L’Impero europeo

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QUINTA COLONNA

di Giorgio Agamben

Fonte: Quodlibet

Milosz ha osservato una volta che la condizione degli scrittori dell’«altra Europa» (così chiama la Mitteleuropa) era «appena immaginabile» per i cittadini degli stati dell’Europa occidentale. Parte di questa eterogeneità veniva dalla mancanza di stati nazionali e dalla presenza in loro luogo, per secoli fino alla fine della Prima guerra mondiale, dell’Impero asburgico. Per noi che siamo nati in uno stato nazionale e non distinguiamo l’essere italiano dall’essere cittadino italiano, non è facile immaginare una situazione in cui essere italiano, ungherese, ceco o ruteno non significava un’identità statuale. Il rapporto col luogo e con la lingua dei cittadini per i cittadini dell’impero era certamente diverso e più intenso, libero com’era da ogni implicazione giuridica e da ogni connotazione nazionale. L’esistenza di una realtà come l’impero asburgico era possibile solo su questa base.
È bene non dimenticarlo quando vediamo oggi che l’Europa, che si è costituita come un patto fra stati nazionali, non solo non ha né ha mai avuto alcuna realtà al di fuori della moneta e dell’economia, ma è oggi ridotta a un fantasma, di fatto integralmente assoggettato agli interessi militari di una potenza ed essa estranea. Tempo fa, riprendendo un suggerimento di Alexandre Kojève, avevamo proposto la costituzione di un «impero latino», che avrebbe unito economicamente e politicamente le tre grandi nazioni latine (insieme alla Francia, la Spagna e l’Italia) in accordo con la Chiesa cattolica e aperta ai paesi del mediterraneo. Indipendentemente dal fatto che una tale proposta sia o meno tuttora attuale, vorremmo oggi portare all’attenzione degli interessati che se si vuole che qualcosa come l’Europa acquisisca una realtà politica autonoma, ciò sarà possibile solo attraverso la creazione di un’Impero europeo simile a quello austro-ungarico o all’Imperium che Dante nel De monarchia concepiva come il principio unitario che doveva ordinare come «un ultimo fine» i regni particolari verso la pace. È possibile, cioè, che, nella situazione estrema in cui ci troviamo, proprio modelli politici che sono considerati del tutto obsoleti possano ritrovare un’inaspettata attualità. Ma per questo occorrerebbe che i cittadini degli stati nazionali europei ritrovassero un legame con i propri luoghi e con le proprie tradizioni culturali abbastanza forte da poter deporre senza riserve le cittadinanze statuali e sostituirle con un’unica cittadinanza europea, che fosse incarnata non in un parlamento e in commissioni, ma in un potere simbolico in qualche modo simile al Sacro Romano Impero. Il problema se un tale Impero europeo sia o meno possibile non c’interessa né corrisponde ai nostri ideali: nondimeno esso acquisisce un significato particolare se si prende coscienza che l’attuale comunità europea non ha oggi alcuna reale consistenza politica e si è anzi trasformata, come tutti gli stati che ne fanno parte, in un organismo malato che corre più o meno consapevolmente verso la propria autodistruzione.

Il mondo multipolare, vero incubo dell’élite di potere statunitense

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di Luciano Lago

L’ingerenza degli Stati Uniti e della NATO nell’Asia si va sviluppando in forma sempre più manifesta e pressante.

Washington, come una piovra, penetra nel sistema di sicurezza dell’Asia con i suoi tentacoli. La denuncia di questa ingerenza USA è stata sollevata nel corso di una un’intervista con il capo del dipartimento diplomatico russo, Sergei Lavrov.

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov , in una conversazione con Dmitry Kiselev, amministratore delegato del gruppo di media internazionali Russia Today (censurato in Occidente), ha evidenziato uno dei problemi più urgenti nelle relazioni internazionali: il crescente coinvolgimento dei paesi occidentali nel sistema di sicurezza asiatico. Lo stesso segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, lo scorso 30 gennaio, durante una visita in Corea del Sud, ha affermato che “l’intensificarsi dei legami” con i Paesi della regione indo-pacifica è una prospettiva auspicabile e uno dei principali obiettivi dell’Alleanza. Risulta che il blocco occidentale guidato dal suo braccio militare, la NATO, stia insistentemente cercando una sponda in Asia e nella regione Indo Pacifico, per poter estendere il proprio controllo militare con l’obiettivo di contenere e mantenere sotto controllo le vie di collegamento strategiche della Repubblica Popolare Cinese.

Nonostante l’attività bellica di supporto all’Ucraina ed il coinvolgimento della NATO nel conflitto con la Russia, la volontà dell’egemone di estendere il proprio controllo militare sembra non abbia limiti e si voglia proiettare in tutto il pianeta.

La NATO non intende limitarsi all’area euro atlantica ma vuole proiettarsi verso l’Asia e l’Indo Pacifico nel suo costante sforzo di contenere la presunta minaccia della Cina. Quella della Cina come minaccia per l’Occidente non è una storia nuova, visto che è stata descritta come tale la scorsa estate nel documento descritto come “il Nuovo Concetto strategico della NATO 2022 ”.

In tale documento si sostiene che che la Cina usa la sua leva economica per creare dipendenze strategiche e aumentare la sua influenza. Oltre alla guerra commerciale a tutto campo, i paesi della NATO guidati dagli Stati Uniti conducono regolari esercitazioni tattiche e navali nella regione, come il “Super Garuda Shield” indonesiano, il più grande dal 2009, o esercitazioni congiunte USA-Canada nel Mar Cinese Meridionale.

Delegati statunitensi, fra cui l’influente vicesegretario di Stato, Victoria Nuland, si sono recati in visita in Nepal, ai confini della Cina, per cercare di influenzare questo paese con l’obiettivo di far allentare i legami con Pechino e proporre una forma di cooperazione ed alleanza con gli USA.

Instancabile è poi l’attività di informazione e propaganda mediatica su vasta scala: vengono regolarmente pubblicati articoli scientifici e giornalistici con il leitmotiv della “minaccia cinese”. Foreign Affairs, una delle maggiori riviste americane di studi internazionali, ha fatto di Xi Jinping e del sistema ideologico cinese i temi principali del numero di novembre/dicembre 2022. La frase di Mao Zedong è ben nota in tutto il mondo: “Il popolo cinese si è alzato in piedi”. Tanto che la NATO è entrata in allarme per il pericolo di una espansione del gigante cinese che possa mettere nell’angolo la presenza occidentale nel grande continente asiatico.

Per non parlare delle pressioni diplomatiche ed i ricatti economici che Washington sta esercitando sull’India per convincere questo grande paese asiatico a sostenere la campagna di sanzioni contro la Russia. Tutto però è stato inutile e l’India ha riaffermato e consolidato la sua partnership con la Russia di Putin.

In prospettiva non soltanto l’espansione della potenza cinese è una minaccia per l’egemonia USA ma il più grave pericolo è costituito dal diffondersi del multipolarismo e dagli equivalenti legami multilaterali, di cui Pechino è il centro di riferimento per molti paesi. Per contrastare tale pericolo si è costituito il partenariato strategico NATO-UE che deve affrontare le sfide sistemiche alla sicurezza euro-atlantica, che, come dichiara la NATO, oltre alla Russia, sono create dalla Cina.

Non è un mistero che Washington ha visto con molta preoccupazione l’incremento di cooperazione economica fra la UE e la Cina che ha fatto diventare quest’ultima il principale partner della UE mentre gli Stati Uniti sono di conseguenza passati al secondo posto, secondo Eurostat. Questa è considerata da Washington una sfida non soltanto economica ma anche una minaccia alla sicurezza euro-atlantica.

La perdita dell ‘”esclusività” americana e del ruolo dominante degli Stati Uniti è un vero incubo per la NATO, che sta cercando con tutte le sue forze di contenere l’influenza cinese nei paesi del continente asiatico e non soltanto in quello.

Di contro la Cina è riuscita in questi anni a tessere la sua tela ed a coinvolgere nella sua Belton Road di sviluppo e di cooperazione oltre 150 paesi. Con molti di questi la cooperazione non si limita all’ambito economico ma si estende anche ai settori dell’energia, delle sviluppo tecnologico e dell’ambito militare.

Questa competizione con gli Stati Uniti è considerata essenziale dalle autorità di Pechino che sono impegnate a creare una rete di protezione per evitare le trappole e i ricatti che costantemente le vengono tesi dagli incaricati di Washington.

D’altra parte il gruppo di potere che dirige la politica USA è ben convinto che il vero competitor degli Stati Uniti è la Cina e che quest’ultima si sta avvantaggiando del prolungarsi del conflitto in Ucraina che vede impegnati gli USA e la Russia, con la Cina in una posizione attendista.

Entra in gioco l’enigma cinese che vede nella questione ucraina un’opportunità non solo per aumentare la propria influenza nel sistema internazionale, ma anche per avvicinarsi a una posizione di leadership.

Per quanto non coinvolta nel conflitto, Pechino ha già deciso che assumerà la posizione secondo cui all’Occidente non dovrebbe essere permesso di mettere in ginocchio la Russia o sforzarsi di esaurirla. Per questo motivo la Cina non assisterà passivamente ad una possibile vittoria degli USA e della NATO in Ucraina perchè da questa Washington rafforzerebbe la sua leadership che oggi è fortemente messa in discussione.

Una cosa è certa: a prescindere dall’esito del confronto, il mondo unipolare a guida USA si avvicina al suo definitivo tramonto che piaccia o no agli strateghi della Casa Bianca.

Foto: Idee&Azione

5 febbraio 2023

Fonte: https://www.ideeazione.com/il-mondo-multipolare-vero-incubo-dellelite-di-potere-statunitense/

Un anno di guerra in Ucraina: il bilancio dalla prima alla quarta fase (“trasformativa”)

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di Roberto Buffagni

Fonte: L’Antidiplomatico

In questo scritto ripercorro, con la massima brevità e chiarezza, il percorso e le dinamiche strategiche che hanno condotto alla presente quarta fase della guerra in Ucraina, una fase che ritengo trasformativa. Non inserisco note tranne una, relativa a un significativo studio della RAND Corp., pubblicato mentre elaboravo questo testo, a fine gennaio 2023. Chi desidera informarsi sulle mie analisi precedenti, e trovare la documentazione dei fatti e delle interpretazioni a cui qui mi riferisco, può visitare i siti italiaeilmondo.com e l’antidiplomatico.it, inserendo nella funzione di ricerca il mio nome e la parola “Ucraina”, e/o le altre parole chiave presenti nel testo.
Ringrazio sentitamente il generale Marco Bertolini, lo storico Giacomo Gabellini, e il responsabile del sito italiaeilmondo.com Giuseppe Germinario, che mi hanno usato la bontà di leggere in bozza questo testo e consigliarmi. Ovviamente è solo mia la responsabilità dei difetti e dei limiti dell’articolo.

Eziologia della guerra in Ucraina. Natura e scopi della guerra dai punti di vista russo e occidentale.
Sull’eziologia della guerra in Ucraina condivido l’interpretazione storica del prof. John Mearsheimer. È la conseguenza dell’espansione a Est della NATO, e della volontà statunitense di creare un bastione militare occidentale alla frontiera russa, integrando l’Ucraina nella NATO: una strategia che la Federazione russa ha dichiarato assolutamente inaccettabile sin dal Summit NATO di Bucarest 2008 in cui venne annunciata l’intenzione di integrare nell’Alleanza Atlantica Georgia e Ucraina.
Negli anni tra il 2008 e il 2022, gli USA integrano gradualmente l’Ucraina nella NATO, sebbene de facto e non de jure. Nel 2014 danno impulso alla destabilizzazione del governo in carica e all’insediamento di un governo ucraino a loro favorevole, e negli anni seguenti portano a livello di preparazione e armamento NATO le FFAA ucraine. Nel 2014 la Federazione russa si annette la Crimea, senza conflitto militare. Il 2021 vede una significativa accelerazione del processo di integrazione de facto dell’Ucraina nella NATO: importanti forniture di armamenti, grandi esercitazioni militari in comune, e nel novembre 2022 rinnovo della convenzione bilaterale USA – Ucraina che ribadisce la comune intenzione di integrare l’Ucraina nella NATO anche de jure.
Secondo questa interpretazione eziologica, dal punto di vista russo la guerra in Ucraina è una guerra preventiva in difesa di interessi vitali russi, e non una guerra imperialistica di annessione/conquista che, se coronata da successo, può preludere a ulteriori espansioni territoriali russe in Europa. Quest’ultima è invece la definizione della natura e degli scopi dell’intervento russo adottata dagli Stati occidentali.

Prima fase della guerra (dal 24 febbraio alla primavera 2022). Escalation militare russa: invasione dell’Ucraina. Escalation politica occidentale: rifiuto di ogni trattativa diplomatica.
Nel dicembre 2022 la Federazione russa, che nei mesi precedenti ha schierato alla frontiera ucraina un contingente militare pronto all’intervento, propone agli USA una soluzione diplomatica, nell’insolita forma di bozza di trattato resa pubblica. Le principali richieste russe sono, in sostanza: Ucraina neutrale e applicazione effettuale degli accordi di Minsk per la tutela delle popolazioni russofone del Donbass, dove dal 2014 è in corso una guerra civile appoggiata ufficiosamente dai governi ucraino e russo. Gli Stati Uniti non rispondono alla proposta in forma ritenuta soddisfacente dai russi (rinviano, traccheggiano, ricorrono alla “strategic ambiguity”).
Il 24 febbraio 2022 la Federazione russa interviene militarmente in Ucraina. Non è possibile sapere con certezza perché abbia scelto proprio questo momento. Forse – ma è solo una mia inferenza logica – perché in base alle informazioni in suo possesso, la Federazione russa ritiene che l’esercito ucraino stia per intervenire in forze contro le milizie del Donbass, schierando poi il grosso delle truppe nelle postazioni difensive fortificate ivi costruite nel corso degli anni, in modo da prevenire il possibile intervento militare russo e renderlo molto più difficile, costoso, incerto.
I russi intervengono con un contingente militare di circa 180-200.000 uomini, in condizioni di inferiorità numerica di 3:1 circa rispetto all’esercito ucraino, sebbene i manuali tattici prescrivano una proporzione inversa attaccanti/difensori (almeno 3:1 a favore dell’attaccante, per compensare il vantaggio della difesa). Sviluppano attacchi su cinque direttrici, sia al Sudest, sia al Nordovest dell’Ucraina. Gli attacchi nel Nordovest sono attacchi secondari, un’ampia manovra diversiva volta a fissare truppe ucraine a difesa di Kiev e degli altri centri interessati dalla manovra, per modellare il campo di battaglia nel Sudest, nel Donbass, dove si dirigono gli attacchi principali. Così interpretando la manovra russa aderisco all’articolata interpretazione che ne ha dato “Marinus”, probabilmente pseudonimo del Ten. Gen. (a riposo) Paul Van Riper, Corpo dei Marines, nello studio pubblicato sui numeri di giugno e agosto 2022 della “Marine Corps Gazette”, che ho tradotto in italiano, commentato e pubblicato sui siti citati in apertura.
Nel giro di tre-quattro settimane la manovra diversiva russa ha successo. A fine marzo, le truppe russe che hanno sviluppato gli attacchi secondari nel Nordovest si ritirano, mentre il grosso delle forze russe si schiera in quasi tutto il Donbass, infliggendo pesanti perdite anzitutto materiali all’esercito ucraino grazie alla netta superiorità nella potenza di fuoco d’artiglieria e missilistico. L’azione militare russa evita accuratamente di coinvolgere i civili, non tocca le infrastrutture a doppio uso civile e militare (es., la rete elettrica) e si configura insomma come “diplomazia armata”: i russi tentano di ottenere, con una moderata pressione militare, gli obiettivi che non hanno raggiunto con la pluriennale, crescente pressione diplomatica.
Fino alla fine di marzo 2022 pare che la “diplomazia armata” russa possa avere successo: tra il 24 febbraio e la fine di marzo si tengono sette incontri diplomatici tra Russia e Ucraina, e a fine marzo il presidente Zelensky dichiara ufficialmente a media russi indipendenti di essere pronto a trattare la neutralità dell’Ucraina e la soluzione del problema delle popolazioni russofone del Donbass.

Prima escalation politica occidentale
Ma il 7 aprile 2022 il Premier britannico Boris Johnson fa visita al presidente ucraino Zelensky, e dichiara ufficialmente che “L’Ucraina ha rovesciato i pronostici [“defied the odds”] e ha respinto le forze russe alle porte di Kiev, realizzando il più grande fatto d’armi del 21° secolo “. Da quel momento in poi, cessa ogni rapporto diplomatico tra Ucraina e Federazione russa.
L’interpretazione conforme la quale la piccola Ucraina ha sconfitto sul campo la grande Russia si fonda su una lettura delle prime settimane di guerra radicalmente diversa da quella che ho proposto più sopra. Secondo questa interpretazione, obiettivo russo sarebbe stato la presa di Kiev e il “regime change”, il rovesciamento del governo ucraino e la sua sostituzione con un governo fantoccio favorevole alla Russia, e gli attacchi nel Nordovest sarebbero attacchi principali falliti, non attacchi secondari nel quadro di un’ampia manovra diversiva. È una interpretazione possibile, che se rispondente al vero denuncia una grave inadeguatezza militare e politica della Federazione russa: impossibile raggiungere obiettivi tanto ambiziosi con un dispiegamento di forze così ridotto e una così bassa intensità del conflitto.
Su questa interpretazione dei fatti militari, errata o corretta, in buonafede o strumentale che sia, fanno leva le fazioni più oltranziste nel campo occidentale e nel governo ucraino. Si cristallizza in Occidente la certezza ufficiale che sia possibile infliggere una sconfitta militare decisiva alla Russia, e che sia dunque realistico proporsi obiettivi strategici massimalisti, quali il dissanguamento della Russia e la sua destabilizzazione politica per mezzo sia della pressione militare, sia delle sanzioni economiche, sia dell’attivazione delle forze centrifughe. Obiettivo finale, l’espulsione della Russia dal novero delle grandi potenze, l’insediamento di un governo favorevole all’Occidente, eventualmente la frammentazione politica della Federazione russa.
Questi obiettivi massimalisti vengono rivendicati ufficialmente il 24 aprile dai Segretari alla Difesa e di Stato USA. I paesi europei e NATO, tranne la Turchia e l’Ungheria, si allineano senza fiatare e votano con maggioranze parlamentari schiaccianti durissime sanzioni economiche alla Russia e l’invio di armi all’Ucraina. Le storicamente neutrali Svezia e Finlandia annunciano la loro intenzione di chiedere l’adesione alla NATO.

La “diplomazia armata” russa è fallita.
Seconda fase della guerra (primavera – metà estate 2022). Conquista russa del Donbass. La condizione di possibilità di una vittoria ucraina.
Prosegue con successo la conquista russa del Donbass, con scontri urbani molto violenti, casa per casa, a Mariupol e altrove. Le truppe russe impegnate sulla linea di contatto col nemico sono principalmente le milizie del Donbass, le formazioni di volontari ceceni, e il gruppo Wagner. Le formazioni dell’esercito regolare russo agiscono anzitutto (non solo) in appoggio, con l’artiglieria, i missili e il comando operativo. L’azione militare russa continua a non interessare le infrastrutture a doppio uso, militare e civile, dell’Ucraina.
Il rapporto tra le perdite ucraine e le perdite russe è nettamente sfavorevole agli ucraini, sia per la superiorità della potenza di fuoco russa, sia perché le operazioni militari ucraine sono fortemente influenzate dalla necessità di giustificare, presso i governi e le opinioni pubbliche occidentali, il colossale e quasi unanime sostegno politico e finanziario all’Ucraina, che ha gravi ricadute politico-economiche sui paesi europei, anzitutto la Germania che si vede esclusa dalla fornitura di energia russa a basso prezzo sulla quale basa le sue fortune economiche da decenni.
In sintesi gli ucraini sono costretti a “vendere” con i risultati sul campo, con una inflessibile resistenza e una costante aggressività, la sostenibilità politica dell’indispensabile appoggio occidentale: deve essere e restare plausibile la prospettiva di una futura vittoria militare dell’Ucraina sulla Russia.
Ovviamente la valorosa resistenza ucraina non va ascritta a ciò soltanto: per un’ampia quota della popolazione, il conflitto con la Russia è divenuto una guerra di liberazione nazionale, che si integra con una guerra civile e con una guerra per procura tra Russia e Stati Uniti d’America – NATO.

La condizione di possibilità di una vittoria militare ucraina
La condizione di possibilità una vittoria militare decisiva dell’Ucraina sulla Russia, però, si fonda su un presupposto.
È il presupposto che fa da principio ordinatore della strategia di deterrenza du faible au fort elaborata dal gen. Gallois in vista della creazione della force de frappe nucleare francese: rendere sfavorevole, per il fort (la potenza più forte), il rapporto costi/benefici della vittoria sul faible (la potenza più debole). Impiegando a fondo le sue maggiori risorse, la grande potenza nucleare che aggredisse la Francia potrebbe senz’altro distruggerla totalmente, ma l’attivazione della force de frappe nucleare del faible infliggerebbe comunque al fort danni politicamente inaccettabili.
In parole povere ma chiare: per vincere, la potenza più debole deve fare in modo che per la potenza più forte, il gioco della vittoria non valga la candela di una guerra a oltranza. L’Ucraina è il faible, la Russia il fort.
Anche con l’aiuto occidentale, le risorse strategiche ucraine (popolazione, potenza latente economica, potenza manifesta militare, truppe mobilitate e mobilitabili, profondità strategica) restano di interi ordini di grandezza inferiori alle risorse strategiche russe, perché la Russia ha 145 MLN di abitanti, può mobilitare un massimo di 25 MLN di uomini, ha enormi risorse naturali e la capacità di trasformarle, un’ampia base industriale militare, e una profondità strategica di 11 fusi orari. (“Profondità strategica” è lo spazio amico entro il quale un esercito attaccato e respinto può ripiegare, riorganizzarsi, passare al contrattacco, come fecero appunto i sovietici dopo la devastante serie di sfondamenti della Wehrmacht all’esordio dell’Operazione Barbarossa, quando i sovietici trasferirono oltre la catena degli Urali milioni di uomini e numerose industrie strategiche situate nella Russia europea, e fecero affluire verso il fronte i reparti militari di stanza in Oriente, integrandoli con i reparti sfuggiti agli accerchiamenti tedeschi).
Ripeto: una potenza nettamente più debole può vincere contro una potenza nettamente più forte solo se rende il rapporto costi/benefici della vittoria sfavorevole per la potenza nemica. È una vittoria a caro prezzo (guerra del Vietnam: caduti USA 58.000, caduti Vietnam 849.000 + 300-500.000 dispersi, stime governative) ma è una vittoria possibile.
È così che Vietnam e Afghanistan hanno vinto contro USA e URSS, che disponevano entrambe di risorse strategiche di gran lunga superiori. Se le due potenze maggiori avessero deciso di impegnare a fondo le loro risorse strategiche, Vietnam e Afghanistan non avrebbero potuto evitare una sconfitta totale. USA e URSS non lo hanno fatto perché lo hanno ritenuto politicamente insostenibile: perdite troppo elevate, impegno politico, economico e militare a lunga scadenza inaccettabile, crescente opposizione interna alla guerra, etc. In sintesi USA e URSS hanno deciso di perdere perché hanno valutato che per loro, il rapporto costi/benefici della sconfitta fosse più vantaggioso del rapporto costi/benefici della vittoria.

La posta in gioco per la Russia
Ma gli obiettivi strategici dichiarati ufficialmente dal governo USA e rilanciati da NATO e paesi europei sono obiettivi massimalisti: dissanguamento e permanente indebolimento della potenza economica e militare russa, destabilizzazione del governo, attivazione delle forze centrifughe interne alla Federazione russa, espulsione della Russia dal novero delle grandi potenze, possibile sua frammentazione politica. Particolarmente temibile, per la Russia che si è formata storicamente come impero multietnico, multinazionale, multireligioso, la possibilità di un’attivazione delle forze centrifughe etniche, religiose, nazionali, in uno scenario analogo allo jugoslavo degli anni Novanta.
Gli obiettivi dichiarati dall’Occidente configurano insomma una minaccia esistenziale per il governo, lo Stato, la società e le nazioni russe. I dirigenti russi dunque si persuadono che nella guerra ucraina sia in gioco la posta assoluta, sono disposti letteralmente a tutto per vincerla, e lo dicono ripetutamente in forma ufficiale. Saranno dunque disposti, anzi costretti a impiegare a fondo tutte le risorse strategiche russe per vincere la guerra: per vincere l’Ucraina, ed eventualmente, se si arrivasse a un conflitto diretto, anche la NATO.
Viene così a cadere la condizione di possibilità di una futura vittoria ucraina: che per la Russia il gioco della vittoria sull’Ucraina non valga la candela della guerra a oltranza. Per vincere la Russia, l’Ucraina e i suoi alleati occidentali devono ottenere la vittoria decisiva su una Federazione russa disposta o meglio obbligata ad impegnare a fondo, per tutto il tempo necessario, tutte le sue risorse strategiche: in sintesi, farla capitolare.
Al contempo gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali, impegnandosi pubblicamente a raggiungere obiettivi massimalistici, si chiudono lo spazio di manovra diplomatica e fanno salire fino al cielo la posta politica in gioco per le loro classi dirigenti, che rischiano di essere spazzate via da una sconfitta; malgrado che un esito sfavorevole della guerra non danneggi, in quanto tale, gli interessi vitali delle loro nazioni, nessuna delle quali rischia la destabilizzazione o peggio in seguito a una sconfitta ucraina.
L’unica nazione del campo occidentale che rischia tutto è l’Ucraina, che da una prosecuzione della guerra a oltranza e da una probabile sconfitta può attendersi solo terribili sciagure.

Terza fase della guerra (fine estate – autunno 2022). Successo della controffensiva ucraina. Escalation politica russa: annessione di quattro oblast del Donbass. Escalation militare russa: bombardamento degli obiettivi a doppio uso militare e civile. Guerra di manovra e guerra d’attrito.
Le forze russe si attestano nel Donbass, occupando quasi il 20% dell’intero territorio ucraino e schierandosi su un fronte di 1.500 km circa. Il dispositivo militare ucraino si riorganizza, amplia la mobilitazione richiamando i riservisti ed estendendo la coscrizione obbligatoria fino ai 60 anni, viene rifornito di nuovi armamenti occidentali (in larga misura equipaggiamenti ex – sovietici) in sostituzione di quelli distrutti nelle fasi precedenti del conflitto, viene innervato da un più vasto e intenso coinvolgimento di personale di comando NATO e da una più capillare strutturazione delle funzioni ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance), e nel settembre 2022 sferra una controffensiva in forze con direttrice principale su Kharkiv.
La controffensiva ucraina ha successo. I russi devono arretrare su tutto il fronte, ripiegando più o meno ordinatamente. Motivo: la coperta russa è troppo corta. I reparti russi hanno conquistato vasti territori che non sono in grado di tenere con l’esiguo numero di truppe impegnate nella “operazione militare speciale”. Essi dunque devono resistere ripiegando il più ordinatamente possibile, accorciare il fronte, ridurre i territori da difendere e fortificarli per attestarvisi, riconfigurare il dispositivo militare e rinforzarlo.
La Russia si adatta alla nuova realtà sul terreno. Viene nominato un comandante generale delle operazioni in Ucraina, il gen. Surovikin. Il governo propone alla Duma, che la vota all’unanimità, la mobilitazione parziale di 300.000 riservisti. Vengono mobilitate anche le industrie militari, che lavoreranno su tre turni di otto ore.

Escalation politica russa: annessione dei quattro oblast del Donbass
Il governo propone alla Duma, che nell’ottobre la vota all’unanimità, l’annessione di quattro oblast del Donbass: le regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson, previo plebiscito organizzato dalle autorità di occupazione russe.
È la più decisiva escalation politica di tutta la guerra, perché con essa la Russia si brucia le navi alle spalle e annuncia implicitamente la propria ferma volontà di impegnare a oltranza tutte le proprie risorse strategiche per ottenere la vittoria sull’Ucraina e sui suoi alleati. Per far recedere la Russia dall’annessione, riconsegnando all’Ucraina territori che per la Federazione russa sono formalmente divenuti territorio nazionale, l’Ucraina e i suoi alleati dovrebbero infliggere una sconfitta decisiva a tutta la Federazione russa, e farla capitolare.

Escalation militare russa. Bombardamento degli obiettivi a doppio uso militare e civile
Riconfigurato il dispositivo militare intorno all’unità di comando e consolidato il fronte, mentre si svolge tra varie difficoltà la mobilitazione dei riservisti (è la prima mobilitazione da ottant’anni e l’apparato amministrativo e logistico russo non è pronto; centinaia di migliaia di russi varcano le frontiere per evitare il richiamo) il comandante generale Surovikin decide l’escalation militare. Per la prima volta vengono interessati da una serie incessante di fitti bombardamenti missilistici gli obiettivi a doppio uso, civile e militare, in particolare la rete elettrica ucraina ma in generale le infrastrutture quali ferrovie, fabbriche, depositi di materiale militare e civile, etc. La Russia non prende di mira i civili, ma bersagliando le infrastrutture a doppio uso provoca gravi disagi alla popolazione, compromette il normale svolgimento della vita quotidiana, e ovviamente provoca “danni collaterali”, vittime civili colpite per errore dai suoi missili e dal fuoco contraereo ucraino.
Il gen. Surovikin prende anche la decisione, politicamente difficile e impopolare ma corretta, di abbandonare Kherson, importante centro testé formalmente annesso al territorio nazionale russo, e di far ripiegare le truppe che la occupano sulla sponda meridionale del fiume Dnepr. La decisione operativa consente di non sprecare forze per prevenire una controffensiva in un punto delicato, concentrando invece gli sforzi nel Donbass. Ne conseguiranno vantaggiosi risultati concreti sul campo di battaglia.

Guerra di manovra, guerra d’attrito. L’ esempio storico dell’Operazione Barbarossa
La “guerra di manovra”, in tedesco Bewegungskrieg, “guerra di movimento”, è l’opposto simmetrico della “guerra d’attrito”, Stellungskrieg, “guerra di posizione”. Ogni guerra combina, in percentuali diverse, manovra e attrito. La guerra d’attrito punta a logorare gradualmente le capacità di combattimento del nemico con l’applicazione prolungata e costante di una forza superiore; la guerra di manovra punta a distruggere rapidamente le capacità di combattimento del nemico trovando o creando, e sfruttando abilmente, lo Schwerpunkt, il punto decisivo vitale e debolmente difeso dello schieramento nemico, contro il quale sferrare un rapido, determinante attacco in forze.  Il vantaggio della manovra sull’attrito sembra ovvio: la manovra offre la possibilità di una vittoria rapida e decisiva, ma minaccia anche la possibilità di una sconfitta altrettanto rapida e decisiva, perché attaccare è sempre rischioso e il nemico può sempre dire la sua. Come sottolinea Clausewitz, non esiste la “scienza della vittoria”, e la logica che governa la guerra non è lineare ma paradossale, come illustra il detto romano “si vis pacem para bellum”. La guerra di manovra viene privilegiata degli eserciti che scontano un evidente svantaggio nella guerra d’attrito: eserciti meno numerosi, con capacità materiali o logistiche inferiori a quelle del nemico.
In questa fase il conflitto ucraino, che nelle due fasi precedenti ha visto una combinazione di manovra e attrito, si stabilizza in forma di guerra d’attrito, il tipo di conflitto dove pesa di più la disparità di risorse strategiche tra i contendenti. Nella guerra d’attrito, infatti, quel che più conta per la vittoria è la rispettiva capacità di generare durevolmente forze umane e materiali. È il campo in cui la Russia ha il maggior vantaggio relativo sull’Ucraina.
Accresce il vantaggio russo il fatto politico essenziale che l’Ucraina dipende in tutto e per tutto dall’appoggio occidentale, e che i dirigenti occidentali devono giustificare presso le opinioni pubbliche e l’elettorato il crescente costo politico-economico di questo appoggio. Dunque gli ucraini sono costretti dalla ragion politica a inviare costantemente truppe, anche insufficienti o impreparate, sulla linea di contatto con i russi, mantenendo vivo il conflitto, rinnovando in Occidente l’ammirazione per la loro capacità di resistenza, e alimentando la persuasione che la vittoria finale ucraina sia possibile.
Dal punto di vista militare, in realtà, agli ucraini converrebbe prendersi una pausa, riorganizzare le riserve, rinforzarle e addestrarle, e risparmiare uomini e mezzi in vista di controffensive future. Una potenza dotata di risorse strategiche nettamente inferiori al nemico, infatti, può sperare di vincerlo soltanto con un’abile, aggressiva e rapida, soprattutto rapida guerra di manovra: in una guerra d’attrito, il tempo lavora per la potenza con le maggiori risorse strategiche.
Furono queste considerazioni fondamentali a dettare la forma in cui si è sviluppata e ordinata la potenza militare prussiana prima e tedesca poi, ossia dei maestri di un’aggressiva e rapida guerra di manovra. Sia la Prussia sia la Germania, infatti, hanno dovuto fare i conti con la propria situazione geopolitica: esposizione su più fronti al centro d’Europa, frontiere indifese da ostacoli naturali, limitate risorse naturali e umane; e hanno tentato di risolvere la difficile equazione mettendo a punto un dispositivo militare altamente preparato a condurre con la massima aggressività e perizia rapide guerre di manovra. Esemplari dei successi dello stile germanico le magistrali Blitzkrieg contro Polonia e Francia nella IIGM.  Esemplare, però, anche il fallimento dell’Operazione Barbarossa. La Germania invade l’URSS, ottiene per sei mesi schiaccianti vittorie ma non riesce a provocare il collasso politico e sociale del nemico, e tocca il limite delle proprie capacità logistiche. L’URSS non capitola, si riorganizza, e comincia a generare forze umane e materiali in misura via via crescente e superiore rispetto alle forze che è in grado di generare la Germania.  Saranno necessari quattro anni di durissimo conflitto, ma il destino della Germania è segnato.
Si noti bene che al tempo dell’Operazione Barbarossa tutti gli Stati Maggiori del mondo, abbagliati dai precedenti, splendidi successi tedeschi, davano per scontata la vittoria della Wehrmacht. Essa però avrebbe potuto verificarsi soltanto se l’URSS fosse collassata in seguito ai primi mesi di devastanti sconfitte. L’Operazione Barbarossa è dunque stata un’azzardata scommessa strategica, in cui la vittoria finale dipendeva interamente dal crollo della coesione politica, militare e sociale del nemico. L’Alto Comando tedesco non ha invece tenuto nella dovuta considerazione sia le risorse strategiche attuali dell’URSS, sia, e soprattutto, la sua capacità di generare nuove forze, maggiori delle proprie, per tutto il tempo necessario a concludere vittoriosamente la guerra.
È lo stesso tipo di errore che hanno commesso gli Alti Comandi occidentali in questo conflitto ucraino.
Essi hanno gravemente sottovalutato le risorse attuali della Russia: da questo errore dell’intelligence militare i continui proclami che la Russia starebbe per terminare le sue scorte di missili, proietti d’artiglieria, etc., rivelatisi via via sempre più grotteschi e difformi dalla realtà; hanno gravemente sottovalutato la sua capacità di generare nuove forze umane e materiali nel breve, e nel medio-lungo periodo: di qui l’errata valutazione dell’impatto delle sanzioni economiche sulla Russia, a torto creduto rapidamente incapacitante; hanno gravemente sottovalutato la coesione politica e sociale della compagine russa, la sua volontà di combattere e di stringersi intorno alla bandiera: di qui gli annunci, via via più ridicoli, di un prossimo rovesciamento del governo russo in seguito al dissenso della popolazione e di decisivi settori della classe dirigente.
Quarta fase trasformativa della guerra (fine autunno 2022 – inverno 2022/23). Due fazioni nei centri direttivi statunitensi: escalation o de-escalation del conflitto? Tre fatti significativi. Stime delle perdite ucraine e russe. Previsioni. La doppia trappola strategica.
Ritengo trasformativa la presente fase della guerra perché soltanto in questa fase viene chiaramente in luce la sua natura di doppia trappola strategica.
Nella quarta fase della guerra si verificano tre fatti significativi.

Sabotaggio del Northstream 2
Nel novembre 2022 un sabotaggio subacqueo rende inutilizzabile il Northstream 2, il gasdotto costruito per trasportare il metano russo in Germania attraverso il Mar Baltico, senza passare per l’Ucraina. L’inchiesta entra subito in stallo, per l’impossibilità politica di individuarne gli autori: infatti la logica del cui prodest suggerisce che responsabili ultimi dell’attentato siano gli Stati Uniti. Probabilmente, l’operazione è frutto di una collaborazione tra Royal Navy britannica e forze speciali polacche. Motivo del sabotaggio: nella classe dirigente tedesca crescono le preoccupazioni per i disastrosi effetti a lunga scadenza (progressiva disindustrializzazione della Germania) della cessazione di forniture d’energia russa a buon mercato. Il sabotaggio del gasdotto è un vero e proprio atto di guerra contro la Germania, volto a intimidirla perché si allinei senza esitazioni alla strategia di contrapposizione frontale alla Russia decisa dagli USA. L’intimidazione ha successo. Intimidita la Germania, l’unico Stato europeo che non aderisca perinde ac cadaver alla linea statunitense è la piccola Ungheria; nella NATO, l’unico Stato con un elevato grado di autonomia politica è la Turchia.

Dichiarazioni pubbliche del gen. Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto USA
Nel novembre e di nuovo nel dicembre 2022 il gen. Mark Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto statunitense, rilascia irrituali dichiarazioni pubbliche, invitando all’apertura di una trattativa diplomatica con la Russia, e asserendo che “agli ucraini non si può chiedere di più”. Le dichiarazioni irrituali di Milley sono evidente indizio che nei centri decisionali statunitensi confliggono due grandi fazioni: una incentrata nell’establishment bipartisan che dirige la politica estera, favorevole alla prosecuzione a oltranza della guerra in Ucraina ed eventualmente a una sua escalation; e un’altra, incardinata nel Pentagono, favorevole a una de-escalation del conflitto. Il fatto che Milley comunichi pubblicamente le sue posizioni prova che nel dibattito interno all’Amministrazione USA la posizione del Pentagono è minoritaria e teme di restarlo, e che lo scontro tra le due posizioni è molto aspro.
A ulteriore riprova dell’esistenza di questi schieramenti interni alla direzione statunitense, il recentissimo studio pubblicato dalla RAND Corp., Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict[1], [in nota riferimento bibliografico e traduzione italiana dell’abstract] che analizza, dal punto di vista dell’interesse nazionale USA, i costi di un prolungamento della guerra ucraina, raccomanda la de-escalation, e la cauta instaurazione di un processo diplomatico che porti a una conclusione negoziata del conflitto. La RAND Corporation è un importante e prestigioso centro studi che sin dalla sua fondazione fornisce analisi e progetti soprattutto al Pentagono.

Riconfigurazione della struttura di comando russo, annuncio di riforma delle FFAA russe
Nel gennaio 2023, il governo russo riconfigura il comando militare delle operazioni in Ucraina, e annuncia una più generale riforma strutturale delle sue Forze Armate. Il militare russo più alto in grado, generale Gerasimov, Capo di Stato Maggiore delle FFAA russe, viene insignito del comando generale delle operazioni in Ucraina, mentre il gen. Surovikin riprende il suo precedente ruolo di Comandante delle Forze Aerospaziali. Il governo ristabilisce i distretti militari di Mosca e Leningrado, ordina la formazione di un nuovo gruppo d’armate in Carelia, alla frontiera finlandese, e la creazione di dodici nuove divisioni dell’esercito. Annuncia altresì che entro il 2026 aumenterà le dimensioni del suo dispositivo militare in servizio permanente effettivo, portandole a 1,5 MLN di uomini. Nel contempo, i massimi dirigenti russi iniziano a dichiarare pubblicamente che la guerra in corso in Ucraina è, in realtà, una guerra tra Russia e NATO. Queste inedite dichiarazioni pubbliche hanno anche – come sempre in guerra – una valenza propagandistica interna, ma interpretate alla luce delle riforme militari in corso suggeriscono con un elevato grado di plausibilità che i decisori russi si preparano per il caso peggiore, ossia per un intervento diretto delle forze occidentali nel conflitto ucraino.

Prosegue la guerra d’attrito. Stime delle perdite ucraine e russe
Nel frattempo, sul terreno ucraino la guerra d’attrito continua. Continuano gli attacchi missilistici alle infrastrutture ucraine a doppio uso, civile e militare. Il dispositivo militare russo si consolida sulle posizioni difensive occupate e rafforzate dopo il ripiegamento. Continua e si perfeziona l’addestramento dei riservisti richiamati, e la logistica si adegua gradualmente all’arrivo dei rinforzi e alla prosecuzione degli intensi, costanti attacchi missilistici. I reparti russi sferrano attacchi incrementali sulle linee difensive ucraine, con ridotto impiego di truppe e larghissima, prolungata preparazione d’artiglieria, per limitare il più possibile le proprie perdite. Gli ucraini, intrappolati dalla necessità politica di resistere sempre e comunque e appena possibile attaccare, per giustificare il sostegno occidentale, cordone ombelicale della prosecuzione della guerra, non sono in grado di contrattaccare in forze, ma resistono anche oltre i vantaggi militari della resistenza e subiscono gravissime perdite di uomini e di materiali.
È impossibile, finché dura la guerra, avere dati certi delle perdite. Mentre scrivo, a fine gennaio 2023, fonti occidentali quali Strategic Forecasting, un’importante agenzia di intelligence privata che abitualmente collabora con la CIA, parla di più di 300.000 morti ucraini, per un totale di perdite irrecuperabili intorno ai 400.000 uomini. Le più recenti valutazioni occidentali, non ufficiali, delle perdite irrecuperabili russe parlano di 20.000 morti e 30.000 tra dispersi e feriti gravi. Pur con tutte le necessarie cautele, è abbastanza verisimile che il rapporto tra perdite ucraine e perdite russe si situi tra 10:1 e 5:1. Nelle grandi battaglie della IIGM, il rapporto di perdite tra lo sconfitto e il vincitore fu intorno a 1,3 – 1,5: 1. L’esercito ucraino non sembra essere in grado di preparare, nel prossimo futuro, una controffensiva su grande scala: per l’elevatissimo numero di perdite, soprattutto di ufficiali e sottufficiali veterani; per la scarsità di materiale bellico, nonostante i rinnovati invii di armi occidentali; per la crescente disorganizzazione delle strutture di comando militare; per la crescente, progressiva degradazione delle condizioni economiche e sociali dell’intera Ucraina.

Scelte operative dell’Alto Comando russo. Previsioni.
In sintesi, nella quarta fase della guerra comincia a risultare chiaro che il dispositivo militare russo ha raggiunto, o è sul punto di raggiungere, le condizioni necessarie e sufficienti a imprimere al conflitto la direzione voluta dal suo comando militare e politico.
Ovviamente, solo l’Alto Comando russo sa, o saprà, quale sia questa direzione, ma attualmente esso pare in grado di:
proseguire la guerra d’attrito, applicando costantemente sul dispositivo militare ucraino, e sull’intera società ed economia ucraine, la sua forza superiore: così risparmiando la propria risorsa più preziosa, gli uomini. Gli uomini sono la risorsa russa più preziosa dal punto di vista politico, per evidenti ragioni rafforzate dall’approssimarsi delle elezioni presidenziali russe del 2024. Sono la risorsa più preziosa anche dal punto di vista militare, e in special modo lo sono i veterani, che devono addestrare e integrare nei reparti i riservisti richiamati, nessuno dei quali ha esperienza diretta di una guerra a così alta intensità (non ce l’ha nessuno al mondo tranne chi vi ha partecipato, nell’uno o nell’altro schieramento)
passare all’offensiva su grande scala, su una o più direttrici. Prevedibili obiettivi strategici, l’annientamento progressivo della capacità di combattere dell’esercito ucraino; la riconquista delle porzioni territoriali dei quattro oblast annessi alla Russia, e riprese dall’Ucraina in seguito al ripiegamento russo; l’occupazione e l’annessione alla Russia di Odessa e dell’intero territorio della Novorossiya, in modo da escludere l’Ucraina dall’accesso al mare.
Probabilmente, nelle valutazioni dell’Alto Comando russo sono presenti, e non in secondo piano, le previsioni sulla reazione occidentale all’una e all’altra decisione operativa russa. Proseguire la guerra d’attrito consente alle direzioni occidentali di rinviare le decisioni strategico-politiche su escalation o de-escalation, e probabilmente avvantaggia la fazione favorevole alla de-escalation, dandole il tempo di organizzarsi meglio, trovare alleati, diffondere pubblicamente i suoi argomenti. Passare all’offensiva le obbliga a scegliere in tempi brevi, brevissimi se l’offensiva ha presto un chiaro successo. La fazione statunitense favorevole alla de-escalation è tuttora minoritaria: la situazione sul campo la favorisce, ma le manca l’appoggio aperto di almeno uno tra i più importanti alleati europei.
A mio avviso, per la Russia è vantaggioso evitare un’accelerazione del conflitto, sia per i rischi di fallimento e i costi umani sempre associati alle azioni offensive su grande scala, sia per non servire una carta decisiva al “partito della guerra a oltranza” statunitense, che sull’onda dell’emozione potrebbe iniziare una diretta, formale implicazione di forze occidentali nella guerra; per esempio, il varo di una “coalizione dei volonterosi” come proposto nel novembre 2022 a dal gen. (a riposo) David Petraeus, ossia con truppe polacche, rumene, baltiche, etc. che intervengano sotto la propria bandiera, ma non in quanto membri della NATO, in seguito a una richiesta di aiuto militare del governo ucraino: un escamotage giuridico per evitare un aperto conflitto diretto NATO – Russia, che rischierebbe di interessare anche il territorio statunitense.
Quindi, se devo arrischiare una previsione, penso che la Russia continuerà ancora a lungo la guerra d’attrito.

Vittoria decisiva della sola Ucraina. Vittoria decisiva con intervento diretto occidentale. Possibilità e probabilità
In estrema sintesi, a un anno dall’inizio della guerra risulta chiaro che una decisiva vittoria militare ucraina sulla Russia è materialmente impossibile, per quanto possano proseguire, o anche aumentare, nelle forme attuali, gli aiuti occidentali. La situazione può cambiare solo con un diretto coinvolgimento di truppe occidentali.
Comincia però ad albeggiare il dubbio, anche nelle direzioni politico-militari occidentali, che un diretto coinvolgimento di truppe occidentali nella guerra non basti ad assicurare, o almeno a rendere altamente probabile, la vittoria decisiva sulla Russia. Dubbiosi sono soprattutto i militari: per questo la fazione statunitense favorevole alla de-escalation si incardina sul Pentagono. Motivi:
l’attuale dispositivo militare dell’intera NATO, Stati Uniti compresi, non è concepito e preparato per una guerra convenzionale ad alta intensità contro un nemico capace di condurla, come la Russia. Dalla fine della Guerra Fredda, tutte le nazioni NATO hanno fortemente ridotto i loro eserciti, dismesso gran parte delle strutture logistiche militari, indirizzato la struttura e l’addestramento delle loro FFAA, e la produzione delle loro industrie militari, a conflitti di breve durata contro nemici nettamente inferiori, in genere appartenenti al “Grande Sud del mondo”; una decisione tutto sommato ragionevole, finché la NATO non si è contrapposta alla Russia, che in effetti non la minacciava affatto.
La Russia, invece, ha strutturato le sue FFAA e la sua industria militare in vista di una guerra difensiva contro la NATO, come è nella tradizione storica di un paese che da sempre deve fronteggiare e respingere grandi invasioni del suo territorio. Sinora ha privilegiato la difesa di ultima istanza, la triade nucleare, ma come prova la guerra in Ucraina non ha abbandonato la preparazione convenzionale e la sta rafforzando. Essa ha inoltre guadagnato, in settori decisivi come la missilistica e la difesa contraerea, la superiorità relativa rispetto agli Stati Uniti. Per compensare lo svantaggio ci vogliono anni.
Un riarmo occidentale è molto arduo, il suo esito incerto, i tempi lunghi. I finanziamenti, anche massicci, non bastano: il denaro può comprare solo quel che già esiste, e quel che già esiste non basta. Per far esistere quello che manca, è necessario anzitutto determinare politicamente la strategia di sicurezza collettiva della NATO, un processo molto complicato e difficile anche per la frammentazione dei centri decisionali. Se il nemico principale della NATO è la Russia, è indispensabile, come minimo, e giusto per cominciare: costruire un alto numero di cacciabombardieri da impiegare in appoggio alla fanteria, e in grado di sopravvivere alle difese missilistiche russe; costruire le infrastrutture logistiche necessarie a un’ampia proiezione delle forze in caso di crisi, con la relativa pianificazione; varare un grande programma di difesa antiaerea integrata del territorio europeo; varare un vasto programma di reclutamento e addestramento truppe, in specie di ufficiali e sottufficiali. Al riguardo, è bene tenere presente che la rinuncia da parte di tutti i paesi NATO alla coscrizione obbligatoria ha provocato la perdita di ingenti riserve addestrate alle quali far ricorso in caso di necessità. In sostanza, in caso di una guerra che ci coinvolga, prenda tempi lunghi e sconti perdite rilevanti, mobilitazioni come quelle indette da Mosca e dall’Ucraina sono quasi impossibili, per i paesi dell’Europa Occidentale. Segue un lungo eccetera.
Ovviamente, un diretto coinvolgimento occidentale nella guerra impedirebbe agli Stati Uniti di concentrarsi sul contenimento della Cina, rinsalderebbe l’alleanza di quest’ultima con la Russia, esporrebbe gli USA a una possibile guerra su due fronti contro due grandi potenze nucleari, e aumenterebbe progressivamente il rischio che nel conflitto con la Russia facciano capolino le armi atomiche. Quanto più diretto e intenso il conflitto convenzionale tra due grandi potenze nucleari come Russia e USA, tanto più probabile che il contendente che si credesse esposto a una probabile sconfitta decisiva mediti seriamente di impiegare le armi nucleari.
Altrettanto ovviamente, in un conflitto diretto tra forze occidentali e Russia le perdite occidentali si conterebbero a decine di migliaia, un costo umano difficile da giustificare politicamente.

La doppia trappola strategica
Con l’allargamento a Est della NATO, e insistendo per includervi l’Ucraina, gli Stati Uniti hanno teso una trappola strategica alla Russia, costringendola a scegliere tra due alternative, entrambe molto pericolose nel medio-lungo periodo: accettare il divieto di avere una sfera d’influenza, e la minacciosa presenza di un bastione militare occidentale sulla soglia della Russia europea; oppure intervenire militarmente, assumendosi il grave rischio di un conflitto con la NATO, e compromettendo i propri rapporti politici ed economici con l’Europa. Questa è la prima ganascia della trappola strategica in cui la Russia è entrata ad occhi aperti, dopo aver tentato per quattordici anni di evitarla.
Gli Stati Uniti, però, hanno gravemente sottovalutato le capacità di resistenza e di reazione, militari, economiche, politiche e sociali della Federazione russa, e altrettanto sopravvalutato sia il prestigio deterrente della propria forza, sia le proprie attuali capacità e potenzialità militari ed economiche.  Si trovano dunque a dover scegliere tra due alternative, entrambe molto pericolose nel medio-lungo periodo.
La prima alternativa è la riduzione del danno, una de-escalation del conflitto ucraino che si risolve in una netta sconfitta politico-diplomatica, una pesante perdita di prestigio deterrente, la possibile apertura di faglie di crisi nel sistema di alleanze, e seri contraccolpi politici interni, es. una grave delegittimazione complessiva della classe dirigente.
La seconda alternativa è la fuga in avanti, una escalation a oltranza del conflitto, con l’eventuale – anzi probabile, perché necessario – coinvolgimento diretto di truppe occidentali; il rischio di una guerra convenzionale ad alta intensità per la quale gli USA e la NATO non sono preparati; il possibile futuro interessamento del territorio nazionale statunitense, e in prospettiva, la crescente possibilità di una degenerazione nucleare dello scontro.
Questa è la seconda ganascia della doppia trappola strategica, e ora si richiude sugli Stati Uniti che l’hanno tesa: ma vi sono entrati a occhi chiusi, e solo ora cominciano a vederla.
Ate, la dea che acceca, «da principio seduce l’uomo con amiche sembianze, ma poi lo trascina in reti donde speranza non c’è che mortale fugga e si salvi» (Eschilo, I persiani, 96-100)

[1] Charap, Samuel and Miranda Priebe, Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict. Santa Monica, CA: RAND Corporation, 2023. https://www.rand.org/pubs/perspectives/PEA2510-1.html

L’egemonia Usa va al tramonto

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di Massimo Fini

Fornendo i propri carri armati Leopard all’Ucraina e autorizzando alcuni paesi, Polonia, Finlandia, Danimarca, a fare uso di questi mezzi, per cui c’è bisogno del nulla osta tedesco, Scholz ha ceduto più che alle invocazioni di Zelensky al diktat Usa. Nella giornata in cui è stata presa questa decisione che coinvolge anche l’Italia, che dall’inizio della guerra ha fornito all’Ucraina circa un miliardo di dollari in armamenti, nessuno dei principali media ha ricordato a chi stiamo fornendo queste armi e questi soldi. Zelensky, quasi fuori tempo massimo, ha fatto una purga di sapore staliniano, dove cojo cojo, liquidando quindici alti dirigenti ucraini, vice ministri, governatori, membri della magistratura, accusati a vario titolo di corruzione e di aver speculato sulla guerra ai danni di chi stava combattendo sul campo (la cosa non è nuova, almeno alle orecchie di noi italiani: durante la prima guerra mondiale mentre i soldati contadini – vedi i Malavoglia di Verga – si battevano e morivano al fronte la borghesia faceva affari d’oro ai loro danni). Ma la corruzione dell’Ucraina non è cosa di oggi, secondi i dati dell’International Transparency l’Ucraina è al 122 esimo posto in questa poco commendevole classifica che vede al primo la virtuosa Danimarca (secondo lo stesso istituto l’Italia è al 42 esimo).

Secondo il presidente americano Joe Biden questo ulteriore innalzamento dello scontro “non è una minaccia offensiva nei confronti di Mosca”. E’ come mettere sul tavolo una pistola e dire a chi sta davanti: guarda che io non ce l’ho con te. Un metodo mafioso, alla Matteo Messina Denaro.

Ma i diktat di Washington nei confronti di quei Paesi europei che sono più riluttanti a partecipare a quest’orgia di armamenti e minacce non si fermano qui. Gli appetiti americani sull’Europa vanno ben oltre. Washington ha proposto di fare del G7 che comprende, oltre agli USA, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Italia un organismo permanente. La presenza del Giappone in questo organismo significa che gli americani vogliono coinvolgere alcuni dei principali Paesi europei nella loro politica aggressiva nei confronti del sud est asiatico, Cina, India, Vietnam, Indonesia, Malesia, Laos, Cambogia. Ma noi europei non abbiamo nessun contenzioso con la Cina o col Vietnam o col Laos. Al contrario abbiamo tutto l’interesse a mantenere buoni rapporti con la Cina che si presenta come un grande mercato, così come la Cina ha lo stesso interesse nel mercato europeo. Non per nulla Luigi Di Maio quando era ministro degli Esteri aveva aperto alla “via della seta”. Cosa che è risultata disastrosa per lo stesso Di Maio perché gli americani della “via della seta” non volevano neanche sentir parlare.

Insomma avendo le mani in pasta in quasi tutto il mondo gli americani vogliono che gli europei diano loro una mano anche in scacchieri che ci sono o indifferenti, o, peggio ancora, favorevoli. Questo è un segno di debolezza perché vuol dire che gli americani non sono così sicuri di avere ancora la leadership globale che detengono dalla fine della seconda guerra mondiale che hanno vinto con l’appoggio determinante degli inglesi e, anche se oggi è quasi proibito ricordarlo, dei russi, mentre l’Ucraina, quando in campo c’era la Gestapo, è stata protagonista di uno dei più gravi pogrom, proporzionalmente s’intende, antiebraico. Di qui l’iniziale freddezza di Israele nell’unirsi all’assalto alla Russia. Ma adesso Gerusalemme ha compiuto un rapido dietrofront bombardando, in appoggio all’Ucraina, una fabbrica iraniana per la produzione di missili e droni. Questa almeno la versione del Wall Street Journal perché è ovvio che Israele non ammetterà mai di essere alle spalle di questo attacco a un paese con cui, almeno formalmente, non è in guerra. Sarebbe la violazione di ogni norma di diritto internazionale anche se il Mossad è abituato ad operazioni molto disinvolte: a maggio dell’anno scorso ha assassinato in terra iraniana un alto ufficiale dei pasdaran. Che sarebbe successo a parti invertite, se cioè l’Iran avesse colpito in territorio israeliano? Ma, si sa, allo Stato ebraico è concesso tutto ciò che è vietato agli altri.

Il Novecento è stato “il secolo americano”, d’una America peraltro più umana di quella che è in campo oggi. Fu il presidente Usa Woodrow Wilson a proporre la Società delle Nazioni che, memori degli sfracelli della prima guerra mondiale, avrebbe dovuto impedire altri conflitti di questo genere e, per rimandare a un dettaglio, alla Liberazione fu il comandante americano della piazza a inorridire di fronte allo scempio di Piazzale Loreto con i corpi di Mussolini, della Petacci e di alcuni gerarchi appesi per i piedi alla famosa pensilina del distributore di benzina Esso e a ordinare al capo del CLN presente, mi pare fosse Pertini ma vado a memoria, di togliere immediatamente quei corpi. Disse: “Noi per queste cose abbiamo un posto che si chiama morgue, da voi, mi pare, obitorio”.

Abbiamo detto che il Novecento è stato il “secolo americano” ,gli anni Duemila saranno di altri, probabilmente della Cina o forse dell’India o forse del mondo islamico. Gli americani non si rassegnano e negli ultimi anni hanno disseminato di guerre o di tentativi di colpi di stato (Maduro) mezzo mondo, ma prima o poi dovranno cedere lo scettro.

Le quattro P dell’inflazione: Politica, Politiche, Priorità e Povertà

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di Alexander Azadgan

Vi racconto una storia: l’anno è il 1933. L’economia tedesca è in crisi. La guerra ha lasciato il Paese malconcio e ammaccato. Il Trattato di Versailles ha costretto Berlino a pagare le riparazioni di guerra. Quanto? 132 miliardi di marchi d’oro. Che corrispondono a circa 31,4 miliardi di dollari USA. La Germania ha un debito enorme. I tedeschi sono demoralizzati. Ci sono disordini sociali. Due successive tornate elettorali non sono riuscite a ripristinare la stabilità. C’è un’iperinflazione postbellica. C’è disoccupazione. Ci sono enormi incertezze sociali, politiche ed economiche. Adolph Hitler e il partito nazista decidono di sfruttare questa crisi. Il 30 gennaio 1933, Hitler giura come nuovo leader della Germania. Il resto, come si dice, è storia.

Morale della favola: la crisi finanziaria e l’inflazione hanno il potere di cambiare il corso della storia. In questo articolo cercherò di raccontarvi cosa sta accadendo nel mondo. Come le azioni stanno scendendo, come le valute stanno perdendo valore, come il carburante sta diventando più prezioso, come i prezzi dei beni di prima necessità stanno salendo. Cercherò di spiegarvi cosa significa realmente inflazione in termini più ampi. Non l’inflazione per il vostro potere d’acquisto o per il denaro che avete in banca. Ma per il mondo di oggi in cui viviamo.

Cosa significa l’inflazione per l’ordine mondiale? Il nostro mondo è un conglomerato di democrazie, regimi autoritari e monarchie costituzionali. Rimarrà così anche dopo questa situazione? Oggi il nostro mondo è interconnesso. È strettamente legato. C’è un libero flusso di scambi. Rimarrà così anche dopo la fine di questa crisi finanziaria?

L’inflazione influenza la politica, le politiche, le priorità globali e la povertà. Le quattro P: politica, politiche, priorità e povertà. Parlerò di tutte e quattro, iniziando dalla prima P: Politica. L’inflazione è spesso definita la madre dei cambiamenti politici. Ho spiegato brevemente cosa è successo nella Germania del dopoguerra. Con l’Europa di nuovo in guerra, queste ostilità hanno contribuito all’inflazione. Ci sono proteste in tutto il mondo a causa delle condizioni economiche. I manifestanti possono essere spietati. Chiedete all’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter. Quando era in carica, i prezzi del petrolio e dei generi alimentari erano saliti alle stelle. La disoccupazione e l’inflazione fecero cadere Carter. Perse la rielezione contro Ronald Reagan. Oggi i prezzi dei generi alimentari negli Stati Uniti sono aumentati del 20%, quelli del carburante del 10%, anche se stanno scendendo. E arrivò il novembre del 2022. Joe Biden dovette affrontare le elezioni di midterm. I Democratici hanno perso la Camera ma hanno conservato per poco il Senato. È probabile che l’inflazione possa sottrarre a Biden le elezioni presidenziali del 2024. Questo potrebbe cambiare il corso della politica americana!

Ora che avete capito cosa può fare l’inflazione ai governi, considerate questo: A seconda del luogo in cui si vive, l’inflazione globale supera il 15%. I prezzi aggregati dei generi alimentari sono aumentati di almeno il 13%, sempre a seconda del luogo in cui si vive. Circa 50 Paesi andranno alle urne quest’anno e il prossimo. Tra questi ci sono Stati Uniti, Brasile, Israele, Pakistan, Bangladesh, Turchia, ecc. Se i prezzi continueranno a salire, questi leader potrebbero trovarsi fuori dal loro incarico, perché l’aumento dei prezzi può far cadere i governi. Possono anche cambiare il destino di un Paese.

Si pensi al Venezuela. Ha le maggiori riserve di petrolio al mondo. Ma dove si trova sulla mappa globale? È in preda a una crisi politica e a un’insondabile iperinflazione. Tra il 1973 e il 2022, i prezzi in Venezuela sono aumentati del 3.729%. Lasciatevelo dire. Questo non è il dato peggiore. Secondo la Banca Mondiale, nel febbraio 2019 l’inflazione in Venezuela aveva raggiunto il 344.509%. A quel punto, la valuta venezuelana era ormai spazzatura. Dicevano che usare i contanti come carta igienica era più prudente che comprare un rotolo di carta igienica! Che cosa è successo? Più di sei milioni di venezuelani hanno lasciato la loro casa. Si tratta di quasi il 20% della popolazione del Paese.

Quello che una volta era il Paese più ricco dell’America Latina ora sta lottando per rimanere rilevante. Nessun Paese vuole andare incontro a questo destino. Nessun Paese vuole essere spazzato via dall’inflazione. Quindi cosa fanno?

Arriviamo alla seconda P: politiche. Le contee cambiano le loro politiche o, per meglio dire, l’inflazione costringe i Paesi a cambiare politica. Molti Paesi hanno vietato l’esportazione di alcuni prodotti alimentari. Dall’inizio del conflitto in Ucraina, l’Argentina ha vietato l’esportazione di soia, olio e carne. Algeria: pasta, derivati del grano, olio vegetale e zucchero. Egitto: olio vegetale, grano di base, farina, oli, lenticchie, pasta e fagioli. Indonesia: olio di palma e olio di palmisti. Serbia: grano, farina di mais, olio, mais, olio vegetale. Il mondo nel suo complesso ha aumentato i prezzi di tutte queste materie prime. Per i governi di tutto il mondo, la priorità è controllare i prezzi in patria per garantire la sicurezza alimentare, perché gli elettori affamati possono essere spietati e nessun governo vuole rischiare la loro ira. Quindi, con l’inflazione, le politiche commerciali diventano invariabilmente più nazionalistiche e protezionistiche. Il mercato interno diventa la priorità. A volte la diplomazia passa in secondo piano, e anche in questo caso l’inflazione tende a imporre un cambiamento nella diplomazia.

Consideriamo l’Europa. L’inflazione nell’Eurozona ha toccato un livello record. Cos’è l’Eurozona? È un’unione monetaria di 20 paesi dell’UE. Attualmente l’UE conta 27 Paesi. Sette di questi non fanno parte dell’Eurozona. Gli altri hanno l’euro come valuta principale e unica moneta legale. Attualmente l’inflazione nell’Eurozona è ai massimi livelli dalla creazione dell’Euro. Quando è stato? L’anno 1999. Significa che l’inflazione ha toccato un massimo di tre decenni, per gentile concessione del conflitto in Ucraina. Un sondaggio pubblicato nel giugno del 2022 ha chiesto agli europei [in 10 paesi] cosa pensassero del conflitto in Ucraina. Più di un terzo ha dichiarato di volere che finisca il prima possibile, anche se ciò significa che l’Ucraina cede un territorio. Questo conflitto ha influenzato la vita quotidiana di centinaia di milioni di europei. Oltre il 40% del gas europeo proviene dalla Russia. Così come il 26% del petrolio. Le sanzioni contro la Russia e i divieti sulle importazioni russe hanno colpito duramente gli europei. Quest’inverno, avranno bisogno di riscaldare le loro case e non tutti potranno permettersi un’energia alle stelle. La guerra ha fatto lievitare le spese per i pasti. In Italia, i prezzi della pasta sono aumentati del 40%! Non sorprende quindi che gli europei siano quasi equamente divisi quando si tratta del conflitto in Ucraina. Altri dicono di volere “giustizia”.

Ai recenti vertici della NATO e del G7, i leader europei si sono impegnati a sostenere l’Ucraina ad ogni costo. Ma non tutti gli elettori sono pronti a sostenere questo costo. Secondo i sondaggisti, il sondaggio influenzerà la politica europea prima che poi.

L’Europa deve ripensare le proprie priorità, il che ci porta alla terza P: priorità. L’inflazione costringe a spostare non solo le priorità nazionali, ma anche quelle globali. Si pensi al cambiamento climatico. Fare dell’azione per il clima una priorità globale non è facile. Ci sono voluti molti “poliziotti del clima” per convincere il mondo a diventare verde. L’inflazione ha invertito la tendenza. Il carbone diventa grande quando l’inflazione colpisce il settore energetico. L’Europa potrebbe tornare al carbone. L’Austria riapre le centrali a carbone nonostante gli obiettivi climatici. Gli esperti avvertono dei rischi climatici. Gli Stati Uniti fanno marcia indietro sulle promesse ecologiche. Quando l’inflazione colpisce l’energia, quando il gasolio e il gas diventano costosi, i Paesi si affidano a fonti energetiche più economiche come il carbone. Anche se questo significa inquinare la Terra e accelerare il cambiamento climatico.

Non avreste mai pensato che l’inflazione contenesse così tanto, vero? È questo il punto. Tendiamo a limitare la definizione di inflazione a una variazione del potere d’acquisto. L’aumento dei prezzi è sicuramente il significato fondamentale dell’inflazione, ma anche la prima conseguenza. L’inflazione cambia molto di più del denaro nel vostro conto in banca ed è questo il punto che sto cercando di sottolineare.

Concludiamo con l’ultima P: povertà. 1,1 miliardi di persone nel mondo non possono permettersi beni essenziali come il cibo. Vivono al di sotto della soglia di povertà. Con l’aumento dei prezzi, un numero maggiore di persone viene spinto verso la povertà, che comporta una serie di problemi sociali come la malnutrizione, l’aborto, la mortalità infantile, la criminalità, la mancanza di lavoro. L’inflazione scatena una reazione a catena che richiede anni per essere fermata. Questo è l’ABC dell’inflazione.

Foto: Idee&Azione

28 gennaio 2023

La Destra di governo: continuità o involuzione?

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di Redazione

Ogni cattolico e persona di buon senso dovrebbe inorridire di fronte al blocco di ogni azione contro la legge 194 sull’aborto. Il Governo più a destra che l’Italia abbia mai avuto sembra non avere il coraggio di abrogare una legge abominevole. In Ungheria la destra è molto più coraggiosa. In alcune zone degli Stati Uniti pure. Addirittura in Israele l’estrema destra si fa sentire in modo molto rumoroso. In Italia, l’impressione è che vi sia una destra ostaggio di alcuni poteri forti, che governa lo status quo, lanciando dei contentini per non essere paragonata del tutto a Draghi.

di Fabio De Maio – La Terra dei Padri

Gli analisti politici ed i media in generale sono piuttosto concordi nel ritenere che l’azione del governo italiano nel drammatico scenario creato dal conflitto  in Ucraina sia in sostanziale continuità con il governo Draghi e che la visione generale della politica estera italiana del governo Meloni  sia la logica prosecuzione dei governi precedenti, soprattutto nell’adesione agli interventi militari e di “ peacekeeping”  della Nato, adesione che l’Italia non ha mai fatto mancare dal 1999(Serbia) al 2004(operazione Antica Babilonia in Iraq) al 2011. Nel 1999 e nel 2011 la partecipazione  italiana fu fondamentale per la concessione delle basi di Aviano e di Sigonella la cui posizione strategica era essenziale per la conduzione di queste operazioni, è quasi  superfluo ricordare che non vi era nessun obbligo dal punto di vista dell’appartenenza all’Alleanza Atlantica, in quanto nessun membro della Nato era minacciato militarmente da terzi; la situazione attuale è comprabile, non vi è nessun automatismo che sancisca la fornitura di armi all’Ucraina ma si tratta di considerazioni politiche e strategiche  esterne ai criteri previsti dal Patto atlantico.

Eppure, se si entra dello specifico delle dichiarazioni e degli interventi del governo italiano, a partire da quelli di Giorgia Meloni, nei vari summit internazionali, si possono notare differenze anche sostanziali rispetto all’approccio comunicativo dei governi precedenti. Nel 1999 Massimo D’Alema che era arrivato alla Presidenza del Consiglio con un colpo di mano parlamentare studiato per defenestrare Romani Prodi e per portare lui a guidare il nuovo governo  , primo ex comunista a ricoprire tale carica, ebbe un approccio “soft” nel motivare la decisione di fornire basi ed aerei per l’attacco alla Serbia, si parlava di intervento necessario per evitare massacri della popolazione civile in Kossovo, di volontà della Comunità Internazionale (anche se la Nato si mosse senza l’avallo ufficiale dell’Onu), di impossibilità dell’Italia di sottrarsi all’impegno con gli alleati, con un pessimismo levantino di fondo sul “destino” dell’Italia e del suo ruolo strategico. Vale anche la pena di ricordare il pudore, venato certamente da una buona dose di ipocrisia, di Armando Cossutta, leader della fazione comunista fuoriuscita dal Prc di Bertinotti, fondamentale per la nascita del governo D’ Alema che durante un’intervista a Porta a Porta finse di restare sorpreso dalla notizia, data in diretta dal conduttore, sulla partecipazione degli aerei italiani al bombardamento di Belgrado, secondo un comunicato emesso dal Ministero della Difesa.

Nel 2011 il governo di Silvio Berlusconi che aveva concluso un importante Accordo di amicizia e cooperazione con Gheddafi due anni prima si trovò al solito  bivio tra l’interesse nazionale e la fedeltà/servilismo atlantici, ci fu un dibattito anche aspro all’interno della maggioranza che lo sosteneva, il Presidente della Repubblica Napolitano ebbe un ruolo fondamentale nel convincere il riottoso Berlusconi ad allinearsi alle richieste degli “alleati”, il Ministro della Difesa  La Russa, capofila degli ultras atlantici dichiarò sospeso il trattato con la Libia, nonostante le clausole dell’accordo non prevedessero sospensioni unilaterali ma solo concordate, a riprova, se mai ve ne fosse bisogno che spesso il Diritto Internazionale è una coperta molto corta che viene tirata da una parte all’altra senza troppe remore.

“Sic transit gloria mundi” fu la frase con cui Berlusconi commentò la notizia della barbara uccisione in diretta televisiva del leader libico Gheddafi che aveva lui stesso ricevuto in pompa magna pochi mesi prima, una cupa confessione dell’impotenza di un leader politico di un paese a sovranità molto limitata e una mesta  rassegnazione anche verso il proprio destino politico che lo avrebbe portato alle dimissioni, pochi mesi dopo che conclusero per sempre la sua esperienza governativa.

La novità della Destra di governo è l’orgoglio e la fierezza con cui vengono motivare le decisioni sulle forniture di armi all’Ucraina che chiaramente preludono ad un intervento diretto che andrà anche oltre il supporto logistico. Giorgia Meloni parla apertamente di difesa dei valori di libertà e democrazia, di Occidente come portatore unico di questi valori che vanno difesi ad ogni costo dall’attacco di coloro che ne rappresentano la negazione, vi è in un certo senso la rivendicazione di tutte le guerre per la democrazia che hanno caratterizzato le politiche atlantiche dal 1989 in poi.

Va anche sottolineato che la destra italiana ed il suo leader hanno in realtà sempre manifestato ammirazione e vicinanza alla  Russia di Vladimir Putin, dichiarandosi spesso vicini alle decisioni prese dalla Russia stessa, in particolare sul teatro siriano, nonostante il fatto che queste decisioni fossero  in contrasto frontale con gli interessi statunitensi che hanno cercato di provocare la caduta di Assad per un decennio, armando ogni sorta di gruppi di terroristi, spacciati spesso per “ribelli moderati”. Del resto la stessa Meloni aveva più volte appoggiato le scelte russe sul teatro ucraino nel periodo post- Maidan, a partire dallo stesso referendum in Crimea svoltosi nel 2014 che ne  sancì il ricongiungimento alla madrepatria.

Ma l’elemento chiave che rappresenta la rottura con il passato è la sconfessione della tradizionale  politica estera italiana della Prima Repubblica, improntata al dialogo con l’Europa dell’Est e con i paesi del Mediterraneo, Giorgia Meloni ha dichiarato testualmente “con la scelta di sostenere l’Ucraina noi possiamo dialogare con i nostri Alleati con pari dignità, noi non siamo più l’italietta  degli accordi sotto banco, la nazione che non mantiene gli impegni e che viene derisa nei consessi internazionali.”

Questa posizione segna una discontinuità reale con decenni di diplomazia “prudente”, bollata di fatto come rinunciataria e senza spina dorsale, non vi è nulla al di fuori del blocco atlantista che rappresenta il nostro immutabile destino, a poco servono i richiami alla figura di Enrico Mattei fatti durante la visita in Algeria, Giorgia Meloni sa perfettamente che Mattei nel dopoguerra  lottò proprio per  affrancare l’Italia dal gioco economico-militare dell’atlantismo e pagò questo suo sforzo realmente patriottico con la vita.

La conversione definitiva della destra italiana in un partito neo-con è arrivata al suo compimento proprio nel momento dell’assunzione delle  responsabilità di governo, del resto nella lotta dura contro il  reddito di cittadinanza, al di là delle evidenti storture attuative, sono evidenti i richiami alla visione dei cosiddetti  Padri fondatori del continente nord americano, in questo Giorgia Meloni ha sostituito egregiamente il Partito Democratico come forza che garantisce un Italia legata a doppio e triplo filo all’Alleanza Atlantica ed al suo dominus americano.

Ora le maschere hanno preso definitivamente forma, nel momento forse più drammatico vissuto dall’Italia dal dopoguerra ad oggi.

Foto: HuffPost

29 gennaio 2023 – fonte: https://www.ideeazione.com/la-destra-di-governo-continuita-o-involuzione/

La finzione della guerra per difendere l’Ucraina è definitivamente caduta

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di Luciano Lago

Le élite di Washington e di Bruxelles ammettono ormai il vero disegno progettato per la guerra in Ucraina istigata e pianificata dagli Stati Uniti.

L’obiettivo era ed è la distruzione dell’integrità della Federazione Russa come stato e la sua disarticolazione per permettere agli Anglo USA di prendere il controllo dell’Eurasia e accedere alle sue enormi risorse.

Questo piano emerge non solo dai documenti scritti nero su bianco almeno tre anni prima (vedi quanto scriveva la Rand Corporation), ma anche da quello che emerge dagli incontri di Davos, dove il linguaggio è ormai scoperto e si sono abbandonati gli ipocriti appelli a “salvare la democrazia ucraina”, quella dominata dai gruppi neonazisti che assassinano gli oppositori o li fanno sparire, mentre viene appiccato il fuoco alle chiese ortodosse e perseguitato il clero ortodosso. Una democrazia che vedono solo loro e che viene rivenduta come argomento di propaganda per coprire le nefandezze commesse in quel paese.

L’élite finanziaria anglo sassone dominante oggi parla apertamente della necessità di impadronirsi delle risorse della Russia che non devono essere lasciate soltanto nella disponibilità dei russi. I veri obiettivi celati dietro la pianificazione delle azioni aggressive di Washington, l’espansione senza fine della NATO, l’utilizzo dell’Ucraina come piattaforma di attacco contro la Russia, adesso sono scoperti. Il destino degli ucraini destinati a fare da carne da cannone nella guerra contro la Russia interessa poco o niente all’élite di Washington, come questa non si è mai interessata al destino degli iracheni, dei libici, dei siriani o degli afgani e di tutti gli altri sacrificati per gli interessi egemonici degli Stati Uniti.

Questo spiega l’accrescere progressivo della retorica bellica dei neocon e delle loro reggicoda europei della NATO che sono pronti a intensificare il conflitto fino alla terza guerra mondiale, e neppure la minaccia nucleare, paventata come inevitabile sviluppo dalla Russia, potrà fermarli. Sembra che tutto sia stato già deciso da tempo e il piano deve essere portato a compimento, costi quel che costi.

Si comprende quindi la mancanza di volontà politica dei governi europei per cercare di risolvere il conflitto o di trovare una formula di negoziati. Washington ha sabotato qualsiasi tentativo di mediazione e tiene per le palle l’ex comico Zelensky, divenuto ormai una patetica marionetta, che lancia continui appelli per ricevere altre armi e finanziamenti. Le sceneggiate continuano e si prevede anche una sua comparsata in Italia a Sanremo. La regia di Hollywood non gli basta più.

Tuttavia, il tempo sta scadendo anche per Zelensky ed è probabile che si avvicini il momento di un rimpasto a Kiev e questo non sarà indolore per l’ex comico, come di frequente accaduto per le marionette degli USA, sempre destinate a fare una brutta fine.

Da ultimo si sono udite le parole dell’altro personaggio che ha la stessa valenza dell’ex comico, Joseph Borrel, l’alto rappresentante della UE, quello che aveva dichiarato “l’Europa come giardino incantato mentre fuori c’è un jungla”. Borrel ha paragonato il conflitto in Ucraina alle guerre passate condotte contro la Russia da parte di Napoleone e di Hitler. ““La Russia è un grande Paese, è abituata a combattere fino alla fine, è abituata a quasi perdere e poi a ripristinare tutto. L’hanno fatto con Napoleone, l’hanno fatto con Hitler (……). Pertanto, è necessario continuare ad armare l’Ucraina”, ha dichiarato Borrel.

Inutile commentare quale sia la logica di tali dichiarazioni, sarebbe tempo perso.

Altri politici occidentali, come la vicepremier canadese, Chrystia Freeland, hanno espresso concetti simili nella enclave di Davos, affermando che la sconfitta della Russia “sarebbe un enorme impulso per l’economia globale”.

Non per niente il Canada (assieme agli USA) è stato uno dei paesi che storicamente hanno accolto e protetto i gruppi nazisti ucraini e li hanno poi trasferiti in Ucraina dopo il crollo dell’URSS per utilizzarli come massa di manovra antirussa.

Le sconfitte continue sul campo e le enormi perdite subite dall’esercito ucraino fanno innervosire i vertici della NATO che insistono presso i governi occidentali per ottenere più carri armati, più armi e più attrezzature mentre si rende evidente che Washington e la NATO non solo mantengono l’esercito ucraino, ma forniscono anche le necessarie informazioni di intelligence, comandano le truppe ucraine sul campo di battaglia e hanno preso il controllo del processo decisionale militare.

Mentre Washington prepara nuovi pacchetti di aiuti, l’ultimo da 2,5 miliardi di dollari (che finiscono nel pozzo senza fondo di Kiev), le forze ucraine vengono addestrate in Germania, Regno Unito ed in altri paesi della NATO per l’utilizzo degli armamenti occidentali.

Come riferito da tutti i rapporti, il comando USA/NATO è quello che pianifica per l’esercito ucraino le possibili controffensive sul campo, impartisce ordini, fornisce l’intelligence per localizzare gli obiettivi russi da colpire attraverso i suoi aerei da avvistamento che sorvolano costantemente nei pressi dello spazio aereo russo e ucraino. Ultimamente il comando USA incita apertamente le forze ucraine a colpire il territorio della Federazione russa e in particolare la Crimea.

Si aggiungono a tutto questo le farneticanti dichiarazioni di Stoltenberg, il segretario della NATO, il quale dichiara che “. è necessario accelerare la fornitura all’Ucraina di armi più pesanti e avanzate per far capire alla Russia che non vincerà sul campo di battaglia”. Dichiarazioni rilasciate dopo un incontro con il ministro della difesa tedesco, Boris Pistorius.

Fornire Kiev con sistemi d’arma avanzati può essere l’unica via per la pace, aggiunge Stoltenberg.
In sostanza, quelli che si considerano i “padroni del mondo” si sentono in diritto di affermare che la potenza nucleare per eccellenza, la Federazione Russa, debba rassegnarsi alla sconfitta alle porte di casa propria nel territorio che le appartiene. Una dichiarazione farneticante che rivela quale sia il livello di onnipotenza della élite occidentale.

La reazione della leadership russa è molto meno misurata di prima e altrettanto dura e decisa: si parla apertamente di misure di ritorsione che potranno colpire non solo l’Ucraina ma anche gli interessi occidentali con utilizzo di “nuove armi” mai prima utilizzate. Chi vuole capire capisca ma non è difficile intendere che sono saltate tutte le linee rosse che la dirigenza russa aveva posto già molto tempo prima della operazione speciale in Ucraina. Le autolimitazioni che Mosca di era data nell’utilizzo dell’offensiva in Ucraina stanno venendo meno di fronte all’aggressività dell’occidente.

Di fronte alla prospettiva di un attacco portato avanti dalla NATO contro le città russe in Crimea o in altri territori, l’atteggiamento cambia e le dichiarazioni dei vari membri della leadership russa lo fanno intendere. L’occidente sta portando il mondo verso una catastrofe globale. Se Washington e i paesi della NATO, con la fornitura di armi a lungo raggio, spingeranno le forze ucraine ad attaccare città sul territorio russo o peggio, a tentare di impadronirsi dei territori russi, questo porterà a misure di ritorsione che renderanno il conflitto totalmente diverso da come appare oggi.

Questa la sostanza degli avvertimenti lanciati dalla Russia all’occidente. Dietro l’angolo c’è un allargamento definitivo del conflitto con il coinvolgimento di altre potenze e possibile utilizzo di armi nucleari, sulla base della dottrina russa.

 

A questo risultato ha portato la caparbia volontà delle élite europee di assecondare il piano di attacco USA contro la Russia, mascherato dietro il conflitto in Ucraina.

Quello che traspare, dalle dichiarazioni e dai rapporti che arrivano da Mosca, è che il presidente Putin, nel suo prossimo discorso previsto a giorni, si accinge a cambiare l’impostazione del conflitto da “operazione speciale” a guerra patriottica”, sulla base delle esplicite minacce alla sicurezza della Russia ed alla volontà dichiarata dell’Occidente a guida USA di voler distruggere la Russia.

Questo significa che tutte le risorse e le forze dal paese saranno gestite in funzione dello sforzo bellico, in modo simile a quanto avvenuto ne 1942/45 quando la Russia fu attaccata dalla Germania e dai suoi alleati. La situazione è ormai paragonabile a quella della Seconda guerra mondiale e Putin si prepara a varare una economia di guerra con mobilitazione totale contro il nemico, senza guardare in faccia nessuno. Tale impostazione permetterà allo stesso Putin di effettuare i cambiamenti necessari (probabile nazionalizzazione delle grandi imprese) e soppressione delle varie quinte colonne interne dell’occidente.

In definitiva la Russia prende atto della sfida esiziale in corso da parte dell’Occidente collettivo sotto guida USA e si organizza per combattere con tutte le sue forze.

Lo scenario della catastrofe si avvicina sempre più….

Foto: Idee&Azione

27 gennaio 2023

QUESTA GUERRA DELL’OCCIDENTE ALLA RUSSIA È SEMPLICEMENTE STUPIDITÀ?

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Non solo non esiste una minaccia dalla Russia che sia indipendente dalla politica americana, ma è anche l’espansione della NATO per “rispondere alla minaccia della Russia” a creare la stessa minaccia che l’espansione avrebbe dovuto affrontare.

Non solo non esiste una minaccia dalla Russia che sia indipendente dalla politica americana, ma è anche l’espansione della NATO per “rispondere alla minaccia della Russia” a creare la stessa minaccia che l’espansione avrebbe dovuto affrontare.

La guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia è stupida. Peter Ramsay, professore di diritto alla LSE, in una recensione del libro di Benjamin Abelow, How the West Brought War to Ukraine, sottolinea come quest’ultimo rifugga dalla semplicistica narrazione “Putin ha invaso l’Ucraina”, attribuendo la responsabilità primaria della guerra a cause meno prossime: “la stupidità e la cecità del governo americano” e “la deferenza e la codardia” dei leader europei nei confronti di questa “stupidità” governativa americana.

“Sebbene Abelow descriva molto chiaramente l’arroganza e l’ipocrisia autolesionista della politica occidentale, non tenta di spiegare come o perché la politica statunitense sia diventata così stupida o i leader europei così vigliacchi. Appare stupefatto, descrivendo il livello di irrazionalità coinvolto come quasi inconcepibile.”

Tuttavia, dobbiamo concepirlo, perché è accaduto e sta portando un cambiamento rivoluzionario in un Medio Oriente che si sta riconfigurando come parte integrante del blocco BRICS+; una transizione che, di per sé, implica un enorme cambiamento nel quadro della geoeconomia.

In fondo, la “monumentale stupidità” – per la quale Abelow cita l’accademico britannico Richard Sakwa – non è qualcosa di nascosto, ma è piuttosto una di quelle “verità” che sono “là fuori: nascoste in piena luce”. È che l’esistenza della NATO deriva la sua convalida dalla gestione di “minacce” percepite che, in un processo circolare di pensiero, sono state provocate proprio dall’allargamento della NATO, un allargamento fatto apparentemente per gestire tali “minacce”.

In breve, si tratta di un’argomentazione circolare a ciclo chiuso. Non solo non esiste una minaccia dalla Russia che sia indipendente dalla politica americana, ma è anche l’espansione della NATO per “far fronte alla minaccia della Russia” a creare la stessa minaccia che l’espansione avrebbe dovuto affrontare.

Allo stesso modo, è questo tipo di ragionamento circolare che fa di “Putin un Hitler”, un epiteto che si autoavvera perché l’espansione della NATO è innanzitutto “ragionevole” (un “valore” e un diritto nazionale) e quindi chiunque la contesti deve essere “fascista”.

Abelow si chiede semplicemente: “Quale persona sana di mente potrebbe credere che mettere un arsenale occidentale al confine con la Russia non produrrebbe una risposta potente?”.

Alla radice, Abelow lamenta che la follia che lo infastidisce intensamente è che i politici statunitensi riconoscono la circolarità della loro argomentazione (ne fornisce alcuni esempi), eppure non ammettono nemmeno per un attimo un’argomentazione contraria.  Sanno “una cosa”, ma ne dicono “un’altra”, dice.

Ma l’accusa di pazzia, sostiene Ramsay, “pur essendo retoricamente attraente, tende a oscurare un aspetto vitale del narcisismo che guida la politica occidentale: l’aspetto in cui il senso di autoregolamentazione della virtù è informato dalla mentalità dominante del nostro tempo – idee che influenzano non solo gli ‘esperti’ – ma i leader politici e intere popolazioni”.

Il narcisismo e l’autocompiacimento sono effettivamente un fattore chiave, ma per comprendere appieno il loro ruolo dobbiamo rivolgerci a Leo Strauss, il cui pensiero ha così plasmato una generazione di conservatori americani (gli straussiani).

Strauss teneva corsi all’Università di Chicago a due livelli distinti: In uno di essi, egli impartiva il suo insegnamento apertamente a tutti gli studenti; ma per pochi eletti, tenuti in quarantena dagli altri, egli insegnava un diverso “insegnamento interno” (ad esempio, sulla Repubblica di Platone). Un gruppo di studenti riceveva il “concerto” standard sulla Repubblica come mito occidentale fondamentale. A pochi eletti (molti dei quali sarebbero diventati importanti neoconservatori), invece, veniva insegnato il punto di vista di Strauss sul significato interno della Repubblica come manipolazione machiavellica e patologica.

Strauss insegnava che la “verità” di Platone doveva essere scavata da una classe eletta che possedeva una certa “natura” e doni che mancavano alla maggior parte degli uomini: la capacità di cogliere il significato occulto delle parole letterali. Questi uomini, scriveva Platone, sarebbero costituiti dalla classe dei guerrieri, di rango e onore superiore alla classe dei produttori e degli scambiatori. Strauss ha scritto in modo simile che anche l’insegnamento di Machiavelli aveva un carattere “duplice”.

Ma l’intuizione fondamentale per gli eletti era semplice: il potere è qualcosa che si usa o si perde.

In questo contesto, il “problema” dei neocon è semplicemente che il significato interiore si è perso nel frastuono del discorso liberale.

Il principale pensatore neocon, Robert Kagan, ad esempio, ha fatto eco al discorso sul malessere di Jimmy Carter del 1979, vedendo il liberalismo autoreferenziale dell’America come una preclusione alla capacità degli americani di interrogarsi sulle radici del proprio malessere. Carter l’aveva identificata “come una crisi che colpisce il cuore, l’anima e lo spirito della nostra volontà nazionale. Possiamo vedere questa crisi nel crescente dubbio sul significato delle nostre vite e nella perdita di un’unità di intenti per la nostra nazione”.

L’argomentazione neocon a favore della guerra con la Russia, quindi, nei suoi termini, può essere stupida, ma non è necessariamente irrazionale come comunemente si crede. Come ha sottolineato Kagan, il movimento in avanti è la linfa vitale della politica americana. Senza di esso, lo scopo dei legami civici di unità viene inevitabilmente messo in discussione. Un’America che non sia un glorioso impero repubblicano in movimento non è America, “punto e basta”.

Questa comprensione interiore del “malessere” americano, tuttavia, non può essere espressa pubblicamente contro una monopolizzazione liberale soffocante del discorso pubblico.

Pat Buchanan (commentatore politico di spicco e tre volte candidato alla presidenza) ha fatto lo stesso ragionamento: “Quanto tempo ci vorrà prima che il popolo americano… inizi a perdere fiducia nel sistema democratico stesso? Chiaramente, tra le ragioni della nostra attuale divisione e del malessere nazionale c’è il fatto che abbiamo perso la grande causa che animava le generazioni precedenti: la guerra fredda”.

Il “Nuovo Ordine Mondiale” di George H.W. Bush entusiasmava solo le élite. La crociata per la democrazia di George W. Bush non è sopravvissuta alle guerre per sempre in Afghanistan e in Iraq che ha lanciato in suo nome”. L’ordine basato sulle regole del Segretario di Stato Antony Blinken subirà lo stesso destino”.

Quindi, in parole povere, l’apparente “stupidità” insita nella narrazione della NATO può essere intesa come la tensione tra i neoconservatori che hanno la loro lettura interna della politica, ma che sono disposti ad armare l’argomento NATO per distruggere la Russia.

Questo assurdo ragionamento circolare dei neocon e della NATO per la guerra con la Russia, ovviamente, serve a mobilitare le circoscrizioni “liberali” americane e della UE, dove la pigrizia narcisistica distruttiva e la mancanza di volontà di praticare l’autocoscienza stanno cancellando il pensiero critico, secondo la visione straussiana (cioè bloccando la loro comprensione del potere-imperativo di Putin che viene visto fallire).

Ma gli straussiani – con la loro lettura interiore della politica – percepiscono che l’America non può sopravvivere né a una vittoria russa né a un’ascesa tecnica ed economica cinese verso la preminenza, perché se gli Stati Uniti non “usando (il loro potere), perderanno (il loro primato globale)”.

Washington ha chiaramente commesso un errore forse esistenziale nel pensare che le sanzioni che porteranno a un collasso finanziario in Russia saranno un successo “a colpo sicuro”. Il team Biden si è quindi messo in un “angolo” in Ucraina e non merita alcuna simpatia. Ma a questo punto – realisticamente – che scelta ha la Casa Bianca? I neoconservatori sosterranno che indietreggiare diventa un rischio esistenziale per gli Stati Uniti. Eppure, potrebbe essere un rischio che alla fine si rivelerà inevitabile.

Ancora una volta, e per essere chiari, non si tratta tanto di mantenere l’egemonia militare degli Stati Uniti, quanto di mantenere l’egemonia finanziaria dell’America, da cui dipende tutto il resto, compresa la capacità di finanziare i bilanci della difesa da 850 miliardi di dollari.

E “qui arriviamo al vero collante dell’America”. Darel Paul, professore di scienze politiche al Williams College, scrive: “Dalla fondazione del Paese nel fuoco della guerra, gli Stati Uniti sono stati un impero repubblicano in espansione che ha sempre incorporato nuove terre, nuovi popoli, nuovi beni, nuove risorse, nuove idee… La continua espansione militare, commerciale e culturale da Jamestown e Plymouth ha coltivato l’irrequietezza, il vigore, l’ottimismo, la fiducia in sé stessi e l’amore per la gloria per cui gli americani sono noti da tempo”.  Questo “collante” diventa quindi esistenziale in senso non militare.

Ah… ma l’élite ha anche costruito il sistema finanziario americano sullo stesso principio del movimento in avanti – non solo delle forze militari, ma anche della “linfa vitale” del dollaro (“incorporare sempre nuove terre, nuovi popoli, nuovi beni, nuove risorse”…, ecc.).  Se, tuttavia, l’espansione finanziaria dell’America (e i suoi 30 trilioni di dollari detenuti all’estero) dovesse diventare periferica rispetto alle necessità commerciali, potremmo assistere alla rottura delle catene che legano una piramide rovesciata di debito finanziarizzato a un piccolo perno di garanzie reali… e la piramide crollerebbe.

Traduzione in italiano per Geopolítika.ru da: Is this Western war on Russia simply stupidity? | Al Mayadeen English

L’illusione che 300 tank cambino la guerra

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Segnalazione Arianna Editrice

di Fabio Mini

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Se il cancelliere Scholz credeva di poter continuare a traccheggiare sulla questione dell’invio di carri armati Leopard all’Ucraina, condizionandolo all’invio americano dei propri carri Abrams, si è sbagliato. Il presidente Biden ha raccolto l’implicita sfida non solo promettendo altri miliardi di dollari, ma autorizzando l’invio di 20-50 carri Abrams e chiedendo agli alleati europei di fare la loro parte. L’apparente convinzione generale negli Usa e nella Nato è che una massa consistente di almeno 300 carri occidentali, come richiesto da Kiev, consentirebbe di riconquistare i territori occupati e annessi dalla Russia. La valutazione non è sbagliata, ma la realizzazione dipende molto da quanti mezzi verranno effettivamente consegnati, dai tempi di consegna, dalla capacità di usarli non solo come mezzi singoli ma come elementi di forze corazzate e meccanizzate tra loro cooperanti, dalle condizioni del terreno, dalla copertura aerea, dalla disponibilità di artiglierie di sostegno, dal rifornimento di carburanti e munizioni e, non ultimo, dalla disponibilità di fanterie in grado di mantenere le posizioni riconquistate.
Finora si hanno notizie della cessione di 12 carri inglesi, 17 americani, un centinaio di carri Leopard tedeschi da parte della Polonia e qualche carro Stridsvagn-122 (versione del Leopard) dalla Svezia.

L’inverno, la primavera e l’offensiva.
I tempi di consegna variano da uno a sei mesi e oltre. Kiev chiede le forniture con insistenza crescente nella previsione che la Russia sia in procinto di attaccare in forze. La stagione invernale non favorisce le manovre militari, ma ne consente la preparazione. La stagione primaverile è storicamente la meno adatta per i movimenti corazzati in Ucraina e Russia, ma proprio per questo un attacco potrebbe sfruttare la sorpresa. L’Ucraina non è in grado di assicurare la superiorità aerea e soltanto in parte la difesa contraerea e contro missili.
La logistica dei rifornimenti e del personale è l’aspetto più sensibile. I consumi di munizioni e carburanti di una armata corazzata sono altissimi. Inoltre, un esercito proiettato in avanti e a oriente del Dniepr allunga il braccio dei rifornimenti e rende vulnerabili i centri logistici sia avanzati che arretrati. Meno importante è il problema delle parti di ricambio visto che in questa guerra gli ucraini non si sono preoccupati di riparare i mezzi danneggiati o inefficienti.

I mezzi “usa e getta”: niente riparazioni.
Di fatto, i carri armati ucraini, come altri equipaggiamenti forniti dall’Occidente, sembrano essere articoli “monouso”: usa e getta. Anche gli uomini, di entrambe le parti, sembrano avere lo stesso destino. E le riserve sono scarse. Per quanto riguarda l’impiego dei mezzi, gli ucraini hanno già previsto di mandare uomini ad addestrarsi sui carri Challenger inglesi, sugli Abrams americani e sui Leopard tedeschi. Se anche l’Italia manderà i carri Ariete e la Francia, dopo gli AMX10 leggeri, manderà i Leclerc, l’Ucraina disporrà di sei linee di carri diversi che si aggiungono a quelle dei mezzi ex sovietici: un incubo per qualsiasi nazione che pensi seriamente alla logistica, ma evidentemente non per l’Ucraina che in dieci mesi di guerra ha visto affluire armamenti e veicoli di 160 tipi diversi, ha consumato tutto il proprio arsenale e sta esaurendo anche i mezzi graziosamente ma non gratuitamente forniti dai committenti della guerra.

Il panzer non è un trattore.
L’addestramento di singoli equipaggi ai nuovi carri è una cosa da fare, ma non la più importante. Far funzionare un carro è abbastanza semplice, ma non è un trattore agricolo. Per farlo muovere a 70 chilometri all’ora e farlo sparare in movimento ha bisogno di un equipaggio ben addestrato anche su carri dotati di sistemi avanzati di tiro che in teoria sparano da soli. In teoria. Passando dal funzionamento del carro singolo a quello di un reparto, la semplicità si perde ed entra in gioco l’aritmetica della guerra. Condurre un semplice attacco di plotone (tre carri) è già più complesso e condurre un attacco di battaglione (31 carri) richiede elevate capacità di comando e logistiche. Con 300 carri armati, l’Ucraina potrebbe armare dieci battaglioni in grado di attaccare su non più di tre direttrici nel solo Donbass. Contro un nemico in difesa dotato di armi controcarro e carri sostenuti da artiglierie e aerei, come il fronte russo che l’Ucraina presume di sfondare, si perderebbero almeno due terzi della forza.

In uno scontro frontale perdite del 50 per cento.
In un combattimento d’incontro tra forze corazzate paritetiche (come un’eventuale controffensiva ucraina in Donbass) il tasso di perdite per entrambi è di oltre il 50%. Nel caso di eventuale manovra difensiva nei riguardi di un attacco russo, la massa dei carri ucraini dovrebbe bloccare l’avanzata avversaria perdendo gran parte della sua capacità dinamica e dovrebbe ricorrere a contrattacchi locali sui fianchi del nemico. La manovra potrebbe aver successo nel senso di non cedere altro terreno all’avversario, ma di certo non per recuperare quello già perduto. Passando dall’aritmetica elementare alle teorie dei giochi e della complessità applicate alla guerra, l’incremento di masse corazzate nel conflitto, se da un lato consente di continuare a “giocare” dall’altro porta all’innalzamento del livello di scontro e all’allargamento del conflitto. In ogni caso, considerare la battaglia convenzionale corazzata come risolutiva della guerra fino al punto da permettere la vittoria ucraina sulla Russia è un macroscopico errore di valutazione. Troppo grossolano per essere attribuito a un qualsiasi Stato Maggiore, ma non del tutto peregrino in termini politici.
L’urgenza manifestata da Kiev, oltre alla preoccupazione per la minaccia russa, rivela una situazione di crisi interna confermata dalle prime purghe e una crescente diffidenza nel sostegno occidentale. Il capo della Cia, William Burns, ha già ventilato a Kiev la possibile flessione degli aiuti americani a partire dal prossimo agosto e forse ha rivolto qualche sollecitazione in materia di lotta alla corruzione. Sono all’orizzonte le elezioni americane e senza risultati concreti dell’Ucraina sul fronte militare e della correttezza di governo, la leadership democratica potrebbe essere in difficoltà. Perciò, la cessione di carri armati all’Ucraina non sembra finalizzata alla distruzione reciproca dell’esercito ucraino e delle forze russe in Donbass, anche se proprio questo sarà l’effetto visibile e scontato.

Il conflitto per procura: i veri obiettivi.
Per gli Stati Uniti è il mezzo per mettere alla prova la capacità ucraina di riguadagnare terreno e sedersi da vincitori a un eventuale tavolo negoziale. È il mezzo per indurre i Paesi europei e Nato a sottostare alle direttive Usa e trascinarli in guerra. È la prova che nella guerra per procura dichiarata dagli Stati Uniti e la Nato contro la Russia il vero proxy non è l’Ucraina, ma l’intera Europa. È la prova che l’Amministrazione democratica si vuole presentare alle elezioni del 2024 non soltanto con il vanto (tutto da verificare) di aver difeso l’Ucraina e “depotenziato” la Russia, ma con il merito di aver definitivamente assoggettato l’Europa ai voleri e interessi americani anche in vista del confronto strategico con la Cina.
Per la Nato e l’Europa è il mezzo per rafforzare il nucleo bellicista e isolare gli Stati più restii a sostenere la guerra. Per la Gran Bretagna è il mezzo per frantumare la coesione europea ed esercitare la leadership in tutto il Nord a partire dalla Polonia fino al Baltico, alla Scandinavia e all’Artico. Per Francia e Germania è la rinuncia a un qualsiasi ruolo di leadership europea e per l’Italia è la conferma della vocazione alla resa. Incondizionata.

Zelensky a Sanremo

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di Antonio Catalano

Il Festival di Sanremo potrebbe essere l’occasione per il popolo italiano per seguire una competizione canora all’insegna della spensieratezza e del piacere di ascoltare nuove proposte. Ci sono sempre stati quelli che ogni anno si dissociavano perché la ritenevano una manifestazione nazional popolare, quindi priva di “cultura” alta, così esprimendo un atteggiamento radical chic. Il fatto, purtroppo, è che da un bel po’ di tempo, a partire dagli anni ’90, di competizione canora ce n’è ben poca, i giochi si fanno prima, a seconda dell’aria che tira e degli interessi commerciali della grande distribuzione discografica. Ma il fatto fastidioso è Sanremo diventato una grande passerella, alla quale sono invitati le “migliori” espressioni del pensiero, “artistico” e non, omologato. Operazione tesa a “educare” gli italiani secondo i dettami del pensiero uniformante, fatto di fluidità sessuale (e di regolari baci in bocca non etero), di antirazzismo da operetta, di ambientalismo della grande finanza, di trasgressività concordata con il potere e menate di questo tipo. Una sorta di prolungamento musicale di quel tg 1, che rimane la fonte di principale stordimento nazionale, in cui l’informazione è presentata come un susseguirsi di fatti trattati alla “Novella 2000”: gossip, luoghi comuni, banalità, re e regine, fatti presentati senza approfondimento critico eccetera (non che gli altri siano meglio, ma il tg1 è maestro in questo campo). Il Tg1 di ieri riserva in ultima notizia la “sorpresa” (oh, guarda un po’!) dei Maneskin super ospiti al festival, gli stessi che qualche giorno fa hanno inscenato la misera sceneggiata del “matrimonio” (come distruggere la sacralità di questo rito) prima dell’uscita del loro nuovo album “Rush”. Ma quest’anno la grande “sorpresa” è data dalla presenza nell’ultima serata (in collegamento da Kiev) di Zelensky. Operazione tramata dal gran ciambellano Bruno Vespa e raccolta con entusiasmo («Sono felice di avere questo collegamento») dal conformista baciapile dell’establishment dello spettacolo Amadeus. E qui non c’è più da scherzare. Si tratta di una vera e propria operazione di guerra (che si sa, si combatte anche con le armi della diplomazia, della cultura, dello spettacolo, dello sport, dell’arte…), che si inserisce nel quadro del pieno e sciagurato coinvolgimento bellico che i nostri governi hanno deciso da un anno a questa parte, con l’accelerazione atlantista del governo Meloni. E questo non si può accettare. Non si può accettare che il pupazzo ucraino (il cui popolo è diventato carne da macello per la strategia di dominio geopolitico americana) in quota Nato imperversi anche al festival di Sanremo, tradizionalmente grande appuntamento dell’intrattenimento nazionale. Qui non si tratta di spegnere la tv o girare canale, si tratta di esprimere la piena ostilità a questa campagna di guerra che stanno attrezzando sopra le nostre teste. Zelensky a Sanremo è il senso dell’accettazione della logica di guerra che gli americani vogliono infondere negli italiani (come nei popoli europei). Ben venga quindi qualsiasi manifestazione di protesta ferma e decisa tesa a impedire che questo scempio vada in onda sulla tv nazionale.
NO ZELENSKY A SANREMO!
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