Sessismo ovunque. Un’altra statua nel mirino delle femministe

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di Redazione www.nicolaporro.it

Le povere statue non hanno più pace. Qualcuno all’inizio si era illuso che il fenomeno di abbattimento dei monumenti fosse esclusivamente americano e volto ad eliminare i simboli di un passato dai contorni opachi. E invece no. Infatti, dopo aver estirpato gli eroi della vecchia Confederazione sudista e Cristoforo Colombo, la cancel culture è arrivata anche in Europa, prima in Inghilterra abbattendosi sul povero Churchill, poi in Francia con Napoleone e infine anche qui da noi con l’imbrattamento della statua di Montanelli a Milano e le polemiche sul monumento dei 4 mori di Livorno.

La nuova polemica

Quello che si sta scatenando attorno ad una nuova statua inaugurata ieri a Salerno, però, è se possibile, ancora più paradossale. Sì perché la protagonista del monumento è una donna, “la spigolatrice di Sapri”, ed è dedicata all’omonima poesia di Luigi Mercatini, che racconta di una contadina del sud Italia che lascia il lavoro per unirsi al tentativo di insurrezione antiborbonica organizzata dal patriota Carlo Pisacane nel 1857. Un esempio di virtù, di coraggio e impegno politico, quindi, a maggior ragione perché riferita ad un’epoca in cui le donne non trovavano molto spazio nella società. E dunque qual è questa volta il problema? Quando non è il soggetto, in discussione viene messa ovviamente la sua rappresentazione. E la spigolatrice, a dispetto del suo nome, non piace alle femministe di casa nostra perché mette in evidenza curve da urlo e un atteggiamento provocante. I suoi abiti? Troppo succinti. Ed ecco quindi arrivare puntualissima la catechizzazione di Laura Boldrini su Twitter.

Femministe alla carica

“La statua appena inaugurata a Sapri e dedicata alla Spigolatrice – ha scritto – è un’offesa alle donne e alla storia che dovrebbe celebrare. Ma come possono persino le istituzioni accettare la rappresentazione della donna come corpo sessualizzato?”. E infine il giudizio finale: “Il maschilismo è uno dei mali dell’Italia”. Ma la più celebre paladina del femminismo nostrano non è stata la sola a dirsi indignata. Sulla stessa linea anche la senatrice del Pd, Monica Cirinnà che ha parlato di “schiaffo alla storia e alle donne” e la ex parlamentare di Forza Italia, Manuela Repetti, che si è spinta oltre chiedendo addirittura la rimozione del monumento.

Ciò che però rende ancora più divertente e surreale l’intera vicenda è che la statua è stata eretta in un comune guidato da Italia Vivail partito di Renzi e che all’inaugurazione del monumento fosse presente anche Giuseppe Conte, che si trovava in loco per il suo tour elettorale. Quindi non solo il monumento ha per protagonista una donna virtuosa, non solo è stato voluto da un’amministrazione progressista, ma all’inaugurazione era presente persino l’ex premier della coalizione “con il cuore a sinistra”. Insomma, un cortocircuito di tale entità non può che essere fonte di grande divertimento e soddisfazione. Perché delle due l’una, o nella nostra società sono tutti maschilisti oppure il perbenismo di una certa sinistra sta cominciando a diventare tossico anche per coloro che vi stanno più a contatto. Sintomo evidente del fatto che in queste ideologie politicamente corrette ci sia qualcosa di estremamente sbagliato.

Sembra proprio pensarla così il sindaco di Sapri Antonio Gentile, che ha difeso la statua dicendo di ritenere “violento, offensivo e a tratti sessista” l’attacco della senatrice Repetti e la ha accusata di “incitare all’abbattimento dei monumenti come avvenuto recentemente in altri paesi privi di democrazia”. 

Per non parlare dell’autore della statua, Emanuele Stifano che ha rispedito al mittente tutte le accuse di sessismo e ha rivendicato con orgoglio le sue scelte artistiche. “Sono allibito e sconfortato da quanto sto leggendo – ha scritto sui suoi canali social. Mi sono state rivolte accuse di ogni genere che nulla hanno a che vedere con la mia persona e la mia storia. Quando realizzo una scultura tendo sempre a coprire il meno possibile il corpo umano, a prescindere dal sesso. Nel caso della Spigolatrice, poiché andava posizionata sul lungomare, ho “approfittato” della brezza marina che la investe per dare movimento alla lunga gonna, e mettere così in evidenza il corpo. Questo per sottolineare una anatomia che non doveva essere un’istantanea fedele di una contadina dell’800, bensì rappresentare un ideale di donna, evocarne la fierezza, il risveglio di una coscienza, il tutto in un attimo di grande pathos. Aggiungo che il bozzetto preparatorio è stato visionato e approvato dalla committenza”.

L’integralismo del politicamente corretto ha colpito ancora. Ora tutte le statue devono iniziare a tremare. E forse anche la sinistra più moderata.

Multirazzismo

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di Marco Tarchi 
Fonte: Diorama letterario
«Può il battito d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?». Se non fosse stato citato fino all’abuso nei quasi cinquant’anni che ci separano dalla sua formulazione, l’interrogativo posto dal matematico e meteorologo Edward Lorenz si presterebbe a meraviglia per prospettare lo scenario aperto dalla morte di George Floyd. Dal movimentato arresto dell’afroamericano finito in tragedia, uno dei tanti esempi della brutalità della polizia statunitense — a sua volta riflesso di un’abitudine alla violenza che scorre nelle vene della società nordamericana ed esplode periodicamente in una sequela ininterrotta di omicidi e massacri, a volte di proporzioni clamorose —sono infatti scaturiti un gran numero di episodi che lasciano intravedere lo scoppio di un’epidemia potenzialmente non meno pericolosa di quella con cui abbiamo tuttora a che fare.
Le reazioni alla vicenda di Minneapolis, con manifestazioni spesso culminate in attacchi teppistici e sommosse, con lo sbullonamento delle statue di reali o presunti razzisti di varia epoca, da Cristoforo Colombo a Winston Churchill a… Indro Montanelli, con la propagazione al di là degli oceani della moda dell’inginocchiamento commemorativo, con i cortei moltitudinari in dispregio delle disposizioni anti-covid per rivendicare “l’onore” di delinquenti pluricondannati deceduti nel corso di azioni di polizia (come nel caso di Adama Traorè in Francia, non l’unico della serie), benché le si faccia passare nei media mainstream come un’insorgenza di spirito antidiscriminatorio ed egualitario e una rivendicazione di comportamenti civili da parte delle forze dell’ordine — obiettivi di cui pochi (e non certo noi) negherebbero la legittimità —esprimono contenuti ben più inquietanti.
In coincidenza con l’uscita su piattaforme e schermi italiani di un film di impressionante realismo qual è I miserabili del franco-maliano Ladj Ly, ambientato in una delle tante banlieues della regione parigina abitate in massiccia prevalenza da africani, sono altrettanti segni di un futuro (che si sta facendo presente) dominato dalla disgregazione delle identità nazionali che hanno forgiato l’età moderna. Sono sintomi della volontà di disconoscimento della storia comune che la formazione di quelle identità aveva tenuto a battesimo ed accompagnato nei suoi processi di sviluppo e della sua sostituzione con una memoria fittizia, disegnata ad hoc per cancellare ogni traccia di quel percorso e sovrapporle frammenti scelti, selezionati e mistificati allo scopo di costruire una giustificazione degli odierni agglomerati multi-etnici e multiculturali.
Sotto il paravento dell’aspirazione ad un mondo di eguali, traspare la realtà di città popolate da tribù, ognuna delle quali rivendica il diritto ad un’esistenza separata, ostenta i propri codici di riconoscimento per coagulare i simili e contrapporli agli altri, esige dalla popolazione autoctona dei luoghi di accoglienza l’obliterazione di qualunque simbolo che possa ricordarle l’originaria estraneità e punta all’indebolimento degli strumenti dell’autorità statale — la polizia in primo luogo, ma anche altre istituzioni amministrative, le cui sedi sono spesso oggetto di devastazioni — per garantirsi, al di fuori della legalità, spazi sempre più vasti di autogestione secondo le proprie regole. La nascita di sempre più numerose «zone di non diritto» dove la popolazione immigrata è prevalente, sparse in tutta l’Europa, era già un indicatore significativo di questa tendenza. I recenti fatti di Digione — tre giorni di scontri di estrema violenza, con uso di armi da guerra, tra bande di ceceni e di maghrebini, nati per questioni di controllo del mercato della droga ma poi estesi a faida tra gruppi etnici che non si sopportano — forniscono una prova ancor più evidente. E il fatto che la battaglia si sia conclusa con un armistizio fra le due «comunità» (che così sì sono volute definire) sancito all’interno della locale moschea ha impresso un sigillo definitivo alla extraterritorialità di questi gruppi autogestiti. Tanto più se si considera la sostanziale autoesclusione dalla vicenda delle autorità francesi, ridotte al ruolo di spettatrici del conflitto.
Quella a cui stiamo assistendo è di fatto l’espropriazione del potere dei popoli di decidere dei propri modi di vita, di ricollegarsi alla propria storia e alle tradizioni che ne sono scaturite, di vivere entro le mura psicologiche protettive di un’identità condivisa ed esclusiva. Il ricatto della compassione e della commozione verso i “derelitti”, i “dannati della terra”, la denigrazione dell’orgoglio di un’ identità a profitto di una visione che nel cosmopolitismo vede il trionfo del Bene e della Pace universale, la ideologia dell’accoglienza incondizionata, l’odio per le frontiere e l’aspirazione all’omologazione planetaria stanno partorendo, tramite l’ennesima eterogenesi dei fini, un mondo in cui gli egoismi e gli odi etnici, a lungo compressi, affiorano sempre più vigorosamente in superficie. E in cui, dietro le invocazioni alla giustizia, si fa strada il desiderio di vendetta.
Vendicare la schiavitù, il colonialismo, la subordinazione economica è la parola d’ordine che apre la strada a una catena di reazioni il cui unico veicolo è l’attivazione della guerra civile. I tumulti che hanno terrorizzato Stoccarda per un’intera notte il 21 giugno, con una simbiosi tra immigrati, militanti dell’ultrasinistra no border e delinquenti comuni, così come gli attacchi di “lupi solitari” jihadisti o suprematisti, ne sono ‘semplici abbozzi. Molti segnali lasciano presupporre che molto di più, e di peggio, seguirà. Le società multirazziali sono sempre state, in potenza, società multirazziste. Ora iniziano ad esserlo anche in atto.

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Semaforo verde della Vigilanza. Foa è il nuovo presidente Rai

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Semaforo verde della Vigilanza. Foa è il nuovo presidente RaiUna grande vittoria per lui e per chi ha creduto nella sua professionalità indiscutibile. Un giornalista molto bravo, allievo di Montaanelli, che dà fastidio a globalisti e mainstream. Attendiamo fiduciosi un Direttore Generale in discontinuità con il politicamente corretto. Buon lavoro Marcello! (Matteo Castagna)

Forza Italia dice sì: Foa è il nuovo presidente Rai

La Commissione di Vigilanza ha dato semaforo verde alla nomina di Marcello Foa alla presidenza della Rai con 27 voti favorevoli, tre contrari, una scheda bianca e una nulla. Giornalista e scrittore, ha la cittadinanza svizzera e quella italiana, essendo nato a Milano e cresciuto a Lugano. Sposato e con tre figli, è laureato in Scienze politiche all’Università degli Studi di Milano. Esperienze significative degli ultimi anni, preceduti da una lunga carriera agli “Esteri” e da una precoce attenzione per multimedialità e giornalismo digitale, sono la direzione del sito web de “Il Giornale” e l’incarico di direttore generale sia di Timedia Holding Sa di Melide (Svizzera) sia del “Corriere del Ticino”, oltre che la fondazione dell’Osservatorio Europeo di Giornalismo e dell’Observatoire arabe du journalisme. Continua a leggere

Foa, il mostro della settimana

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di Marcello Veneziani

Ma non vi vergognate di accusare il governo in carica e Salvini in particolare, di spartirsi le nomine come voi praticate da una vita? Non vi vergognate – voi sinistra, voi clero intellettuale di sinistra, voi giornali e tg di sinistra, voi navigati sindacalisti Rai e voi più ipocriti e paludati benpensanti di cripto-sinistra – di gridare allo scandalo e di indignarvi solo perché i grillini e i leghisti, in modo naive, ricalcano le vie della lottizzazione che voi praticate con professionismo servile da decenni? Anzi, al tempo di Renzi toccò perfino rimpiangere la spartizione di sempre, perché prese tutto lui, in Rai e non solo. Stavolta la pietra dello scandalo è stato Marcello Foa, venuto dal Giornale di Montanelli e poi rimasto nel Giornale di Feltri fino a quando si è trasferito nel Canton Ticino a insegnare scienza della comunicazione e a amministrare un gruppo editoriale ticinese. Mai fatto politica, nessuna macchia nella fedina penale e nella reputazione, nessun legame sospetto. Nulla di scandaloso. Ma per il valoroso Collettivo dell’Informazione italiana più Pd, a cominciare dalla Corazzata Repubblika, Foa dice di essere allievo di Montanelli (un millantatore, dunque), insegna manipolazione delle notizie cioè fake news e non scienza della comunicazione, è addirittura ospite di Russia Today e dunque è un prezzolato al servizio di Putin, ha persino ritwittato qualcosa di tale Francesca Totolo, “patriota finanziata da Casa Pound” (che notoriamente dispone di miliardi, altro che il povero Renzi col suo piccolo aereo di carta, a spese nostre, che costava qualche centinaio di milioni). Continua a leggere