Paolo VI, 24 maggio 1976: “Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico”

Condividi su:

Celebriamo oggi la Patrona (insieme ai SS. Pietro e Paolo e a San Pio V) del Sodalitium Pianum, associazione fondata da monsignor Umberto Benigni nel 1909 per contrastare i nemici interni ed esterni della Chiesa, in particolare per applicare il programma antimodernista tracciato da san Pio X (programma del Sodalitium Pianum: http://www.sodalitium.biz/documenti/programma-del-sodalitium-pianum/ ).

In tale occasione il Centro Studi don Paolo de Töth intende rendere gloria alla SS. Madre di Dio, Aiuto dei Cristiani, proponendo la lettura e la riflessione di un Discorso tenuto durante un Concistoro da ‘San Paolo VI’ (per noi card. G.B. Montini) proprio il 24 maggio 1976, nel quale imponeva la ‘Nuova Messa’ e vietava conseguentemente la precedente.

Chi colpevolizza oggi Bergoglio di vietare la Messa ‘in latino’ sappia che ‘Francesco’ è in perfetta continuità ed armonia con un suo Santo predecessore e chi accusa quello accusa anche questo, accusando così un Santo Papa della Chiesa, che avrebbe promulgato una Messa cattiva, insegnato errori, imposto Riti inaccettabili, etc. E l’assurdo è che tutto questo sarebbe affermato da veri Cattolici…

Anche il semplice Sagrestano nella famosa Tosca di pucciniana memoria, affermava più volte, rimbrottando il Cavaradossi, con la sua peculiare voce da basso: “Scherza coi fanti, ma lascia stare i Santi!!”, che sono tali, ovviamente, solo se canonizzati da Legittimi Successori di san Pietro, aggiungiamo noi.

 

Dal DISCORSO AL CONCISTORO
DEL SANTO PADRE PAOLO VI
(lunedì, 24 maggio 1976):

 

«…coloro che, col pretesto di una più grande fedeltà alla Chiesa e al Magistero, rifiutano sistematicamente gli insegnamenti del Concilio stesso, la sua applicazione e le riforme che ne derivano, la sua graduale applicazione a opera della Sede Apostolica e delle Conferenze Episcopali, […] si allontanano i fedeli dai legami di obbedienza alla Sede di Pietro come ai loro legittimi Vescovi; si rifiuta l’autorità di oggi, in nome di quella di ieri. E il fatto è tanto più grave, in quanto l’opposizione di cui parliamo non è soltanto incoraggiata da alcuni sacerdoti, ma capeggiata da un Vescovo, da Noi tuttavia sempre venerato, Monsignor Marcel Lefebvre.

È tanto doloroso il notarlo: ma come non vedere in tale atteggiamento – qualunque possano essere le intenzioni di queste persone – porsi fuori dell’obbedienza e della comunione con il Successore di Pietro e quindi della Chiesa?

Poiché questa, purtroppo, è la conseguenza logica, quando cioè si sostiene essere preferibile disobbedire col pretesto di conservare intatta la propria fede, di lavorare a proprio modo alla preservazione della Chiesa cattolica, negandole al tempo stesso un’effettiva obbedienza. E lo si dice apertamente! Si osa affermare che il Concilio Vaticano II non è vincolante; che la fede sarebbe in pericolo altresì a motivo delle riforme e degli orientamenti Post-conciliari, che si ha il dovere di disobbedire per conservare certe tradizioni. Quali tradizioni? È questo gruppo, e non il Papa, non il Collegio Episcopale, non il Concilio Ecumenico, a stabilire quali, fra le innumerevoli tradizioni debbono essere considerate come norma di fede! Come vedete, venerati Fratelli nostri, tale atteggiamento si erge a giudice di quella volontà divina, che ha posto Pietro e i Suoi Successori legittimi a Capo della Chiesa per confermare i fratelli nella fede, e per pascere il gregge universale (Cfr. Luc. 22, 32; Io. 21, 15 ss.), che lo ha stabilito garante e custode del deposito della Fede.

E ciò è tanto più grave, in particolare, quando si introduce la divisione, proprio là dove congregavit nos in unum Christi amor, nella Liturgia e nel Sacrificio Eucaristico, rifiutando l’ossequio alle norme definite in campo liturgico. È nel nome della Tradizione che noi domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata. L’adozione del nuovo “Ordo Missae” non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populoIl nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino.

La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno».

(https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1976/documents/hf_p-vi_spe_19760524_concistoro.html)

Invocazione di San Giovanni Bosco a Maria Ausiliatrice

O Maria, vergine potente, tu sei grande e sublime difesa della Chiesa; tu mirabile aiuto dei cristiani; tu sei terribile come una schiera ordinata a battaglia; tu che da sola sbaragliasti tutte le eresie nel mondo intero; tu nelle afflizioni, nella guerra, nelle difficoltà difendici dal nemico e nell’eterna gioia accoglici nell’ora della morte. Così sia.

La devozione per il Papa, secondo S. Giovanni Bosco

Infine riportiamo, in questo giorno così caro a don Bosco, i suoi insegnamenti e le testimonianze della sua vita a riguardo del Papa. Allora come adesso se un Papa è un vero Papa, Legittimo Successore di San Pietro, Vicario di Cristo etc, ecco come dobbiamo rapportarci a lui, se siamo veri cattolici e non un qualsivoglia protestante.

 

Tratto da: San Giovanni Bosco, meditazioni per la novena, le commemorazioni mensili e la formazione salesiana. Autore: Sac. Domenico Bertetto SDB

Il grande amore e la indefettibile fedeltà di Don Bosco verso il Papa sono fondati sulla viva fede che lo illuminava, circa la dignità e le prerogative del Papa, facendogli vedere in lui il Vicario di Gesù Cristo, il Maestro infallibile, il supremo Pastore a cui Gesù ha affidate tutte le pecorelle del suo mistico Gregge, e che lo Spirito Santo assiste e dirige con specialissima provvidenza nel governo della Chiesa, affinché non abbia ad errare, ma invece assolva fedelmente al suo altissimo ufficio.

Un giorno Pio IX domandò a Don Bosco: «Mi amano i vostri giovani?». «Santo Padre, se vi amano? — rispose Don Bosco — vi hanno nel cuore. Il vostro nome lo portano intrecciato con quello di Dio». (VIII , 719).

La frase è ardita, ma vera. Infatti il Papa è Dio sulla terra. Gesù, dopo aver compiuta la sua missione redentrice, se ne partì, ma al suo stesso posto lasciò il Papa. E’ vero che Gesù torna e rimane in mezzo a noi nell’Eucaristia, ma in essa resta muto; ci nutre, ma non parla e non ci governa in modo visibile. A parlarci e a governarci lasciò il Papa, «il dolce Cristo in terra».

Gesù ha posto il Papa:

al di sopra dei profeti: perché questi preannunziano Gesù, mentre il Papa è la voce di Gesù;

al di sopra del Precursore: perché S. Giovanni Battista diceva: «Io non sono degno di sciogliergli i calzari», mentre il Papa deve dire: «Deo exhortante per nos, Dio parla per mezzo nostro»;

al di sopra degli angeli: a quale degli angeli ha detto: Siedi alla mia destra? A S. Pietro invece ed agli apostoli Egli ha detto: Voi sederete a giudicare le dodici tribù d’Israele.

Gesù ha collocato il Papa al livello stesso di Dio. Egli infatti dice a Pietro e ai suoi successori: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me; e chi disprezza me, disprezza Colui che mi ha mandato». (Luca, 10, 16).

Perciò al Papa non si deve solo rispetto, ma venerazione, tenendo conto della sua eccelsa dignità e delle sue prerogative di Maestro infallibile e Pastore supremo, di cui Gesù lo ha insignito.

Se i fedeli genuflettono alla sua presenza, non fanno che tradurre all’esterno il sentimento che domina la loro anima: rendere omaggio a Gesù Cristo, presente nel suo Vicario in terra.

Conoscere il Papa, far conoscere il Papa: ecco l’impegno costante di Don Bosco nei suoi studi teologici, nei suoi scritti (basta pensare ai numerosi fascicoli delle Letture Cattoliche dedicati a questo argomento), nelle sue prediche e parlate ai giovani. Ho lo stesso interesse per il Papa? Mi dò premura di conoscere i documenti pontifici? I giovani trovano in me anzitutto un maestro illuminato e convinto, che fa loro conoscere il Papa?

Amare il Papa

Ecco i sentimenti professati costantemente da Don Bosco verso il Romano Pontefice: «Se mai la mia voce potesse giungere a quell’angelo consolatore: Beatissimo Padre, io direi, ascoltate e gradite le parole di un figlio povero, ma a Voi affezionatissimo. Noi vogliamo assicurarci la via che ci conduce al possesso della vera felicita; perciò tutti ci raccogliamo intorno a Voi come Padre amoroso e Maestro infallibile. Le Vostre parole saranno guida ai nostri passi, norma alle nostre azioni. I Vostri pensieri, i Vostri scritti, saranno accolti con la massima venerazione e con viva sollecitudine diffusi nelle nostre famiglie, fra i nostri parenti, e se fosse possibile, per tutto il mondo. Le Vostre gioie saranno pur quelle dei Vostri figli e le Vostre pene e le Vostre spine saranno parimenti con noi divise. E come torna a gloria del soldato, che in campo di battaglia muore per il suo sovrano, così sarà il più bel giorno di nostra vita, quando per Voi, o Beatissimo Padre, potessimo dare sostanza e vita, perché morendo per Voi, abbiamo sicura caparra di morire per quel Dio che corona i momentanei patimenti della terra con gli eterni godimenti del cielo». (XII, 171).

«Confesso altamente che fo miei tutti i sentimenti di fede, di stima, di rispetto, di venerazione, di amore inalterabile di S. Francesco di Sales verso il Sommo Pontefice». (XVIII, 277).

L’amore di Don Bosco verso il Papa si effondeva in fervide esortazioni per suscitare tale amore anche negli altri.

«Amiamoli i Romani Pontefici — egli diceva con convinzione ed ardore — e non facciamo distinzione del tempo e del luogo in cui parlano; quando ci danno un consiglio e più ancora quando ci manifestano un desiderio, questo sia per noi un comando». (V, 573).

«Volete voi essere forti per combattere contro il demonio e le sue tentazioni? Amate la Chiesa, venerate il Sommo Pontefice». (VI, 347).

Il programma di Don Bosco fu sempre questo: tutto col Papa, pel Papa, amando il Papa. (I, 12).

Con ragione gli stessi giornali liberali scrivevano: «In Don Bosco l’arte di innamorare al Papato è tutto e si può dire che in ciò vale mille maestri clericali». (XIV, 189).

Ecco quindi il programma che Don Bosco mi affida: far ardere nel mio cuore i grandi amori che hanno infiammato il suo: Gesù Sacramentato, Maria Ausiliatrice e il Papa.

Che cosa posso fare per amare di più il Papa? Come adoperarmi per suscitare nelle anime a me affidate l’amore al Papa. Con l’occhio agli esempi di Don Bosco e il cuore dilatato dai palpiti d’amore che da essi si sprigionano, non avrò certo difficoltà a regolare pensieri, affetti e opere, in modo che risulti chiaro il mio amore al Papa e divampi dal mio nel cuore di quanti da me dipendono.

Servire il Papa

L’amore al Papa si deve tradurre nella piena e incondizionata fedeltà a tutte le sue direttive.

«Il mio sistema — afferma Don Bosco — è quello di professare la Dottrina Cattolica, e seguire ogni detto, ogni desiderio, ogni consiglio del Romano Pontefice». (XV, 251).

«Io sottometto ogni detto, scritto o stampa a qualsiasi correzione, decisione o semplice consiglio della Santa Madre, la Chiesa Cattolica», ossia al suo capo, il Papa. (XVII, 265).

«Io sono attaccato al Papa più che il polipo allo scoglio». (VIII, 862). «Col Papa intendo rimanere da buon cattolico fino alla morte». (VI, 679).

In questa nobilissima consegna Don Bosco ha impegnato tutti i suoi figli, avendo fondata la Congregazione salesiana per la difesa del Papa. «Scopo fondamentale della Congregazione… fin dal suo principio fu costantemente sostenere e difendere l’autorità del Capo supremo della Chiesa nella classe meno agiata della società e particolarmente della gioventù pericolante». (X, 762).

«Intendo che gli alunni dell’umile Congregazione di S. Francesco di Sales non si discostino mai dai sentimenti di questo gran Santo verso la Sede Apostolica; che raccolgano prontamente e con semplicità di mente e di cuore, non solo le decisioni del Papa circa il dogma e la disciplina, ma che nelle cose stesse disputabili abbraccino sempre la sentenza di Lui». (XVIII, 277).

«Siccome è un cattivo figlio quello che censura la condotta di suo padre, così è un cattivo cristiano colui che censura il Papa, che è padre dei fedeli cristiani che sono in tutto il mondo». (IV, 55).

Con ragione Pio XI in un pubblico discorso chiamò Don Bosco «un grande, fedele e veramente sensato servo della Chiesa Romana, della S. Sede… perché tale egli fu sempre veramente».

Anche di ogni Salesiano si deve poter dire, sempre ed ovunque, che è un fedele e convinto figlio della Chiesa e del Papa. Solo a questa condizione Don Bosco lo riconosce come suo figlio, vivente nel suo stesso spirito.

Aiutami dunque, o buon Padre, ad imitarti sempre meglio nel conoscere, amare ed obbedire al Papa.

Mi devo impegnare in modo speciale a conoscere meglio gli insegnamenti del Papa. Con mirabile e continuo magistero Egli diffonde perennemente la luce del Vangelo nei vari settori della vita e dell’attività individuale, familiare e sociale. Debbo quindi attingere ai suoi insegnamenti per rendere sicuro e aggiornato il mio magistero catechistico e la mia predicazione.

I nemici di Dio spargono le più infami calunnie contro il Papa, che presentano come istigatore di guerra, nemico degli operai, oppressore della libertà. Il Papa deve trovare in me un soldato valoroso che sa prendere con competenza le Sue difese per far trionfare la verità.

Conoscendo e divulgando l’insegnamento del Papa ne promuoverò certamente anche l’amore e la fedeltà.

Fonte: https://www.paolodetoth.it/paolo-vi-24-maggio-1976-il-nuovo-ordo-e-stato-promulgato-perche-si-sostituisse-allantico/

Dove Gesù dice Bianco, Ratzinger dice Nero

Condividi su:

Riportiamo qui questo articolo pubblicato dal blog “Chiesa e post Concilio” il 26/02/2018 perché ci sembra di vivere l’epoca della confusione dottrinale e l’identificazione nelle sciocchezze di alcuni falsi pastori, che si spacciano per conservatori o tradizionalisti, ma che sono o sette di bastian contrari trombati da Bergoglio o personaggi funzionali al sistema di potere che occupa i Sacri Palazzi dal Concilio Vaticano II (1962 – 1965) per contenere entro i loro recinti il legittimo dissenso di fedeli disorientati. Specifichiamo che non c’è assonanza né vicinanza tra le posizioni del succitato sito e viceversa. Dissenso che andrebbe, altresì, sorretto da una buona preparazione dottrinale e teologica, che, però, forse non a caso, è deficitaria o assente. Questo contributo del Prof. Radaelli, discepolo del Prof. Romano Amerio, è autorevole e competente. Ovviamente vi sono molti altri aspetti concretizzatisi durante l’occupazione del Soglio da parte di Ratzinger, come ad esempio le visite amichevoli nei templi delle false religioni (Moschea di Istanbul, scalzo, in preghiera con l’imam per l’unico Dio (sic!), visita alla Sinagoga di Roma nel solco di Wojtyla, tra baci e abbracci coi rabbini, Cortile dei Gentili, in cui atei, agnostici e anticlericali di ogni risma avevano un liberale diritto di parola, visita alle chiese protestanti, riabilitazione di Lutero, abrogazione del Limbo, massima collegialità, l’incontro demonolatrico denominato Assisi III, la parificazione del rito di Montini con la Messa Cattolica di San Pio V e sua sottomissione in nome dell’inesistente ermeneutica della continuità di un’unica Fede, che è falsa e bestemmia, l’ invenzione del “papato emerito” che ha scandalizzato nelle modalità e nella sostanza ma indebolito l’immagine del Primato di Pietro, ecc. ecc.). Ratzinger non è mai stato Papa perché modernista, aderente al Conciliabolo Vaticano II e mente di tutte le riforme ereticali del post-conciliabolo. La sua elezione era invalida perché fatta da altri modernisti (“ipso facto et sine ulla declaratione” decaduti da ogni Autorità nella Chiesa ex can. 188,4 del CDC 1917 per eresia manifesta) così come tutti i suoi predecessori fino a Roncalli. Una crisi senza precedenti, figlia di un castigo per l’umanità incredula e peccatrice, che Dio risolverà quando e come riterrà opportuno. (Il Circolo Christus Rex)

di Enrico Maria Radaelli

1. PREMESSA. DIO (IN SAN PAOLO, GAL 1,8) STABILISCE:
SOLO CIÒ CHE VIENE DA DIO È “SPIRITO”.
TUTTO CIÒ CHE INVECE VIENE DALL’UOMO È “CARNE”.
Tutti noi conosciamo le parole con cui san Paolo mette in guardia gli errabondi cristiani della Galizia (i celebri Gàlati) dall’accogliere una dottrina diversa da quella da lui insegnata: « Se anche noi stessi, o un Angelo del Cielo, venisse ad annunciarvi un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato noi, sia egli anàtema » (Gal 1,8).

Con queste parole l’Apostolo stabilisce un principio potente, diciamo anche il principio dei princìpila Parola divina è da più del parlante umano che la proferisce, fosse pure esso – come nel suo iperbolico paradosso l’Apostolo chiama il più venerabile annunciatore che gli uomini possano aspettarsi – « un Angelo del Cielo »: la Parola divina non può essere cambiata da nessuno: essa è quella che è e tale deve a ogni costo e assolutamente restare e permanere in eterno.
Per san Paolo, ossia per Dio attraverso san Paolo, il Logos, il Verbo rivelato nel Vangelo, va annunciato. Poi non importa chi lo annuncia, ma solo e unicamente la perfetta fedeltà dell’annunciatore al messaggio annunciato: la verità è il primum, poi è l’unicum, e infine è il supremum. Il resto è nulla.
Che è a dire, come si esprime l’Apostolo: solo ciò che viene da Dio è “Spirito”. Ciò che viene dall’uomo è solo “carne”.
Questo principio è potente. E imprescindibile: è il perno solo in base al quale l’Apostolo potrà apostrofare Cefa, Pietro, il suo Superiore, senza contravvenire all’obbedienza e al rispetto dovutigli. Infatti, con i due paradossi più estremi che si possano concepire: « se anche noi stessi » e « o un Angelo del Cielo », egli afferma che non c’è annunciatore che tenga: la Parola divina è una e una sola: quella annunciata da Gesù Cristo, e, a partire da Lui, dai santi Apostoli.
Dunque, per stare a noi, non è importante per un fedele essere “papalino” o non “papalino”, per usare una parola di recente utilizzata da un riverito cardinale da poco scomparso, ma essere cristiano o non cristiano, perché, anche se la Parola di Dio fosse oggi, per assurdo, annunciata da « un Angelo del Cielo », cioè da qualcuno che potrebbe magari anche sembrare un angelo, come di certo lo sembra, p. es., una personalità molto e da tutti apprezzata, amata, venerata per la sua mitezza e bontà, ma tale Parola venisse però annunciata da tale pur amabilissima persona diversamente da quella che è, ossia deviata da qualche cambiamento, ebbene: « egli sia anàtema », ossia venga respinta, venga rigettata, sia quella parola, sia chi la propaga (se pur respinte e rigettate, l’una e l’altro, con somma carità e massima giustizia, naturalmente, come peraltro esorta a fare lo stesso Apostolo in altri testi), perché quella tal parola, in ogni caso in qualche modo variata, non essendo più la Parola divina, ma un’altra purchessia, non salva più nessuno, non serve più a nulla, anzi danna irrimediabilmente: e danna sia chi l’ascolta, sia, e ancor più, chi l’annuncia, perché anche a quest’ultimo non bastano mitezza, bontà, dolcezza e ogni altra virtù, poiché, come dice sant’Ignazio d’Antiochia agli Efesini, « la fede è il principio, la carità il fine », ossia, come spiega san Bonaventura nel Breviloquio, « è per mezzo della fede che Cristo abita nei nostri cuori », ma una fede mal riposta, ossia riposta nella parola sbagliata, non è più riposta in Cristo, e la carità che ne discende non è più la carità di Cristo, divina, ma una semplice carità umana.
Fra poco vedremo poi le conseguenze di tutto ciò fino in fondo. In ogni caso, ora si è ben visto il motivo per cui l’Apostolo è così veemente. E se l’Apostolo fosse presente ora, se fosse presente nella Chiesa di oggi, probabilmente lo sarebbe dieci volte di più.

 

* * *

 

Detto ciò, qui si vogliono offrire ora almeno cinque dei numerosi esempi di totale inconciliabilità, da una parte, degli insegnamenti dati da Sacre Scritture e Dogmi della Chiesa, dall’altra, degli insegnamenti di Joseph Ratzinger, esposti in un suo celebre libro del 1968, quand’era professore di Teologia a Tubinga e ancor oggi vero e unico paradigma del suo pensiero, Introduzione al cristianesimo, venduto da cinquant’anni in tutto il mondo, mai smentito, anzi confermato nel 2000 da un nuovo Saggio introduttivo vergato dal suo stesso Autore, all’epoca Prefetto della sacra Congregazione per la dottrina della fede, e, nella sua linea dorsale, ancora la lui ribadito in un’intervista pubblicata su L’Osservatore Romano il 17-3-16, dunque solo due anni fa, persino dopo tre anni dalla sua Rinuncia al Papato. Libro dunque ancora attualissimo.
Esso costituisce l’oggetto dell’analisi del mio Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondopro manuscripto, Aurea Domus, Milano novembre 2017, pp. 370, disponibile nelle librerie Àncora (Milano e Roma), Coletti (Roma), Hoepli (Milano), Leoniana (Roma), oltre che sul sito Aurea Domus.
Si vuole altresì rassicurare il lettore della più ampia contestualizzazione, in questo mio lavoro, delle citazioni del pensiero ratzingeriano, così da poter garantire allo studioso il più largo aiuto per afferrare, di quelle pagine, oltretutto, il loro non sempre limpido ma piuttosto implesso significato.
Si ritiene urgente la massima diffusione di Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, affinché sia evidente che il sottoscritto, potendo cominciare a lavorarvi solo dal settembre del 2015, ha fatto di tutto per arrivare in tempo a tentare – quantomeno a tentare – di convincere l’esimio e mite Autore di Introduzione al cristianesimo della necessità di riflettere su tutti quei suoi molto pericolosi assunti prima che sia troppo tardi.
In questo mio lavoro ho però anche voluto proporre quattro paragrafi (76-79) in cui espongo all’apprezzamento del lettore anche cinque pregevoli pensieri dell’esimio Teologo, la cui presenza, pur nell’oceano delle più biasimevoli dottrine fuori strada, permette di capire quanto la mia disamina su quel suo scritto sia scevra da ogni apriorismo personale, ma dettata, come si diceva all’inizio, solo dalla divina e a tutti superiore Norma normans del Logos.

Questi i cinque esempi.

2. PRIMO “PECCATO DELLA CARNE” DI JOSEPH RATZINGER,
O Ia INCONCILIABILITÀ TRA I SUOI SCRITTI E IL VANGELO.

Nel 2005, salito da poco al papato col nome di Benedetto XVI, colui che era stato il Professor Joseph Ratzinger insegnava che quella di Dio « rimane l’ipotesi migliore, benché sia un’ipotesi » (Joseph Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005, p. 123).
Ma dire che Dio è « l’ipotesi migliore » significa comunque fondare la fede in Dio – credere Deum – su un’ipotesi, se pur la migliore, ossia su un dubbio, il che però significa fondare la fede su un atto umano: è l’uomo che ipotizza l’esistenza di Dio, è l’uomo che, nella sua mente, “produce Dio”.
Ma la fede è una conoscenza per testimonianza, e la testimonianza è quella del Cristo, che dice, proclama e afferma: « Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato » (Gv 1,18), e infatti san Bonaventura – contro il futuro storicismo –, ancora nel Breviloquio, afferma: « L’origine della Sacra Scrittura non è frutto di ricerca umana, ma di rivelazione divina ». Sicché è Dio che si muove per primo verso l’uomo, e non l’uomo verso Dio.
E dato che san Paolo con i Galàti è andato fino in fondo, questo è il momento per andare fino in fondo anche noi.
Dice l’Apostolo: « Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito, o per aver creduto alla predicazione? » (Gal 3,2). E precisa, affondando il coltello fino all’elsa, senza alcun riguardo: « Siete così privi di intelligenza che, dopo aver cominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne? » (Gal 3,3), ossia: Siete così privi di luce spirituale che, dopo aver accolto la mia Parola spirituale, e spirituale perché fondata sulla Rivelazione di Dio compiuta dal Figlio, ora volete basare la vostra ragione per credere sulla base di una tutta umana ‘carne’, ossia sulle opere umane?”
San Paolo chiama ‘carne’, nei Galàti, ciò che essi elaborano a partire dalle opere della Legge, e chiama ‘Spirito’ la Grazia della terza Persona della ss. Trinità che discende nei cuori se essi credono alla Rivelazione data loro da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli.
Analogamente, oggi san Paolo chiamerebbe ‘carne’ ‘l’ipotesi Dio’, il percorso compiuto dall’uomo Joseph Ratzinger col metodo storicistico per individuare l’esistenza di Dio.
Nell’uno e nell’altro caso ‘carne’ è infatti tutto ciò che origina dall’uomo. ‘Spirito’ invece è ciò che viene da Dio. Uomo e Dio sono nettamente e irriducibilmente divisi. E la fede – virtù squisitamente soprannaturale, non c’è alcun dubbio – viene da Dio e solo da Dio. Se invece viene dall’uomo non è fede, è ragionamento, è un sillogismo qualsiasi: è carne.
Si noti che questo pensiero ipotetico drammaticamente errante anche del più recente Ratzinger, che conferma come si debba cercare di correggerne il fideismo di fondo, lo si è potuto raccogliere proprio da chi credeva, con l’improvvida citazione di quelle sue parole, di difenderlo dal mio dire (v. http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/01/04/joseph-ratzinger-teologo-non-modernista-ma-moderno).
Nelle prime settantatre pagine del suo libro il Professor Ratzinger, ben trentadue anni prima, aveva già steso il concetto fondante della sua fede “ipotetica”, e l’aveva steso con plurime e sempre molto drammatiche espressioni, di cui qui si riportano solo le tre più esemplari e struggenti: « …il credente può vivere la sua fede unicamente e sempre librandosi sull’oceano del nulla, della tentazione e del dubbiotrovandosi assegnato il mare dell’incertezza come unico luogo possibile della sua fede,… » (Introduzione al cristianesimo, p. 37);
« È la struttura fondamentale del destino umano poter trovare la dimensione definitiva dell’esistenza unicamente in questa interminabile rivalità fra dubbio e fede, fra tentazione e certezza » (Introduzione al cristianesimo, p. 39);
« Il credente sperimenterà sempre l’oscura tenebra in cui lo avvolge la contraddizione dell’incredulità, incatenandolo come in una tetra prigione da cui non è possibile evadere,… » (Introduzione al cristianesimo, p. 73).
Ma Gesù, a proposito di certezza e solidità della fede, ci dice: « …e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli » (Lc 22,32); « Io sono la via, la verità e la vita » (Gv 14,6), e: « beati quelli che pur non avendo visto crederanno » (Gv 20,29).
E san Paolo ricorda che « ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto [è manifesto agli uomini]; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa » (Rm 1,19-22).
Conclusione: « Senza la fede è impossibile piacere a Dio » (Eb 11,6). Su tali inerranti Scritture la Chiesa dogmatizza (con affermazione cui è dovuta obbedienza de fide): « Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza mediante la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create » (Vaticano I, Cost. dogm. Dei Filius, cap. 2, Denz 3004).
Bisogna qui aprire una parentesi di ordine generale che ci permette di notare come il postulato iniziale generalissimo del Professor Ratzinger, secondo cui: « …il credente può vivere la sua fede unicamente e sempre librandosi sull’oceano del nulla, della tentazione e del dubbio », nullifica tutto il libro nonché se stesso medesimo, in quanto circolarmente contradditorio. Se infatti, per principio, tutto è incerto, allora sarà incerto, per principio, anche il postulato medesimo, che quindi potrebbe essere falso, e saranno comunque incerte, forse false, per principio, tutte le proposizioni del libro e, allora, a che pro non solo scriverlo, ma anche leggerlo? (v., in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, i §§ 11-21 sul dubbio socratico, giusto, e su quello scettico, da rigettare, pp. 51-82).

3. SECONDO “PECCATO DELLA CARNE” DI JOSEPH RATZINGER,
O IIa INCONCILIABILITÀ TRA I SUOI SCRITTI E IL VANGELO.

In un’intervista del 2016 a Jacques Servais s.j., pubblicata sull’Osservatore Romano, l’augusto Teologo, già Papa, tornato cardinale pur ricusandone la qualifica, riconfermava la dorsale del suo pensiero ribadendo la convinzione che la Redenzione come ‘riparazione dell’« offesa infinita fatta a Dio »’ è solo una dottrina medievale, dovuta, secondo lui, unicamente a un vescovo, peraltro santo, il vescovo Anselmo d’Aosta, la cui « ferrea logica » resta « difficilmente accettabile dall’uomo moderno », così mantenendo inalterato il pensiero formulato cinquant’anni prima in Introduzione al cristianesimo, per il quale essa « ci appare come un crudele meccanismo per noi sempre più inaccettabile » (Introduzione al cristianesimo, p. 221).
Ma Gesù stesso parla di “ira di Dio”: « Chi rifiuta di credere nel Figlio – dice, riferendosi a Sé – non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui » (Gv 3,36). Quale ira? perché ira? L’ira del Creatore per il peccato della sua creatura; e san Paolo chiarisce: « Quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del suo Figlio » (Rm 5,10): nemici per il peccato dell’uomo, che solo la morte per Olocausto cruento di Cristo, Vittima innocente, pienamente riscatta.

Infatti: « Anche noi tutti, … eravamo per natura figli dell’ira » (Ef 2,3); “per natura” a causa del peccato originale trasfuso in noi da Adamo attraverso il seme biologico dei nostri padri.

E l’Apostolo (Dio attraverso l’Apostolo) rincara: « E voi, che già eravate estranei e nemici nella vostra mente e nelle vostre opere malvagie, ora Dio vi ha riconciliati nel corpo di carne di Lui, per mezzo della Sua morte » (Col 1,21-2); cui si aggiunge Giovanni, l’Apostolo prediletto (ossia sempre Dio, stavolta attraverso l’Apostolo prediletto): « In questo si è manifestato l’amore di Dio verso di noi: che Dio [Padre] ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, … In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che Dio ha amato noi e ha inviato il suo Figlio per essere l’espiazione per i nostri peccati » (I Gv 4,9-10).
Su tali inerranti basi scritturali, il dogma ordina (Concilio di Trento, Denz 1743 e 1753) che la Chiesa professi la dottrina della Redenzione come Olocausto di Cristo al Padre, e in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo (§§ 40-3, pp. 155-72) è percorsa tutta la storia del dogma in proposito, che esige che sia obbedito, accettato, creduto e liturgicamente sempre celebrato proprio ciò che il Professor Ratzinger da sempre rigetta (e che oggi la Chiesa più non celebra).

4. IL TERZO “PECCATO DELLA CARNE” DI JOSEPH RATZINGER,
O IIIa INCONCILIABILITÀ TRA I SUOI SCRITTI E IL VANGELO.

Il Professor Ratzinger afferma: « Dio è e sarà sempre per l’uomo l’essenzialmente Invisibile … Dio è essenzialmente invisibile » (Introduzione al cristianesimo, p. 42); e ancora: « nell’Antico Testamento questa affermazione – che “Dio non compare né mai comparirà all’uomo” – assume valore di principioDio non è soltanto colui che è ora effettivamente fuori del nostro campo visivo …; no, egli è invece colui che ne sta fuori per essenza [marcatura dell’Autore], indipendentemente da tutti i possibili e pensabili allargamenti del nostro campo visivo » (Introduzione al cristianesimo, pp. 42-3).
Ma il Cristo di Sé dice: « Chi vede me vede Colui che mi ha inviato » (Gv 12,45); « Chi vede me vede il Padre » (Gv 14,9); e l’Apostolo prediletto afferma (ossia, come sempre, Dio in lui): « [Dio] lo vedremo così come Egli è » (I Gv 3,2).
E san Paolo precisa: « Egli [il Cristo] è immagine del Dio invisibile » (II Cor 4,4, oltre che Col 1,15), e ancora: « Egli [il Cristo] è lo specchio della gloria di Dio e l’impronta della sua sostanza » (Ebr 1,3), il che significa che Dio Padre è perfettamente visibile, e lo è appunto nel Figlio, Dio come il Padre, né più né meno, e ciò basta alla Chiesa per affermare – al contrario di ciò che insegna, p. es., oltre al Professor Ratzinger, la falsissima nozione mussulmana – la perfetta visibilità di Dio ai Beati, così chiamati appunto per il fatto che essi godono perfettamente della visione divina (vedasi, in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, il § 18, pp. 70-4).

5. QUARTO “PECCATO DELLA CARNE” DI JOSEPH RATZINGER,
O IVa INCONCILIABILITÀ TRA I SUOI SCRITTI E IL VANGELO.

Il Professor Ratzinger sostiene che l’uomo, nella beatitudine del Paradiso, « vivrà nella memoria di Dio » (Introduzione al cristianesimo, p. 343), e precisa che « Paolo insegna … non la risurrezione dei corpi (Körper), bensì delle persone, e questa non nel ritorno dei ‘corpi di carne’, ossia delle strutture biologiche, che egli indica esplicitamente come impossibile » (Introduzione al cristianesimo, p. 347).
Ma i Vangeli, parlando dell’incontro tra Gesù risorto e gli Apostoli, notano invece che: « siccome stentavano a credere ed erano pieni di meraviglia, [Gesù] chiese loro: “Non avete nulla da mangiare?” Gli diedero un pezzo di pesce arrostito e un favo di miele. E dopo aver mangiato davanti a essi, prese gli avanzi e li diede a loro » (Lc 24,41-3).
Per non dire del celebre episodio di Gv 20,27: « Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani! Accosta la tua mano e mettila nel mio costato! », da cui si evince che un corpo glorioso non è per questo meno carnale, biologico, fisico, materiale, di un corpo mortale; e san Paolo, da qui, insegna: « E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi » (Rm 8,10-1).
Anche qui, sulla base di tali chiarissime e univoche risultanze poste dalle Sacre Scritture, la Chiesa così dogmatizza: « Tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti » (Concilio Laterano IV, 1215, Definizione contro gli Albigesi e i Catari, Denz 801), (vedasi, in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, i §§ 50-2, pp. 196-213, in cui l’inconciliabile opposizione tra l’insegnamento della dottrina cattolica e quello del Professor Ratzinger è evidenziata anche da plurime altre argomentazioni e scritturali e dogmatiche).

6. QUINTO “PECCATO DELLA CARNE” DI JOSEPH RATZINGER,
O Va INCONCILIABILITÀ TRA I SUOI SCRITTI E IL VANGELO.

Il Professor Ratzinger sostiene che « la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano » (Introduzione al cristianesimo, p. 265), infatti, a suo avviso, la figliolanza divina di Gesù « non è un processo avvenuto nel tempo, bensì nell’eternità di Dio » (Introduzione al cristianesimo, pp. 265-6).
Ma l’Evangelista (Mt 1,18-26) scrive: « Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe », ‘promessa sposa’, dice, non ‘moglie’: ‘moglie’ è colei che, col coniugio, ha perso la verginità; ‘sposa’ invece è la donna che, unita in matrimonio, non ha ancora compiuto il coniugio; « prima che andassero a vivere insieme »: l’Evangelista segnala che quanto sta per narrare precede il momento in cui la vergine Maria si accaserà con Giuseppe; « si trovò incinta per opera dello Spirito Santo », come riporta san Luca nel suo Vangelo (1,26-38), « Giuseppe, suo sposo », ‘sposo’, anche qui, e non ‘marito’, a confermare lo stato non ancora coniugale dei due nubendi, « che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di ripudiarla in segreto », ossia di non ripudiarla pubblicamente, ossia che avrebbe provveduto a Maria e al nascituro, dando loro cibo, le vesti, un tetto, ma senza coniugarsi a lei; « Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa », “di prendere con te”, dice l’angelo, con espressione casta, invece di dire “di maritarti”, per indicare a Giuseppe come egli avrebbe dovuto condurre l’unione con Maria “sua sposa”: proprio come aveva pensato lui, un “giusto”, che dunque ragiona con giustizia, secondo il cristiano discernimento degli spiriti, come dev’essere chi il Signore ha designato a proteggere la Madre del Suo Figlio e Suo Figlio stesso; « perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo », e non da un uomo, così sospendendo il passaggio degli influssi negativi dovuti al peccato originale; « … Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del Profeta: “Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio” »: si noti bene che san Matteo riconosce nella profezia la causa remota, ma non per questo meno efficace, di ciò che stava santamente avvenendo, così riconoscendo a Dio la Sua potenza: ciò che avviene ora è dovuto alla Parola di Dio data allora; in secondo, ricordando la profezia, ne sottolinea il concetto base: il concepimento del Figlio di Dio è dovuto, per parte di madre, a una miracolosa formazione di un embrione in una donna vergine che resta vergine, per cui il Profeta la chiama “Vergine” in quanto lo è per antonomasia, è “Vergine” ontologicamente; e, per parte di padre, è dovuto allo Spirito Santo, per il motivo sopra detto; poi «… Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù».
Ma tutto ciò è impugnato dal Professore Ratzinger, il quale ritiene invece erroneamente che:
– primo, « la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano »;
– secondo, che, a proposito del Vangelo ora visto e di quello di san Luca segnalato nel testo, « la formula della filiazione divina ‘fisica’ di Gesù è quanto mai infelice e ambigua », così accusando la Parola di Dio, e dunque Dio stesso, di essere, qualificandola “infelice”, una Parola inetta, e, con “ambigua”, una Parola falsa, e ciò il Teologo che un giorno sarà persino Papa, senza però purtroppo rigettare nemmeno mezza delle numerose svianti e fuorvianti dottrine insegnate, riesce a fare in un colpo solo, e, quel che è peggio, senza che nessuno se ne accorga (per entrambi i punti si veda, nel mio Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, il § 71, pp. 305-19).

7. CONCLUSIONI:
IERI I GALATI, OGGI IL CARDINALE RATZINGER, ENTRAMBI
DEVONO RESPINGERE LA “CARNE” E TORNARE ALLO “SPIRITO”.

Questi cinque esempi, specie il primo, col quale dal 1968 al 2016 l’Autore di Introduzione al cristianesimo persiste nel dubbio dell’esistenza di Dio, che per lui « rimane l’ipotesi migliore, benché sia un’ipotesi », dimostrano l’impostazione mentale scettica, storicista e fideista che le ha originate e che, mutando uno per uno tutti gli articoli del Credo, come dimostro con ogni evidenza nel mio Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, non conducono affatto alla salvezza, ossia non conducono affatto a Dio: non vi conducono né il loro Autore, né i suoi lettori, discepoli, ammiratori, così come non sarebbero stati condotti alla salvezza, all’epoca, i poco saldi Gàlati da quelle dottrine anatemizzate da san Paolo, fossero pur state annunciate loro da « un Angelo del Cielo », perché, come si è detto, entrambe le dottrine – ieri quelle dei Gàlati, oggi quelle di Ratzinger – e dunque entrambe le fedi in esse mal riposte e che comunque proprio da esse purtroppo ancora germinano, sono “carne”: elucubrazioni umane mal condotte, inferenze che, non poggiando su basi metafisiche, non possono dirsi neanche scientifiche, e che infatti poi, in quanto tali, lasciano titubanti, nel più tragico dei dubbi, chi vi si appende, il loro pur esimio Autore e i suoi miseri lettori, e non può essere che così: solo Dio può portare l’uomo a Sé, e con fede certa, salda, potente e definitiva: ferma come è ferma solo la sua Roccia.
Si spera che questi cinque esempi possano essere utili a far conoscere la mia disamina al più largo pubblico di fedeli possibile, così da metterli in guardia sulle dottrine insegnate in Introduzione, e riescano a sollecitare, come si può riscontrare nelle ultime mie pagine, a trovare presto, e con ogni prudenza, la via per convincere l’illustre Soggetto a ritenere – almeno – che quel suo libro e le dottrine contenute non siano più proponibili alla Chiesa come sue convinzioni profonde, come a suo tempo il cardinale Dal Poggetto riuscì ad avvicinarsi al letto di Papa Giovanni XXII, a parlargli, a convincerlo, così da raggiungere il santo fine di far cadere ogni pericolo che i cancelli aurei gli restassero per sempre sbarrati.

8. PERÒ POTREBBE ESSERE ANCORA JOSEPH RATZINGER,
SE SOLO LO VOLESSE, A ILLUMINARCI LA STRADA VERSO DIO:
SEGUENDO L’ORSO DI SAN CORBINIANO DI CUI RACCONTA,
E L’ANIMALE DA SOMA IN CUI SI DOVETTE TRASFORMARE.

Nel suo La mia vita. Autobiografia, Joseph Ratzinger, a proposito della resa in italiano di Salmo 72,23, che in latino suona: « Ut iumentum factus sum apud te et ego semper tecum », con finezza rileva l’insoddisfazione di sant’Agostino a tradurre semplicemente in “bestia” il latino « iumentum », perché l’espressione, a suo avviso, designerebbe più precisamente, come leggiamo a p. 157, « gli animali da tiro che vengono usati dai contadini per lavorare la terra », ed è questo: un animale da tiro, l’animale in cui si dovette in qualche modo trasformare l’orso in cui si era imbattuto il monaco san Corbiniano secondo le antiche cronache di Frisinga, la città dove il futuro Papa doveva essere ordinato vescovo, orso che aveva sbranato la cavalcatura che stava portando a Roma il santo e il suo bagaglio: per riparare al mal fatto, l’orso, comandato dal monaco, dovette prendere il posto della sua cavalcatura, così « divenendo – contro la sua volontà – animale da soma ».
Il futuro Papa nota che è proprio questa: di andare contro la propria volontà, la differenza di un uomo che si comporta come una bestia selvatica, p. es. come un orso, e un uomo che si comporta come un animale da soma, come un animale aggiogato a una razione superiore alla sua, come è superiore, fuor di metafora, la ragione divina sulla umana.

Ma tale è anche la differenza, si fa notare qui, tra quel teologo che, come un orso tutto attaccato alla terra e a ciò che proviene dalla terra, elabora una fede in Dio su basi naturalistiche, storicistiche, soggettiviste, e il teologo che invece si lascia imbrigliare da Dio, accetta di essere attaccato al suo carro, con le spranghe e le redini di una fede dovuta a una razionalità superiore, a una razionalità « caduta dal cielo » come scrive ancora il Professore di Tubinga a p. 102 di Introduzione al cristianesimo parlando della Rivelazione.

Sicché “l’orso”, ossia la ragione umana, non imbrigliata come dev’essere da quella divina, deve completare anche in lui, nell’antico Teologo, la mutazione richiesta dalla fede per farsi perfetto “animale da tiro”: abbandonarne l’origine storicista e naturalistica, e abbracciarne la discesa dal Cielo, la sorgente divina, sacrificando a ciò, in obbedienza alla Chiesa, anche la propria libertà.
E questo devono fare anche tutti i suoi lettori e ammiratori, perché solo così si compirà in tutta la Chiesa, in tutta la cristianità, oggi, la trasformazione completa dell’ “orso” di una fede ancora troppo attaccata a motivazioni “carnali”: storiciste, come erano “carnali”, nella prospettiva giudaizzante, le motivazioni di fede dei Gàlati, in una fede felicemente tutta e solo aderente allo Spirito, alla grazia, ossia la trasformazione di una fede di “carne” nella fede tutta “a carico”, come quella data da quell’ “animale da tiro” che ha messo la propria libertà tutta a servizio di Dio.