L’Adorazione dei Magi
Segnalazione di Schola Palatina
a cura della Prof. Sara Magister
Tra le splendide collezioni nobiliari seicentesche, che contribuiscono alla gloria della città di Roma, quella della Galleria Borghese spicca su tutte. Perché è stata una delle prime, generando poi un processo di imitazione – emulazione. E soprattutto perché con le scelte coraggiose e geniali del suo ideatore, il cardinal nipote Scipione Borghese, ha svecchiato il panorama romano del primo Seicento, offrendo anche ad altri collezionisti l’occasione di aprire i loro orizzonti di interesse a nuovi linguaggi e ambiti di produzione artistica.
E così scorrono nelle sale della Galleria non solo le opere del divino Raffaello, di Botticelli e dei grandi classici toscani e romani esaltati nelle Vite di Giorgio Vasari, ma anche di pittori inusuali per le collezioni dell’epoca. Come alcuni artisti attivi nel Nord Italia, scovati dall’occhio attento e curioso del cardinale non solo nelle grandi città, ma anche nella fiorente provincia.
Un ruolo rilevante, ad esempio, è svolto da quel territorio posto al confine tra il ducato di Milano e la Repubblica veneta, che pur nelle continue contese politiche è stato in grado di generare un linguaggio originale, ben distante dalle sublimi idealizzazioni dei grandi del Rinascimento, ma non per questo meno denso di significato.
Jacopo da Ponte, detto il Bassano per il paese di origine – Bassano del Grappa –, è un artista che si era ben inserito in questo modo di guardare alla realtà, con un certo successo di pubblico. Si era formato a Venezia, dove aveva appreso la potenza emotiva del colore e della luce e la poetica dei sentimenti espressa attraverso i gesti e gli sguardi, mentre dagli artisti nord-europei aveva tratto quell’interesse per i dettagli, per la natura e per la trasposizione di soggetti sacri in contesti di vita quotidiana, che amplificherà nelle sue opere, fondando una scuola che sarà fondamentale per la formazione del filone naturalista dell’arte barocca, primo fra tutti Caravaggio.
Non un Re, ma un bimbo
Esemplare in questo senso è la tela dell’Adorazione dei Magi, databile attorno al 1576 circa, e prima versione di un soggetto ripetuto in almeno una ventina di altri esemplari simili, a conferma del suo ampio apprezzamento.
La composizione non è centralizzata ma spostata tutta sulla destra, verso la Sacra Famiglia, che è posta al margine di una tela molto affollata di persone, ma anche di oggetti e di animali. La fantasia dell’artista ha voluto immaginare, oltre ai protagonisti citati nelle Sacre Scritture, anche il corteo ricco ed esotico dei re persiani, talmente imponente che gli ultimi sono ancora in cammino, mentre i magi in primo piano hanno già deposto la corona ai piedi del Salvatore.
Un corteo dove tutti i suoi partecipanti, paggi, inservienti, animali da soma, cammelli, asinelli, cavalli, una scimmietta e persino qualche cagnolino subito si danno da fare per tirare fuori dai bauli oggetti preziosi di ogni genere: vasi dorati, ciotole e piatti tintinnanti, pietre preziose. Ma sono molto confusi, su quale sia il migliore regalo da offrire.
Si erano preparati bene, infatti, pensando che sarebbero giunti al cospetto di un re potente, seduto su un trono. E invece ora non sanno che fare, perché quella meta che hanno a lungo inseguito è in realtà un semplice bambino nudo, protetto solo dal tetto di una stalla diroccata, seduto sulle gambe della mamma e con gli occhi tutti per lei. Il contrasto tra le loro aspettative e la realtà è fortissimo e suscita la curiosità dei locali. Un bimbo sbuca da dietro il muro della stalla per guardare, ma senza capire molto.
In ginocchio di fronte al Mistero rivelatoChi capisce tutto sono invece i saggi persiani. Il primo a dimostrarlo è il più anziano dei tre che, deposta la corona a terra, s’inginocchia di fronte al Mistero rivelato, e offrendogli l’ampolla d’oro ne riconosce la dignità regale. Il broccato della mantella dell’anziano saggio riflette la luce divina, che brilla attorno al capo del piccolo Gesù. Gli altri due magi attendono il loro turno, stringendo i doni prescelti, quelli che denoteranno Gesù come Sacerdote (incenso) e Unto del Signore (mirra) e, confermandosi reciprocamente a bassa voce che era proprio quel piccolo bambino, colui che avevano a lungo cercato nel loro viaggio.
Come è tipico dell’arte veneziana, anche Jacopo Bassano gioca sui contrasti. In questo caso tra il lusso delle suppellettili e delle stoffe di seta e damasco delle vesti dei Magi e dei loro paggi e, di contro, la povertà estrema della Sacra Famiglia e del contesto architettonico che la ospita. Ma è proprio in quella povertà così disarmante che si manifesta il vero re e che si concentra una luce che poi si espande fino in lontananza, investendo anche gli elementi naturali, oltre che le persone.
Un denso simbolismoLa tradizionale attenzione per la natura, tipicamente veneziana, viene amplificata da Bassano a tal punto da far dire al biografo Raffaello Borghini, nel 1584, che nelle sue tele i protagonisti sembrano essere «spezialmente gli animali e le varie masserizie della casa». Ma quella che al primo impatto sembra essere un’umile scena pastorale, si carica invece di un denso simbolismo.
Gli animali presenti in questa scena, infatti, non servono solo a denotare il carattere esotico del corteo o il contesto campestre, ma segnalano ulteriori livelli di significato. La scimmia indica l’incapacità di comprendere dei paggi inutilmente indaffarati, il pavone in primo piano sul tetto della stalla, invece, indica la superbia della ricchezza, letteralmente deposta, insieme alla corona, dal saggio anziano, di cui spicca il capo nudo, come è nudo il corpo del piccolo Gesù.
FONTE: Radici Cristiane n. 140

Sara Magister è storica dell’arte, con diploma di specializzazione (PhD) in storia dell’arte medievale e moderna, e dottorato di ricerca (PhD) in antichità classiche in Italia.
Autrice di diversi articoli sulla storia del collezionismo rinascimentale e barocco, ha pubblicato con l’Accademia dei Lincei una monografia sulla collezione di antichità del cardinale Giuliano della Rovere – futuro papa Giulio II. Il suo libro più recente, Caravaggio, il vero Matteo. I capolavori per San Luigi dei Francesi a Roma, storia e significato, Campisano editore 2018 (2° edizione 2020) ha vinto il premio nazionale “Città Cristologica 2018”.
Da anni coniuga la ricerca filologica con la divulgazione culturale, nell’ambito dell’insegnamento universitario, del giornalismo stampato e televisivo, del turismo culturale e della didattica museale.
Tempo d’Avvento: le profezie messianiche
Segnalazione del Centro Studi Federici
Liberalismo e secolarizzazione vogliono renderci indifferenti all’Incarnazione
L’EDITORIALE DEL LUNEDI per https://www.informazionecattolica.it/2021/11/29/liberalismo-e-secolarizzazione-vogliono-renderci-indifferenti-allincarnazione/
di Matteo Castagna
DISTRARRE SUL FINE DELLA VITA E, PER PRESUPPOSTO, VIVERE COME SE DIO NON ESISTESSE E FOSSE PRIVO DI DIRITTI, NELLA SUA QUALITÀ DI CREATORE, PORTA ALLA SUPERFICIALITÀ E ALLE IDEOLOGIE EFFIMERE
Il mondo scristianizzato prevede che il fine dell’uomo sia la felicità in questo mondo, che finisce con la morte. Si vive, perciò, assolutamente distratti dal vero fine della vita ossia il godimento di Dio nel Paradiso, per l’eternità, avendolo meritato attraverso la fermezza della fede e la costanza delle opere da essa derivanti. Distrarre sul fine della vita e, per presupposto, vivere come se Dio non esistesse e fosse privo di diritti, nella Sua qualità di Creatore, porta alla superficialità e alle ideologie effimere, che sono tutte finite.
Sopravvive il liberalismo, ovvero il più subdolo tra le invenzioni umane per evitare il rapporto con l’Aldilà, che non per forza nega Dio, ma crea una libertà di coscienza sul credere o meno, elevandola a valore assoluto. In tal modo, esisterebbe chi è legittimato dallo Stato a non credere e chi a credere, a seconda della sensibilità personale, perché la misericordia di Dio sarebbe così universale da non far distinzione tra colpa e merito così da garantire a tutti la salvezza eterna.
Noi che vogliamo, invece, rimanere cattolici, apostolici, romani, desideriamo sganciarci dalle distrazioni del mondo per meditare e lodare quanto ha fatto Cristo per noi e considerare quanto noi dobbiamo a Lui, per poter andare a goderLo per sempre.
Siamo entrati nel periodo di Avvento, che prepara il Natale del Messia, del Figlio del Dio vivente, ma proprio il liberalismo e la secolarizzazione contemporanei ci vogliono rendere indifferenti di fronte all’importanza di questo momento. Dobbiamo, dunque, dare due risposte ad altrettanti interrogativi: l’Incarnazione del Verbo è stata necessaria oppure solo conveniente? Se Adamo non avesse peccato, ci sarebbe stata ugualmente?
E’ teologicamente certo che la necessità dell’Incarnazione non è stata assoluta, anche supposta la volontà divina di riparare il genere umano. dopo il peccato originale, Dio avrebbe potuto distruggere il genere umano o ridurlo all’ordine naturale. Avrebbe potuto condonare la colpa o esigere una riparazione imperfetta da ciascun uomo o mandare un uomo con speciali grazie a riparare per tutti.
La Scrittura fa vedere sempre l’Incarnazione come un dono gratuito di Dio, non come una necessità. “Così Dio ha amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito” (Gv. 3,16). “Giustificati gratis per la grazia di Lui, per la Redenzione che è in Cristo Gesù (Rom. 3,34)”. “Dio, che è ricco nella misericordia, per la sua immensa carità con cui ci ha amato, ci ha vivificato nel Cristo” (Ef. 2,4).
Sant’Atanasio (Orazione 2 contro Ario) dice: “Avrebbe potuto, anche se non fosse venuto mai il Cristo, soltanto parlare Dio, e sciogliere la maledizione“. Sant’Epifanio, in una sua opera contro le eresie, dice che il Verbo si è incarnato: “per l’abbondante amore verso gli uomini spinto non da necessità ma da volontario disegno“. Sant’Agostino (De Agone Christiano 11,12) dopo aver posto la domanda di alcuni, che definisce stolti, se Dio non poteva liberare gli uomini, se non incarnandosi, risponde: “Lo avrebbe potuto assolutamente“.
E’ sentenza più probabile e più comune che dopo il peccato originale, posto che Dio esigesse una soddisfazione equivalente, era necessaria l’Incarnazione di una Persona divina. San Leone Magno, nel sermone della Natività (1,2) afferma: “Se non fosse vero Dio, non porterebbe il rimedio” al peccato originale.
Come spiega Giuseppe Casali nella sua Somma di Teologia Dogmatica (Ed. Regnum Christi, Lucca 1964) i Tomisti sostengono che l’offesa fatta a Dio col peccato è enorme ed infinita, perciò la riparazione la può dare solo una Persona infinita. Quindi, tutti i Teologi concordano sul fatto che “Dio ha decretato l’Incarnazione liberissimamente. Con essa ha voluto manifestare le sue perfezioni, ossia la sua gloria eterna. Dio avrebbe potuto volere l’Incarnazione anche indipendentemente dal peccato o da qualsiasi ipotesi”. I Tomisti sostengono che nella presente economia divina l’Incarnazione è talmente ordinata alla redenzione degli uomini, che se Adamo non avesse peccato, l’Incarnazione non ci sarebbe stata. Il nome Gesù, del resto, significa “Dio salva” e parliamo di redenzione in quanto Gesù, vero Dio e vero Uomo, ci ha riscattato, a prezzo del suo sangue, dalla schiavitù di Satana, in cui eravamo caduti per il peccato.
Raccoglierci in preghiera e prepararci al Natale con dei sacrifici volontari, in segno di espiazione dei peccati, con la meditazione di questi santi misteri è assai più consigliabile rispetto alla continua, sterile, maniacale polemica, ormai divenuta compulsiva, sulla nuova religione del mondo, con le sue più che evidenti iniquità.
I sovranisti distratti
QUINTA COLONNA
di Franco Cardini
Fonte: Franco Cardini
IN MERITO ALLA “CARTA DEI VALORI EUROPEI”, OVVERO IL MANIFESTO DEI “SOVRANISTI”. I SOVRANISTI DISTRATTI, OVVERO LA SOVRANITÀ RIVENDICATA. GUARDANDO ALTROVE
Il “Manifesto”, così com’è, appare inficiato da due errori di fondo e compromesso da due omissioni che – volontarie o involontarie che siano – sono gravissime.
Due errori.
Primo errore: l’accettazione acritica dell’idea giacobina di “nazione”. La Natio è un valore antichissimo, che insiste sui legami tra un popolo, la lingua che esso parla, le tradizioni delle quali vive e il territorio nel quale esso è insediato. Ma la Nation è un concetto astratto di conio giacobino, inteso a sostituire quando è stato introdotto la fedeltà dei popoli ai loro troni e ai loro altari, cioè alla loro storia concreta. La “Nazione” è nata alla fine del Settecento per spazzar via i popoli e le tradizioni. Nell’Europa del futuro, accanto allo “stato-nazione” che ormai esiste in tutte le contrade del continente – ma che è vecchio al massimo di circa due secoli e mezzo, in certe aree (quali quella italica, germanica, iberica e balcanica) ancora meno – dovranno essere valorizzate le antiche e profonde realtà (“nazioni negate”, e magari “lingue tagliate”) che al livello di “stato-nazione” non sono mai pervenute: la castigliana, l’andalusa, la catalano-provenzale-occitana, la basca, la gallega, la bretone, la normanna, la borgognone-piemontese, l’alsaziano-lorenese, la bavarese, la svevo-alamanna, la veneta, la sarda, la siculo-sicana, l’italica nelle sue varie espressioni e declinazioni storico-dialettal-latitudinarie, la boema, la croata, l’illirica, la macedone e così via. Se la futura compagine unitaria politica europea (perché politica dovrà anzitutto essere e proclamarsi) dovesse darsi un sistema bicamerale – il che è materia di discussione – a un Congresso “degli stati-nazione” – dovrebbe accompagnarsi un Senato “dei popoli e delle culture” su una base territoriale differente e complementare rispetto al primo.
Secondo errore: spazziamo via una volta per tutte l’equivoco (nato sulla base di una superficiale e semicolta volontà di affermazione “antirazzistica” e “anti-antisemita”) della “civiltà giudaico-cristiana”. La confessione giudaico-cristiana nacque e si sviluppò nei primi secoli dell’Era Volgare come espressione di quegli ebrei che, volendo mantenere intatta la fede mosaica, intendevano tuttavia affermare che il Messia era già comparso nel mondo, ed era identificabile in Gesù di Nazareth. Tale confessione non esiste più. La fede cristiana affonda senza dubbio le sue radici nella legge ebraica e nella sua tradizione, che i cristiani giudicano “intrinseca” al cristianesimo (parere non giudicato reversibile dagli ebrei), così come ebraismo e cristianesimo sono giudicati “intrinseci” rispetto al messaggio di Muhammad dai musulmani (parere che ebrei e cristiani non giudicano reversibile). La civiltà europea si è fondata sulla base di un cristianesimo che aveva ormai metabolizzato l’ebraismo accogliendo al suo interno anche l’eredità ellenistico-romana, cui nel corso del primo millennio e anche di parte del secondo dell’Era Volgare si aggiunsero altre tradizioni etniche. Alcune porzioni dello spazio europeo accolsero poi i momenti distinti (dalla Puglia alla Sicilia alla penisola iberica a quella balcanica) anche la legge musulmana, mentre in esso rimasero radicate numerose comunità musulmane. La compagine europea del futuro, che sarà politicamente parlando laica e che riconoscerà e valorizzerà al suo interno le tradizioni religiose, dovrà fondarsi sulla sua identità abramitica comune a cristianesimo, islam ed ebraismo come sull’identità ellenistico-romana arricchita dagli apporti etnici celtico, germanico, slavo e uraloaltaico che le proviene dalla sua stessa storia.
Prima omissione.
L’Europa del futuro dovrà esprimere in modo esplicito l’opzione per una configurazione politica e istituzionale che l’Unione Europea non ha mai né saputo né voluto esprimere, rinunziando con ciò a proporsi quale Patria europea comune a tutti i popoli. L’Europa del futuro dovrà al contrario proporsi come Grande Patria Europea (il Grossvaterland, si direbbe in tedesco), includente al suo interno sì le “patrie” nate dallo sviluppo degli “stati-nazione” (i Vaterländer), ma anche gli Heimatländer. Le lunghe vicende di un continente segnato da diversità profonde e anche da passate ostilità reciproche (si è parlato non già di un “continente”, bensì di un “arcipelago” europeo da condursi a una unità – e pluribus unum – che rispetti e valorizzi tuttavia le diversità interne) escludono una formula futura fondata su un qualunque impossibile centralismo e consigliano di evitare la via di un federalismo “all’americana” o “alla tedesca”, insufficiente a rappresentare in modo adeguato le molte “terre profondamente e intimamente natali” (gli Heimatländer) in forza delle quali ciascuno di noi non è soltanto francese, o tedesco, o spagnolo, o italiano e così via, ma anche – e profondamente – castigliano, o bretone, o renano, o tirolese, o slovacco. Solo un assetto non già federalistico, bensì confederale, potrà rispondere adeguatamente a questa realtà e a queste istanze. Qualora volessimo indicare approssimativamente un modello, penseremmo alla Confederazione Elvetica. Sono di questo tipo le istanze che consigliano di procedere i popoli europei verso la costituzione di una compagine politica definibile come Confederazione degli Stati Europei (CSE).
Seconda omissione.
Il confronto con l’istituzione politico-militare della NATO e con l’atlantismo: la prima, la NATO, una compagine da rivedere e riformare profondamente sulla base di un patto al quale la CSE potrebbe anche aderire a patto ch’esso si fondasse sull’effettiva parità e indipendenza politica dei suoi membri anziché – come oggi si presenta – quale organo attivo dell’egemonia statunitense sui popoli europei con ciò ridotti a una “sovranità unilateralmente limitata” e a una grave subordinazione di fatto, lesiva dei loro diritti e della loro dignità. Il secondo, l’atlantismo, una sinistra ideologia politica nata sulla base della “guerra fredda” tra USA e URSS con i rispettivi satelliti e che oggi va rifiutata decisamente per essere sostituita da un’Europa che non ha nemici preconcetti ma che punta a un suo protagonistico ruolo nella promozione e nel mantenimento della pace e dell’equilibrio mondiale fondato sul conseguimento della giustizia sociale tra i popoli e della salvaguardia ecologica e ambientale. Un equilibrio del quale la nostra Grande Patria Europea sia protagonista e non vassalla.
La grotta dell’arresto Gesù al Getsemani
Segnalazione del Centro Studi Federici