Mediterraneo: epicentro del conflitto tra civiltà e barbarie atlantica

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di Luigi Tedeschi

Fonte: Italicum

Siamo alle soglie di un’epoca di transizione. La guerra tra USA e Russia in Ucraina, con la relativa crisi energetica, così come la pandemia, a cui ha fatto seguito l’incipit della quarta rivoluzione industriale e della transizione ambientale, sono eventi destinati a sconvolgere gli equilibri geopolitici preesistenti e con essi, il modello economico – politico neoliberista globale. L’area mediterranea, già emarginata nel contesto geopolitico mondiale, è destinata ad assumere un ruolo di protagonista nel futuro nuovo ordine mondiale multipolare, scaturito dal declino dell’unilateralismo americano.
Dopo la fine del bipolarismo della Guerra fredda, le sponde mediterranee del sud e dell’est, oltre ad essere sconvolte dalle guerre mediorientali e dai conflitti delle “primavere arabe”, sono divenute l’epicentro delle migrazioni di massa provenienti dall’Africa e dall’Asia. Il fenomeno migratorio è del tutto connaturato al modello di sviluppo neoliberista globale, che prevede la libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali. Pertanto, le migrazioni di massa, comprese le tragedie del mare, sono eventi che si inseriscono in un contesto socio – economico mondiale, in cui i paesi più arretrati vengono deprivati delle migliori risorse umane necessarie al loro sviluppo e i paesi più avanzati importano masse di lavoratori a basso costo al fine di comprimere i salari e rendere più competitive le loro economie nel mercato globale.
Con l’avvento della UE, l’asimmetria economica, culturale e politica tra l’Europa del nord e quella del sud si è accentuata. Allo sviluppo del nord Europa, ha fatto riscontro il depauperamento e la subalternità dell’Europa mediterranea e all’accentuarsi del sottosviluppo dei paesi del Nord Africa. Si è dunque determinata una scala gerarchica dello sviluppo e del potere politico tra il nord e il sud europeo in base ai parametri del sistema economico neoliberista.
Del resto, in virtù del primato dell’asse franco – tedesco in Europa, la UE è sempre stata concepita come una unificazione che avesse il suo baricentro economico e politico nell’Europa carolingia, con relativa marginalizzazione dell’area mediterranea e dei suoi rapporti con il MENA (Medio Oriente – Nord Africa). L’Europa ha sempre denunciato una grave carenza di visione strategica, nel concepire il Mediterraneo un’area integrata nelle logiche ideologiche e strategiche dell’Occidente, prima nel bipolarismo tra Oriente e Occidente scaturito dalla Guerra fredda e in seguito all’interno della divaricazione tra il Nord capitalista e il Sud sottosviluppato del mondo, sancita dall’ordine mondiale unilateralista americano.
La guerra russo – ucraina ha inciso profondamente anche nei rapporti di supremazia interni all’Europa. Con la fine della interdipendenza economica ed energetica tra la UE e la Russia, la Nato ha assunto il controllo politico e strategico dell’Europa, con il declassamento della potenza tedesca e la devoluzione della leadership europea all’Anglosfera britannico – scandinava e dei paesi baltici, con la Polonia assurta a prima potenza militare europea. Il baricentro strategico dell’Europa si è spostato a nord est, con il declassamento del Mediterraneo ad area marginale europea, anche a seguito del disimpegno americano nel MENA.
I mutamenti strategici della Nato in chiave russofobica, potrebbero favorire una maggiore libertà di azione dei paesi dell’Europa mediterranea, nella prospettiva di fuoriuscita dalla condizione post storica di irrilevanza geopolitica in cui oggi appare confinata. La subalternità europea alla Nato è sempre stata funzionale ai disegni imperialisti americani di estendere il proprio dominio assoluto nel Mediterraneo, concepito come lago atlantico. Ben altra configurazione geopolitica esso è invece destinato ad assumere nell’incipiente mondo multipolare. Attraverso il Mediterraneo transita il 28% delle forniture di idrocarburi del mondo ed il “Mare nostrum” è divenuto lo snodo strategico per l’accesso al Mar Rosso e all’area dell’Indo – Pacifico.
Il Mediterraneo è dunque destinato ad assumere il ruolo geopolitico di Medioceano, come ben descritto da Salvo Ardizzone nel suo saggio “Medioceano e Medio Oriente: appunti per un teatro cruciale”: “Il Mediterraneo è sempre stato area di scambi, mare di commerci e traffici per eccellenza ma, da alcuni anni, è evoluto a Medioceano, bacino allargato alle coste atlantiche del Maghreb e della Penisola Iberica a Occidente, fino al Corno d’Africa attraverso il Mar Rosso a sud-est, connessione fra l’area indo-pacifica e l’Atlantico. Di recente amputato del Mar Nero e delle crescenti connessioni con la Russia e l’Asia Centrale dal conflitto ucraino ma, a seguito di esso, elevato ad area di confronto-scontro fra Unipolarismo egemonico e Multipolarismo”.
Il Mediterraneo sarà infatti un’area di confronto tra gli USA e le potenze emergenti del BRICS, da cui dipende anche il suo destino di lago atlantico o di Medioceano. L’Occidente ha concepito il Mediterraneo come l’area dello “scontro di civiltà” teorizzato da Huntington, quale necessario conflitto per affermare il primato americano nel mondo. In realtà, il conflitto è assai più profondo e non è solo bellico, ma anche culturale ed esistenziale per i popoli dell’area: tra globalismo e sovranità degli stati, cosmopolitismo e identità dei popoli, tra individualismo e comunitarismo, tra materialismo e fedi religiose.

Il pluriverso mediterraneo scomparso

Il Mediterraneo evoca un insieme di tradizioni storico – culturali che sono parte integrante della nostra identità, una sensibilità, una estetica, una concezione della vita e dell’uomo quali valori unificanti dei popoli dell’area.
Le radici storiche della nostra civiltà hanno origine nell’area mediterranea. Il Mediterraneo fu certo teatro di guerre e contrapposizioni tra Islam e Cristianesimo, ma tuttavia fu anche epicentro del connubio tra civiltà diverse, di scambi commerciali e terreno di confronto culturale, religioso, scientifico. L’area mediterranea rappresentò un pluriverso di civiltà, il cui incontro / scontro contribuì alla evoluzione e all’arricchimento dei valori culturali e religiosi dei popoli. Affermò intorno al 1100 Fulcherio di Chartres, nella sua “Historia Hierosolymitana”: “Ora, noi che fummo occidentali, siamo diventati orientali. Chi fu latino o franco, in questa terra è diventato galileo o palestinese. Chi fu cittadino di Reims o di Chartres, ora è diventato cittadino di Tiro o di Antiochia. Ormai ci siamo dimenticati dei nostri luoghi natii: la maggior parte di noi non li ha mai visti, o addirittura mai sentiti nominare. C’è chi già possiede le proprie case e i propri servi come se fossero cose tramandategli in eredità, e c’è anche chi ha preso in moglie non una compatriota, ma una siriana, un’armena e talvolta addirittura una saracena”.
In questo mondo multietnico, aperto alla integrazione tra i popoli, si generò un processo di assimilazione tra due culture: quella islamica, erede delle culture greco – giudaiche e quella europea, dall’identità romano – cristiana. Questa moltitudine di popoli, civiltà, fedi religiose diverse e contrapposte, diede vita ad una particolare simbiosi identitaria identificabile con quel pluriverso mediterraneo, la cui memoria storica oggi è quasi scomparsa. L’era della globalizzazione ha ridotto il Mediterraneo ad una entità geografica, identificabile dalle masse dell’Occidente con le suggestioni virtuali orientalistiche e con l’immagine mediatica dei villaggi turistici.
La disgregazione del Mediterraneo ha origini lontane. Tra l’800 e il ‘900 il MENA fu oggetto delle conquiste coloniali europee e tale dominio si accentuò con la dissoluzione dell’Impero Ottomano alla fine della prima guerra mondiale. Il processo di frantumazione del MENA si perpetuò anche in epoca post – coloniale, in concomitanza della Guerra fredda: la Turchia e i paesi del Golfo Persico furono integrati nell’Occidente americano, mentre Egitto, Libia, Siria e Algeria aderirono al blocco sovietico. Aggiungasi, che la fondazione dello stato di Israele generò uno stato di guerra permanente nell’area mediorientale.
Ma fu soprattutto la trasformazione della Nato da alleanza strategica difensiva ad apparato militare aggressivo a determinare un’insanabile frattura tra l’Occidente e il mondo islamico che coinvolse il Mediterraneo, le cui opposte sponde divennero teatro di un conflitto geopolitico ancora in corso. Il nuovo atlantismo si affermò sulla scorta di disegni strategici espansionisti americani su scala globale. Con gli attentati dell’11 settembre, gli USA intrapresero una strategia aggressiva di “guerra al terrorismo” che, oltre alle guerre “preventive” in Afghanistan e Iraq (a cui fecero seguito le aggressioni alla Libia e alla Siria), comportò un espansionismo politico ed economico che si estese anche all’area mediterranea. L’Europa, già emarginata nello status post – storico di irrilevanza geopolitica, divenne, con il moltiplicarsi delle basi Nato sul proprio territorio, una piattaforma strategica per l’espansionismo americano, estesosi, oltre che nel MENA, anche ai confini con la Russia, che, ritenendosi assediata e minacciata nella sua sicurezza dall’Occidente, ha poi invaso l’Ucraina.
Le “primavere arabe”, quale strategia della Nato volta alla destabilizzazione degli stati islamici del MENA, sono fallite. Anzi hanno costituito l’occasione propizia per l’inserimento di nuovi attori dalle mire espansionistiche nell’area mediterranea, quali la Turchia, la Russia, gli Emirati arabi. L’estromissione dell’Europa dall’area è ormai un dato di fatto. La sola Francia mantiene una presenza neocoloniale nei paesi del Sahel e parzialmente in quelli del Maghreb, sempre più osteggiata dai popoli dell’area e contrastata dall’espansionismo in Africa di Russia, Turchia e Cina.

Al disimpegno americano nel MENA, ha fatto riscontro la creazione di una nuova alleanza filoccidentale tra Israele e alcuni stati arabi in funzione anti iraniana, denominata “Patto di Abramo”. E’ stata costituita infatti, una nuova Nato mediorientale, in conformità del mutamento della strategia americana nella geopolitica mediorientale, che prevede l’implementazione di un dominio americano indiretto nel MENA. Questa nuova Nato mediorientale è comunque destinata a sfaldarsi, data la diversificazione delle strategie politiche delle potenze del MENA. Israele e la maggioranza dei paesi arabi sono contrari alle politiche sanzionatorie messe in atto dagli USA nei confronti della Russia e l’Arabia Saudita ha concluso rilevanti accordi economici con la Cina.
L’espansionismo americano concepisce il Mediterraneo come un lago atlantico. Ma il mondo multilaterale avanza. E potranno anche ricomporsi le fratture interne al Mediterraneo, a condizione però che l’Europa possa assumere un ruolo autonomo dalla Nato nell’area. Così si espresse Danilo Zolo al riguardo nel suo saggio “La questione mediterranea”: “Ma tutto questo può diventare possibile solo a un’ultima condizione: che l’Europa, ritrovate le sue radici mediterranee, si mostri capace di erigersi a soggetto internazionale, dotato di una forte identità culturale e politica e perciò libero dai vincoli dell’atlantismo e aperto alla collaborazione con il mondo islamico e al confronto con le potenze asiatiche emergenti. Queste sono le condizioni di un rilancio dell’unità, della originalità e della grandezza civile del Mediterraneo che possono essere ragionevolmente pensate come un’ <alternativa>”.

Il divario economico incolmabile tra l’Occidente e il MENA

Tra le sponde nord e sud del Mediterraneo esiste una evidente asimmetria economica e tecnologica. I paesi europei della sponda nord detengono l’80% del Pil complessivo dell’area mediterranea. E tale divario nello sviluppo ha costituito il pretesto per i progetti di colonizzazione economica del MENA da parte dell’Occidente. Il fenomeno migratorio ne è una tragica conseguenza. Il debito dei paesi arabi nei confronti della UE è aumentato a dismisura negli ultimi decenni.
Alla fine del XX° secolo fu avviato un programma di partenariato economico e per la politica di sicurezza tra la UE e i paesi del MENA, denominato “processo di Barcellona”. Tali accordi avrebbero dovuto condurre all’integrazione economica dell’area mediterranea, con la prospettiva di creare una Zona di libero scambio. Tuttavia tali progetti fallirono, data l’impossibilità per i paesi arabi, dalle economie troppo deboli, di sostenere la competitività con le economie dei paesi più avanzati della UE. Tali forme di cooperazione, nel contesto del sistema neoliberista globale si sono sempre rivelate un capestro i paesi sottosviluppati. Comportano inevitabilmente un indebitamento insostenibile e quindi l’imposizione da parte del FMI di manovre di aggiustamento strutturale che conducono fatalmente i paesi meno sviluppati al default.
Occorre inoltre rilevare che il MENA è afflitto anche dalla dipendenza alimentare dal nord del pianeta, che peraltro si è gravemente accentuata con la guerra russo – ucraina. La UE ha adottato da sempre politiche protezionistiche nel settore agricolo nei confronti del MENA. L’agricoltura dei paesi del sud europeo è da decenni falcidiata dalla concorrenza selvaggia del mercato mondiale, eppure, impone paradossalmente un regime protezionistico alle importazioni dal sud del Mediterraneo.
Il dialogo e la cooperazione tra i popoli del nord e del sud del mondo sono oggi impossibili, dato il differenziale di potenza economica e politica tra l’Occidente e gli stati sottosviluppati. Ma, con l’affermarsi del multilateralismo e la dedollarizzazione dell’economia mondiale, tale divario potrà senz’altro ridursi e il Mediterraneo, trasformatosi in Medioceano, potrebbe divenire assai determinate nella costituzione di un nuovo ordine mondiale. Solo infatti in un ordine multilaterale, in cui a tutti i popoli viene riconosciuta pari dignità, potrà esserci tra gli stati dialogo, cooperazione, pacificazione.

Decostruire il fondamentalismo atlantico

Le due sponde del Mediterraneo sono oggi separate da un abisso socio – culturale incolmabile. Il dialogo è reso impossibile dal fatto che l’Europa si identifica con i valori dell’Occidente. Pertanto, considerando l’Occidente l’incarnazione di valori universali e irrinunciabili, quali i diritti del’uomo, lo Stato di diritto, la liberaldemocrazia, il libero mercato globale, sulla base di tale primato, gli USA e la UE pretendono di imporre i propri valori ai paesi islamici, come a tutto il mondo. L’Occidente americano è dunque da considerarsi un nuovo eurocentrismo atlantico, che, quale civiltà superiore, si ritiene legittimato alla colonizzazione culturale, economica e politica del mondo islamico. In virtù della sua autoreferenza, l’Occidente americano impone al mondo il suo sistema ideologico – politico con sanzioni, propaganda mediatica e guerre umanitarie. Tra l’altro, l’Occidente americano vuole esportare con le armi un sistema democratico ormai degenerato in oligarchia finanziaria e tecnocratica e pertanto assai lontano dal modello originario della democrazia rappresentativa.
Tra le sponde del Mediterraneo è in atto da decenni un conflitto politico – ideologico in cui si contrappongono le modernità occidentale e i paesi islamici, la cui cultura si è rivelata incompatibile con il processo di globalizzazione cosmopolita e neoliberista imposto dall’unilateralismo americano. Anzi, la civiltà islamica si è rivelata un elemento di resistenza al dominio globale della superpotenza americana.
Due visioni del mondo in conflitto, che si rivelano inconciliabili in quanto gli USA sono una potenza geneticamente unilaterale, incapaci di concepire “l’altro da sé”. Un mondo composto da una molteplicità di culture e identità differenziate è per gli USA inconcepibile. All’ordine mondiale unipolare fondato sui diritti dell’uomo, dovrebbe subentrare un mondo multipolare basato sul primato dei diritti dei popoli. In un ordinamento in cui l’uomo, anziché essere considerato un’entità astratta, secondo i dettami dell’ideologia liberale, ma come in individuo appartenente e partecipe di una comunità strutturata su valori culturali, politici e religiosi identitari, potrebbero essere maggiormente tutelate le liberà individuali, i diritti delle minoranze e delle classi subalterne. Allo stesso modo, nel contesto geopolitico, il primato dei diritti dei popoli, conferirebbe pari dignità a tutti gli stati e pertanto si affermerebbe un ordine che garantisca la sovranità e l’indipendenza degli stati e salvaguardi le loro identità culturali, affrancando i popoli più deboli e meno sviluppati dalla schiavitù del debito, che costituisce oggi il principale strumento del dominio occidentale.
Nel Mediterraneo si sono scontrati due fondamentalismi contrapposti. Quello islamico è infatti un fenomeno sorto come reazione esasperata al fondamentalismo del mercato, dei diritti umani, del “destino manifesto”, quale valore identitario degli USA di origine veterotestamentaria. Occorre dunque che l’Europa decostruisca il fondamentalismo dei “valori occidentali” imposto dalla occupazione americana del secondo dopoguerra. Per istaurare un dialogo occorre che ad entrambi gli interlocutori venga riconosciuta pari dignità. Attraverso il dialogo con i popoli del MENA, l’Europa potrebbe ritrovare e riconoscere se stessa, riappropriandosi della propria memoria storica, riscoprire le sue radici identitarie (in primis il cristianesimo), le origini della sua cultura premoderna. Secondo quanto afferma Franco Cassano nel suo saggio “Necessità del Mediterraneo”: “Dal divieto dell’usura al forte rilievo dato ai doveri di assistenza agli altri membri della comunità, l’Islam può essere una sponda importante per decostruire un gioco che è alla base del fondamentalismo dell’Occidente, il solipsismo dell’individualismo radicale, l’apologia di un soggetto totalmente sradicato da qualsiasi legame sociale, un’idea della libertà sempre più anomica, costruita sul modello del consumatore più che su quello del cittadino”.
Dal dialogo con l’Europa gli stessi paesi islamici potrebbero ricavare idee e progetti per creare un modello di sviluppo e modernizzazione compatibile con la propria identità culturale onde far emancipare le loro società dalle attuali condizioni di arretratezza e sottosviluppo che hanno costituito un humus assai fertile per la proliferazione del fondamentalismo islamico.
L’Europa dovrebbe dunque effettuare una decostruzione del fondamentalismo americanista che ha determinato la dissoluzione progressiva della sua identità culturale. Ossia, dar luogo ad una rivoluzione culturale al suo interno, per assumere un ruolo da protagonista nell’era del mondo multipolare ormai alle porte. Il fondamentalismo atlantico è in una fase di declino irreversibile e la UE, mai esistita come entità geopolitica autonoma dalla Nato, è in via di progressiva dissoluzione. Così si esprime al riguardo Serge Latouche nel suo saggio “La voce e le vie di un mare dilaniato”: “Tuttavia, è proprio vero che l’Europa può rinnegare la sua progenie e sciogliere il legame di solidarietà con il “mostro” che essa stessa ha generato? A dispetto delle rivalità e degli antagonismi di ogni sorta, l’Europa resta profondamente complice e solidale con gli Stati Uniti. Per affermare e rafforzare la sua differenza, l’Europa dovrebbe ricollegarsi alle sue radici premoderne e precapitaliste, come la visione mediterranea, e ritrovare la sua parentela con il suo versante orientale e ortodosso che è sempre rimasto ai margini. Queste due Europe, del sud e dell’est, confinano con l’altro: il vicino, il medio, l’estremo Oriente e, soprattutto, confinano con il mondo musulmano nelle sue varianti turca, persiana, curda, mongola, berbera e araba. Gli scambi incessanti, anche violenti, e le complicità di ogni sorta hanno preservato sempre (o almeno per lungo tempo) queste parti d’Europa dall’autismo dell’Europa atlantica che sconfina nella dismisura americana”.
Questa Europa, oggi scristianizzata e ridotta a periferia atlantica, dovrà fuoriuscire dall’Occidente e, onde liberarsi dal dominio dell’Anglosfera oggi imperante nella UE, dovrà riscoprire la sua vocazione mediterranea per poi proiettarsi nel Medioceano.
Non si riscontrano tuttavia ad oggi segni premonitori di una possibile resurrezione dell’Europa dal baratro atlantico della post storia in cui è precipitata. Ma chi farà riemergere dall’oblio secolare il pluriverso mediterraneo?

Nota: I saggi di Danilo Zolo “La questione mediterranea”, di Franco Cassano “Necessità del Mediterraneo” e di Serge Latouche “La voce e le vie di un mare dilaniato” sono stati pubblicati nel libro di AA. VV. “L’alternativa mediterranea” a cura di Franco Cassano e Danilo Zolo, Feltrinelli 2007.

Un altro successo in politica estera. Ma la RAI non lo dice

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UN ALTRO SUCCESSO DI POLITICA ESTERA. MA LA RAI NON LO DICE.

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Italia-Russia: il premier Conte con Putin parlerà di stabilizzazione del Mediterraneo Lo ha detto l’ambasciatore italiano negli Usa, Armando Varricchio: “La Russia ha un ruolo fondamentale per la pace nella regione”. Il primo ministro italiano Giuseppe Conte, che si recherà a Mosca in visita ufficiale alla fine del mese, durante il colloquio previsto con il presidente russo Vladimir Putin potrebbe …

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Per vincere la partita in Libia l’Italia deve allearsi con Putin

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Nella crisi in Libia, l’Italia ha un rivale, la Francia, e un alleato, gli Stati Uniti. Ma c’è un altro attore, fondamentale e fino ad ora in disparte, che può essere decisivo nella soluzione del conflitto: la Russia.

Un’altra base per il Mediterraneo

Nonostante l’attenzione del mondo sulle operazioni russe sia naturalmente concentrato sulla Siria, la Libia rappresenta un punto fondamentale nell’agenda mediterranea del Cremlino. Per Mosca, il Mediterraneo rappresenta il naturale sbocco verso l’Atlantico. Controllare o comunque garantire la presenza nel Mediterraneo si traduce quindi nella capacità di uscire dal guscio del Mar Nero e ottenere posizioni nel mare intermedio fra i porti russi e l’oceano.

Il Mediterraneo serve. E dunque serve la Libia, visto che il conflitto che sta sconvolgendo da anni il Paese nordafricano riguarda principalmente le coste, dove sono presenti porti, arsenali, possibili basi militari e, inevitabilmente, i terminali dei giacimenti di gas e petrolio.

Il sostegno ad Haftar Continua a leggere

Nave italiana soccorre e riporta in Libia gli immigrati. E’ la prima volta

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di Adolfo Spezzaferro

Per la prima volta, una nave italiana, dopo aver soccorso degli immigratiin mare, li ha riportati in Libia. Si tratta della Asso Ventotto, un’imbarcazione di sostegno a una piattaforma petrolifera, che, in applicazione di quanto stabilito dal governo italiano, si è coordinata con la Guardia costiera di Tripoli che è competente in quelle acque per la gestione delle operazioni Sar di ricerca e soccorso.
L’imbarcazione, riporta La Stampa, “pare abbia seguito le indicazioni della centrale operativa della Guardia Costiera che via radio da Roma avrebbe ordinato al comandante di Asso 28 di coordinarsi con la Guardia Costiera di Tripoli. In sostanza l’ordine è stato quello di riportare quei migranti in Libia”.

“Abbiamo appreso che uno dei gommoni segnalati oggi dalla Guardia Costiera italiana con 108 persone a bordo nel Mediterraneo è stato soccorso dalla Nave Asso Ventotto, battente bandiera italiana, che si sta dirigendo verso Tripoli. Non sappiamo ancora se questa operazione avviene su indicazione della Guardia Costiera Italiana, ma se così fosse si tratterebbe di un precedente gravissimo, un vero e proprio respingimento collettivo di cui l’Italia ed il comandante della nave risponderanno davanti ad un tribunale“, ha detto Nicola Fratoianni di Liberi e Uguali, a bordo della Open Arms. “Il diritto internazionale – aggiunge – prevede che le persone salvate in mare debbano essere portate in un porto sicuro e quelli libici, nonostante la mistificazione della realtà da parte del governo italiano, non possono essere considerati tali”. Continua a leggere

Immigrazione: dall’Irlanda a Malta, gli accordi segreti di Renzi che hanno svenduto l’Italia

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di Francesca Totolo

Il Governo è cambiato, così come le politiche relative al flusso migratorio. I nuovi ministri, forti dell’ampio consenso dei cittadini, cercano di porre rimedio agli accordi licenziosi e contro gli interessi degli stessi italiani degli esecutivi Renzi-Gentiloni, che hanno previsto l’apertura indiscriminata dei porti alle navi delle Ong e a quelle delle missioni europee. Il risultato è chiaro a tutti: più di 600 mila immigrati irregolari arrivati in Italia e il Mediterraneo ridotto ad un cimitero a cielo aperto. Forse un giorno qualcuno dovrà rispondere di queste 14 mila morti (dati UNHCR 2015-2018).

Quello che pochi conoscono sono però gli accordi segreti sottoscritti bilateralmente dai Premier Renzi e Gentiloni e dagli omologhi di altri Paesi, per assicurarsi che tutti gli immigrati raccolti in mare fossero portati solo ed esclusivamente in Italia. Era il luglio scorso quando la sottoscritta e Luca Donadel abbiamo notato una nave della Marina Militare Irlandese che faceva la spola tra la zona SAR libica e i porti siciliani con una frequenza alquanto sospetta. Dublino non era allora inclusa nella missione europea di Frontex, EUNAVFOR MED Operazione Sophia, che prevedeva come attività collaterale il soccorso delle imbarcazioni dei migranti in pericolo sotto il coordinamento di MRCC di Roma.

Abbiamo così scoperto Operazione Pontus, un patto bilaterale stilato nel 2015 che ha coinvolto il Governo italiano di Renzi (poi riconfermato da Gentiloni) e quello irlandese, indipendente dai dispositivi europei. L’accordo, taciuto ai cittadini italiani e senza nessuna menzione sui siti istituzionali del Governo, prevedeva che gli immigrati trasbordati sulle navi della Marina Militare irlandesi in zona SAR libica venissero sbarcati nei porti italiani. Nessun organo della stampa nazionale ha mai documentato gli sbarchi delle navi irlandesi seppur avvenissero tutti regolarmente a Catania, e, allo stesso tempo, nessuno ha mai accennato ad Operazione Pontus. Continua a leggere

L’Italia: un futuro come “media potenza”

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di Antonio Terrenzio

L'Italia: un futuro come "media potenza"

Fonte: Conflitti e strategie

Nel precendente articolo, avevamo accennato alla necessita’ di una ripresa del ruolo strategico dell’Italia nel Mediterraneo e di maggior peso nell’area “euro/atlantica”.

L’Unione Europea, il medio oriente e il nord-Africa, sono i poli principali dove la nostra politica estera deve tornare ad evere un ruolo assertivo.

L’UE in particolare, vive un periodo storico di estrema debolezza: la crescita esponenziale dei partiti euroscettici a causa delle dissennate politiche migratorie, la rigidita’ economica e burocratica delle sue Istituzioni, ne hanno fortemente indebolito la struttura. Il Brexit e’ stata la prima importante conseguenza della crisi dell’impianto europeo.

L’Italia, quale paese fondatore dell’UE e sempre presente nei tavoli internazionali, G7 e Oraganizzazione delle Nazioni Unite, ha progressivamente perso peso strategico ed economico, man mano che l’unipolarismo statunitense andava estendendo la sua egemonia a tutto il globo. Continua a leggere