva l’ambiziosa illusione, invece, di cancellare la realtà, senza speranze, in concreto, di riuscirvi.

Sulla stessa falsariga anche le nuove linee-guida assunte dal Comitato Olimpico Internazionale, per consentire la partecipazione senza vincoli degli atleti transgender alle competizioni femminili. Abolite tutte le regole sui livelli ormonali, perché giudicate «medicalmente inutili», la decisione prevede dunque zero restrizioni, imponendo un’evidente discriminazione nei confronti delle donne, che difficilmente potranno raggiungere le stesse prestazioni sportive dei loro colleghi uomini, trans o meno che siano. Ma l’entusiasmo sopra le righe, con cui media e sigle Lgbt hanno accolto il provvedimento, toglie ogni dubbio circa la matrice ideologica dell’intera faccenda.

A proposito di media¸ è giunta in questi giorni in tutte le case norvegesi l’improponibile, vergognosa pubblicità di Posten, il servizio postale nazionale, che non ha trovato di meglio, per promuovere i propri servizi, d’inventarsi uno spot con un Babbo Natale Lgbt, propostosi quale dono al suo partner, aitante cinquantenne di nome Harry. Il video si conclude con un appassionato bacio tra i due, dinanzi all’albero addobbato. Immediate le proteste su web e social per l’icona natalizia ideologizzata tanto maldestramente, da lasciare tutti senza parole, bimbi compresi. Ma in questo messaggio v’è di più e v’è di peggio: nell’immaginario collettivo di ogni angolo del pianeta, qualsiasi versione del tradizionale “Babbo Natale” fa riferimento, in realtà, ad un personaggio storico, san Nicola, ch’era vescovo, vescovo di Myra per la precisione, oggi Demre, in Turchia. Fu considerato protettore dei bambini, in quanto, secondo la tradizione, ritrovò e riportò in vita tre fanciulli, ch’erano stati rapiti e uccisi da un oste. Lo stesso nome Santa Claus deriva da Sinterklaas, versione olandese di san Nicola. Imporre il marchio Lgbt, quindi, su di una figura così, ben sapendo come la pratica omosessuale sia assolutamente vietata dalla Dottrina della Chiesa, significa voler attaccare direttamente la fede cattolica e ferire la sensibilità di milioni di fedeli. Peccato che nessuno, questo, lo abbia fatto notare.

In questo arcipelago di pessime notizie, l’unica buona giunge, una volta tanto, dalla Francia: il tribunale di Parigi ha assolto Jean-Pierre Maugendre, caporedattore di Renaissance catholique,dall’accusa di incitamento alla discriminazione, formulata dall’associazione «Stop all’omofobia»,per aver pubblicato nel giugno 2019 un articolo contrario alle unioni Lgbt, articolo firmato dai cardinali Raymond Leo Burke e Janis Pujats, nonché dagli arcivescovi Tomash Peta, Jan Pawel e dal vescovo Athanasius Schneider. Il passo incriminato altro non era che un commento al pronunciamento della Congregazione per la Dottrina della Fede, risalente al 3 giugno 2003 sull’insegnamento della Chiesa cattolica a proposito del riconoscimento civile delle coppie omosessuali. In particolare, nel mirino degli attivisti Lgbt, era finito il seguente passaggio: «Le autorità non devono legalizzare tra persone dello stesso sesso le unioni civili, che imitino apertamente il patto nuziale, poiché, quand’anche non si chiamino matrimonio, fomentano in loro il peccato grave e provocano tra gli altri grave scandalo».

Secondo quanto riportato dalla rivista cattolica Famille chrétienne, il tribunale parigino ha chiarito come l’insegnamento della Chiesa non sia illegale – contrariamente a quanto ritenuto dai querelanti, che speravano proprio per questo in una condanna, che facesse scuola – ed ha anzi precisato come sia compito precipuo di vescovi e cardinali ribadire la Dottrina tradizionale: ciò non rappresenta un’incitazione a chicchessia, rientra anzi nella tutela della libertà di parola e d’espressione. Checché ne pensino i querelanti. Da qui, l’assoluzione di Maugendre.

L’ideologia gender,insomma, imperversa con ogni mezzo ed in ogni modo, indipendentemente dal fatto che il sistema politico la segua o meno. Ma il caso di Renaissance catholique mostra che la partita è ancora aperta, laddove vi siano persone disposte a combattere per le proprie idee e per i propri ideali.

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La vita perde, se si perde la fede

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Segnalazione di Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Merita una riflessione la dura condanna espressa lo scorso 11 novembre dall’Europarlamento contro la sentenza con cui la Corte Costituzionale polacca un anno fa vietò l’aborto in caso di malformazioni fetali, limitandolo ai casi di stupro, incesto e grave rischio per la salute della madre.

Innanzi tutto, val la pena partire dai dati. Ed i dati parlano di 300 bambini salvati in un anno in Polonia, grazie a questo verdetto, dalla morte certa loro altrimenti inflitta dall’aborto. All’Europarlamento dispiace forse che questi piccoli, futuri cittadini europei, siano vivi? Altra valutazione: la sentenza a morte per questi bimbi sarebbe stata pronunciata solo in quanto malformati. Ma la Corte Costituzionale polacca ha stabilito ch’essi hanno i medesimi diritti di tutti gli altri, compreso quindi il diritto di nascere, il diritto alla vita. All’Europarlamento dispiace forse che non si applichino discriminazioni eugenetiche?

Secondo quanto riportato dall’agenzia InfoCatólica,la condanna dell’Europarlamento ancora una volta ha avuto il voto in massa anche degli esponenti del Partito Popolare europeo. Si può sapere cos’abbia ormai a che fare questo Ppe col proprio programma, con la propria carta dei valori, pubblicata online? Leggiamola. In essa si dice di voler puntare sulla «dignità umana». Stroncare la vita di creature indifese nel grembo materno corrisponde davvero alla tutela della loro «dignità umana»? In essa si dice di voler puntare sull’«uguaglianza». Votare un testo, in cui si chiede che vengano abortiti i bimbi malformati, corrisponde davvero a volerli considerare «uguali» agli altri? In essa si dice di voler riconoscere «i valori giudaico-cristiani come fondamento». Promuovere l’aborto corrisponde davvero a tali valori ed alla Dottrina della Chiesa? Ovviamente a tutte queste domande la risposta è «no». Ed allora v’è da chiedersi se sia onesto mentire con sé stessi e con gli elettori, mistificare la realtà, illudere chi vota di sostenere un gruppo in linea con la morale cristiana, ma, in realtà, di essa nemico. Una condotta imbarazzante, mortificante, vergognosa.

L’attacco alla vita è stato sferrato anche nello Stato del Vermont, negli Usa, dove una nuova legge, appena entrata in vigore, ha imposto che in tutte le scuole medie e superiori pubbliche vengano distribuiti i preservativi, forniti gratuitamente dalla multinazionale dell’aborto Planned Parenthood, a tutti gli studenti dai 12 anni in su, che ne facciano richiesta, anche contro il parere dei loro genitori. La normativa, firmata dal governatore Phil Scott, repubblicano pro-choice, definisce questo un «diritto» degli studenti, benché implichi, come tragico costo sociale, un inevitabile aumento del tasso abortivo presso la popolazione scolastica.

La persecuzione contro la vita si è ormai scatenata però anche in Spagna, dove il governo socialcomunista intende introdurre una riforma nel codice penale con l’art. 172 quater, che prevede il carcere da tre mesi ad un anno per quanti si riuniscano pacificamente davanti alle cliniche abortiste, organizzando veglie o momenti di preghiera. Le accuse nei loro confronti sono quelle di «atti persecutori», «molestie», nonché quella di ostacolare i «diritti sessuali e riproduttivi» delle donne. L’iter parlamentare del disegno di legge, che ha già affossato alla Camera due emendamenti presentati dai Popolari e da Vox, prosegue ora senza più ostacoli: «Questa iniziativa andrà avanti, chiunque si pari dinanzi ad essa», ha sentenziato perentoria la deputata socialista Laura Verja, dimostrando uno strano concetto di “democrazia”.

Ora, anche qui val la pena condurre una riflessione. La china anticristiana intrapresa dalla Spagna è iniziata al convergere di tre fattori. Il primo fattore riguarda la presa di potere da parte dei socialcomunisti, atei e secolarizzati, accelerata dalla contemporanea ignavia morale e politica dei Popolari. Il secondo fattore riguarda una presenza cattolica ridotta sempre più al lumicino in Spagna, tanto da aver toccato il proprio minimo storico assoluto, secondo quanto riportato nell’ultimo rapporto del Cis, il Centro di Indagini Sociologiche iberico. Ora i fedeli sono il 57,4% della popolazione ovvero ben l’1,8% in meno dell’anno scorso. I praticanti sarebbero però solo il 13,8%, quindi meno di quanti si proclamano atei, pari al 14,6%.

Quando mancano la fede e la fiducia nel futuro, le conseguenze sono pesanti. Non a caso, secondo l’Istituto nazionale di Statistica, sempre in Spagna si registra il più alto tasso di suicidi della storia – ed è questo il terzo fattore -: + 7,4% dall’inizio della pandemia (lo scorso agosto addirittura + 34% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente), in valore assoluto ben 3.941 casi, in media 11 al giorno. Tra questi, 2.930 sono gli uomini e 1.011 le donne. Ciò ha reso il suicidio negli uomini la prima causa di morte non dovuta a cause naturali, nelle donne e nei giovani la seconda. Su questi dati certamente ha inciso, dal punto di vista sanitario, la pandemia. Ma, trattandosi di un trend da tempo in crescita, questa non può essere l’unica risposta. La realtà è che in una società, in cui manchino fede, fiducia nel futuro, speranza e libertà, ai più fragili il suicidio può sembrare l’unica via di fuga possibile. È questo l’avvenire, che vogliamo per la nostra società, per noi e per i nostri figli?

Il tremendo virus della Cristianofobia

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La cristianofobia dilaga ormai ad ogni latitudine e le cronache confermano un dato in progressivo peggioramento (Usa, Spagna, Nigeria, India, ecc.)
di Mauro Faverzani

Non solo Covid-19… Dall’anno scorso c’è un altro virus, che serpeggia nel mondo intero, non meno temibile: è quello della persecuzione contro i cristiani. Dilaga ormai ad ogni latitudine e le cronache confermano un dato in progressivo peggioramento. Dal maggio 2020, la Conferenza episcopale statunitense ha contato 95 nuovi attacchi a chiese o fedeli in tutto il Paese: incendi, statue di santi decapitate, intimidazioni con armi da fuoco, è capitato di tutto. Gesti assurdi, sferrati con odio e furia incontrollata. Tanto da spingere l’episcopato americano a diffondere una lettera lo scorso primo giugno, per chiedere una rivalutazione del bilancio della Fema,l’Agenzia federale per la gestione delle emergenze, rivalutazione che tenga conto di un sostegno anche economico, per mettere in sicurezza i luoghi di culto da quest’esplosione di violenza contro la fede: «In questo momento di crescente estremismo e di opposizione a vari gruppi religiosi ed alla religione in quanto tale, incoraggiamo il Congresso ad aumentare il budget totale per il programma di sicurezza a 360 milioni di dollari per il 2022» contro i 180 del 2021, rivelatisi assolutamente insufficienti per far fronte alle 3 mila richieste pervenute.

LA SITUAZIONE IN OCCIDENTE
Qualche esempio? Nel luglio dell’anno scorso, poco prima della S. Messa feriale, un uomo ha diretto il suo minivan contro il santuario intitolato alla Regina della Pace, in Florida. Dopo lo schianto ha cercato di dar fuoco al mezzo, poi si è dato alla fuga, ma è stato individuato ed arrestato. Nel marzo scorso, invece, in Missouri, la Madre badessa del monastero benedettino intitolato a Maria Regina degli Apostoli ha trovato due proiettili conficcati nel muro della sua cella. Nel periodo precedente altri colpi erano già stati sparati contro l’edificio. Il Cancelliere della Diocesi di Brooklyn, Padre Anthony Hernandez, ha espresso chiaramente la sua preoccupazione a fronte di tali eventi: «Siamo davvero preoccupati – ha detto – di questa tendenza emergente ai crimini d’odio contro i cattolici».
L’anticlericalismo però dilaga anche in Europa ed, in particolare, in quella che fu la cattolicissima Spagna, dove ancora una volta il governo socialcomunista si dedica ad un nuovo attacco contro la Chiesa. In un proprio comunicato, la lista di estrema sinistra Unidos Podemos ha chiesto all’esecutivo di annullare tutti gli accordi in essere tra lo Stato e la Santa Sede e di abolire i relativi benefici fiscali concessi, considerati come un’«anomalia democratica», di eliminare l’insegnamento della religione dalla Scuola, di recuperare il patrimonio immatricolato dalla Chiesa e di promuovere indagini suppletive circa gli abusi sessuali commessi dal clero. Il tutto, per assicurare così laicismo ed aconfessionalità alle istituzioni, ritenendo che il Concordato di Franco, firmato nel 1953, in realtà non sia mai stato abrogato, dimenticando però come, in ogni caso, nel gennaio 1979 Spagna e Santa Sede abbiano firmato i nuovi accordi, abrogando quelli precedenti. Richieste, dunque, quelle avanzate, totalmente infondate e folli, come si evince anche dalle parole espresse in proposito dai deputati di Podemos Javier Sánchez Serna e Martina Velarde: «La Chiesa cattolica – hanno detto – continua a godere di scandalosi privilegi, che violano la Costituzione spagnola. La gerarchia cattolica riceve ogni anno 11 miliardi di euro dalle casse pubbliche, tuttavia è esente dal pagamento di tasse come l’Ibi. Il paradiso dei vescovi non è in cielo, è un paradiso fiscale ed è in Spagna».
L’aggressione della Sinistra alla Chiesa qui è talmente grave da spingere Sofía Ruiz del Cueto, vicepresidente della programmazione e della produzione della sezione spagnola del network televisivo cattolico EWTN, a dedicare all’«evangelizzazione della Spagna» la veglia di adorazione, trasmessa in diretta domenica scorsa e rilanciata da EWTN Usa News, realizzando quanto chiesto dalla Madonna ovvero pregare: «L’evangelizzazione della Spagna – ha dichiarato Ruiz del Cueto – ovvero della nazione che ha evangelizzato il mondo è un evento con ripercussioni mondiali». C’è da sperarlo, poiché il bisogno e l’urgenza sono evidenti.

LA SITUAZIONE IN AFRICA
Intanto, però, le cronache riservano nuove sofferenze e nuovi dolori, anche guardando all’Africa, in Nigeria nello specifico, dove lo scorso 11 ottobre un gruppo di uomini armati ha assaltato il seminario di Cristo Re a Fayat, nella diocesi di Kafanchan, aprendo il fuoco ed invadendo i locali. I 130 studenti in quel momento erano riuniti per la S. Messa del mattino: sei di loro sono rimasti feriti, tre del quarto anno di Teologia sono stati sequestrati ma rilasciati due giorni dopo.
La situazione qui è davvero pesante: la Chiesa ha pubblicamente denunciato come i cattolici, in Nigeria, siano vittime non di banali “scontri” per questioni terriere, bensì di un vero e proprio processo di pulizia etnica e religiosa ad opera degli islamici Fulani con la complicità dello Stato. Il vescovo di Makurdi, mons. Wilfred Anagbe, è stato chiarissimo: «Questa è una guerra religiosa – ha detto -. Hanno un’agenda, che è l’islamizzazione del Paese. E lo stanno facendo, eliminando accuratamente tutti i cristiani ed occupando i loro territori», ammazzando e bruciando case. Le cifre ufficiali parlano di 3 mila morti finora, ma chi è sul campo stima le vittime in almeno 36 mila, oltre a molti sfollati ed indigenti. Molte ong hanno già abbandonato le zone a rischio, a restare è solo la Chiesa, segno di speranza e strumento operativo per far arrivare gli aiuti a quanti si trovino in difficoltà. Come è stato rilevato da Johan Viljoen, direttore del Denis Hurley Peace Institute in Sudafrica, quella in corso è un’«occupazione concertata e ben pianificata. Non credo che l’esercito stia cercando di risolvere qualcosa. Semmai cerca d’incoraggiare» tale triste fenomeno, dato che, dopo anni di violenza, «non un solo Fulani è stato processato». Del resto, la riluttanza delle forze armate ad intervenire discende direttamente dal coinvolgimento diretto dello Stato ad alti livelli in questa sconcertante epurazione di massa. Mons. Anagbe osserva come «tutti i capi militari della marina, dell’aviazione e della polizia siano musulmani». Padre Joseph Fidelis della diocesi di Maiduguri ribadisce: «Non è uno scontro, è un lento genocidio. Costringere le persone a lasciare le loro terre, privarle dei mezzi di sussistenza e massacrarle, ebbene questa è una forma di genocidio». Da qui l’appello all’Occidente, chiedendo preghiere ed aiuti. Ma l’Occidente, troppo preda di un suicidio collettivo chiamato aborto, eutanasia, suicidio assistito e dintorni, è purtroppo sordo ai richiami che giungono da fratelli nella fede, che dall’altra parte del globo chiedono soccorso.
Anche l’India piange gli attacchi dei fondamentalisti indù contro i cristiani: solo nello scorso 3 ottobre si sono registrati almeno 13 episodi di violenza e minacce contro le comunità di Uttarakhand, Haryana, Uttar Pradesh, Chhattisgarh, Madhya Pradesh e Nuova Delhi, la capitale. Urlando slogan inneggianti al dio indù Ram, gli estremisti del Sangh Parivar hanno aggredito i fedeli riuniti in preghiera e distrutto i luoghi di culto, oltre ad aver lanciato false accuse di conversioni forzate a danno dei sacerdoti. Secondo Padre Cedric Prakash, gesuita, «la violenza è in aumento».
America, Europa, Africa ed Asia: in pochi minuti abbiamo fatto il giro del mondo. Ma è un mondo in preda alla follia, alla violenza, all’integralismo, un mondo che pare aver deciso che per i cristiani non v’è posto…

Titolo originale: Usa, Spagna, Nigeria, India, qui scorre sangue cattolico
Fonte: Corrispondenza Romana, 20 ottobre 2021

Tutti contro la vita e la famiglia in USA, Italia e UE

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Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Partiamo da un dato di fatto. Un tragico dato di fatto. Gli aborti negli Stati Uniti, nel corso del 2019, sono aumentati del 2,3% rispetto all’anno precedente. Lo rivela un rapporto, messo a punto dal Charlotte Lozier Pro-Life Institute. Mostra le statistiche di 39 Stati americani: benché manchino i dati relativi agli ultimi 11, i numeri indicano purtroppo una tendenza costante al rialzo non solo rispetto al 2018, bensì anche rispetto al 2017. Il tasso abortivo è aumentato in 21 dei 39 Stati analizzati, soprattutto in Illinois, Georgia, Texas e Florida, e sceso in 17, in primis Missouri, Tennessee e West Virginia. Le leggi più permissive in materia, varate a partire dal 2018, non fanno ben sperare e preparano percentuali ancora più pesanti in termini di vite spezzate nel grembo materno. Per non parlare degli aborti chimici, anch’essi in crescita, del 41% nel 2018 e del 44% nel 2019, cifre che con la pandemia non possono ch’essere peggiorate.

Anche per questo, mons. Salvatore Cordileone, arcivescovo metropolita di San Francisco, in un articolo apparso lo scorso 5 settembre su The Washington Post, ha chiesto di affrontare con urgenza la questione della scomunica ai fautori dell’aborto ovvero di «un grande male morale», tra cui colloca anche i politici espressisi contro la recente legge pro-life varata in Texas, come il presidente Biden e la presidente della Camera, Nancy Pelosi, entrambi professantisi “cattolici” a parole, ma non nei fatti. Mons. Cordileone ha fatto notare come proprio il Texas abbia investito 100 milioni di dollari per finanziare centri di gravidanza, agenzie di adozione e case di maternità, fornendo oltre tutto consulenze gratuite a chiunque desideri avere figli, aiuti alla genitorialità e formazione al lavoro, per garantire alle giovani coppie un reddito adeguato ai costi di una famiglia: «La risposta alle gravidanze in crisi non è la violenza, ma l’amore, sia per la madre che per il bambino», ha detto il prelato.

Mentre negli Stati Uniti si combatte un’appassionata battaglia per la vita, il sistema mediatico prosegue la propria tenace campagna sul fronte opposto, come ha confermato il Leone d’oro assegnato a Venezia al film francese L’événement, in cui la parte dell’eroina viene impersonata da una giovane che ha abortito, preferendo la carriera alla gravidanza. La pellicola si svolge nella Francia d’inizi Anni Sessanta, quando l’aborto era ancora illegale, senza che ciò però abbia fermato quella donna, quella madre, plaudita nel film per la sua scelta, uccidendo in modo clandestino la creatura vivente nel suo grembo, come se in ciò vi fosse chissà quale affermazione di diritti o chissà quale nobiltà morale anziché una pretesa meramente opportunistica costata la vita di suo figlio. Che merito c’è in questo? Invece ecco la 78° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia esaltare, sostenere e promuovere le gesta della protagonista. Un premio, che gronda del sangue versato da tutti quei piccoli innocenti sacrificati sull’altare della carriera e dell’egoismo.

Del resto, che la svolta pro-choice dell’Italia non sia stata recentemente certificata solo dagli eventi mediatici, bensì anche da non meno deprecabili scelte politiche sono le cronache a dirlo: la determinazione, con cui il ministro della Salute in carica, Roberto Speranza, ha dichiarato di voler accelerare sulla legalizzazione dell’eutanasia ne è un triste esempio. Vuole farlo, esautorando totalmente il Parlamento e senza il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni col pretesto di dar attuazione alla sentenza 242/19 della Corte Costituzionale sul suicidio assistito, sentenza peraltro assolutamente non vincolante.

Donde tanta foga, tanta fretta, tanta furia nel promuovere a livello planetario una cultura di morte? Un indizio può giungere da un interessante réportage pubblicato nel giugno scorso dall’agenzia InfoCatólica. Secondo quanto riportato, l’Epf, Forum parlamentare europeo per i diritti sessuali e riproduttivi, avrebbe lanciato una feroce azione politica volta a screditare importanti organizzazioni cattoliche, ree di essere pro-lifepro-family ed anti-gender.

Circa tre mesi fa l’Epf ha presentato un rapporto dal titolo «Punta dell’iceberg: finanziatori religiosi estremisti contro i diritti umani sulla sessualità e sulla salute riproduttiva in Europa 2009-2018». Impossibile immaginare un titolo più chiaro di questo, tenendo conto oltre tutto che il testo è uscito pochi giorni prima delle votazioni sul famigerato Rapporto Matić e col chiaro intento di condizionarne l’esito… Si noti come avere un’opinione semplicemente diversa su tematiche di carattere chiaramente morale comporti un’immediata condanna di “estremismo”. Nel documento dell’Epf si legge, ad esempio: «Il quadro emergente è quello di una comunità transnazionale di estremisti religiosi e attori di estrema destra, che prendono decisioni strategiche di finanziamento attraverso i confini internazionali». Ne segue un lungo elenco, una sorta di “lista nera” di sigle, tutte schedate, ma senza fornire alcuna prova (né lo potrebbero) di attività illegittime o illecite. Da qui critiche a pioggia contro la Chiesa cattolica, contro il Vaticano, contro alcuni cardinali europei, contro la Comece-Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea, contro associazioni dotate di «peso finanziario» (tra cui i Cavalieri di Colombo statunitensi e la Fondazione Lejeune francese), nonché singoli individui.

Paradossalmente, scrive InfoCatólica, chi punta l’indice ovvero l’Epf risulta sostenuto da organizzazioni, queste sì, miliardarie come la Fondazione Bill e Melinda Gates, International Planned Parenthood Federation, la Commissione europea, la Open Society Foundations di George Soros, il Wallace Global Fund, la Fondazione MacArthur, la Summit Foundation e la Fondazione Hewlett. Tutti nomi tristemente noti e schierati contro vita e famiglia…

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