L’Occidente cambia strategia: Ucraina sempre più sola e negoziati in avvicinamento
di Matteo Castagna per www.affaritaliani.it
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ESTERI
di Matteo Castagna per https://www.marcotosatti.com/2024/05/20/la-morte-di-al-raisi-le-domande-senza-risposta-i-sospetti-di-un-attentato-matteo-catsagna/
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo Castagna, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste considerazioni sulla situazione geopolitica, anche alla luce della morte di Al Raisi e dell’attentato a Robert Fico. Buona lettura e condivisione.
di Matteo Castagna per https://www.affaritaliani.it/esteri/l-ucraina-non-entrera-mai-nella-nato-ecco-perche-l-analisi-918603.html
EDITORIALE
di Matteo Castagna per Stilum Curiae e Affaritaliani
Nel corso della settimana si è svolta la cinquantaquattresima edizione del World Economic Forum a Davos. Come da consolidata tradizione, è stato un inno al politicamente corretto e alla sua “religione” transumanista, guerrafondaia, gretina e zeppa di amene fantasie distopiche. L’approccio dovrebbe essere quello di non prendere quest’assemblea troppo sul serio, solo perché vi partecipano i grandi della Terra.
Spesso, le uscite più deliranti non si avverano, ma servono come metodo comunicativo del terrore, per assoggettare le masse. L’ANSA del 18/01/24 diceva che a Davos prevedono che “la crisi climatica potrebbe causare 14,5 milioni di morti entro il 2050”. Si tratta di una pianificazione artefatta da psicopatici, di un metodo terroristico per arricchirsi sulla balla del riscaldamento globale, o di uno studio argomentato che, però, non viene reso pubblico?
Il giornalista Massimo Balsamo, in un articolo del 16 gennaio sul blog di Nicola Porro, ci racconta qualche retroscena, a partire dalla chiusura, con una cena in sala LGBTQI+. “Secondo quanto reso noto, l’appuntamento era riservato ai leader arcobaleno e avrebbero partecipato, tra gli altri, Shamina Singh, responsabile del Centro per la crescita inclusiva di Mastercard e l’economista capo di Allianz, Ludovic Subran. Una trovata sicuramente al passo dei tempi, ma probabilmente il contributo ai temi principali del vertice non sarà significativo”.
Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha avuto un colloquio con il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg per richiedere un po’ di tutto, oltre al armi e soldi, anche una particolare forma di difesa aerea, che sarà discussa al prossimo incontro di Washington dell’Alleanza Atlantica. La giornalista Olga Skabeeva riporta un virgolettato di Stoltenberg, che ammette: “la situazione sul campo di battaglia è estremamente difficile.
I russi stanno ora avanzando su molti fronti. E, naturalmente, le offensive su larga scala degli ucraini lo scorso anno non hanno prodotto risultati. Lo speravamo tutti. La Russia ora sta rafforzando le sue forze, acquistando droni dall’Iran, creando la propria fabbrica di droni e ricevendo missili dalla RPDC. Non dobbiamo sottovalutare la Russia. Non dovremmo mai sottovalutarla”.
In questo scenario, non appare propriamente opportuna la scelta condivisa dal ministro delle finanze belga Vincent van Peteghem, che ha dichiarato che l’Unione europea ha iniziato i lavori, a livello tecnico, per sequestrare i beni congelati della Banca di Russia. Parliamo di 300 miliardi di dollari. Quiradiolondra.tv comunica che il 6 gennaio 2024, il presidente dell’Ucraina ha invitato gli alleati ad accelerare il trasferimento dei beni a Kiev.
La discussione del disegno di legge, necessario a tal fine, è prevista per febbraio 2024. Ma potrebbe iniziare prima del secondo anniversario dell’inizio delle ostilità, sul territorio dell’Ucraina. Il trasferimento di beni potrebbe essere una misura presa come ulteriore assistenza finanziaria a Kiev. Il Cremlino, per parte sua, ha, evidentemente, promesso di rispondere allo stesso modo al sequestro dei suoi beni.
Zenit riassume l’intervento di Zelensky sul palco di Davos in questo modo: egli “vorrebbe un’escalation tra la NATO e la Russia e si rammarica del fatto che le occasioni che avrebbero potuto portare all’allargamento e all’aggravamento del conflitto non siano state sfruttate dall’Alleanza Atlantica, che invece – fortunatamente – ha finora preferito non colpire direttamente la Federazione Russa”. Si è auto-convinto che «le possibili direzioni e persino la tempistica di una nuova aggressione russa oltre l’Ucraina diventino sempre più evidenti», nonostante, in quasi due anni di combattimenti, su larga scala, l’Armata Russa non abbia ancora neppure completato la conquista del Donbass.
Eppure il Presidente ucraino si dice convinto che Putin possa perdere la guerra, che possa essere sconfitto sul campo di battaglia e rifiuta l’idea di un nuovo congelamento diplomatico delle ostilità.
La redazione di Zenit conclude evidenziando che questa sia “un’assurdità, che, però, trova sponda nella Presidente della Commissione Europea – Ursula von der Leyen – la quale, intervenendo anche lei al Forum, sostiene che «l’Ucraina può prevalere in questa guerra», ignorando quanto le conseguenze economiche e politiche del conflitto stiano danneggiando l’Ucraina e le casse della UE.
Il Ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius – riferisce sempre la conduttrice televisiva russa, Olga Skabeeva – ha detto che “la guerra tra la NATO e la Federazione Russa potrebbe iniziare tra 5-8 anni”, basandosi sulle recenti dichiarazioni bellicose dei russi verso i Paesi baltici, oramai considerati membri NATO di fatto. Stoltenberg si augura di riuscire a fiaccare la Russia con una “guerra di logoramento”: “ciò significa che ora non dobbiamo solo implementare nuovi sistemi, ma anche pensare di avere abbastanza munizioni e abbastanza pezzi di ricambio”.
Ma le parole del Segretario Generale NATO sono in netto contrasto con le recenti parole del Primo Ministro slovacco, Robert Fico, convinto che l’assistenza militare occidentale all’Ucraina porterà solo ad un aumento di vittime, e che il conflitto in sé, “non ha soluzione militare”, come riporta l’inviato di guerra Andrea Lucidi.
Parlando degli attuali legami tra Mosca e Pechino, Lavrov ha spiegato che “le relazioni Russia-Cina, come i nostri leader hanno ripetutamente sottolineato, stanno attraversando la migliore fase di sempre. Queste relazioni sono più durature, affidabili ed avanzate di qualsiasi alleanza militare all’interno del vecchio quadro dell’era della Guerra Fredda”, ha aggiunto. Questo “riflette il modo in cui stanno realmente le cose”, ha sottolineato il ministro degli Esteri russo, citando come esempio i dati del commercio bilaterale dello scorso anno, che hanno ampiamente superato la soglia dei 200 miliardi di dollari.
“E questa tendenza continuerà ad evolversi”, ha assicurato Lavrov, promettendo sforzi in direzione di meccanismi nella cooperazione commerciale e di investimenti con la Cina tali “da non essere soggetti ad alcuna influenza occidentale”, con l’uso del rublo e dello yuan negli accordi commerciali bilaterali, che si aggira già intorno al 90%.
Nonostante questo scenario, secondo quanto riferisce la Cina, l’ufficio stampa di Zelensky avrebbe evitato di avallare l’incontro con il premier cinese Li Qiang. Zelensky ha dichiarato: “il primo ministro cinese può essere incontrato dal nostro primo ministro. Io vorrei incontrare il leader della Cina. Per quel che ne so, Xi Jinping prende le decisioni in Cina, in Ucraina invece lo faccio io. Non mi serve un dialogo, mi servono decisioni importanti dai Leaders che possono prenderle”.
Pechino non ha commentato riguardo ad un possibile incontro con il presidente cinese. L’Agenzia IZ RU riferisce che la decisione della Cina di non incontrare gli ucraini sembra essere stata intenzionale e non il risultato di problemi di programmazione. Due alti funzionari statunitensi hanno detto a “Politico” che la delegazione cinese ha rifiutato l’offerta dell’Ucraina per un incontro.
Nel frattempo, il Parlamento europeo, con un impulso di chiara matrice democratica, ha approvato una risoluzione, raccogliendo 345 voti favorevoli, che condanna i tentativi sistematici del governo ungherese di minare i “valori fondamentali” dell’UE. I membri del Parlamento europeo (MEP) hanno esortato l’Euro consiglio a valutare se l’Ungheria abbia violato l’articolo 7, paragrafo 2, del trattato UE attraverso una procedura più diretta.
Lo scrittore conservatore russo Nikolay Starikov osserva la riunione del WEF a Davos e afferma: “Che bello. L’ideologo globalista Klaus Schwab, in una conversazione con Serghey Brin, il creatore di Google, afferma che le elezioni, in linea di principio, non sono più necessarie. C’è l’intelligenza artificiale, che già prevede correttamente chi vincerà.
Allora perché perdere tempo e spendere soldi in queste procedure inutili? Basta chiedere all’intelligenza artificiale chi vincerà e nominarlo. Brin è, comprensibilmente, d’accordo e afferma che Google dispone già di tali sviluppi.
I ragazzi non sono più timidi di fronte a nulla. È chiaro perfino allo sciocco, chi l’intelligenza artificiale consiglierà di scegliere. Per una felice coincidenza, questo sarà sempre un personaggio gradito a Schwab e Brin. Ad esempio, tra Trump e Biden, il saggio robot di Google consiglierà naturalmente Biden. Semplice matematica. Nessun imbroglio di sorta. Davvero”. Mentre in Italia si distrae il popolo trascorrendo le settimane a discutere sulla legittimità dei “saluti romani” alle cerimonie commemorative…
La reazione della Rappresentante Ufficiale del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa Maria Zakharova sull’esito del nuovo incontro svoltosi a Davos, non si è fatta attendere. “Una risoluzione pacifica che sia davvero completa, giusta e stabile è possibile solo attraverso il ritorno dell’Ucraina alle origini della sua integrità statale, ossia a una posizione di Paese neutrale, non allineato e denuclearizzato, che agisce nel totale rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini residenti sul suo territorio, qualunque sia la loro etnia di appartenenza. […] Ed ha concluso:
“Purtroppo, tali presupposti non rientrano né nella “Formula di pace” di Vladimir Zelensky, né nell’agenda degli incontri del “formato di Copenhagen”, come Davos e gli incontri che verranno, che sono insensati e dannosi ai fini di una risoluzione della crisi ucraina. I “principi di pace per l’Ucraina”, che i suoi organizzatori stanno tentando di elaborare sono impraticabili a priori”.
Chi sembra non accorgersi che equilibri, alleanze e rapporti di forza sono in totale cambiamento, continuando a comportarsi con l’arrogante presunzione di chi vive fuori dalla realtà, appaiono solamente gli USA e l’Occidente suo vassallo.
del Prof. Alessandro Orsini
Dopo avere dissanguato l’esercito per conquistare quasi niente, Zelensky sta perdendo pure quello.
Ad agosto l’Ucraina aveva ripreso il villaggio di Robotine al prezzo di migliaia di morti nell’Oblast di Zaporizhzhia. Muovendo da Robotine, Zelensky giurava di marciare su Tokmak e Melitopol per riconquistare il Mar d’Azov. Gli ucraini avrebbero spaccato l’esercito russo in due impedendo alla Crimea di ricevere rifornimenti dalla madrepatria. Caduta la Crimea, Putin avrebbe supplicato Zelensky di non imporgli una pace troppo umiliante. E, invece, gli ucraini non si sono mai mossi da Robotine. Questo fatto, di per sé iper-tragico, basterebbe a chiudere ogni discorso sulla sconfitta della Nato, ma le cose sono andate addirittura peggio.
Mentre scrivo, i russi hanno deciso di riprendersi pure Robotine, il quasi-niente costato quasi-tutto agli ucraini. Dissi che la controffensiva sarebbe stato un fallimento colossale che avrebbe dissanguato l’esercito ucraino esponendolo alla “contro-controffensiva” russa. È quel che sta accadendo. Quando politici e media ritraevano la Russia come un esercito di cartone “perché non ha conquistato l’Ucraina in tre giorni”, spiegavo che quella lentezza era intenzionale poiché perseguiva sei obiettivi.
Il primo obiettivo della lentezza era di concedere all’esercito ucraino il tempo di crollare. I generali russi procedono lentamente perché preferiscono conquistare il maggior numero possibile di territori contro un esercito esangue e demotivato. La Russia si è data il tempo di dare il tempo all’Ucraina di crollare. La presunzione dell’Occidente non ha consentito alle lobby della Nato – che controllano radio, televisioni e dipartimenti di scienza politica – di comprendere il significato tragico della lentezza russa.
Il secondo obiettivo della lentezza era di non infastidire la società civile. Procedendo un po’ alla volta, Putin non ha dovuto avviare una mobilitazione totale che gli avrebbe sottratto consensi. La vita quotidiana in Russia scorre come sempre e Putin viaggia verso la riconferma alle prossime presidenziali.
Il terzo obiettivo della lentezza era di attendere che l’Unione europea andasse in recessione, com’è accaduto.
Il quarto obiettivo era di attendere la crisi dell’industria militare dell’Unione europea che si è verificata. L’Unione europea non riesce a dare a Zelensky la protezione aerea di cui ha bisogno, come dimostra l’ultima pioggia di missili caduta sugli ucraini. Dai carri armati agli F-16, dalle batterie anti-aeree alle munizioni per l’artiglieria, l’industria militare europea non regge il passo di quella russa.
Il quinto obiettivo della lentezza russa era di non precipitare l’Occidente nel panico lanciando un assalto fulmineo con un milione e mezzo di soldati. Una mossa così rapida avrebbe diffuso il panico in Europa aumentando il rischio della sua partecipazione diretta al conflitto con l’invio di truppe.
Il sesto obiettivo della lentezza di Putin è di dare il tempo alla Russia di attrezzarsi per la Terza guerra mondiale, come sta facendo. La lentezza della guerra in Ucraina favorisce la velocità del riarmo in Russia.
Un giorno i Draghi, i Calenda & C. capiranno la ragione della lentezza russa. Tuttavia la comprensione richiede che l’Occidente si liberi dei propri complessi di superiorità, in stile Corriere della Sera, che lo inducono a vedere gli altri popoli come inferiori, ignoranti, arretrati e dipendenti dall’economia europea. Salvo scoprire che l’Europa dipende dalla Russia più di quanto la Russia dipenda dall’Europa.
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo Castagna offre alla vostra attenzione queste considerazioni di geopolitica. Buona lettura e condivisione.
di Matteo Castagna
Il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Galuzin ha detto che gli Stati Uniti considerano, da tempo, il Caucaso meridionale come un possibile trampolino di lancio contro la Federazione Russa.
In quella zona, infatti, ci sono molti russofobi. Basti pensare alla Georgia, ma anche all’Armenia, che ha, recentemente, puntato la sua politica verso un riavvicinamento con l’Occidente. Inoltre, entrambi i Paesi sono desiderosi di entrare nella NATO. Cosa porterà questa posizione, in termini di sicurezza dell’Armenia e degli interessi del popolo armeno è, ovviamente, un punto interrogativo.
Quanto alla Russia, osserviamo un atteggiamento ammorbidito da parte della UE. Non figurano, infatti, nel 12° pacchetto di sanzioni ben 3 proposte, che sono state respinte: 1) il divieto di trasferimento fondi in Russia. 2) il divieto di vendita navi cisterna alla Russia. 3) l’ inserimento obbligatorio di clausole che vietino di ri-esportare, nelle vendite a paesi terzi.
Una recente analisi di “Sputnik” sui dati Eurostat ha scoperto che i Paesi dell’Unione Europea hanno dovuto pagare circa 185 miliardi euro in più per il gas naturale negli ultimi 20 mesi, dopo aver smesso di utilizzare i gasdotti russi, affidabili e a basso costo.
In compenso, la prestigiosa agenzia Reuters riporta che le esportazioni statunitensi di gas naturale liquefatto (GNL) hanno raggiunto livelli record mensili e annuali a dicembre, secondo i dati di monitoraggio delle navi cisterna, con gli analisti che affermano che ciò consentirà agli Stati Uniti di scavalcare Qatar e Australia, divenendo il più grande esportatore di GNL del 2023.
L’Europa è rimasta la principale destinazione delle esportazioni di GNL statunitense a dicembre, con 5,43 tonnellate, ovvero poco più del 61%. L’Asia è stato il secondo mercato di esportazione per il GNL statunitense a dicembre, assorbendo 2,29 milioni di tonnellate, ovvero il 26,6%, delle esportazioni. Sempre Reuters riporta che Il gigante energetico russo Gazprom ha annunciato di aver stabilito un nuovo record giornaliero per le forniture di gas alla Cina, attraverso il gasdotto Power of Siberia.
Gazprom ha detto che la cifra di esportazione del 2023 era di 700 milioni di metri cubi in più di quanto non fosse contrattualmente obbligata a spedire in Cina, attraverso il Potere della Siberia. Ha ribadito che il gasdotto raggiungerà la piena capacità di esportazione di 38 miliardi di metri cubi nel 2025. La Russia sta aumentando le forniture alla Cina per compensare la perdita della maggior parte delle sue vendite di gas in Europa, dall’inizio della guerra in Ucraina, aggirando, così, le sanzioni.
Il quotidiano britannico The Times riporta che i ministri britannici e della UE stanno “cercando disperatamente di aumentare la capacità produttiva in tutto il continente, per essere in grado di inviare armi e munizioni al fronte e contenere Vladimir Putin per almeno un altro anno, indipendentemente dal sostegno degli Stati Uniti”. Va notato che alcuni esperti americani che commentano l’articolo del Times osservano che, in assenza del sostegno degli Stati Uniti, una corsa agli armamenti con la Russia potrebbe essere fatale per l’UE, quanto una corsa simile lo fu con gli Stati Uniti, per l’economia dell’URSS. In effetti, la situazione generale degli USA di Joe Biden potrebbe destare qualche preoccupazione all’alleanza occidentale.
The Washington Post riferisce che il debito nazionale ha superato la soglia dei 34 mila miliardi di dollari. I principali acquirenti del debito pubblico americano sono i Paesi asiatici (Corea del Sud, Giappone e Cina) e se le loro quote venissero ridotte, in futuro, potrebbero avere ripercussioni sulla sicurezza nazionale e su molte sfere sociali degli Stati Uniti. “Washington ha speso soldi come se avesse risorse infinite, ma non ci saranno più pasti gratuiti, e le prospettive sono piuttosto cupe”, ha commentato l’economista Son Won-sung.
Per intenderci, in generale l’Occidente utilizza il denaro (o meglio il suo ritiro dalle economie di altri paesi) come leva nel quadro di una guerra economica internazionale. Il principale avversario degli Stati Uniti è la Cina, da dove vengono sistematicamente ritirati i soldi. Svendendo il loro debito nazionale a destra e a manca (e aumentandolo) gli Stati rischiano di mettere tutte le loro sfere sociali sull’orlo del collasso, se i “grandi attori” vogliono fare pressione su Washington, senza tener conto dell’aspetto materiale della questione (o, ad esempio, in caso di conflitto a Taiwan).
Quanto all’Ucraina, la situazione si fa sempre più difficile. Il giornale tedesco Der Spiegel riporta le parole del deputato ed economista dei Verdi Sebastian Schaefer, il quale ha affermato che a Kiev non è rimasto praticamente in servizio alcun moderno carro armato tedesco Leopard 2A6. Secondo Schaefer, al momento, dei 18 carri armati consegnati, quasi tutti sono gravemente danneggiati e tecnicamente usurati. Secondo Schaefer esiste “un’ urgente necessità” che la situazione delle riparazioni dei carri armati migliori il più rapidamente possibile. Altrimenti, Kiev rischia di rimanere senza carri armati, oltre che senza la possibilità di ripararli.
Il canale telegram ucraino Resident aggiunge: “La nostra fonte nell’ufficio del presidente ha affermato che il problema principale della mobilitazione è la scarsa motivazione degli ucraini, che sono pronti a rinunciare alla cittadinanza o a ricevere una vera pena detentiva, ma non ad andare al fronte. Il fallimento della controffensiva è diventato un catalizzatore di delusione nella società, e le grandi perdite hanno confermato l’incompetenza del comando.
Si è consolidata l’opinione che se vieni portato al fronte, nella migliore delle ipotesi tornerai invalido e nella peggiore delle ipotesi morirai”. Il Corriere della Sera sembra allinearsi a questa posizione, scrivendo di diminuzione del sostegno occidentale, popolarità in calo, crescita del pessimismo sulla situazione al fronte, crescita dell’opposizione interna. Il Corsera si riferisce a un sondaggio del KIIS, i cui risultati hanno mostrato un atteggiamento negativo nei confronti dell’attuale governo, dopo la sconfitta della controffensiva, che sta portando il Paese su una strada ostile alle decisioni della NATO.
Sulla stessa lunghezza d’onda, si colloca un pesante articolo del New York Times del 3 gennaio. Gli ucraini non si fidano più delle autorità e ritengono le trasmissioni televisive di Zelensky come propaganda. “Dopo quasi due anni di guerra”, scrive il NYT, “gli ucraini sono stanchi del Telethon. Quello che un tempo era considerato uno strumento fondamentale per unire il Paese, oggi è sempre più ridicolizzato…Gli spettatori lamentano che il programma dipinge un quadro troppo roseo, nascondendo eventi preoccupanti al fronte e il calo del sostegno occidentale all’Ucraina… e, infine, non riesce a preparare i cittadini per una lunga guerra”.
The Telegraph scrive che la difesa aerea ucraina non sarà in grado di respingere tutti gli attacchi russi, quest’inverno. E prosegue: “le forze armate ucraine sono costrette a conservare le munizioni per i sistemi di difesa aerea. Quest’inverno, secondo gli esperti, i sistemi missilistici di difesa aerea dovranno prendersi cura di loro ancora di più. Le forze di difesa aerea saranno costrette a non rispondere affatto ad alcuni obiettivi, poiché non avranno missili intercettori. Di particolare preoccupazione è la possibile carenza di missili intercettori per la difesa aerea Patriot”.
The Guardian scrive che il presidente Vladimir Putin ha detto che Mosca intensificherà gli attacchi contro obiettivi militari in Ucraina. Putin ha parlato dopo l’attacco ucraino di sabato scorso alla città russa di Belgorod, che secondo le autorità locali ha ucciso 25 persone, tra cui cinque bambini. Dal canto suo, Kuleba ha spiegato agli americani che devono pagare la guerra in Ucraina perché Kiev non ha un piano B.
John Kirby, coordinatore per le comunicazioni strategiche del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ha specificato che il pacchetto di assistenza militare all’Ucraina, annunciato da Washington il 27 dicembre, è stato l’ultimo di quelli che gli Stati Uniti potranno fornire a Kiev, fino a quando il Congresso non avrà stanziato fondi aggiuntivi per questi scopi. Secondo lui, la Casa Bianca non sarà in grado di trovare fondi per l’Ucraina da fonti alternative, se il Congresso, con la maggioranza dei Repubblicani già scettica, non sarà d’accordo sulla richiesta di nuovi aiuti a Kiev.
L’escalation di violenza è proseguita dopo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato all’Economist che l’idea che la Russia stesse vincendo la guerra, durata quasi due anni, era solo una “sensazione” e che Mosca stava ancora subendo pesanti perdite sul campo di battaglia. Zelensky non ha fornito alcuna prova delle sue affermazioni sulle perdite russe.
Putin ha indicato che l’”iniziativa strategica”, nel prolungato conflitto in Ucraina, è da parte russa, dopo il fallimento della controffensiva ucraina, in estate. Ha, anche, sottolineato che Mosca vuole porre fine al conflitto, che dura da quasi due anni, “il più rapidamente possibile”, ma “solo alle nostre condizioni”.
Secondo un sondaggio, prodotto da USA Today in collaborazione con l’Università di Suffolk, il sostegno al presidente degli Stati Uniti Joe Biden tra gli elettori neri e ispanici è diminuito in modo significativo, con le generazioni più giovani che preferiscono l’ex presidente Donald Trump. Nell’articolo si legge che “Biden ora rivendica il sostegno di appena il 63% degli elettori neri, in netto calo rispetto all’87% che aveva nel 2020”.
C’è già un retroscena, secondo il quotidiano statunitense “Politico”: il “Deep State” non può permettersi il ritorno di Trump, che scompaginerebbe molti piani dei globalisti liberal americani. “Politico” ha scritto che tutto ruota attorno ai finanziamenti per l’Ucraina.
Vogliono usare Israele per giustificare il pacchetto di finanziamenti per l’Ucraina. Stanno promuovendo DeSantis e Haley, cercando disperatamente di convincere uno di questi due a battere Trump alle primarie, perché sostengono il finanziamento dell’Ucraina. Come previsto, il 2024 sarà un anno molto difficile, ma, forse, determinante, per gli equilibri globali.
L’EDITORIALE
di Matteo Castagna – ripreso dal sito www.marcotosatti.it Stilum Curiae del vaticanista Marco Tosatti, che ringraziamo per la stima: https://www.marcotosatti.com/2023/11/25/russia-ucraina-e-il-momento-di-negoziare-con-putin-matteo-castagna/
Sul fronte russo, il Presidente Vladimir Putin ha partecipato al vertice di Minsk, in Bielorussia, del CSTO, che è un’ alleanza militare difensiva, composta da Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan. Lo zar ha detto che la Russia rigetta ogni forma di terrorismo, che l’Organizzazione dei Paesi membri CSTO si sta ampliando e che ha stipulato importanti accordi commerciali e sulle imprese militari. Infine, il dato maggiormente significativo è la costituzione, nell’ambito del CSTO, di un Consiglio di coordinamento per la Sicurezza biologica. Un atto preventivo, che, seppur in un’ottica difensiva, riesce a tenere col fiato sospeso tutto il mondo.
La transizione dall’amministrazione di Donald Trump a quella guidata da Joe Biden ha portato a un significativo cambiamento della politica estera statunitense.
Il miliardario newyorkese è stato formalmente issato alla Casa Bianca per soddisfare le richieste della classe media americana impoverita e delusa dall’eccessiva esposizione militare degli Stati Uniti nel mondo, sfruttando un sentimento di frustrazione che, non a caso, era già stato evidenziato da uno dei massimi analisti dei circoli di potere a stelle e strisce, Samuel Huntington.
In realtà, si è trattato dell’ennesimo “bait and switch” della geopolitica statunitense; Trump – il candidato ideale per raccogliere le proteste di questa componente risentita della società americana – è stato utilizzato per cercare di bloccare l’ascesa pacifica della Repubblica Popolare Cinese e soprattutto il suo progetto di Nuova Via della Seta terrestre e marittima che stava trasformando il processo di globalizzazione da unipolare a multipolare (facendo perdere agli Stati Uniti il loro dominio universale). Da qui la retorica della Casa Bianca sull’America First, sul protezionismo e sulle tariffe commerciali, metodi che si sono però rivelati inefficaci vista la stretta interconnessione tra le prime due economie del mondo.
Al protagonismo di Pechino, basato sui principi BRICS di non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani, di rispetto delle differenze culturali-religiose dei singoli Paesi (anche per quanto riguarda il modello di sviluppo) e di sostegno all’economia reale ma non speculativa, si è ovviamente unita anche Mosca, soprattutto dopo le sanzioni euro-atlantiche del 2014 per la questione della Crimea; il Cremlino ha reagito ad esse con un più intenso riavvicinamento economico alla Cina e con un intervento militare in Siria che ha sconvolto i piani statunitensi per il “Grande Medio Oriente”, secondo una logica che si potrebbe definire di “divisione internazionale del lavoro eurasiatico”. (La Russia usa lo strumento militare, la Cina quello economico). Fallito il tentativo trumpiano di staccare la Russia dalla Cina, con il pretesto della pandemia si è via via riproposto il vecchio schema della “guerra fredda”, della divisione del mondo in blocchi, dello scontro anche ideologico tra “autocrazie” e “democrazie”. A quel punto, il candidato naturale per l’establishment statunitense è diventato Joe Biden, il presidente che più probabilmente recupererà l’Europa all’interno del blocco guidato da Washington attraverso la NATO dopo le tribolazioni dell’era Trump.
Prima di insediare la Cina – considerata dagli Stati Uniti il vero rivale strategico per la governance mondiale – Washington cerca di sbarazzarsi del principale alleato di Xi Jinping, ovvero Vladimir Putin, per sostituirlo con un “fantoccio” disposto ad accettare il ruolo marginale di Mosca all’interno dell’ordine unipolare statunitense e la frammentazione della Federazione Russa.
A questo punto è necessario un ulteriore chiarimento. Molti parlano già di multipolarismo come di un processo pienamente avviato, in realtà siamo ancora in una fase di transizione che la diplomatica russa Marija Chodynskaja Goleniščeva ha brillantemente definito qualche anno fa come “dualismo policentrico”: “L’unipolarismo e l’unipolarismo pluralista (quello che gli americani chiamano multilateralismo), modelli tipici degli anni Novanta e dei primi anni Duemila, cominciano a cedere il passo all’ordine mondiale policentrico. Questo processo, difficile e irregolare, incontra la resistenza di Stati abituati a dominare la scena mondiale e che hanno perso la capacità di negoziare per raggiungere compromessi che tengano conto degli interessi delle altre parti e presuppongano la disponibilità a fare concessioni. D’altra parte, la crescita del peso politico specifico degli “attori non convenzionali” (in primo luogo dei Paesi della regione) sulla scena internazionale, il loro desiderio di partecipare più attivamente al processo decisionale su questioni mondiali fondamentali porta a un profondo coinvolgimento di questi Stati nei conflitti che riguardano i loro interessi nazionali. Tutto ciò rende la situazione imprevedibile, porta alla “frammentazione” dei conflitti in aree di intersezione degli interessi degli attori politici globali e regionali e rende la risoluzione delle crisi mutevole in assenza di una metodologia adeguata alla realtà odierna.
Il filosofo geopolitico eurasiatico Aleksandr Dugin ha giustamente separato e distinto il concetto di multilateralismo – una comoda situazione di facciata che serve solo a distinguere la disuguaglianza tra l’egemone (gli USA) e i suoi vassalli (le nazioni dell’Alleanza Atlantica) – da quello di multipolarità, concetto caro a chi non accetta l’egemonia unipolare statunitense sul pianeta. Non ci possono essere compromessi tra i sostenitori dei due campi, tanto più che l’enunciazione di principi guida da parte di Putin e la sistematizzazione di strumenti militari ed economici alternativi (CSTO, Banca dei BRICS, OCS…) ha ulteriormente ampliato il divario tra le rispettive parti. Tornando a Dugin, egli sostiene che “un mondo multipolare non è un mondo bipolare perché nel mondo di oggi non c’è nessuna potenza che possa resistere con le proprie forze al potere strategico degli Stati Uniti e dei Paesi della NATO, e inoltre non c’è nessuna ideologia generale e coerente in grado di unire gran parte dell’umanità in chiara opposizione ideologica all’ideologia della democrazia liberale, del capitalismo e dei diritti umani, su cui gli Stati Uniti fondano ora una nuova, unica ideologia. Né la Russia moderna, la Cina, l’India o qualsiasi altro Stato possono pretendere di essere un secondo polo in queste condizioni. Il ripristino del bipolarismo è impossibile per ragioni ideologiche e tecnico-militari…”. In realtà, proprio il rispetto da parte dei BRICS e dei loro alleati dei principi condivisi di non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani, unito all’affermazione delle specificità culturali, dei modelli economici specifici (produttivi contro finanziari) e delle diverse visioni del mondo (basti pensare al concetto di “famiglia”), ha già diviso lo scacchiere geopolitico tra due poli in costante competizione tra loro in tutte le aree del pianeta. L’accelerazione della competizione tra i due campi negli ultimi anni ha infatti costretto in un modo o nell’altro tutti gli Stati nazionali a schierarsi da una parte o dall’altra. In conclusione, se è vero che attualmente non viviamo ancora in un sistema geopolitico multipolare, è altrettanto vero che la conditio sine qua non del suo completamento è il passaggio a una nuova fase bipolare che, pur non basandosi più sulla storica contrapposizione ideologica tra capitalismo e marxismo, conserva comunque differenze epocali di visione del mondo. Non si tratta quindi solo di proporre una riorganizzazione delle relazioni internazionali o di interpretare l’attuale fase storica come il passaggio dalla competizione geopolitica a quella geoeconomica, ma di approfondire ulteriormente la sinergia già esistente tra le forze che tendono a favorire il multipolarismo per far capire che l’attuale precario equilibrio bipolare può essere rotto solo con il ridimensionamento strategico degli Stati Uniti d’America. Solo quando Washington accetterà o sarà costretta a rinunciare al suo tentativo di egemonia mondiale, di fronte all’evidenza della sua incapacità di guidare il pianeta, si realizzerà l’agognato sistema multipolare; nel frattempo, la fase intermedia non potrà che essere sempre più bipolare, come gli ultimi avvenimenti stanno evidenziando: il trinceramento del mondo atlantico, Europa compresa, a difesa della supremazia del dollaro statunitense.
Allo stesso tempo, la fine dell’eurocentrismo richiede una nuova idea-forza da parte dei sostenitori del mondo multipolare che imponga la fine dell’assunto di occidentalizzazione-modernizzazione-liberismo-democrazia-diritti umani/individuali come unico progresso possibile dell’umanità. Un processo di cambiamento culturale che dovrebbe essere coordinato con i Paesi BRICS, ai quali potrebbero presto aggiungersi almeno altre 20 nazioni di varie parti del globo.
Dovrebbero poi riconoscere il ruolo della Russia come Piemonte d’Europa e cercare di coagulare tutte quelle forze genuinamente antiamericane presenti all’interno del Vecchio Continente (tenendo presente la subordinazione e la complicità dell’Unione Europea con l’imperialismo statunitense).
Una transizione pacifica dall’unipolarismo al multipolarismo potrebbe essere più conveniente per tutti. Il mondo sarebbe diviso in zone d’influenza in cui le potenze regionali e vicine si attivano per risolvere eventualmente le varie questioni in modo pacifico: è il modello che ho definito globalizzazione multipolare, perché si basa su diversi attori-civiltà e sulla composizione possibilmente win-win degli interessi. Ma la vittoria militare russa in Ucraina e il completamento del processo di dedollarizzazione già in atto costituiscono le premesse indispensabili.
Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/la-sinergia-tra-le-forze-del-multipolarismo
L’EDITORIALE
di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/08/28/i-brics-vogliono-un-nuovo-ordine-multipolare/
tradotto in spagnolo dall’O.d.G. dell’America Latina per la rivista “Voces del Periodista”: https://vocesdelperiodista.mx/voces-del-periodista/internacional/los-brics-quieren-un-nuevo-orden-mundial/
I BRICS DENUNCIANO LA POLITICA UNILATERALE ED OPPRESSIVA STATUNITENSE
Dal 22 al 24 Agosto 2023 si è tenuto, a Johannesburg, il XV vertice dei Paesi emergenti: i BRICS+, acronimo di Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica + una settantina di altri Paesi ospiti, tra cui tutti quelli africani. Assente Vladimir Putin, sul quale pende, da parte della Corte penale internazionale, un mandato di arresto internazionale per presunti crimini di guerra in Ucraina. La Russia è stata rappresentata dal suo fedelissimo Ministro degli Esteri Serghei Lavrov. Putin ha comunque rilasciato la dichiarazione ufficiale che avrebbe fatto in presenza, da remoto, prima del meeting.
I BRICS+ si sono ritrovati dopo 5 anni di stop, dovuto all’emergenza Covid. I media occidentali hanno snobbato o trattato con sufficienza questo evento, ritenendo che i BRICS dovrebbero sciogliersi perché alquanto divisi tra loro, senza, però, specificare quali sarebbero questi motivi di divisione. Anche il Presidente della Commissione Esteri alla Camera e del think thank Aspen Institute Italia On. Giulio Tremonti ha sostenuto che i BRICS non possono vincere la sfida con l’Occidente. L’ha motivata perché sono Paesi privi di libertà, Oltre alla presenza di una netta divergenza tra India e Cina, che potrebbe compromettere l’unità e la coesione del gruppo.
Diversi economisti occidentali tendono a scoraggiare l’assemblea dei BRICS+ perché il dominio del dollaro e il suo effetto distorsivo sui processi di sviluppo sono un dato di fatto con cui i paesi in via di sviluppo dovrebbero rassegnarsi a convivere. In poche parole, non gli può riuscire il paventato cambio di valuta per i commerci, che, effettivamente è loro espressa volontà, ma che in Sudafrica non si è concretizzato, per quanto discusso ampiamente, su larga scala. Il 90% del commercio globale continua ad essere condotto in dollari statunitensi, sebbene il progresso dei rapporti e delle alleanze tra Stati molto ricchi non faccia di questo un dogma perpetuo.
Come spesso ripete Putin, la teoria del multipolarismo si basa sul fatto che gli attori internazionali hanno influenza e potere in diverse materie e regioni del mondo, però nessuno di loro può imporre unilateralmente la propria volontà sugli altri. Su questo i BRICS+ sono tutti compatti, denunciando la politica unilaterale ed oppressiva statunitense. Ci sono tutti i motivi per pensare che il futuro veda il mondo riunito in un unico blocco, con gli Stati Uniti e l’UE nell’angolo. Putin, dalla guerra in Ucraina ha scatenato una reazione di avvicinamento globale di tutti i Paesi stanchi di subire l’unipolarismo americano. Obiettivo comune è e resta sfidare il radicato dominio geopolitico dell’Occidente. Lo zar, sfruttando politicamente la guerra in Ucraina, è riuscito a mettere assieme il mondo arabo con le civiltà orientali, con l’Africa e buona parte dell’America Latina.
Il cambio di paradigma finanziario, contrariamente a quanto si dice in Occidente, diverrebbe una ovvia conseguenza al fatto che i BRICS+ i nuovi 4 arrivi rappresentano l’85% della popolazione del pianeta, (3,7 milioni di abitanti) ed il 36% del Pil del pianeta, con tre Paesi che risultano, già oggi, tra le prime cinque economie globali, secondo i dati forniti dalla banca mondiale. Resta imprescindibile e da non sottovalutare, che la seconda economia mondiale dopo la Cina è rappresentata dagli Stati Uniti. La Russia è la quinta economia del mondo. L’Occidente dovrebbe lasciar da parte ogni spocchia e senso si supremazia economica e culturale, perché gli altri “mondi” si stanno organizzando in fretta, sono disponibili al dialogo ed alla collaborazione, ma l’atteggiamento deve cambiare se non si vuole il suicidio politico-finanziario, che sembrerebbe già pronto nell’agenda 2030 dei BRICS+.
Il summit ha ottenuto risultati importanti nel medio e lungo termine, che potrebbero favorire l’abbandono del dollaro: “Abbiamo raggiunto un accordo, per poter invitare Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, a diventare membri a pieno titolo dei BRICS..Il loro ingresso avverrà il primo gennaio 2024” – ha dichiarato il Presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa. Le riserve di petrolio e gas degli Stati Uniti, insieme all’influenza geopolitica, forniscono agli americani una certa indipendenza, ma l’Europa sembra debole e con una strategia inadeguata, perché semplicemente sottomessa ai diktat di USA e NATO. La UE non ha una strategia propria e non l’avrà perché i padroni non lasciano le colonie agire da sole. Nonostante si parli di allontanamento dall’influenza della Cina, la dipendenza dell’Europa dalla produzione e dai mercati asiatici cresce. Le strategie europee si basano sui minerali africani, sui metalli, sugli idrocarburi e sulle fonti di energia rinnovabile, tutti sempre più alla mercé di alleanze mutevoli, presto convergenti nei BRICS+ assieme ai giganti dell’energia della galassia islamica.
La convergenza di Arabia Saudita, Egitto, Algeria, Brasile e Russia conferisce ai BRICS+ il controllo di oltre il 60% delle riserve e della produzione energetica globale. I leader africani hanno sottolineato che sta aprendosi un’era completamente nuova per il mondo intero. Questo è l’inizio della formazione di un nuovo ordine mondiale, senza la pressione selvaggia dell’Occidente. Si parla di un nuovo NOM “alternativo” fatto dai BRICS+, ove indipendenza e cooperazione, rispetto delle tradizioni e valuta unica, sinergia energetica e collaborazione politica, interscambio delle materie prime sarebbero i principi fondamentali. Queste premesse appaiono l’opposto di quanto pianificato dagli “illuminati” anglo-americani, da Mackinder e Brzezinsky, fino a Bill Gates e ai Rothschild. Se andasse in porto un’alleanza simile composta da: BRICS + i 4 ingressi previsti tra quattro mesi e il graduale ingresso dei quaranta altri Paesi che hanno fatto richiesta, senza intoppi e svincolata dal dollaro, il deep state sarebbe ampiamente ridimensionato e la politica della UE subirebbe la più grande crisi della sua storia.
di Elena Basile
Fonte: Elena Basile per Arianna Editrice
La parola inglese accountability rende bene il significato di quel che è stato perso nella vita politica italiana. Potrebbe essere tradotta con una perifrasi: “assumersi la responsabilità e dare conto del proprio operato”.
Al cittadino appare chiaro che i politici, le istituzioni, persino i giornalisti e gli operatori culturali sono liberi da un tale fardello essenziale alla civiltà liberale e democratica.
Gli esempi potrebbero essere tanti. I giornalisti che avevano previsto il crollo economico della Russia e un cambio di potere a Mosca pontificano sulla probabile sconfitta militare della Russia, per nulla imbarazzati dalle loro precedenti errate previsioni. Romanzi premiati e pompati dal mercato non rispondono a volte ad alcun requisito letterario, ma le macchine della pubblicità, i critici, le case editrici e gli amichetti continuano indisturbati a distruggere la cultura. Il governo della destra “sovranista” di Meloni attua un programma in politica estera e in Europa che avrebbe potuto essere del Pd e del centrosinistra. Gli elettori restano fedeli nella sconcertante convinzione che la presidente non ha alternative se vuole restare al potere.
Le decisioni sono prese altrove. La finanza, le grandi multinazionali tirano i fili delle marionette politiche. Le indagini sociologiche serie hanno illustrato come il presidente degli Stati Uniti sia eletto grazie all’accordo di tali poteri forti.
Non c’è nulla di automatico e deterministico. L’azione umana è piena di imprevisti. Ma, come l’assenza di partecipazione alla politica se non per interessi settoriali e la stessa astensione dal voto dimostrano, si è rotto quel filo che fino agli anni 80 ha legato società civile e istituzioni.
Prendiamo la politica mediterranea. Diplomatici e nuovi pennivendoli si affannano a illustrare il cosiddetto Piano Mattei. Senza pudore si utilizza un nome mitico. Enrico Mattei si rivolta nella tomba. Il grande imprenditore, che ha pagato con la propria vita il coraggio di perseguire l’interesse nazionale contro quello delle “sette sorelle”, il fine politico che ha creduto nel bene comune di Stati mediterranei e africani, viene strappato alla memoria collettiva e strumentalizzato per le carnevalate odierne. La presidente del Consiglio (ma Draghi o altri di centrosinistra non avrebbero fatto diversamente) si genuflette alle richieste militari ed economiche statunitensi, rinuncia agli interessi commerciali italiani nei rapporti con Pechino, elemosina senza ottenere una politica del Fmi diversa nei confronti della Tunisia, e nomina senza alcun pudore Enrico Mattei per riferirsi al piano energetico tra Italia e l’Africa fornitrice di energia. Nessun giornalista o economista si dà la pena di spiegare come mai decenni di politica mediterranea europea (dal processo di Barcellona 1995 all’Upm 2008) siano falliti nonostante gli sforzi di partnership egualitaria, di codecisione, di approccio olistico e non settoriale. Qualche brillante collega addirittura sostiene che la Nato, data la menzione del Fianco Sud nel prolisso e illeggibile comunicato finale a Vilnius, aprirà le porte a una cooperazione differente con i Paesi nordafricani. Mattei, a partire dal 1958, aveva stipulato con l’Urss accordi energetici favorevoli allo sviluppo economico italiano contro l’oligopolio delle multinazionali. Il governo italiano strumentalizza il suo nome mentre si lega mani e piedi all’energia statunitense venduta a caro prezzo e a frammentate fonti di approvvigionamento con dittature di umore instabile.
Il cittadino ,nel leggere alcuni giornali, prova un terribile senso di presa in giro. Mieli realizza buoni programmi televisivi, recentemente una ricostruzione storica della rivoluzione cubana. Ci propina tuttavia articoli in cui racconta la fine dell’accordo sul grano come una decisione unilaterale del lupo cattivo. Dimentica di elencare le condizioni previste dall’accordo e non realizzate a partire dalla mancata revoca delle sanzioni sui pezzi di ricambio delle macchine agricole russe fino alla negata adesione della banca russa agricola al sistema di pagamenti Swift. Tace sulle percentuali di grano esportate (80% ai Paesi europei, 3% agli africani) che secondo l’Oxfam non risolverebbero i problemi dei Paesi emergenti, ma contribuirebbero a limitare l’inflazione di generi alimentari nei Paesi ricchi.
Quanti intellettuali e rappresentanti istituzionali si prestano a questi giochi in malafede con appelli moralistici a favore dei Paesi emergenti smarrendo la visione oggettiva di quanto accade sulla scena internazionale? La sensazione sconcertante è che le élite al potere in Europa e i loro ‘cani da guardia” abbiano venduto l’anima e che la politica come l’economia e la cultura siano soltanto tecnica. Viviamo ormai in un eterno Barbie, film di visualità sublime privo di contenuti e con uno script demenziale.
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