A CAPODANNO UN POLLO IN PENTOLA AD OGNI POVERETTO

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EDITORIALE

di Matteo Castagna per https://www.2dipicche.news/a-capodanno-un-pollo-in-pentola-ad-ogni-poveretto/

Giovannino Guareschi (1908-1968), scrittore, giornalista, umorista, vignettista è il romanziere italiano più letto al mondo, con venti milioni di copie vendute e traduzioni in quaranta lingue, compreso l’eschimese. Non è corretto dare delle etichette di partito a chi non ebbe mai tessere in tasca e ad un intellettuale originale e completo. Ma possiamo definirlo, senza timor di smentita, un anticomunista, cattolico vecchio stampo, allergico agli stereotipi ed al modernismo più becero e arrogante.

Non era ben visto dal potere di ogni colore, perché sapeva dissacrare con intelligenza e fare satira con una sagacia propria delle menti migliori e, nello stesso tempo, con l’umiltà tipica delle sue origini della bassa romagnola.  Alla presentazione della rivista Il Candido, scrisse, con la sua proverbiale ironia: «Qualcuno si ostinerà a voler trovare che Candido ha vaghe tendenze destrorse, il che non è vero per niente in quanto Candido è di destra nel modo più deciso e inequivocabile».

Guareschi sentiva le feste natalizie come qualcosa di sacro, fonte della nostra identità e tradizione, quindi, mentre il Natale era già passato e il nuovo anno non ancora arrivato, la sua fantastica fantasia immaginava don Camillo infervorato dai più bei propositi inventare un piano dettagliato in vista del cenone di San Silvestro: Don Camillo aveva studiato un grandioso programma di festeggiamenti per l’arrivo del nuovo anno. Un programma che era, in verità, molto semplice, in quanto poteva essere riassunto così:

 “A Capodanno, un pollo nella pentola di ogni poveretto”.

E così, don Camillo aveva cominciato il suo giro di raccolta, circa due settimane prima della fine d’anno.

Ogni aia era stata visitata: ogni proprietario, ogni affittuario, ogni mezzadro della parrocchia aveva ascoltato con molta attenzione la parola di don Camillo e nessuno aveva mancato di lodare, alla fine, la nobile iniziativa del parroco.

Disgraziatamente, in molte aie, la moria aveva fatto strage di polli, in altre ancora la poca polleria disponibile era già stata venduta o consumata. Il giorno 30 dicembre don Camillo si trovò ad aver racimolato a stento, oltre i suoi due polletti, sei pollastri il più in carne dei quali pareva lo Smilzo travestito da gallina. E a don Camillo ne occorrevano, come minimo, trenta.

Nobilissimo il programma del prete guareschiano, molto meno nobili le reazioni di chi si era ben guardato dal donare almeno un pollastrello al parroco che, così, va a lamentarsi con il Crocifisso: “Gesù, è credibile tanto egoismo? Cos’è mai un pollo per chi ne ha tanti?” “È un pollo” rispose mestamente il Cristo. Don Camillo spalancò le braccia:

“Gesù” esclamò indignato: “è mai possibile che la gente non comprenda la bellezza di un piccolissimo sacrificio che può procurare così grande gioia?” “Don Camillo, per troppa gente ogni sacrificio è sempre grandissimo, a troppa gente interessa, soprattutto, la propria letizia. E, per troppa gente, il non dare il superfluo è letizia”.

Un’amarissima considerazione, quella del Gesù di “Mondo piccolo”: anche per chi possiede molto, donare il superfluo è un sacrificio troppo grande, mentre il pretone della Bassa, che ha le mani grandi come il suo cuore, vorrebbe che tutti potessero godere almeno di un momento di felicità, nel festeggiare l’anno che inizia.

Ma Guareschi poteva far arrendere don Camillo? E, così, ecco arrivare improvvisamente, la soluzione del problema, pur se in modo non del tutto «canonico»: «[…] don Camillo non intendeva rinunciare al suo programma: “A Capodanno un pollo nella pentola d’ogni poveretto”. Stava rodendosi il fegato per scoprire una qualsiasi soluzione del complicato problema, quando gli si affacciò alla mente una domanda: “Un pollo è un pollo: e sta bene. Però: cos’è un fagiano? Non si potrebbe, per esempio, dire: il fagiano è un pollo che vola?”

Don Camillo concluse che, in fondo, il programma dei festeggiamenti non sarebbe sostanzialmente cambiato se lo slogan invece di suonare: “A Capodanno, un pollo nella pentola d’ogni poveretto” fosse stato puntualizzato in: “A Capodanno, un fagiano nel tegame d’ogni poveretto”».

Servivano la bellezza di ventidue fagiani e, di qui al prendere il piccolo «flobert» per non fare rumore e convincere un nobile cane da caccia come Ful ad accontentarsi dello schioppetto anziché della doppietta, il passo è brevissimo e il parroco, naturalmente infagottato in un pastrano, si ritrova in una riserva di caccia dove: «I fagiani se ne stavano appollaiati sui rami delle piante più basse, quasi completamente rimbambiti.

Erano tre anni che i Finetti si trovavano all’estero e, da tre anni, nessuno aveva sparato una fucilata in tutta la riserva. A ogni “plik” dello schioppetto corrispondeva il tonfo di un fagiano e, pur dovendo perdere un sacco di tempo nella ricarica, don Camillo fece un eccellente lavoro e arrivò al ventunesimo fagiano liscio come un olio. Il ventiduesimo fu quello che gli diede molti dispiaceri.

Ful aveva già dato segno di irrequietezza e ciò significava che qualcosa non funzionava e non si trattava di fagiani o di lepri. Ma don Camillo voleva arrivare ai ventidue polli volanti e disse a Ful di non rompere l’anima e di star tranquillo. Ful obbedì a malincuore ma, proprio mentre don Camillo stava sparando al ventiduesimo fagiano, ebbe uno scatto. Don Camillo capì di aver esagerato, però era troppo tardi. Il guardiacaccia stava arrivando. Buttò lo schioppetto in un cespuglio e, agguantato il sacco coi ventun fagiani, partì a tutta birra».

Occorre dire, qui, che allora i guardiacaccia avevano la maledetta abitudine di impallinare i bracconieri e così, senza pensarci due volte, la doppietta del guardiacaccia sparò. Don Camillo e Ful, sgattaiolati fuori da un buco nella recinzione, si ritrovarono in strada dove, per loro fortuna, stava passando il camion di Peppone che, intuendo la situazione, prese a bordo cane e cacciatore di frodo, portando don Camillo dal vecchio medico di Torricella per farlo «spiombare», prima di recapitarlo in canonica con il sacco del «polli volanti»:

«Uscito Peppone, don Camillo tirò il catenaccio della porta e andò in cantina a sistemare i ventun polli volanti. I quali risultarono in effetti ventidue perché, tra essi, c’era anche un meraviglioso cappone già bell’e spennato e pulito. Ed era quello che Peppone aveva comprato a Torricella per completare il numero».

Tutto bene, dunque? Manca all’appello la voce del Cristo, cui don Camillo confessa il malfatto: «Gesù, il mio cuore è pieno d’angoscia perché mi rendo conto del male che ho commesso.” “No, don Camillo: tu menti. Il tuo cuore è, invece, pieno di gioia perché pensi alla felicità che tu darai domani ai trenta poveretti».

È la vera carità dimostrata da quel Cristo capace di sorridere, l’umanità di Guareschi e il desiderio che, davvero, il Capodanno fosse festa per tutti.

Io che, a volte mi sento un po’ Guareschi, un po’ don Camillo e un po’ Peppone…credo che la morale di questo racconto sia il miglior augurio per un 2025 migliore dell’anno passato.

Il futuro dell’identità umana

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/08/14/il-futuro-dellidentita-umana/ https://www.2dipicche.news/il-futuro-dellidentita-umana/ e in spagnolo, tradotto dall’Ordine dei Giornalisti dell’America Latina: https://vocesdelperiodista.mx/voces-del-periodista/opinion/el-futuro-de-la-identidad-humana/

Il futuro dell’identità umana – San Tommaso d’Aquino affermava che i filosofi si valutano in rapporto alla verità o falsità delle loro argomentazioni; dal confronto tra le tesi della filosofia tomista e di quella rahneriana emerge con evidenza che mentre il tomismo è una filosofia realista, il cui oggetto di indagine è l’analisi della realtà come è in se stessa, quella di Rahner è una filosofia antirealista, di origine cartesiana, che ha posto al centro della riflessione l’io umano e il suo pensiero.

Nell’età moderna, la concezione realista di S. Tommaso appare essere talmente vera, da esser utile a chiunque ad osservare ciò che lo circonda, traendone un pensiero critico. In un certo senso siamo tutti filosofi, se ci atteniamo a questo principio. Il filosofo che si fa chiamare tale, nel III° millennio sembra, invece, solo un furbacchione, che cerca un modo “stimabile” per non lavorare.

La realtà odierna ci fa osservare che, mentre nel passato le strategie, le lobby di potere, gli interessi economici più importanti erano mantenuti in una certa riservatezza, oggi, nell’era digitale e dei social, tutto è di pubblico dominio.

Viviamo nell’era dell’Intelligenza Artificiale.

E così, in libreria troviamo liberamente un testo molto interessante che a “L’era dell’ Intelligenza Artificiale“, sottotitola “il futuro dell’identità umana”.

Anche la casa editrice è prestigiosa: Mondadori, 2023.

“Tre fra i pensatori più autorevoli e lucidi di oggi riflettono sull’intelligenza artificiale e su come stia trasformando il nostro modo di sperimentare la realtà, la politica e la società”.

I tre sono: Henry Kissinger, ex Segretario di Stato americano e consigliere geopolitico dei grandi della Terra; Eric Schmidt, ex amministratore delegato di Google e l’informatico e decano del MIT Daniel Huttenlocher. Essi ci spiegano cosa rappresenta l’IA: “un terreno di gioco fondamentale che determinerà gli assetti geopolitici futuri”.

Non certo una cosa da poco. Curioso che a spiegarci un qualcosa che stravolgerà le nostre vite siano tre distinti signori che immagino seduti in un caffé, a discutere sulle sorti dell’umanità. Per loro, l’Intelligenza Artificiale è un grande fattore di progresso, che viene assimilato a tutti gli altri mezzi tecnologici che nel corso dei secoli hanno caratterizzato la nostra storia.

Essa è un’impresa grandiosa con enormi potenziali vantaggi. “Noi la stiamo sviluppando, ma la useremo per rendere la nostra vita migliore o peggiore?

Reca con sé la promessa di medicine più efficaci, di un’assistenza sanitaria più efficiente e più equa, di pratiche ambientali più sostenibili e di altri progressi.

Allo stesso tempo, però, può distorcere o come minimo aggravare, la complessità del consumo dell’informazione e dell’identificazione della verità, spingendo alcune persone a lasciar atrofizzare la propria capacità di ragionamento e giudizio indipendente” (pag.196 ibidem).

Una “Commissione”

I tre pensatori sognano una commissione composta da figure di massimo livello del governo, dell’imprenditoria e del mondo accademico statunitensi, che abbia almeno due funzioni:

  1. Sul piano nazionale: massima attenzione alla competitività dell’ IA.
  2. Sul piano globale: studio delle implicazioni connesse all’intelligenza artificiale e promozione della consapevolezza verso questa nuova tecnologia.

“L’intelligenza umana e artificiale si stanno incontrando, proprio mentre vengono applicate a obiettivi di scala nazionale continentale e persino globale”.

Servirà, secondo i tre big della strategia mondiale, sviluppare un’etica che ci permetta di orientarci attraverso di essa, col contributo di scienziati, strateghi, statisti, filosofi, religiosi e amministratori delegati.

“È’ ormai giunto il momento di definire tanto la nostra collaborazione con l’IA quanto la realtà che verrà così a formarsi”.

Stiamo parlando quindi di una nuova etica, di cui ancora non conosciamo i contenuti che vada a interagire con l’Intelligenza Artificiale.

Si opera al contrario, dando per buona l’IA e solo dopo creare un’etica tramite una commissione di ignoti.

Solo per questo, potremmo dire che l’IA priva di regole definite è immorale e non andrebbe utilizzata, perché troppo pericolosa.

La teologia morale ci insegna che il problema fondamentale dell’etica filosofica è la ricerca della norma suprema dell’agire umano; e la sua soluzione dipende necessariamente dalle linee generali dei singoli sistemi filosofici.

Il danno del “liberalismo”

Molto difficile, se non impossibile, al mondo d’oggi, avere una “norma suprema dell’agire umano” perché secoli di liberalismo hanno imposto all’Occidente e, poi, al resto del mondo, il relativismo e il soggettivismo come paradigmi della giustizia sociale.

Sperando di essere smentito, credo si voglia sostituire l’uomo con le macchine in molti settori, creando disoccupazione e povertà.

L’unico criterio intrinseco a cui lo sviluppo tecnico-economico risponde è quello dell’efficienza, della massimizzazione dell’utile, sull’altare del quale ogni altro principio o valore deve venir sacrificato in quanto fonte di inerzia, perdite, in una parola: di inefficienza.

Perciò non può esistere alcuna etica in questo processo di sostituzione.

Il futuro pare, dunque, pressoché scritto: le élite sono pronte a sacrificare l’uomo sull’altare della tecnocrazia, mentre l’uomo viene distratto dai tantissimi mezzi di intrattenimento.

La consapevolezza di cui ragiona Kissinger è profondamente diversa da quella nostra. Quando l’umanità anestetizzata e distratta dal Sistema, si accorgerà della realtà, ovvero del predominio delle macchine, sarà troppo tardi, salvo che qualcosa o qualcuno intervengano per fermare l’abisso dell’autodistruzione.

“Famiglia e bullismo”

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Cinzia Notaro intervista Gianfranco Amato

“Famiglia e Bullismo”. Un incontro tenutosi di recente presso l’Abbazia di Santa Scolastica in Bari. Emarginazione, umiliazione pubblica, violenze fisiche, psicologiche e verbali, bullismo, cyberbullismo.

Ne sono succubi  secondo gli ultimi dati resi noti da “Terre des Hommes” soprattutto i giovani in età adolescenziale, che finiscono col soffrire nella maggior parte dei casi di ansia sociale, attacchi di panico, disturbi alimentari, depressione, autolesionismo.

Utero in affitto, identità di genere gli altri temi affrontati nel corso del dibattito.

Sono intervenuti: Enzo Fortunato Presidente Europa Benedettina , Manuela Antonacci di ProVita e FamigliaPaolo Scagliarini direttore de “La Fiaccola”, Samuele Lella di Gioventù Nazionale Bari, Michele Picaro Consigliere regionale di Fratelli d’Italia e l’avv. Gianfranco Amato che abbiamo avuto l’onore d’intervistare, Presidente dell’Associazione Giuristi per la Vita,  nominato il 26 giungo 2023 Direttore del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio permanente sulle Famiglie della Regione Siciliana, con decreto assessoriale 103 del 27 giugno 2023: “Ho  ricevuto questa nomina conferitami con decreto dell’assessore regionale alla famiglia, alle politiche sociali e al lavoro – ha specificato – per un ruolo riservato ad “esperti” di comprovata esperienza, competenza e professionalità. Si tratta certamente di un gratificante riconoscimento del lavoro svolto in questi ultimi quindici anni, ma soprattutto di una grande responsabilità. Ho deciso di accettare questa sfida perché sono convinto che la Sicilia possa diventare un laboratorio di politiche volte a valorizzare la famiglia a livello non solo italiano ma anche europeo. L’idea è quella di partire da una legge approvata esattamente venti anni fa – mi riferisco alla legge regionale 10 del 31 luglio 2023 – che aveva proprio come oggetto quello della «valorizzazione e tutela della famiglia». Si tratta di una legge avveniristica per l’epoca in cui fu approvata, e dovuta sostanzialmente alla particolare sensibilità sul tema della famiglia dell’allora presidente della regione Totò Cuffaro. Il punto è che non fu mai pienamente attuata. Credo che oggi ci siano le condizioni politiche a livello regionale e nazionale, per dimostrare che la famiglia non deve essere considerata una sorta di “corpo moribondo” da sostenere con sussidi, sovvenzioni, bonus, ecc., ma una vera e propria risorsa economico-sociale. Bisogna passare dalla logica dell’accanimento terapeutico, che guarda alla famiglia come ad un “peso sociale” da sostenere finanziariamente, alla logica della valorizzazione, che considera la famiglia nella prospettiva indicata dall’art.1 della Legge regionale 10/2003, ovvero quella di un «soggetto sociale di primario riferimento» per le politiche regionali.  La Sicilia può diventare un interessante laboratorio per sperimentare politiche familiari innovative  – ha dichiarato –  e introdurre iniziative volte a tutelare e valorizzare la famiglia, grazie anche all’amplia autonomia legislativa regionale e alle possibilità concesse da una legge avveniristica (L.R. 10/2003) che, dopo vent’anni di congelamento, ora potrà finalmente vedere la sua integrale applicazione. Ci aspetta un grande lavoro”.

Venendo ai temi dell’incontro, l’utero in affitto, rappresenta  un vero e proprio sfruttamento della donna che diventa un mezzo per avere un figlio a tutti i costi ed è pagata per questo, come in qualunque altro rapporto commerciale. Il bambino le viene letteralmente strappato, come se lei fosse solo un contenitore servito alla realizzazione dell’opera. Il mondo delle tenebre non finisce mai di sorprenderci !

L’ho definita una “barbara pratica”. Da giurista, è inconcepibile il fatto che un essere umano possa essere considerato oggetto di un contratto commerciale. Per trovare un precedente simile nella Storia del Diritto occorre ricorrere all’istituto della schiavitù. Non mi sembra un gran precedente. E nemmeno un gran progresso. In realtà le donne sfruttate sono due. Da una si ottengono gli ovociti contenenti il prezioso DNA, mentre l’altra viene semplicemente utilizzata come un contenitore. Infatti, normalmente gli ovociti vengono scelti accuratamente: di solito si tratta di una giovane donna di razza caucasica, bionda, con occhi azzurri, quoziente intellettivo alto, ecc. Mentre il contenitore lo si fa fare ad una donna del terzo mondo. In India esiste un disgustoso traffico di donne che hanno disperatamente bisogno di soldi e si prestano a questa vergogna. I committenti maschi non utilizzano una sola donna – sarebbe più semplice ed economico – perché in questo caso la donna rischierebbe di sentire come proprio il figlio e potrebbe rifiutarsi di farselo strappare via. Così, è preferibile sfruttarne due di donne, senza che nessuna delle due si affezioni troppo all’oggetto del contratto. Alcune femministe balbettano qualche critica, ma quel mondo, soprattutto il mondo omosessualista, è fermamente a sostegno di questa barbara pratica.

Occorre far prevalere il concetto che avere un figlio non è un diritto. Non esiste un diritto al bambino, ma c’è il diritto alla vita riconosciuto dalla Corte Costituzionale, il diritto di conoscere le proprie origini. Seguono poi i diritti ad essere educato dai propri genitori, alle relazioni familiari, e alla sua famiglia. Si può affermare che con la pratica dell’utero in affitto il nascituro è privato dei suoi diritti fondamentali?

Ci sono  importanti documenti a livello internazionale che riconoscono il diritto di un bambino a crescere in un contesto che favorisca il suo sviluppo armonico attraverso l’educazione complementare di un individuo biologico di sesso maschile, il padre, e un individuo biologico di sesso femminile, la madre. Questo è un dato oggettivo derivato dalla natura. Privare un bimbo di una madre o di un padre, è  una forma crudele e spietata di egoismo da parte di due adulti. Nessun bambino vuole nascere orfano. Semmai dobbiamo chiederci che tipo di civiltà è quella che tra il diritto sacrosanto di un essere debole e indifeso, quale  è un bambino, e il desiderio o il capriccio di due adulti, opta per quest’ultimo. È una civiltà dove vige la legge della giungla, in cui prevale il più forte e il più ricco. Qualcosa di molto  diverso dal modello che  per secoli ha caratterizzato  la civiltà occidentale cristiana.

Tornando all’incontro a cui ha partecipato recentemente presso l’Abbazia di S. Scolastica a Bari, la famiglia odierna si prende cura dei propri componenti? Li accompagna a scoprire i propri talenti ? Li porta a riconoscere i veri valori della vita? I genitori danno buon esempio ai propri figli? Ci si rispetta a vicenda? O ci sono muri di silenzio, incomprensioni, mancanza di dialogo? La Tv e i social network  hanno preso il suo posto?

Oggi sembra essere smarrito, non solo nella famiglia ma anche nella scuola, il concetto stesso di educazione. Che cosa significa educare? Tre verbi latini mi pare rendano bene l’idea di questa delicatissima funzione: educĕre/tradĕre/introducĕre. Se, infatti, la stessa derivazione etimologica del termine offre l’idea di “tirar fuori” ed estrarre le potenzialità di un figlio o di uno studente (educĕre), questa idea non può prescindere da altri due aspetti fondamentali.

Il primo è legato alla tradizione (tradĕre), ovvero al compito di “consegnare”, “trasmettere” il patrimonio di sapienza e di fede ricevuto dagli avi. E’ proprio il legame con la tradizione a costituire uno dei fattori originali delle dinamiche dell’evento educativo. La tradizione rappresenta il cuore dell’identità di un individuo, al punto che il suo disconoscimento non solo lo priva di un’origine, ma, scollegandolo dalle generazioni che lo hanno preceduto, lo immerge in un micidiale cocktail fatto di individualismo relativista, di cinico scetticismo e di squallido edonismo. A volte teleguidato da Tv e social network. L’assurdo ripudio della tradizione – falsamente immaginato come emancipazione in funzione di progresso – ha fatto dilagare tale micidiale cocktail nell’attuale sistema educativo e persino nella famiglia, dove insegnanti e genitori, succubi del pensiero unico dominante, hanno timore e addirittura vergogna di tradĕre l’eredità culturale fatta di principi, valori e ideali ricevuti dalle generazioni precedenti. Solo il legame con la Tradizione  può consentire oggi ad un giovane di acquisire un giudizio critico capace di osservare la realtà senza il paraocchi del pregiudizio ideologico e di guardare al di là delle false apparenze. Solo così un giovane può essere veramente libero e far fallire i tentativi di manipolazione che il Potere ininterrottamente mette  in atto – anche attraverso la distruzione della famiglia – per arrivare ad avere davanti a sé un uomo isolato, un pezzo di materia, un cittadino anonimo e privo del senso del destino. Il secondo aspetto concerne la funzione ultima della stessa educazione, ossia quella di introdurre (introducĕre) alla realtà nella totalità dei suoi fattori, proprio perché è insita nel cuore dell’uomo la domanda di senso totale, che non potrà mai trovare risposta in una ragione dimostrativa o scientifica. Ma chi oggi educa più in famiglia al riconoscimento di queste domande fondamentali dell’uomo?

L’istituzione della famiglia e del matrimonio sono stati istituiti prima del cristianesimo, vero?

La prima immagine che noi abbiamo di una famiglia, senza aggettivi (naturale, tradizionale, ecc.), è quella di una semplice famiglia fatta di madre, padre, figli, punto, risalente al periodo preistorico. Nel 2005 ad Eulau, in Germania, gli archeologi hanno scoperto alcune tombe del periodo  neolitico superiore. In una di esse hanno trovato i resti di quattro esseri umani: un uomo, una donna, e due bambini. Attraverso l’esame del DNA è stato dimostrato che si trattava di una famiglia: padre, madre e figli. Li avevano sepolti abbracciati tra di loro, e ciò fa intendere che sarebbero morti nello stesso momento. Gli scienziati hanno ricostruito attraverso un disegno i membri di quella famiglia, un’immagine molto commovente, ma che ci dice qualcosa di molto importante: in quell’epoca non esisteva nessuno Stato, nessun Parlamento, nessuna legge, nessuna Chiesa. Esisteva la famiglia, elemento naturale che precede tutte queste istituzioni. Per questo si dice che la famiglia è un elemento pre-politico e pre-giuridico. Nessuna istituzione umana e nessuna religione ha dato origine alla famiglia.

E che la famiglia fosse ritenuta una cellula della società risale alle più antiche civiltà, così come ha ripetuto più volte durante il suo intervento.

Uno dei primi a teorizzare in maniera “scientifica” questo concetto fu Aristotele nella sua opera Politica. Ci furono, poi, anche altri grandi pensatori del passato, come per esempio Cicerone che nel De Officiis spiega, appunto, che «prima societas ipso coniugio est», la famiglia è la cellula della società. Sempre in quell’opera, Cicerone riteneva la stessa famiglia come «principium urbis», fondamento della società e «seminarium rei publicae» un vivaio dello stato. Il concetto è poi passato nei grandi pensatori della Tradizione cristiana. Pensiamo, per esempio, a Sant’Agostino che ha espressamente definito la famiglia «particula civitatis», ovvero «la cellula della società e il suo principio» (De Civitate Dei, XIX 16). E così tutti gli altri grandi filosofi e teologi del cristianesimo. Sempre Sant’Agostino insegnava che «il primo naturale legame della società è quello tra uomo e donna (De bono coniugali, I, 1), e che «il matrimonio si chiamò così dalla radice etimologica mater» (Contra Faustum manichaeum, XIX 26). Per questo le  unioni contro natura tra persone dello stesso sesso non possono essere qualificate come matrimonio e quindi dare vita ad una famiglia. Del resto lo dice anche la nostra Costituzione all’art. 29, il quale recita che «La Repubblica riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». È interessante anche il verbo utilizzato in quell’articolo : «riconosce». Riconosce significa semplicemente prende atto di una realtà naturale che preesiste allo Stato. Non si dice la Repubblica istituisce la famiglia e ne disciplina le modalità di costituzione ed estinzione. La famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, ripeto, non è una creazione dello Stato e, quindi, non può essere modificata dallo stesso. Ancora più assurda ritengo la pretesa avanzata da alcuni movimenti omosessualisti di celebrare “nozze” tra persone dello stesso sesso nelle chiese. La libertà religiosa – che ricordiamo è un diritto fondamentale dell’uomo – non può essere conculcato in nome di un desiderio, o meglio di un capriccio di due persone che hanno un particolare orientamento sessuale.

Si può dire che c’è un piano infernale contro la famiglia, contro la fede, contro l’Europa cristiana?

Io ho avuto la grazia e il privilegio di conoscere personalmente, e frequentarlo negli ultimi anni della sua vita, il compianto cardinal Carlo Caffarra. Lui era stato incaricato nel 1981 dall’allora Pontefice di fondare l’Istituto per gli studi sul matrimonio e la famiglia. Caffarra ricordava spesso dalle mani di Suor Lucia di Fatima, una lettera in cui la veggente profetizzava che lo scontro finale tra Satana e il Regno di Cristo sarebbe avvenuto proprio sulla famiglia. Il Nemico dell’uomo non potendo attaccare direttamente il Creatore avrebbe attaccato la creatura, colpendo innanzitutto il luogo in cui essa nasce, cresce, si educa e si sviluppa. Chi ha fede crede a questa chiave di lettura. Non v’è dubbio, poi, che vi sia in atto una vera e propria guerra ideologica e cultura contro le radici cristiane dell’Europa. Basti pensare che lo stesso riferimento a tali radici è stato tolto dal preambolo della bozza della Costituzione europea.

Il fine di questa cultura della morte è annientare l’unica forma di difesa dell’uomo, la famiglia, e  spingerlo all’individualismo per farne un essere debole e fragile, facilmente plagiabile?

La famiglia è l’ultimo, piccolo, angusto spazio di libertà tra la persona e il Potere. Per questo il Potere vuole eliminarlo. Il Potere vuole un uomo solo, isolato, senza un luogo d’appartenenza, senza radici, fragile, indifeso. Un individuo perfettamente manipolabile. Come diceva il grande scritto inglese Chesterton la famiglia è un «test of freedom», un test di libertà, perché «è l’unica cosa che un uomo libero fa da sé e per sé».  Mons. Luigi Giussani, che è stato il mio Maestro, già trent’anni fa insegnava che l’interesse del potere a distruggere la famiglia è duplice: 1) distruggendo questa primordiale unità-compagnia dell’uomo, il potere riesce ad avere davanti a sé un uomo isolato che senza forza, resta un pezzo di materia, un cittadino anonimo, privo del senso del destino, privo del senso della sua ultima responsabilità e che si piega facilmente al dettato delle convenienze. La famiglia è attaccata per far sì che l’uomo sia più solo, privo di tradizioni che gli consentano di veicolare responsabilmente qualcosa che possa esser scomodo per il potere o che non nasca dal potere; 2) distruggendo la famiglia si demolisce  l’ultimo e più forte baluardo che resiste naturalmente alla concezione culturale che il potere introduce, dando spazio ad una realtà in cui il bene sia l’istinto o il piacere, o meglio ancora il calcolo.

A proposito  dell’identità di genere, il relativismo morale impera: un uomo vuole diventare donna, e viceversa. E quello che è più triste è che sono arrivati a provocare disagio anche nei bambini facendogli sorgere dubbi sulla propria identità sessuale. Vogliono distruggere la purezza dei piccoli. Il gender propagato nelle scuole… i piccoli vengono corrotti  ancor prima che prendano consapevolezza della gravità di certi insegnamenti! Non pensa che sarebbe bene far frequentare ai propri figli per difenderli dal male scuole parentali cristiane?

È un tema molto complesso che non può essere liquidato con una risposta da intervista. Quello che posso dire è che la cosiddetta ideologia gender più che una forma di relativismo morale integra un vero e proprio relativismo materiale. Si nega la realtà. È una sorta di delirio collettivo che rischia di distruggere la società, e certamente svuota la base antropologica della famiglia. La cosa più grave è che spesso si assiste ad un indottrinamento ideologico nelle scuole, partendo proprio dai più piccoli, i soggetti più facilmente plasmabili. Del resto ogni regime totalitario utilizza l’indottrinamento scolastico, e l’attuale dittatura del pensiero unico in cui stiamo vivendo non fa eccezione. Ritengo che l’opzione delle scuole parentali sia da prendere in seria considerazione. Continuo a conoscere esperienze disseminate in tutta Italia, davvero edificanti e che aprono una luce di speranza. Avessi dei figli in età scolare, opterei senza dubbio per questa soluzione rispetto all’alternativa di un campo di rieducazione dove giovani sono costretti all’indottrinamento dell’ideologia woke, del politicamente corretto, della cancel culture, della prospettiva omosessualista.

L’era sessantottina ha portato al caos. Da qui la mancanza di rispetto dei figli nei riguardi dei genitori, degli alunni riguardo gli insegnanti, della moglie rispetto al marito. Questa rivoluzione è stata graduale e lentamente ha provocato un vero disastro, quello che vediamo adesso? Com’era la famiglia  decenni fa e com’è oggi? La donna che responsabilità ha nel degrado morale e spirituale attuale? Il suo lavoro fuori casa le impedisce di avere cura del focolare domestico e di svolgere il ruolo fondamentale che Dio le ha affidato nel far crescere in età e grazia i propri figli e di essere accanto al proprio marito per aiutarlo e sostenerlo: Il Signore disse: «Non è bene che l’uomo sia solo, facciamogli un aiuto simile a lui», Gen 2,18.

Su che cosa abbia significato l’esperienza storica che va sotto il nome di “Sessantotto” e su quali siano stati gli effetti esiziali che ancora oggi perdurano, rinvio all’interessante saggio di un mio carissimo e fraterno amico: Giovanni Formicola. Credo che il suo libro intitolato “Sessantotto Macerie e Speranza” sia uno dei testi più illuminanti ed utili per comprendere in profondità quel fenomeno. Senza dubbio una vera rivoluzione che ha preso di mira anche l’istituto della famiglia quale cellula della società, in un’ottica ideologicamente distruttiva.

Assistiamo anche ad una certa manipolazione linguistica: la contraccezione viene descritta come “controllo del proprio corpo”; l’aborto (uccisione del nascituro) come “interruzione volontaria della gravidanza”; gli assassini degli innocenti sono chiamati “pro-scelta” e gli omosessuali “gay”, ovvero gaudenti. Ne consegue che l’arte, la musica sono state stravolte da cambiamenti culturali, che si allontanano da qualsiasi cosa che assomigli alla moralità cristiana.

Anche il regime totalitario in cui viviamo, come tutti i regimi totalitari che si rispettino, utilizza la manipolazione linguistica. Basta ricordare la celebre “neolingua” ipotizzata dallo scrittore George Orwell nel suo romanzo di fantascienza distopica 1984. Agli esempi che ha fatto Lei potremmo aggiungere anche “maternità di sostegno” per indicare la barbara pratica dell’utero in affitto, o la “procreazione medicalmente assistita” per indicare la procreazione artificiale. Cercano sempre di dare una valenza positiva a cose che, in realtà, sono sempre contro natura e contro l’uomo. Vittime dell’imperante totalitarismo ideologico e culturale in atto certamente anche la Storia, l’Arte, la Musica, basti pensare all’inquietante fenomeno noto come “cancel culture”.

Da cosa nasce la disgregazione familiare a livello giuridico, e la Chiesa cattolica è ancora davvero convinta dell’indissolubilità del matrimonio?

È stato il divorzio a rendere le relazioni umane e la società molto più liquide, e la solubilità del matrimonio ha incrinato la stessa stabilità della convivenza civile. Questo lo si deve onestamente ammettere, prescindendo da qualunque valutazione di carattere religioso, sacramentale, teologico. È possibile, infatti, parlare di matrimonio indissolubile anche da un punto di vista squisitamente laico. Se la famiglia è la cellula della società, uno Stato ha interesse a che la cellula sia solida. Una cellula liquida, infatti, rende liquida tutta la società. Non serve la fede, del resto, per comprendere anche la necessità del matrimonio indissolubile per il destino dei figli, il loro sostentamento e la loro educazione. Come ricordava il grande filosofo francese Gustave Thibon, se prima di sposarsi un individuo è consapevole dell’irrevocabilità del matrimonio, è anche indotto a non avventurarsi alla leggera in quel vicolo cieco che ha il muro di chiusura alle spalle; come il conquistatore che brucia i suoi vascelli per togliersi prima della battaglia ogni possibilità di ritirata, i fidanzati che acconsentono a legarsi l’uno all’altro fino alla morte, si procurano da questa “idea-forza” una garanzia preliminare contro tutti gli eventi del destino che minacceranno il loro amore. Al contrario, la sola idea del divorzio possibile prende dimora tacitamente nel profondo dell’anima, come un verme deposto da una mosca in un frutto in formazione e che ne divorerà un giorno la sostanza. L’esperienza ha più volte dimostrato, infatti, che in alcune circostanze, specie quando si tratta di grandi prove, è sufficiente considerare una cosa come possibile perché essa divenga necessaria. Si tratta di un dato psicologico elementare che da solo basta a sfatare, tra l’altro, il mito del cosiddetto “matrimonio di prova”.

Per questo resto basito quando mi riferiscono che ad alcuni “corsi prematrimoniali” è lo stesso parroco a spiegare ai nubendi, che, in fondo in fondo, se poi le cose vanno male, resta sempre aperta l’opzione del divorzio. Non mi addentro in tutte le polemiche sull’interpretazione dell’enciclica “Amoris Laetitia”, e neppure nella triste vicenda dei legittimi “dubia” sollevati da quattro cardinali della Chiesa cattolica (rimasti peraltro senza risposta), ma credo che l’orientamento attuale della Sacra Rota sia sempre più, diciamo, permissivo. È lo spirito del mondo che aleggia dentro la Chiesa.

Fonte: https://www.lafiaccola.it/wp/famiglia-e-bullismo/

La Chiesa tedesca sfida il Vaticano, è ufficiale: “Benedire le coppie gay”

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BARUFFE NELLA “CONTRO-CHIESA” CONCILIARE? (N.D.R.)
Terremoto nella Chiesa: il sinodo tedesco approva il documento per la benedizione delle coppie omosessuali. Il Papa contrario

La rivoluzione è servita, o giù di lì. La Chiesa Cattolica tedesca ha aperto alla celebrazione di cerimonie per benedire le coppie di stesso sesso. Lo ha deciso l’Assemblea sinodale con 176 voti a favore, 14 contrari e 12 astensioni. Si inizia dal marzo del 2026.

Si tratta di una notizia importante, che farà sicuramente discutere, come già successo negli anni scorsi con scontri neppure troppo velati tra tradizionalisti e progressisti le cui tensioni sono riemerse in tutta la loro forza in occasione della morte di Benedetto XVI. Il sinodo tedesco ha superato la maggioranza dei due terzi dei vescovi che era necessaria per approvare il provvedimento (38 a favore, 9 contrari, 11 astenuti). I tre anni che dividono la decisione dalla sua applicazione saranno dedicati a definire il formato liturgico di questo tipo di cerimonia. La benedizione dell’unione riguarda sia le coppie gay chi si è risposato dopo un divorzio. Come si legge nel documento, rifiutare la benedizione di due persone “che vogliono vivere il loro amore nell’impegno e nella responsabilità reciproca verso Dio” sarebbe una sorta di discriminazione che “non può essere giustificata in modo convincente in termine di teologia della grazia”. E questo nonostante una nota esplicativa della Congregazione della dottrina della fede avesse nel 2021 precisato che la benedizione per le coppie omosessuali non fosse possibile. 

La discussione sinodale era iniziata nel 2019. La preoccupazione del Vaticano per il percorso intrapreso dalla Chiesa tedesca non è certo un mistero. Il segretario di Stato Parolin, nel 2022 durante un incontro con Georg Bätzing, vescovo di Limburg e presidente della Conferenza Episcopale di Germania, aveva sottolineato il rischio di “riforme della Chiesa e non nella Chiesa”. Pochi giorni fa, anche Papa Francesco aveva lanciato il suo allarme: “Il pericolo è che trapeli qualcosa di molto, molto ideologico. E quando l’ideologia viene coinvolta nei processi ecclesiali, lo Spirito Santo torna a casa perché l’ideologia supera lo Spirito Santo”, aveva detto all’Associated Press. “L’esperienza tedesca non aiuta, perché non è un Sinodo, un cammino sinodale serio, è un cosiddetto cammino sinodale, ma non della totalità del popolo di Dio, ma fatto di élite”.

Sempre nell’incontro del novembre del 2022, il presidente dei vescovi tedeschi aveva già fatto capire che la chiesa di Germania non avrebbe tolto la possibilità di benedire le coppie omosessuali. “Noi siamo cattolici e lo restiamo cattolici – disse – ma vogliamo essere cattolici in modo diverso e sentiamo questa responsabilità”. Per il sinodo tedesco “non si può andare avanti come prima, si tratta di trasmettere il messaggio del Vangelo qui e ora, e non guardare sempre al passato, anche correndo il rischio di una Chiesa ammaccata”. Da più parti però si avanza l’ipotesi di un vero e proprio scisma. Nel luglio del 2022 la Santa Sede arrivò a pubblicare una nota ufficiale in cui “per tutelare la libertà del popolo di Dio” chiariva che “il cammino sinodale in Germania non ha la facoltà di obbligare i vescovi e i fedeli ad assumere nuovi modi di governo e nuove impostazioni di dottrina e di morale“.

Le novità intanto non finiscono qui. I vescovi hanno infatti approvato un testo che chiede a Bergoglio di “riesaminare il legame tra la concessione delle ordinazioni e l’impegno al celibato”. In sostanza, la possibilità per i preti di sposarsi. Quasi il 95% dei membri dell’Assemblea ha votato a favore del testo, come riporta infocattolica. Dei 60 vescovi presenti all’assemblea sinodale, 44 hanno votato a favore, 5 contrari e 11 si sono astenuti.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/la-chiesa-tedesca-sfida-il-vaticano-e-ufficiale-benedire-le-coppie-gay/

L’inarrestabile ascesa dell’ipocrita morale progressista

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Riceviamo per la pubblicazione questo articolo, che contiene spunti interessanti e di sicura attualità, coi nostri ringraziamenti all’autore (n.d.r.)

di Riccardo Sampaolo

Jean Gabin (1904 – 1976) è stato un grande attore francese, che non ha avuto difficoltà a giganteggiare in molti ruoli che gli sono stati conferiti.

Tra i suoi film è bene ricordare “Il clan degli uomini violenti”, datato 1970.

In tale film Gabin impersona un rude campagnolo, che nonostante una delle figlie gli ricordi che il mondo è cambiato, lui risponde lapidariamente: “Si, ma io no”.

L’uomo di campagna sopracitato, radicato in un suolo, che coltiva la terra  da cui ritrae gran parte del suo sostentamento, è un francese dalle convinzioni solide, pragmatico, poco influenzato, e quindi poco dipendente, dal mondo esterno in rapido aggiornamento.

La risposta più significativa il rude agricoltore la rivolge però a un magistrato, che nel chiedergli la professione, risponde senza esitazioni, proprietario, al che il magistrato sconcertato gli dice che “proprietario” non è una professione, e Gabin precisa, “per me si”; sta tutto qui il nemico attuale della odierna Unione Europea a sfondo progressista, l’uomo proprietario di un luogo e in larga misura autonomo; tale uomo è molto meno dipendente, rispetto ad altri, dallo Stato e dall’opinione pubblica e basa le sue convinzioni non su principi astratti, prima che vengano dimostrati, ma sulla solida esperienza di vita che lo fa diffidare delle mode passeggere del buonismo modaiolo della modernità.

L’ecologismo che fa frequentemente capolino dalle parti di Bruxelles è di matrice chiaramente urbana, ossia nasce nella mente degli uomini delle città, ed ha quasi sempre una profonda ostilità verso il mondo rurale, intriso di senso del sacro e  composta unità familiare. Non è un caso che l’ipotesi, circolata un po’ di tempo fa negli ambienti politici dell’UE, di mettere fuori mercato le abitazioni energeticamente dispendiose, avrebbe colpito prioritariamente i vecchi, ariosi e dimensionalmente generosi manufatti colonici agricoli, a favore delle piccole, anguste ed energeticamente efficienti anonime case cittadine.

L’ecologismo di moda negli ambienti progressisti europei a matrice urbana, punta alla colpevolizzazione dell’uomo e del suo operato, in uno stile fortemente antirurale che vede l’agricoltore come una figura marginale nella migliore delle ipotesi, e quindi non come un riferimento da cui poter ottenere il governo del territorio e cibi salutari; l’ambientalismo urbano e progressista è quindi in larga misura una serie di “buoni propositi” in cui gli adepti, dalle città vogliono intervenire su ciò che gli è esterno, dimenticando che l’urbanesimo è una delle principali cause del degrado ambientale, e il loro stile di vita è solo cosmeticamente allineato con gli elementi base della naturalità.

Mentre l’agricoltore vive sulla terra e della terra, ha come obiettivo il mantenimento della fertilità dei suoli nel corso del tempo, da cui ricava il proprio sostentamento, l’uomo delle città, irreligioso, cosmopolita, progressista, si limita a imporre al bifolco le sue certezze delle buone intenzioni, volendo difendere l’ambiente dal punto di vista delle città, ma non stringendo alcun reale rapporto con la natura, intesa come base da cui ritrarre l’utile per poter vivere. Il capitalismo internazionale dopo aver vinto sul marxismo, ne ha assorbito alcune componenti compatibili con esso, e non sono poche.

Ecco quindi che si fa strada anche grazie alla digitalizzazione, all’urbanesimo, alla liberalizzazione dei rapporti sessuali, al disfacimento della famiglia, un sotterraneo e subdolo attacco alla proprietà diffusa e all’uso dei contanti, per denudare l’individuo, privarlo di “area di protezione” e porlo indifeso alla mercé di uno Stato, che assume atteggiamenti di fastidio verso l’esistenza di un tessuto comunitario dotato di autonomie economiche e valoriali, che ostacolano la riduzione di un popolo a somma di individui standardizzati su cui applicare efficientemente leggi, continuamente sfornate, non tanto per migliorare la qualità della vita di un popolo, ma per orientarlo al perseguimento di principi astratti in linea con il bene del pianeta e dell’umanità; si fa strada in sostanza una dimensione messianica della politica, genericamente rivolta, più che a uno specifico popolo, con le sue caratteristiche, a una indistinta umanità, priva di radici e storia, ma proiettata a comportarsi secondo regole ritenute appropriate dalla elitaria classe dirigente.

La riduzione di un popolo a somma di liberi individui nudi di fronte allo Stato e alla Legge ,(che garantiscono l’efficienza del sistema anche grazie alla montante digitalizzazione dei processi, la quale se da un lato ha il merito di velocizzare e efficientare il sistema, dall’altro rischia di spersonalizzare e inaridire i rapporti umani), non può che passare attraverso l’ attacco alla famiglia, quella che un tempo era considerata la cellula fondamentale della società e oggi rischia di divenire un intralcio alla libera espressione degli individui, presi come sono, dal loro io ipertrofico a guardarsi l’ombelico, e a gareggiare nel mercato dei rapporti affettivi, sempre più votati all’efficienza prestazionale e sempre meno alla profondità relazionale. La famiglia preesiste allo Stato, e nel passato la struttura pubblica è sempre stata piuttosto discreta nell’intromettersi nelle questioni coniugali e affettive, salvo ovviamente i casi di rilevanza penale. Oggi non è più così e lo Stato moderno guarda con sospetto comunità che si autoregolano; gli attuali poteri pubblici anziché considerare la Legge come il perimetro all’interno del quale potersi muovere, tentano di alzare l’asticella, arrivando a concepire la Legge come l’unico strumento regolatore dei rapporti tra persone; da ciò ne deriva ovviamente un altro aspetto tipico della modernità ossia la normazione ossessiva in ambiti un tempo non presi in considerazione.

In Italia il partito più agguerrito nel normare gli aspetti più intimi della vita delle persone è sicuramente stato il Partito Radicale, i cui modesti risultati elettorali non hanno impedito l’imporsi delle sue tematiche anche grazie all’aiuto che ha sempre ricevuto dalle altre e più grandi formazioni politiche, soprattutto della sinistra.

I radicali hanno sempre messo in atto battaglie apparentemente per la liberazione dell’individuo, ma ad una analisi più attenta si evince che la liberazione è avvenuta dai legami comunitari e dalle sensibilità di chi ti stava più vicino, per sostituire ciò, con l’ ossessivo e continuo ricorso a tribunali e leggi sotto l’egida dello Stato.

Lo stesso Marco Cappato, esponente di punta di +Europa, nella sua considerevole esposizione mediatica, non si risparmia di certo nel ricorso ai tribunali per le sue iniziative politiche.

Il risultato di tali azioni porta progressivamente al ridimensionamento di tutti i legami umani intermedi tra la persona e la comunità, e il denudamento dell’individuo così indebolito di fronte allo Stato, definito “il più freddo di tutti i mostri” da Friedrich Wilhelm Nietzsche, per derimere le sue intime questioni, senza il filtro del “dialogo profondo” con i membri della sua comunità.

Una delle prime battaglie radicali, di cuii si può tentare un’analisi, data oramai la piena maturazione dei suoi amari frutti, è sicuramente quella sul divorzio, dato l’oltre mezzo secolo raggiunto di diffusa applicazione.

Orbene come precedentemente ricordato, la famiglia è antecedente alla nascita dello Stato, e questo è un elemento che “il più freddo di tutti i mostri”, nella definizione alla Nietzsche, ha dovuto tenere conto, evitando per molto tempo di mettersi al buco della serratura, se non giustamente, per motivazioni di carattere penale. Tuttavia ad un certo punto della Storia, la decadenza della comunità, l’inurbamento, il declino della religiosità, l’avanzare del femminismo e dell’individualismo, fecero si che i tempi fossero maturi per tentare un intervento dall’alto, su quella che era la cellula fondamentale della società e da lì a breve lo sarebbe stata sempre meno; ecco pronta a partire dunque la macchina divorzista, che si presentava come strumento di scioglimento dei rapporti problematici tra coniugi, ma in realtà si dimostrerà essere qualcosa di ben più sofisticato e deleterio.

Per prima cosa lo Stato e la Legge non si accontenteranno di mediare tra i coniugi, garantendo la parità di trattamento tra i genitori, ma attraverso l’ideazione di artifici giuridici che vanno dall’affido del minore al concetto di casa coniugale, tenderanno a “sostituirsi” ad uno dei genitori (nella maggior parte dei casi al padre), statalizzando di fatto questo ultimo, che a tutti gli effetti diventerà un “concorrente perdente per legge”, estromettendolo dalla piena genitorialità e dalla fruizione della propria abitazione, anche quando di sua esclusiva proprietà.

In cinquant’anni si è verificato in Italia, per mezzo dello Stato e della Legge un vero e proprio scippo della genitorialità maschile, con il colpevole silenzio dei principali media.

L’utilizzo del principio astratto dell’esclusivo/superiore interesse del minore, grondante ipocrisia a livelli altissimi, dato che il massimo interesse del minore è quello di mantenere rapporti con entrambi i genitori, è stato il grimaldello con cui poter giustificare l’opinabilissima disparità di trattamento tra i genitori, come se una persona fosse titolare non di pieni diritti ma residuali; tutto ovviamente perfettamente in linea con il montante femminismo rancoroso della modernità.

Il Sistema divorzista non è neanche scevro da palesi iniquità, grazie all’astuzia giuridica di disgiungere l’affido del minore dalla colpa del naufragio coniugale, facendo verificare l’aberrante  scenario, che il genitore a cui è attribuita la colpa del naufragio familiare possa comunque ottenere l’affido del minore e beneficiare dell’affidamento della casa, anche se proprietario è l’altro.

Nonostante in oltre 50 anni, il divorzismo abbia dimostrato una forte ostilità nei confronti del padre, portata avanti con un impegno degno di miglior causa, il Sistema non si preoccupa delle ombre misandriche che rischiano di calare su di esso, forse confortato dallo spirito femminista dei tempi e dal sostegno, piuttosto acritico dei media conformisti, ma è proprio per questo che le persone è ora che guardino al di là della maschera divorzista e inizino a decifrarne il vero volto, che non è particolarmente rassicurante, soprattutto se si è il genitore marginalizzato dall’Istituto giuridico dell’affido, che guarda caso è quasi sempre di sesso maschile.

Il personaggio impersonato da Jean Gabin, (depurato da tutti gli “eccessi cinematografici”, nel film “Il clan degli uomini violenti”), il padre, proprietario di un vecchio casale di campagna, è il nemico principale del modaiolo progressismo odierno, e nel contempo, una delle poche figure credibili, di quotidiana, ostinata e pervicace resistenza al Sistema Mondialista.

Riccardo Sampaolo per www.agerecontra.it 

Verona Pride 2022, Castagna attacca il neo-sindaco: Tommasi cattolico?!

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di Lucia Rezzonico

Il 16 luglio anche Verona, la vedrà il centro della città trasformarsi in “Sodoma” per qualche ora.
Il Responsabile Nazionale del Circolo Cattolico Christus Rex-Traditio, Matteo Castagna interviene sull’argomento:
“anche se preparata da tempo, la sfilata dell’orgoglio sodomita pare sentirsi galvanizzata da una nuova amministrazione, che come primo atto, addirittura prima dell’insediamento, dimostra che la sua priorità è farsi vedere vicina ai promotori della “normalizzazione” dei desideri impuri contro natura, che la comunità LGBT vorrebbe riconosciuti in forme parificate al matrimonio, con tanto di adozione di bimbi. Spacciando tutto questo per “diritti civili” (sic!)”.
“Fa sorridere – dice Matteo Castagna con ironia – sentir parlare ancora di discriminazione categorie che, oramai, sono più coccolate e tutelate dalle Istituzioni dei panda in via d’estinzione…”
“Ma ciò che appare curioso è il dato politico. Il neo-sindaco Damiano Tommasi, che parteciperà al carnevale estivo di “Sodoma e Gomorra” (auguriamoci non blasfemo come a Bergamo, Milano, Cremona ecc.), si dichiara cattolico e nello stesso tempo è favorevole alla città arcobaleno. Dunque vale anche per Tommasi il passo evangelico: “Non vi ingannate: né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né gli omosessuali, né i ladri, né gli avari, né gli ubriaconi, né gli oltraggiatori, né i rapinatori erediteranno il regno di Dio” (1 Corinzi 6: 9, 10) ??? 
Oppure è esente dal rispetto del Cattolicesimo? Cattolico o gay friendly? Cattolico o favorevole a coloro che rappresentano “Gesù gay” e la “Santa Vergine Maria come una prostituta”?
Castagna conclude: “Ho letto che qualcuno ha parlato di cambio di passo rispetto al passato. Credo sia una speranza che fa almeno tenerezza, perché Verona è sempre la stessa, e non cambia per un errore di percorso della politica di Palazzo. La Famiglia è una sola; è quella che permette anche agli omosessuali di avanzare assurde pretese, ed è composta da mamma, papà e figli. La biologia è questa, o  diventerà anch’essa “omofoba” per legge?”
Hanno ripreso parte del comunicato: Il Fatto Quotidiano, L’Arena, Il Corriere del Veneto e altri
– Articolo a pag. 13 de l’Arena del 14/7/2022

Etica e vaccini: facciamo chiarezza

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9 Gennaio 2022 ore 16:16

Quelli che il “ddl Zan è cosa buona…” ci proveranno ancora

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EDITORIALE del LUNEDI per InFormazione Cattolica

di Matteo Castagna

MATRIMONIO E FAMIGLIA COMPOSTI DA UOMO, DONNA E FIGLI NON SONO IL FRUTTO DI UNA CULTURA CHE PUÒ CAMBIARE, O DI UN PRECONCETTO SOCIALE IMPOSTO, PERCHÉ È VERITÀ ANTROPOLOGICA INCONTROVERTIBILE

 

Credere di aver vinto la guerra contro chi vuole sovvertire l’ordine naturale, attraverso sofismi o l’affermazione di presunti diritti, anche attraverso l’imposizione legislativa di norme liberticide ed anticristiane, sarebbe da ingenui.

L’affossamento del ddl Zan, avvenuto in un particolare contesto politico, non significa che in futuro non si ripresenteranno le stesse istanze, altre insidie e le stesse problematiche.

Il terreno dello scontro non va visto nel paravento della tutela dalle discriminazioni di persone di diverso orientamento sessuale, perché le leggi e le aggravanti per chi commette atti violenti verso un gay ci sono già e quindi, togliendo di mezzo questa “scusa”, troviamo la volontà di imporre per legge il cosiddetto diritto positivo, contro chi si fa difensore del diritto naturale.

L’ osannato Stato laico, ovvero ateo, si porrebbe, dunque, come unica fonte del diritto e della morale, in una rigida concezione positivistica. Anche se esso si professa privo di un fondamento morale che lo legittimi e lo trascenda, avendo messo nel cassetto la regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo tramite 300 anni di spirito liberale, pretende di poter entrare nelle questioni di ordine morale, secondo il criterio positivista, che proclama giusto tutto ciò che l’autorità stabilisce (iustum quia iussum e non più, invece, iussum quia iustum).

Il noto giurista austriaco Hans Kelsen (1881-1973) è uno dei maggiori interpreti di questa teoria, su cui si fonda il pensiero moderno e post-moderno: <<una qualsiasi norma, proprio perché posta (positiva) e imposta dall’autorità o dalla maggioranza è per ciò stesso valida, buona e diventa “diritto giusto”>>.

Si tratta della dittatura della maggioranza, che legittima legalmente qualsiasi arbitrarietà, sotto la categoria dei diritti umani. Si proclama, spesso in nome della libertà di coscienza, la libertà dalla legge divina e dalla legge naturale, scritta nel cuore stesso dell’uomo, per assoggettarsi alle leggi umane, fatte di maggioranze sempre più variabili e, quindi, inconsistenti. E’, probabilmente, questa l’essenza del liberalismo che troppi, per giustificare l’errore ed il proprio comodo sregolato, hanno portato in seno al cristianesimo, che ne è la negazione per antonomasia.

Nel contesto attuale, il Sistema globale impone una visione antropologica dell’uomo di tipo scientista e tecnicista, che non tiene minimamente conto della sua natura di essere chiamato alla trascendenza. Tale visione rinchiude l’uomo nell’immanenza, comprime o nega la legge naturale, perdendo ogni fondamento e riferimento metafisico, sia nel campo teoretico che in quello morale e pratico. Anche il diritto diventa autonomo dalla morale e si sposta nel positivismo scientista.

Dal diritto naturale (oggettivo, desunto dalla natura) che prevede una biologia chiara e netta, ove uomo e donna sono complementari e, al tempo stesso, indispensabili alla procreazione, si è passati al diritto positivo, che trova la sua giustificazione nelle pulsioni, negli istinti e nei desideri di alcune persone, senza avere più il suo fondamento nel creato così come voluto dal Creatore.

Il darwinismo è servito a mettere in discussione la Creazione per preparare il terreno al positivismo individualista anticristiano. La visione secolarizzata e immanentista dell’uomo fa perdere il senso della morale e smarrisce quello del diritto.

Traslando al matrimonio e alla famiglia il positivismo individualista moderno, troveremo sempre la sovversione del diritto in nome di un presunto bene, persino “contra naturam”, dell’essere umano.

Matrimonio e Famiglia composti da uomo, donna e figli non sono il frutto di una cultura che può cambiare, o di un preconcetto sociale imposto dalla Chiesa, perché è verità antropologica incontrovertibile in quanto naturale, elevata, semmai, dal cristianesimo a Sacramento indissolubile, finalizzato alla vita. Cercare di cambiare la legge naturale e divina con il diritto positivo significa pervertire la verità dell’uomo, barattandola subdolamente e brutalmente con surrogati svianti e lesivi della dignità della creatura fatta ad immagine e somiglianza di Dio-Amore. L’odio verso Dio-Amore cercherà sempre di creare un diritto positivo che giustifichi e legalizzi il peccato. L’ha già fatto col divorzio e l’aborto, con le “unioni civili” volte a parificare l’unione tra persone dello stesso sesso al matrimonino, e ora ci sta provando anche con utero in affitto ed eutanasia.

S. Ignazio di Antiochia, vescovo e martire, uno dei primi Padri della Chiesa (I/II secolo dopo Cristo) scrisse nella sua lettera agli Efesini: << Non illudetevi, fratelli miei, coloro che corrompono le famiglie non erediteranno il regno di Dio (cfr. Cor 6, 9-10). se coloro che così fecero secondo la carne furono puniti con la morte, quanto più non dovrà essere punito colui che con perversa dottrina corrompe la fede divina, per la quale Gesù cristo è stato crocifisso? Un uomo macchiatosi di un tale delitto andrà nel fuoco inestinguibile, e così pure chi lo ascolta>>.  La lotta tra Bene e male continuerà finché Dio lo permetterà, perciò non facciamoci prendere da facili entusiasmi, ma stiamo forti nella realtà e saldi nel diritto naturale, protetto dallo stendardo di Cristo Re. Mettiamoci in gioco, con coraggio, perché i tempi che ci attendono saranno sempre più difficili e necessiteranno di coraggio e audacia.

Ci saranno utili dei rappresentanti che abbiano la volontà e i mezzi per combattere, almeno a difesa del diritto naturale, poiché le sirene del mondo, del denaro facile e della moda sono una forte tentazione, anche tra le fila di coloro che dovrebbero stare alla destra del Padre.

Fonte: https://www.informazionecattolica.it/2021/11/08/quelli-che-il-ddl-zan-e-cosa-buona-ci-proveranno-ancora/

Amministrative, i tre mali del centrodestra (o quattro?)

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IL COMMENTO POST ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2021

di Giuseppe De Lorenzo

È inutile nasconderselo: le elezioni amministrative 2021, che già iniziavano sotto cattivi auspici, sono andate persino peggio del previsto. Al di là del premio di consolazione – la Calabria e, forse, qualche Comune che la coalizione riuscirà a conservare – il centrodestra viene stracciato al primo turno a Milano e Napoli, a Torino parte in svantaggio e a Roma, probabilmente, soccomberà al ballottaggio (mai dare nulla per scontato, ma all’alba del giorno dopo, questa è la proiezione).

I tre motivi della disfatta

L’analisi della sconfitta non può prescindere da tre elementi di riflessione. I tre vicoli ciechi che hanno eroso una squadra, fino a poco tempo fa, col vento in poppa e dai quali non è detto sia possibile uscire.

1. L’incapacità di offrire una classe politica all’altezza, unita alla paura di amministrare. Un fattore abbastanza sorprendente soprattutto nel caso della Lega, che tradizionalmente aveva nel buongoverno locale un suo punto di forza. L’indisponibilità di big da giocarsi nelle metropoli, in realtà, è stata solo uno dei fattori in gioco: sicuramente, a spingere verso la scelta di candidati estranei ai partiti e oggettivamente deboli e impreparati, sono stati il timore di raccogliere sfide pericolose come banco di prova nazionale (Roma), le liti e le fratture interne alla coalizione e la costituiva difficoltà del messaggio sovranista a penetrare nei grandi centri urbani (Milano). Anche se – valga come monito a quelli di scuola giorgettiana – non hanno scaldato i cuori degli elettori nemmeno candidati tutt’altro che radicali, come i borghesissimi Luca Bernardo nel capoluogo lombardo e Paolo Damilano sotto la Mole.

2. È indubbio, tuttavia, che sulla disillusione dei sostenitori della coalizione – è il secondo spunto – abbia pesato la sostanziale irrilevanza politica dei sovranisti. Gli uni (Fdi), in quanto ancorati a una scelta d’opposizione coerente quanto si vuole, ma alla fine improduttiva: il partito di Giorgia Meloni ha un’indiscutibile forza critica, però è inevitabilmente marginale rispetto alle decisioni che contano e che esso deve limitarsi a subire. Gli altri (il Carroccio), nonostante avessero scelto di entrare nell’esecutivo di Mario Draghi proprio “per incidere”.

La realtà è che anche l’ala moderata o governista, alimentata dai presidenti delle Regioni del Nord e capitanata da Giancarlo Giorogetti, non ha portato a casa nulla: non l’apertura delle discoteche, non i tamponi gratis per il green pass, non la propulsione alla produzione di vaccini italiani, mentre l’abbandono dei lockdown duri derivava prevalentemente da un’intima convinzione di Draghi, il quale di sicuro non si concepisce come un uomo chiamato a gestire un Paese fermo. Giorgetti, per adesso, ha solo l’onere di affrontare le crisi industriali al Mise. Un ministero che appariva un grande riconoscimento alla Lega e che, a ben vedere, potrebbe essere stato un trappolone. Nel frattempo, Draghi & company preparano un’imboscata fiscale già nel cdm odierno. Tutto ciò ha suscitato una sensazione di disempowerment e di scoramento nell’elettorato d’area: la gente ormai ha capito che, comunque vadano le elezioni, non cambierà nulla.

3. Questo ci porta al terzo, più buio vicolo cieco: l’inagibilità politica. Un centrodestra a trazione sovranista finirebbe in un cul de sac, quand’anche vincesse le elezioni 2023. Da un lato, resterebbe esposto, com’era già successo ai gialloverdi nel 2018-2019, alle imboscate dei mercati finanziari e dell’élite europea. Dall’altro, sarebbe comunque vincolato in partenza agli impegni sottoscritti col Pnrr e modellati sulla base delle “raccomandazioni” dell’Ue all’Italia. Cercare di sottrarsi alla tenaglia significherebbe, con ogni probabilità, perdere l’accesso alle fonti di finanziamento del debito pubblico e le risorse garantite dal Next generation EU.

Noi di “Christus Rex” aggiungeremmo un quarto motivo: la mancanza più assoluta di un orizzonte valoriale metapolitico chiaro e condiviso da tutto il centrodestra. Ricordiamo che Salvini faceva incetta di voti quando parlava da cattolico e proponeva principi con solide radici cristiane, senza timore di andare controcorrente. Ci sarà ancora posto, nel centrodestra, per incidere come cristiani? Crediamo che nei fatti, nelle aperture anche alle persone maggiormente rappresentative di quest’area conservatrice e tradizionalista, della quale si sente orfano di rappresentanza almeno un milione di “tradizionalisti” anonimi, si possa e si debba ragionare. Se si annacqua il tutto per paura del politicamente corretto e del Pensiero Unico, il centrodestra è destinato, a nostro avviso, a continue debacle. Le linee siano chiare fin da principio, senza tentennamenti, ricordando che, anche in politica, come nella vita, nella morale, nell’etica, due + due fa sempre e solo quattro. (N.d.R.)

Come scrivemmo già su questo blog, il Recovery fund commissaria la destra per i decenni a venire. Il che, peraltro, rende quanto mai incerte le geometrie parlamentari del 2023, fermo restando che, per formulare ipotesi, è necessario scoprire chi arriverà al Quirinale. Ad esempio, se Draghi restasse a disposizione di un incarico a Palazzo Chigi, mettereste la mano sul fuoco sul fatto che Forza Italia s’imbarcherebbe in un’impresa con leghisti e meloniani, anziché riproporre una grande coalizione, ovvero una conventio ad excludendum contro i sovranisti?

Era ieri, quando il caos immigrazione metteva il turbo alla Lega di Matteo Salvini. Eppure, è come se fosse passata un’eternità.

Giuseppe De Lorenzo, 5 ottobre 2021

Fonte: https://www.nicolaporro.it/amministrative-i-tre-mali-del-centrodestra/

 

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L’economia deve corrispondere alla morale

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Ecco perché è utile leggere il libro ”La culla vuota della civiltà – All’origine della crisi” scritto dal ministro per la famiglia Lorenzo Fontana e l’economista Ettore Gotti Tedeschi (con prefazione di Matteo Salvini)
di Giovanni Tortelli

(LETTURA AUTOMATICA)

Lo scopo del recente saggio La culla vuota della civiltà – All’origine della crisi (Gondolin, Verona 2018, con prefazione di Matteo Salvini) di cui sono autori, l’attuale ministro per la famiglia Lorenzo Fontana e l’economista Ettore Gotti Tedeschi, è la dimostrazione del collegamento diretto fra incremento della natalità, tutela e incoraggiamento alla formazione della famiglia e sviluppo economico, in modo che l’economia possa ritrovare nella crescita demografica e nella famiglia «l’investimento degli investimenti», come lo definisce Fontana nell’introduzione.
Obiettivo non facile da raggiungere, visto che i “cattivi maestri” dell’economia globalizzata che si sono succeduti sulla cattedra di Malthus hanno sempre creduto vera l’equazione per cui il prodotto interno lordo di un Paese cresce col decrescere della popolazione: quando la popolazione cresce troppo, gli individui della stessa specie entrano in competizione l’uno con l’altro per lo sfruttamento delle risorse disponibili: da qui la presunta necessità del controllo (o inibizione) delle nascite.
Niente di più sbagliato sostengono gli Autori; basta vedere infatti i risultati dei Paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) che incrementando la popolazione sono diventati ricchi, mentre l’Occidente, diminuendola, si è impoverito.
Ma perché – si può domandare il lettore inesperto – è proprio necessario ripristinare questo rapporto di proporzione diretta fra incremento della popolazione e crescita economica? Perché – risponde Gotti Tedeschi – è l’incremento della natalità che provoca la formazione della famiglia e la famiglia produce ricchezza, anzi è il primo aggregato di società che produce ricchezza. Continua a leggere

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