I Magi nel commento del biblista Salvatore Garofalo

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Segnalazione del Centro Studi Federici
Dal Vangelo secondo Matteo
Cap. 2 – 1 Nato Gesù in Bethlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco che dei Magi, venuti da Oriente, si presentarono a Gerusalemme dicendo: 2 « Dov’è il re dei Giudei ch’è nato? Poichè abbiamo veduto la sua stella ad oriente e siamo venuti ad adorarlo ». 3 Udito ciò, il re Erode si turbò, e tutta Gerusalemme con lui; 4 e radunati tutti i gran sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro dove dovesse nascere il Messia. 5 Ed essi gli risposero: « In Bethlemme di Giudea; così, difatti, è stato scritto dal profeta:
6 E tu, Bethlemme, terra di Giuda,
in nessun modo sei minima fra le grandi città di Giuda:
da te, infatti, nascerà un capo,
che sarà pastore del mio popolo, Israele ».
7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece precisare il tempo dell’apparizione della stella e, inviandoli a Bethlemme, disse: 8 « Andate e informatevi accuratamente del bambino; e, quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinchè anch’io venga ad adorarlo ». 9 Udito il re, quelli partirono. Ed ecco la stella che avevano veduta all’oriente li precedeva, finchè, giunta sul luogo dov’era il bambino, si fermò. 10 La vista della stella li rallegrò di grandissima gioia. 11 Ed entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono; poi, aperti i loro scrigni, gli presentarono in dono oro, incenso e mirra. 12 E, divinamente avvertiti in sogno di non tornare da Erode, ritornarono per altra via al loro paese.
Note di Salvatore Garofalo
Cap. 2 Nel racconto dei Magi, l’attenzione dell’evangelista si concentra sulle prime reazioni ufficiali dell’ambiente ebraico alla nascita di Gesù, che viene indicata appena di scorcio (cfr. invece Lc. 2, 1-20). Erode morì nel 27 marzo-11 aprile del 750 di Roma, cioè nel 4 a. C. L’èra cristiana che fissa il primo anno d. C. al 754 di Roma procede da un errore di calcolo dovuto al monaco Dionigi il Piccolo del VI sec. Le antiche fonti greche parlano con molta stima dei Magi, di origine persiana. Dal sec. II d. C. essi cominciano ad esser confusi con gli indovini e gli astrologhi di provenienza babilonese ed egiziana (cfr. Atti 13, 6 ss.; 8, 9), considerati come fattucchieri e imbroglioni. Nell’antica tradizione persiana i Magi erano i più fedeli ed intimi discepoli di Zoroastro e custodi della sua dottrina; nei tempi più vicini al Cristo essi avevano una parte di primo piano nella religione ed anche nella politica. Mt. parla solo vagamente del loro paese di origine e nulla dice nè del loro numero esatto nè del nome nè della loro dignità regale. Sulla loro patria, gli studiosi non sono concordi; le preferenze si dividono tra l’Arabia (praticamente la regione ad est del mar Morto e del Giordano) e la Persia. Su Bethlemme cfr. Lc. 2, 4 nota.
2 Il fatto che i Magi si rivolgano alla corte di Gerusalemme può essere un indice del loro alto rango sociale. Re dei Giudei è un titolo spontaneamente inteso come corrispondente a Messia (v. 4; cfr. 27, 37). La stella del Messia (sua) è un segno nei cieli in relazione con l’attesa e la venuta del redentore. Una vera e propria stella non può assolvere le funzioni dell’astro veduto dai Magi (v. 9), perciò viene intesa piuttosto come un fenomeno verificatosi nella zona dell’atmosfera ma di tale natura che, ovviamente, non poteva essere indicato che come una stella. La tradizione religiosa persiana parlava di un « soccorritore » destinato a portare nel mondo la definitiva perfezione e il cui avvento era messo in relazione con fenomeni astronomici. Per il Messia-stella cfr. Num. 24, 17. Adorare, nell’antichità, indica in genere rendere omaggio, alla maniera orientale, con la prostrazione al suolo; se questa sia ispirata anche a un motivo religioso dipende dal contesto.
3 Erode fu sempre ferocemente geloso della sua corona acquistata a gran prezzo e non dubitò di sopprimere chiunque gliela insidiasse, fossero anche uomini del suo sangue. Il turbamento di Gerusalemme è dovuto all’entusiasmante annunzio dato dagli stranieri dell’avvenuta nascita del Messia aspettato da secoli.
4 Il re convoca l’assemblea competente in questioni religiose. I gran sacerdoti possono essere o i sommi sacerdoti scaduti di carica o i membri delle grandi famiglie sacerdotali fra le quali si sceglieva il sommo sacerdote o i rappresentanti delle ventiquattro classi sacerdotali (cfr. Lc. t, 5). Gli scribi erano i dottori, gli esperti della legge. Insieme con gli anziani del popolo, notabili laici, queste tre classi costituivano il gran consiglio o sinedrio, supremo tribunale ebraico. Poichè l’espressione « scribi del popolo » è insolita, si pensa che il testo primitivo del Vangelo sia stato: « i gran sacerdoti, gli scribi e gli anziani del popolo ».
5 La tradizione ebraica aveva sempre visto nel testo di Michea (5, 1 testo ebr.) una profezia messianica. Bethlemme è detta di Giudea per distinguerla da un omonimo villaggio di Galilea.
9 La stella non guidò i Magi dal loro paese alla Giudea ma riapparve solo sulla strada da Gerusalemme a Bethlemme, che distava dalla capitale ca. due ore di cammino. La direzione è nord-sud, contraria, quindi, al moto delle stelle.
11 La casa suppone che Giuseppe abbia provveduto a ricoverare in luogo più proprio (cfr. Lc. 2, 7) Gesù e Maria; tanto più che il tempo della visita dei Magi distava notevolmente da quello della nascita del Bambino (v. 16). Il racconto del Vangelo lascia intendere che l’« adorazione » dei Magi ebbe un contenuto anche religioso, dal momento che Dio non aveva risparmiato prodigi per condurre i sapienti alla culla del Messia. L’etichetta orientale esigeva che la visita a un personaggio di riguardo fosse accompagnata da doni proporzionati alla dignità di chi visitava e di chi era visitato. I Magi scelgono doni di grande valore in quel tempo. L’incenso e la mirra erano profumi adibiti ad usi sia sacri che profani. La tradizione cristiana attribuisce ai doni un significato simbolico: l’oro indica la regalità, l’incenso la divinità e la mirra l’umanità del Messia; quest’ultima, infatti, era usata in modo particolare nella imbalsamazione dei cadaveri.
12 Per potersi portare fuori del territorio soggetto ad Erode, i Magi ebbero certamente bisogno di due o tre giornate di marce forzate in direzione del mar Morto.
Tratto da: La Sacra Bibbia, vol. III, Marietti, Torino 1961, pagg. 14.15.

L’Adorazione dei Magi

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Segnalazione di Schola Palatina

a cura della Prof. Sara Magister

Tra le splendide collezioni nobiliari seicentesche, che contribuiscono alla gloria della città di Roma, quella della Galleria Borghese spicca su tutte. Perché è stata una delle prime, generando poi un processo di imitazione – emulazione. E soprattutto perché con le scelte coraggiose e geniali del suo ideatore, il cardinal nipote Scipione Borghese, ha svecchiato il panorama romano del primo Seicento, offrendo anche ad altri collezionisti l’occasione di aprire i loro orizzonti di interesse a nuovi linguaggi e ambiti di produzione artistica.

E così scorrono nelle sale della Galleria non solo le opere del divino Raffaello, di Botticelli e dei grandi classici toscani e romani esaltati nelle Vite di Giorgio Vasari, ma anche di pittori inusuali per le collezioni dell’epoca. Come alcuni artisti attivi nel Nord Italia, scovati dall’occhio attento e curioso del cardinale non solo nelle grandi città, ma anche nella fiorente provincia.

Un ruolo rilevante, ad esempio, è svolto da quel territorio posto al confine tra il ducato di Milano e la Repubblica veneta, che pur nelle continue contese politiche è stato in grado di generare un linguaggio originale, ben distante dalle sublimi idealizzazioni dei grandi del Rinascimento, ma non per questo meno denso di significato.

Jacopo da Ponte, detto il Bassano per il paese di origine – Bassano del Grappa –, è un artista che si era ben inserito in questo modo di guardare alla realtà, con un certo successo di pubblico. Si era formato a Venezia, dove aveva appreso la potenza emotiva del colore e della luce e la poetica dei sentimenti espressa attraverso i gesti e gli sguardi, mentre dagli artisti nord-europei aveva tratto quell’interesse per i dettagli, per la natura e per la trasposizione di soggetti sacri in contesti di vita quotidiana, che amplificherà nelle sue opere, fondando una scuola che sarà fondamentale per la formazione del filone naturalista dell’arte barocca, primo fra tutti Caravaggio.

Non un Re, ma un bimbo

Esemplare in questo senso è la tela dell’Adorazione dei Magi, databile attorno al 1576 circa, e prima versione di un soggetto ripetuto in almeno una ventina di altri esemplari simili, a conferma del suo ampio apprezzamento.

La composizione non è centralizzata ma spostata tutta sulla destra, verso la Sacra Famiglia, che è posta al margine di una tela molto affollata di persone, ma anche di oggetti e di animali. La fantasia dell’artista ha voluto immaginare, oltre ai protagonisti citati nelle Sacre Scritture, anche il corteo ricco ed esotico dei re persiani, talmente imponente che gli ultimi sono ancora in cammino, mentre i magi in primo piano hanno già deposto la corona ai piedi del Salvatore.

Un corteo dove tutti i suoi partecipanti, paggi, inservienti, animali da soma, cammelli, asinelli, cavalli, una scimmietta e persino qualche cagnolino subito si danno da fare per tirare fuori dai bauli oggetti preziosi di ogni genere: vasi dorati, ciotole e piatti tintinnanti, pietre preziose. Ma sono molto confusi, su quale sia il migliore regalo da offrire.

Si erano preparati bene, infatti, pensando che sarebbero giunti al cospetto di un re potente, seduto su un trono. E invece ora non sanno che fare, perché quella meta che hanno a lungo inseguito è in realtà un semplice bambino nudo, protetto solo dal tetto di una stalla diroccata, seduto sulle gambe della mamma e con gli occhi tutti per lei. Il contrasto tra le loro aspettative e la realtà è fortissimo e suscita la curiosità dei locali. Un bimbo sbuca da dietro il muro della stalla per guardare, ma senza capire molto.

In ginocchio di fronte al Mistero rivelatoChi capisce tutto sono invece i saggi persiani. Il primo a dimostrarlo è il più anziano dei tre che, deposta la corona a terra, s’inginocchia di fronte al Mistero rivelato, e offrendogli l’ampolla d’oro ne riconosce la dignità regale. Il broccato della mantella dell’anziano saggio riflette la luce divina, che brilla attorno al capo del piccolo Gesù. Gli altri due magi attendono il loro turno, stringendo i doni prescelti, quelli che denoteranno Gesù come Sacerdote (incenso) e Unto del Signore (mirra) e, confermandosi reciprocamente a bassa voce che era proprio quel piccolo bambino, colui che avevano a lungo cercato nel loro viaggio.

Come è tipico dell’arte veneziana, anche Jacopo Bassano gioca sui contrasti. In questo caso tra il lusso delle suppellettili e delle stoffe di seta e damasco delle vesti dei Magi e dei loro paggi e, di contro, la povertà estrema della Sacra Famiglia e del contesto architettonico che la ospita. Ma è proprio in quella povertà così disarmante che si manifesta il vero re e che si concentra una luce che poi si espande fino in lontananza, investendo anche gli elementi naturali, oltre che le persone.

Un denso simbolismoLa tradizionale attenzione per la natura, tipicamente veneziana, viene amplificata da Bassano a tal punto da far dire al biografo Raffaello Borghini, nel 1584, che nelle sue tele i protagonisti sembrano essere «spezialmente gli animali e le varie masserizie della casa». Ma quella che al primo impatto sembra essere un’umile scena pastorale, si carica invece di un denso simbolismo.

Gli animali presenti in questa scena, infatti, non servono solo a denotare il carattere esotico del corteo o il contesto campestre, ma segnalano ulteriori livelli di significato. La scimmia indica l’incapacità di comprendere dei paggi inutilmente indaffarati, il pavone in primo piano sul tetto della stalla, invece, indica la superbia della ricchezza, letteralmente deposta, insieme alla corona, dal saggio anziano, di cui spicca il capo nudo, come è nudo il corpo del piccolo Gesù.

FONTERadici Cristiane n. 140

Tempo d’Avvento: le profezie messianiche

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Testo tratto da: Gesauldo Nosengo, INCONTRO A CRISTO. Testo per l’insegnamento della Religione nella Scuola media inferiore. Volume primo per il primo anno, “Gesù Cristo Messia e Rivelatore, centro del tempo antico e della nostra fede, Felice Le Monnier, Firenze 1950, pagg. 84-90
 
GESU CRISTO CENTRO E TERMINE DELLE PROFEZIE 
 
SOMMARIO: Gesù sa e dice di adempiere le profezie. — I profeti: divinità delle profezie. — Il Cristo dei profeti. — I profeti hanno predetto del Messia: la stirpe; la nazione; la tribù; la famiglia; la Madre; il tempo della nascita; il luogo; la vita; la passione; la missione; la divinità; il sacerdozio; il trionfo; la regalità. 
 
GESU’ SA E DICE DI ADEMPIERE LE PROFEZIE. 
 
Gesù — dice il Vangelo — venne a Nazareth, dove era stato allevato, e, entrato, secondo l’usanza del sabato, nella Sinagoga, si alzò per fare la lettura. Gli venne dato il libro del profeta Isaia, ed Egli, apertolo, trovò quel passo dove è scritto : « Lo spirito del Signore è sopra di me; per questo Egli mi ha unto per portare la buona novella ai poveri; mi ha mandato a guarire i contriti di cuore, ad annunciare la liberazione ai prigionieri e la vista ai ciechi, a rimettere in libertà gli oppressi, a predicare l’anno accettevole del Signore e il giorno del premio ». Poi, ripiegato il libro, lo restituì all’ inserviente, mentre tutti nella Sinagoga tenevano gli occhi fissi su di Lui. 
Allora Egli cominciò a dir loro : « Oggi le vostre orecchie hanno udito l’adempimento di questa profezia ». 
In questo caso — come in molti altri — Gesù applica a sè stesso i passi dei profeti e dimostra che si sono adempiuti nella Sua Persona e davanti agli occhi dei suoi contemporanei. 
Dunque le profezie avevano per termine Lui e trovavano in, Lui il loro compimenti. 
 
I PROFETI: DIVINITÀ DELLE PROFEZIE. 
 
Dio aveva preparato il popolo ebreo a ricevere il Salvatore colle promesse più volte rinnovate; aveva costellato la sua storia politica e religiosa di stupende figure messianiche, ma volle anche anticipatamente descrivere molti aspetti del Cristo venturo per mezzo delle profezie. 
Per un periodo di 400 anni Dio suscitò uomini straordinari chiamati profeti, affidando loro il compito di richiamare il popolo alla fede ed alla morale divina. La loro missione, per volere di Dio, fu confermata coi miracoli e colla predizione del futuro. 
I profeti, per risvegliare l’attesa messianica, parlarono spesso del Messia, e le loro profezie sul Cristo, unite ed ordinate, ne costituiscono quasi una biografia anticipata. Sono come le pietruzze di un mosaico che, sistemate secondo il piano dell’artista e vedute nel loro complesso, formano una meravigliosa composizione: la vita del Messia. 
Questo fu possibile perché una sola Mente ordinatrice ispirava i profeti e li dirigeva verso un unico fine ed un’unica persona : Gesù Cristo. Così il Messia, apparendo sulla terra, unificava e realizzava in sè tutto il passato e trovava nelle profezie un argomento invincibile della sua missione divina. 
 
IL CRISTO DEI PROFETI. 
 
Le profezie intorno a Gesù Cristo sono moltissime: tra esse scegliamo quelle che si riferiscono ai fatti più impor-tanti della sua vita. 
 
I PROFETI HANNO PREDETTO DEL MESSIA : 
 
1) La stirpe da cui sarebbe nato : quella di Sem. Infatti Noè benedicendo a Sem disse : « Benedici, o Signore, i padiglioni di Sem, e sia Canaan loro schiavo. Di-lati Iddio Iaphet e trovi dimora nei padiglioni di Sem » (Genesi, 9, 26). 
 
2) La nazione: quella discendente da Abramo. « Benedirò chi ti benedice — disse il Signore ad Abramo — e maledirò chi ti maledice e Per te saranno benedette tutte le nazioni » (Genesi, 22, 18). 
 
3) La tribù: quella di Giuda. « Giuda, a te daran lode i tuoi fratelli — disse Giacobbe benedicendo i suoi figli — e ti adoreranno i figlioli del padre tuo. Lo scettro non sarà tolto da Giuda e dal condottiero della stirpe di lui, fino a tanto che venga colui che deve essere mandato, Egli sarà l’aspettazione delle nazioni » (Genesi, 40, 8). 
 
4) La famiglia: quella di Davide. « Il Signore ha dato a Davide promessa giurata e davvero non la ritratterà: un tuo figlio collocherò sul trono » (Salino, 131, 11). « Il seme di lui durerà in eterno » (Salmo 88). 
 
5) La Madre: Maria Vergine. « Ecco che una Vergine concepirà e darà alla luce un figlio e il suo nome sarà Emanuele cioè: Dio con noi (Isaia. 7. 14). 
 
6) Il tempo della nascita. —« Sappi dunque e nota attentamente : da quando uscirà l’ editto per la riedificazione di Gerusalemme fino al Cristo principe vi saranno sette settimane e sessantadue settimane; e saran di nuovo edificate le piazze e le mura in tempo d’angustie…. il Cristo sarà ucciso e non sarà più suo popolo quello che lo rinnegherà. E la città e il santuario saranno distrutti da un popolo con condottiero che verrà e la sua fine sarà la devastazione » (Daniele, 9. 25). 
« Quando verrà meno lo scettro di Giuda » (Genesi, 40, 10). 
« Prima della distruzione di questo secondo tempio che sarà da lui visitato» (Aggeo, 2-8). 
« La sua venuta sarà preceduta da una pace universale » (Isaia, 2, 4). 
« Sarà annunciata e preparata da uno speciale inviato » (Malachia, 3, 1). 
 
7) Il luogo. « E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei certo la più piccola fra le terre di Giuda; perchè da te uscirà Colui che reggerà il mio popolo di Israele » (Michea, 5, 2). 
 
8) La vita. « Sarà adorato dai re d’Oriente che gli offriranno oro e incenso » (Isaia, 60, 6). 
« Soggiornerà in Egitto » (Osea, 11, 1). 
« Sarà povero ed attenderà al lavoro » (Salmo 87, 16). « Sarà obbediente )) (Salmo 39, 
« Andrà a cercare le pecorelle smarrite, solleverà quelle che son cadute, fascerà le piaghe di quelle che son ferite » (Ezechiele, 34). 
« Consolerà gli afflitti » (Isaia, 61). 
« Opererà miracoli a favore dei ciechi, dei sordi, dei muti, ecc. » (Isaia, 35, 6). 
« Sarà anche una pietra di scandalo ed un’occasione di rovina per un gran numero di giudei » (Isaia, 1, 6, 8). 
« Entrerà trionfalmente in Gerusalemme « cavalcando un’asina e un asinello » (Zaccaria, 9, 9). 
 
9) La passione. « Egli non ha vaghezza nè splendore; e noi l’abbiamo veduto e non era bello a vedersi…. Veramente Egli ha preso su di sè i nostri languori e ha portato i nostri dolori, e noi l’abbiamo reputato un lebbroso e come flagellato da Dio e umiliato. Ma egli è stato piagato a motivo delle nostre iniquità, è stato sprezzato per le nostre scelleratezze; il castigo, cagione di nostra pace, cade sopra di Lui e per le lividure di Lui siamo risanati. Tutti noi siamo stati. come pecore erranti : ciascheduna deviò per la sua strada e il Signore pose addosso a lui le iniquità di tutti noi. È stato offerto, perché Egli ha voluto e non ha aperta la sua bocca; come pecorella sarà condotto ad essere ucciso; e come agnello muto si sta dinanzi a colui che lo tosa, così Egli non aprirà la sua bocca » (Dalle Profezie di Isaia). 
« Mi pesarono per mia mercede trenta monete d’argento » (Zaccaria, 11, 12).
« Hanno forato le mie mani ed i miei piedi, hanno contato tutte le mie ossa ; si son divise le mie vesti e han gettato la sorte per avere le mie vesti… ; quanti mi videro si burlarono di me, mossero le labbra e scossero la testa. Confidò nel Signore : essi dicono : lo liberi, lo salvi, se è vero che lo ama » (Salmo 21). 
« Per cibo mi diedero fiele, e per calmare la mia sete mi offersero aceto » (Salmo 62, 68). 10) La missione. — « Sarà il Salvatore » (Isaia, 51, 5). « Sarà il giusto per eccellenza » (Geremia, 23, 5). « Sarà l’Ammirabile; il Consigliere; il Principe della pa-ce » (Isaia, 9, 6).
 
11) La divinità. — « Il Signore mi ha detto : tu sei mio figliuolo oggi io ti ho generato ». 
« Tra gli splendori della santità, avanti ad ogni altra cosa, dal mio seno io ti generai – dice Iddio » (Salmo 109, 4). 
« Egli sarà l’Emanuele, il Dio forte, il Padre del futuro secolo » (Isaia, 42, 16). 
 
12) Il sacerdozio. « Il Signore ha giurato ed egli non si pentirà: tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedecco » (Salmo 109). 
 
13) Il trionfo. «L’Agnello sarà il Dominatore ». « Disse il Signore al mio Signore : siedi alla mia destra fino a tanto che io ponga i tuoi nemici sgabello dei tuoi piedi ); (Salmo 109). « Non permetterai che il tuo unto veda la corruzione » (risurrezione) (Salmo 15). 
 
14) La regalità. « Fiorirà ai suoi dì la giustizia e somma pace…. dominerà da un mare all’altro e dal fiume fino all’estremità della terra )) (Salmo 71). « Ci è nato un pargolo, ci fu dato un figlio, il suo nome sarà Principe ,di Pace e il principato è stato posto sulle sue spalle. Il suo impero crescerà. Sederà sul trono di Davide e sopra il suo regno » (Isaia, 9, 6). « Gli conferì la potestà, l’onore, il regno; tutti i popoli, le schiatte e le lingue serviranno a Lui; la sua potestà sarà una potestà eterna che non gli sarà mai tolta, e il suo regno un regno che non sarà mai distrutto » (Daniele, 7, 13). 
 
Tutte queste profezie si sono verificate alla lettera; basta leggere la Vita di Gesù, e specialmente il Vangelo di S. Matteo che, scrivendo per gli ebrei, diede un forte rilievo al parallelismo tra le profezie e la vita del Salvatore, offrendo la più forte dimostrazione che l’Aspettato delle genti era venuto, che era lui, Gesù di Nazaret. 
 

Liberalismo e secolarizzazione vogliono renderci indifferenti all’Incarnazione

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI per https://www.informazionecattolica.it/2021/11/29/liberalismo-e-secolarizzazione-vogliono-renderci-indifferenti-allincarnazione/

di Matteo Castagna

DISTRARRE SUL FINE DELLA VITA E, PER PRESUPPOSTO, VIVERE COME SE DIO NON ESISTESSE E FOSSE PRIVO DI DIRITTI, NELLA SUA QUALITÀ DI CREATORE, PORTA ALLA SUPERFICIALITÀ E ALLE IDEOLOGIE EFFIMERE

Il mondo scristianizzato prevede che il fine dell’uomo sia la felicità in questo mondo, che finisce con la morte. Si vive, perciò, assolutamente distratti dal vero fine della vita ossia il godimento di Dio nel Paradiso, per l’eternità, avendolo meritato attraverso la fermezza della fede e la costanza delle opere da essa derivanti. Distrarre sul fine della vita e, per presupposto, vivere come se Dio non esistesse e fosse privo di diritti, nella Sua qualità di Creatore, porta alla superficialità e alle ideologie effimere, che sono tutte finite.

Sopravvive il liberalismo, ovvero il più subdolo tra le invenzioni umane per evitare il rapporto con l’Aldilà, che non per forza nega Dio, ma crea una libertà di coscienza sul credere o meno, elevandola a valore assoluto. In tal modo, esisterebbe chi è legittimato dallo Stato a non credere e chi a credere, a seconda della sensibilità personale, perché la misericordia di Dio sarebbe così universale da non far distinzione tra colpa e merito così da garantire a tutti la salvezza eterna.

Noi che vogliamo, invece, rimanere cattolici, apostolici, romani, desideriamo sganciarci dalle distrazioni del mondo per meditare e lodare quanto ha fatto Cristo per noi e considerare quanto noi dobbiamo a Lui, per poter andare a goderLo per sempre.

Siamo entrati nel periodo di Avvento, che prepara il Natale del Messia, del Figlio del Dio vivente, ma proprio il liberalismo e la secolarizzazione contemporanei ci vogliono rendere indifferenti di fronte all’importanza di questo momento. Dobbiamo, dunque, dare due risposte ad altrettanti interrogativi: l’Incarnazione del Verbo è stata necessaria oppure solo conveniente? Se Adamo non avesse peccato, ci sarebbe stata ugualmente?

E’ teologicamente certo che la necessità dell’Incarnazione non è stata assoluta, anche supposta la volontà divina di riparare il genere umano. dopo il peccato originale, Dio avrebbe potuto distruggere il genere umano o ridurlo all’ordine naturale. Avrebbe potuto condonare la colpa o esigere una riparazione imperfetta da ciascun uomo o mandare un uomo con speciali grazie a riparare per tutti.

La Scrittura fa vedere sempre l’Incarnazione come un dono gratuito di Dio, non come una necessità.Così Dio ha amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito” (Gv. 3,16). “Giustificati gratis per la grazia di Lui, per la Redenzione che è in Cristo Gesù (Rom. 3,34)”. “Dio, che è ricco nella misericordia, per la sua immensa carità con cui ci ha amato, ci ha vivificato nel Cristo” (Ef. 2,4).

Sant’Atanasio (Orazione 2 contro Ario) dice: “Avrebbe potuto, anche se non fosse venuto mai il Cristo, soltanto parlare Dio, e sciogliere la maledizione. Sant’Epifanio, in una sua opera contro le eresie, dice che il Verbo si è incarnato: “per l’abbondante amore verso gli uomini spinto non da necessità ma da volontario disegno“. Sant’Agostino (De Agone Christiano 11,12) dopo aver posto la domanda di alcuni, che definisce stolti, se Dio non poteva liberare gli uomini, se non incarnandosi, risponde: “Lo avrebbe potuto assolutamente“.

E’ sentenza più probabile e più comune che dopo il peccato originale, posto che Dio esigesse una soddisfazione equivalente, era necessaria l’Incarnazione di una Persona divina. San Leone Magno, nel sermone della Natività (1,2) afferma: “Se non fosse vero Dio, non porterebbe il rimedio” al peccato originale.

Come spiega Giuseppe Casali nella sua Somma di Teologia Dogmatica (Ed. Regnum Christi, Lucca 1964) i Tomisti sostengono che l’offesa fatta a Dio col peccato è enorme ed infinita, perciò la riparazione la può dare solo una Persona infinita. Quindi, tutti i Teologi concordano sul fatto che “Dio ha decretato l’Incarnazione liberissimamente. Con essa ha voluto manifestare le sue perfezioni, ossia la sua gloria eterna. Dio avrebbe potuto volere l’Incarnazione anche indipendentemente dal peccato o da qualsiasi ipotesi”. I Tomisti sostengono che nella presente economia divina l’Incarnazione è talmente ordinata alla redenzione degli uomini, che se Adamo non avesse peccato, l’Incarnazione non ci sarebbe stata. Il nome Gesù, del resto, significa “Dio salva” e parliamo di redenzione in quanto Gesù, vero Dio e vero Uomo, ci ha riscattato, a prezzo del suo sangue, dalla schiavitù di Satana, in cui eravamo caduti per il peccato.

Raccoglierci in preghiera e prepararci al Natale con dei sacrifici volontari, in segno di espiazione dei peccati, con la meditazione di questi santi misteri è assai più consigliabile rispetto alla continua, sterile, maniacale polemica, ormai divenuta compulsiva, sulla nuova religione del mondo, con le sue più che evidenti iniquità.

 

 

I sovranisti distratti

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QUINTA COLONNA

di Franco Cardini

Fonte: Franco Cardini

IN MERITO ALLA “CARTA DEI VALORI EUROPEI”, OVVERO IL MANIFESTO DEI “SOVRANISTI”. I SOVRANISTI DISTRATTI, OVVERO LA SOVRANITÀ RIVENDICATA. GUARDANDO ALTROVE

Il “Manifesto”, così com’è, appare inficiato da due errori di fondo e compromesso da due omissioni che – volontarie o involontarie che siano – sono gravissime.
Due errori.
Primo errore: l’accettazione acritica dell’idea giacobina di “nazione”. La Natio è un valore antichissimo, che insiste sui legami tra un popolo, la lingua che esso parla, le tradizioni delle quali vive e il territorio nel quale esso è insediato. Ma la Nation è un concetto astratto di conio giacobino, inteso a sostituire quando è stato introdotto la fedeltà dei popoli ai loro troni e ai loro altari, cioè alla loro storia concreta. La “Nazione” è nata alla fine del Settecento per spazzar via i popoli e le tradizioni. Nell’Europa del futuro, accanto allo “stato-nazione” che ormai esiste in tutte le contrade del continente – ma che è vecchio al massimo di circa due secoli e mezzo, in certe aree (quali quella italica, germanica, iberica e balcanica) ancora meno – dovranno essere valorizzate le antiche e profonde realtà (“nazioni negate”, e magari “lingue tagliate”) che al livello di “stato-nazione” non sono mai pervenute: la castigliana, l’andalusa, la catalano-provenzale-occitana, la basca, la gallega, la bretone, la normanna, la borgognone-piemontese, l’alsaziano-lorenese, la bavarese, la svevo-alamanna, la veneta, la sarda, la siculo-sicana, l’italica nelle sue varie espressioni e declinazioni storico-dialettal-latitudinarie, la boema, la croata, l’illirica, la macedone e così via. Se la futura compagine unitaria politica europea (perché politica dovrà anzitutto essere e proclamarsi) dovesse darsi un sistema bicamerale – il che è materia di discussione – a un Congresso “degli stati-nazione” – dovrebbe accompagnarsi un Senato “dei popoli e delle culture” su una base territoriale differente e complementare rispetto al primo.
Secondo errore: spazziamo via una volta per tutte l’equivoco (nato sulla base di una superficiale e semicolta volontà di affermazione “antirazzistica” e “anti-antisemita”) della “civiltà giudaico-cristiana”. La confessione giudaico-cristiana nacque e si sviluppò nei primi secoli dell’Era Volgare come espressione di quegli ebrei che, volendo mantenere intatta la fede mosaica, intendevano tuttavia affermare che il Messia era già comparso nel mondo, ed era identificabile in Gesù di Nazareth. Tale confessione non esiste più. La fede cristiana affonda senza dubbio le sue radici nella legge ebraica e nella sua tradizione, che i cristiani giudicano “intrinseca” al cristianesimo (parere non giudicato reversibile dagli ebrei), così come ebraismo e cristianesimo sono giudicati “intrinseci” rispetto al messaggio di Muhammad dai musulmani (parere che ebrei e cristiani non giudicano reversibile). La civiltà europea si è fondata sulla base di un cristianesimo che aveva ormai metabolizzato l’ebraismo accogliendo al suo interno anche l’eredità ellenistico-romana, cui nel corso del primo millennio e anche di parte del secondo dell’Era Volgare si aggiunsero altre tradizioni etniche. Alcune porzioni dello spazio europeo accolsero poi i momenti distinti (dalla Puglia alla Sicilia alla penisola iberica a quella balcanica) anche la legge musulmana, mentre in esso rimasero radicate numerose comunità musulmane. La compagine europea del futuro, che sarà politicamente parlando laica e che riconoscerà e valorizzerà al suo interno le tradizioni religiose, dovrà fondarsi sulla sua identità abramitica comune a cristianesimo, islam ed ebraismo come sull’identità ellenistico-romana arricchita dagli apporti etnici celtico, germanico, slavo e uraloaltaico che le proviene dalla sua stessa storia.
Prima omissione.
L’Europa del futuro dovrà esprimere in modo esplicito l’opzione per una configurazione politica e istituzionale che l’Unione Europea non ha mai né saputo né voluto esprimere, rinunziando con ciò a proporsi quale Patria europea comune a tutti i popoli. L’Europa del futuro dovrà al contrario proporsi come Grande Patria Europea (il Grossvaterland, si direbbe in tedesco), includente al suo interno sì le “patrie” nate dallo sviluppo degli “stati-nazione” (i Vaterländer), ma anche gli Heimatländer. Le lunghe vicende di un continente segnato da diversità profonde e anche da passate ostilità reciproche (si è parlato non già di un “continente”, bensì di un “arcipelago” europeo da condursi a una unità – e pluribus unum – che rispetti e valorizzi tuttavia le diversità interne) escludono una formula futura fondata su un qualunque impossibile centralismo e consigliano di evitare la via di un federalismo “all’americana” o “alla tedesca”, insufficiente a rappresentare in modo adeguato le molte “terre profondamente e intimamente natali” (gli Heimatländer) in forza delle quali ciascuno di noi non è soltanto francese, o tedesco, o spagnolo, o italiano e così via, ma anche – e profondamente – castigliano, o bretone, o renano, o tirolese, o slovacco. Solo un assetto non già federalistico, bensì confederale, potrà rispondere adeguatamente a questa realtà e a queste istanze. Qualora volessimo indicare approssimativamente un modello, penseremmo alla Confederazione Elvetica. Sono di questo tipo le istanze che consigliano di procedere i popoli europei verso la costituzione di una compagine politica definibile come Confederazione degli Stati Europei (CSE).
Seconda omissione.
Il confronto con l’istituzione politico-militare della NATO e con l’atlantismo: la prima, la NATO, una compagine da rivedere e riformare profondamente sulla base di un patto al quale la CSE potrebbe anche aderire a patto ch’esso si fondasse sull’effettiva parità e indipendenza politica dei suoi membri anziché – come oggi si presenta – quale organo attivo dell’egemonia statunitense sui popoli europei con ciò ridotti a una “sovranità unilateralmente limitata” e a una grave subordinazione di fatto, lesiva dei loro diritti e della loro dignità. Il secondo, l’atlantismo, una sinistra ideologia politica nata sulla base della “guerra fredda” tra USA e URSS con i rispettivi satelliti e che oggi va rifiutata decisamente per essere sostituita da un’Europa che non ha nemici preconcetti ma che punta a un suo protagonistico ruolo nella promozione e nel mantenimento della pace e dell’equilibrio mondiale fondato sul conseguimento della giustizia sociale tra i popoli e della salvaguardia ecologica e ambientale. Un equilibrio del quale la nostra Grande Patria Europea sia protagonista e non vassalla.

La grotta dell’arresto Gesù al Getsemani

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Nella valle del Cedron, a pochi passi dalla Basilica dell’Agonia, verso nord, attigua quasi alla Tomba della SS. Vergine, vi è la Grotta del tradimento e dell’arresto di Gesù. Era il luogo, come narra il Vangelo, ove abitualmente Gesù, durante i suoi soggiorni a Gerusalemme, si ritirava coi suoi Apostoli per dividere con essi il pasto frugale e riposarsi durante la notte. Si può quindi considerare come la sua casa a Gerusalemme. 
 
In questa Grotta Gesù condusse per l’ultima volta gli undici Apostoli dopo l’ultima cena. Qui lasciati gli otto, prese con sè Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse poco lontano, verso mezzogiorno, tra gli ulivi, dove in parte furono testimoni della sua agonia. Dopo la terza preghiera nell’orto, Gesù fece ritorno alla Grotta coi tre prescelti; lì venne tradito da Giuda e abbandonato in mano dei suoi nemici. 
 
Questa Grotta, santificata tante volte dalla presenza di Gesù e degli Apostoli, fin dai primi secoli della Chiesa, fu un luogo di predilezione per i fedeli, che la circondarono della venerazione più profonda. Solenni peregrinazioni e grandi funzioni liturgiche vi compivano il clero e i fedeli di Gerusalemme, come attesta S. Silvia nel 288. 
 
Ancor oggi è una delle mete preferite dalla pietà dei pellegrini, che visitano il Paese di Gesù. È l’unico monumento che abbia conservata intatta la sua primitiva fisionomia, quella che aveva al tempo di Gesù. Le pitture che ornavano una volta le sue ineguali pareti son quasi del tutto scomparse; e il mosaico che tappezzava il pavimento ha lasciato soltanto qualche traccia. In ogni punto apparisce la roccia con gli stessi contorni e con lo stesso aspetto che presentava nell’ultima notte che accolse Gesù. 
 
Al tempo di N. S. si saliva a questa Grotta, che era rischiarata dalla luce che filtrava dall’entrata. Dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 e per le rovine accumulate dalle invasioni dei secoli seguenti, il livello del terreno intorno alla Grotta si è notevolmente alzato, tanto che oggi vi si scende per una scala di nove gradini, e per rischiararla fu necessario aprire un foro nel soffitto roccioso, che è sostenuto da tre pilastri naturali e da tre altri in muratura. 

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