Cari politicamente corretti, lasciate stare il Medioevo

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Scusate, contestatori legittimi del legittimo Congresso delle Famiglie a Verona, ma il Medioevo che v’ha fatto di preciso? Troppo cristiano, con quella Chiesa in lotta con l’Impero per l’egemonia ma piena di pontefici e preti così splendidamente peccatori e simoniaci? Ma era il sacro dell’epoca, come oggi sacra è la libertà di non rispettare nulla tranne le proprie scelte individuali, ristrette alla rosa di possibilità concessa dal capitalismo ultima maniera (“produci, consuma, crepa”).

Furono “secoli bui”, oscurantisti, cupi, senza gioie e divertimenti? Dipende dai punti di vista: l’Alto Medioevo, che va dalla caduta di Roma all’Anno Mille, vide rinchiudersi le genti attorno ai centri curtensi (che sovente erano monasteri), il che implicava un’economia e dunque una vita quotidiana legate all’orizzonte del villaggio. Ma anche successivamente, mentre in alcune regioni europee (Italia centro-settentrionale, Olanda, Germania) fiorivano i Comuni urbani e il commercio continentale prendeva vigore, la popolazione rurale, cioè quasi tutta la popolazione, viveva in santissima pace, praticamente autogovernandosi secondo forme di democrazia diretta locale dal momento che non esistevano ancora gli Stati nazionali (ad eccezione della Francia e dell’Inghilterra dal Duecento in poi, e non senza enormi resistenze). Continua a leggere

Lerner è inesauribile: “Non va tolta la cittadinanza all’autista dello scuolabus”

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Dopo la psicosi di qualche giorno fa, la collezione di deliri di Gad Lerner non si ferma. La cittadinanza non è un regalo, è un diritto. E l’autista che voleva bruciare 51 bambini va punito ma non due volte, questa la sintesi del suo pensiero recente, la cui seguente dichiarazione è stata pubblicata da Il Giornale:

“Salvini ha un atteggiamento che oscilla fra il bullo e il paternalismo. Ma la cittadinanza non è un regalo, è un diritto. Allo stesso modo, anche se è un ragionamento più impopolare, dico che è pericoloso parlare di revoca della cittadinanza per l’autista. Verrà punito, quasi certamente, per le sua condotta criminale. Che senso ha invocare un’ulteriore punizione che consiste nella revoca della cittadinanza? È un provvedimento che non era contenuto neppure nelle leggi razziali del 1938 e la nostra Costituzione lo vieta esplicitamente”

Leggi razziali, ovviamente fascismo, ovviamente più ius soli. Aggiunge il giornalista:

“Erano trascorsi 30 anni dal mio arrivo in Italia. Nel frattempo avevo fatto le scuole e lavoravo qui come giornalista. Ma era a discrezione dello Stato italiano quando riconoscermi la cittadinanza a cui avevo diritto. Era un’ingiustizia e lo è ancora oggi. Ed è questo che distingue l’Italia da altri Paesi, che hanno anche politiche meno permissive sulla cittadinanza ma rispettano le tempistiche previste dalla legge”.

Spiegare al signor Lerner la differenza tra lui e l’autista appare inutile. Immaginiamo e speriamo che il lettore ci arrivi da solo. In ogni caso, la collezione di deliri del giornalista italiano ormai è così densa da poterne scrivere un libro.

(di Stelio Fergola)

fonte – https://oltrelalinea.news/2019/03/28/lerner-e-inesauribile-non-va-tolta-la-cittadinanza-allautista-dello-scuolabus/

Russia, da ex atea di Stato a paladina della cristianità

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Tra le storie più bel­le narrate dalla cine­matografia italiana del dopoguerra c’è senza ombra di du­bbio quella che vede ­come protagonisti un ­pope russo e Don Cami­llo, nel film di Come­ncini “Il Compagno Do­n Camillo” tratto dai­ libri di Guareschi. ­

Nel film, il prete ro­magnolo convince infa­tti il timoroso pope ­a confessare la­ malata ed anziana ma­dre del sindaco comun­ista del paese soviet­ico, insegnandogli po­i a fare a pugni con lo stesso come­ nella tradizione di ­Brescello. A questa p­er certi versi comica­ parte di film, si de­ve pensare collegando­la alle famose parole­ dell’onorevole della­ DC La Pira, il quale,­ dopo un invito a par­lare di fronte al sov­iet supremo russo, eb­be l’occasione, cosa ­rara per l’epoca, di ­osservare la società ­russa.

Il suo portavo­ce, e giornalista, Vi­ttorio Citterich, fec­e notare come all’int­erno delle residue, e­ spesso clandestine, ­chiese russe, vi foss­ero solo vecchiette c­on la candela in mano­, e La Pira, rispose af­fermando “Se queste c­he ti sembrano solo v­ecchine con la candel­a in mano, in un cont­esto storico difficil­e e ostile come quest­o, non tenessero acce­sa la fiammella della­ fede in Cristo, dove­ credi che le future ­generazioni russe tro­verebbero il fuoco de­ll’incendio cristiano­ che inevitabilmente ­verrà?”. Continua a leggere

Ufficiale: il Russiagate era una fake news

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Ora è ufficiale: il procuratore speciale per il Russiagate, Robert Mueller, non ha rinvenuto nessuna collusione fra la campagna di Donald Trump e la Russia. Lo riportano l’Ansa, che cita i media americani.

“Il procuratore speciale non ha rinvenuto che la campagna di Trump, o qualcuno associato con questa, abbia cospirato o si sia coordinato con il governo russo nei suoi sforzi, nonostante le varie offerte giunte da individui affiliati con la Russia per assistere la campagna di Trump”, si legge nella lettera invitata dal ministro della Giustizia, William Barr. Continua a leggere

Orange Vest, l’ultima pagliacciata degli immigrazionisti

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“Il giubbotto arancione salva-gente da simbolo di salvataggio in mare a simbolo di umanitá e di lotta all’indifferenza” così Repubblica definisce la campagna Orange Vest, l’ultima pagliacciata degli immigrazionisti per difendere la Mare Jonio e la sua a dir poco discutibile avventura dei giorni scorsi.

Una bella orda di pensiero unico politicamente corretto dopo scioperi della fame di vario genere ha deciso di spingere sull’accelerazione, anche se il tempo delle feste in maschera è passato da un pezzo: Valeria Solarino, Corrado Fortuna, Lella Costa, Moni Ovadia, Caterina Guzzanti, qualche “Iena”, come Gaetano Pecoraro e Roberta Rei,  Leoluca Orlando, Cecilia Strada e – guarda un po’ – Vauro, Sandro Ruotolo, Lirio Abbate, Alessandro Gilioli. Continua a leggere

Cent’anni di Fascismo

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Cent’anni fa un’idea. Rivoluzionaria e reazionaria allo stesso tempo, nuova e dirompente come la guerra che l’aveva preceduta. Un’idea, né di destra né di sinistra, tanto nuova quanto legata alle radici della Tradizione stessa. Un’idea ardita, violenta ed esplosiva che rompeva letteralmente con il presente. I suoi alfieri erano quasi tutti ex combattenti, uomini tempratisi nelle trincee della grande guerra, nel bagno di sangue dell’Apocalisse della modernità. E proprio l’aver combattuto con anima e corpo, sacrificando sé stessi prima di tutto, rese i portatori di questa nuova idea così temerari e decisi. Le cose dovevano cambiare, e ci avrebbero pensato loro.

Come scriveva Mussolini dalle pagine del Popolo d’Italia “[…] Noi non abbiamo bisogno di attendere la rivoluzione, come fa il gregge tesserato: né la parola ci sgomenta, come succede al mediocre pauroso che è rimasto col cervello al 1914. Noi abbiamo già fatto la rivoluzione. Nel maggio del 1915. Quello fu il primo episodio della rivoluzione. Fu l’inizio. La rivoluzione è continuata sotto il nome di guerra per quaranta mesi. NON È FINITA[1]”.

Il 23 marzo 1919 nascevano, in piazza San Sepolcro a Milano, i “Fasci da combattimento”.

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Paul Kagame: “Crisi migratoria è una creazione dell’Europa”

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L’immigrazione come fenomeno inarrestabile è uno dei mantra degli immigrazionisti. Andando a fondo, è interessante notare come personaggi dello stesso universo africano smentiscano questo dogma, un po’ meno ridondante del solito da quando gli sbarchi di clandestini sono crollati nel nostro Paese. È interessante in tal senso il pensiero espresso da Paul Kagame, presidente del Ruanda, nel corso di un’intervista rilasciata a The New Times e tradotta da Voci dall’Estero nel dicembre scorso, la cui sintesi era chiara: la crisi migratoria è una creazione dell’Europa.

La stessa Europa che prima ammonisce l’Italia sul rispetto degli accordi di Schengen, poi si augura che il governo gialloverde appena insediato “non cambi politica sull’immigrazione” e poi ancora si accoda alle accuse di governo italiano fascista e xenofobo, dopo le prime “chiusure” dei porti risalenti al giugno scorso”.

Con buona lucidità, colpisce in particolare questa dichiarazione al tempo espressa da Kagame:

“L’Europa ha un problema di migrazione perché non è riuscita ad affrontare il problema in anticipo. Invece di aiutare l’Africa, ha ulteriormente impoverito il continente. Non mi fraintenda: non sto dando all’Europa tutta la colpa del problema della migrazione. Continua a leggere

Qualità della vita, salari, Pil e debito pubblico: così Putin ha reso grande la Russia

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Vladimir Putin fu eletto presidente la prima volta nel 2000. In 18 anni, l’economia della Federazione Russa è drasticamente cambiata e in positivo. Lo dimostrano i dati pubblicati su Russia Today.

Qualità della vita
Prima dell’elezione di Putin, la Russia aveva un PIL pro capite di 9,889 dollari a parità di potere d’acquisto (PPP). La cifra era quasi triplicata entro il 2017 e ora ha raggiunto i 27,900 dollari. La Russia ha il più alto PIL pro capite di tutti i BRICS, con il secondo più alto, la Cina, ferma a 16,624 dollari. Il PPP tiene conto del costo della vita relativo e dei tassi di inflazione dei paesi al fine di confrontare gli standard di vita nelle diverse nazioni. Il salario mensile nominale medio è cresciuto di quasi 11 volte da 61 dollari a 652 dollari. La disoccupazione è diminuita dal 13% al 5,2%. Le pensioni sono cresciute di oltre il 1.000 percento nello stesso periodo da 20 dollari a 221 dollari.

Prestazioni economiche
La Russia è la sesta economia al mondo per Potere d’acquisto, con un PIL di 4 trilioni di dollari. PwC ha previsto che entro il 2050 il paese diventerà la più grande economia europea con questa misura, lasciandosi alle spalle Germania e Regno Unito.

Nel 1999, l’economia russa del PPP valeva solo 620 miliardi. Quindi, negli ultimi 18 anni, la produzione economica russa in questi termini è aumentata del 600%. Continua a leggere

Balcani: ieri, oggi e domani. Intervista a Giannicola Saldutti

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Abbiamo raggiunto per un’intervista Giannicola Saldutti, dottore in lingue e culture straniere, con particolari conoscenze dell’area balcanica e non solo. Ha già collaborato con In Terris, Sputnik, Geopolitica ed Eurasian Business Dispatch ed affinato le proprie competenze viaggiando tra Belgrado e San Pietroburgo.

Hai avuto modo di conoscere da vicino la Serbia, un paese spesso osteggiato dalla comunità internazionale, che ha recentemente rinsaldato i rapporti con la Russia a seguito dell’incontro Putin-Vucic. Quali sono le ragioni storiche e quelle più attuali che giustificano la vicinanza fra i due paesi?

Il legame russo-serbo è qualcosa difficile da comprendere a pieno per chi vive dall’esterno la realtà quotidiana di alcuni Paesi dell’est. Io stesso, prima di vivere Belgrado, potevo avvertirne soltanto la componente storica, avallata da elementi intuibili anche ai più profani, come la comunanza religiosa, nonché l’influenza di una certa ideologia panslavista.

Se dall’esterno tutto ciò può suonare tanto romantico quanto lontano dalla realtà, qualsiasi visitatore attento potrebbe subito rendersi conto di quanto in Serbia la “mission” della Russia (ultimamente incarnata nella figura di Putin, l’uomo forte archetipo dell’immaginario politico russo) sia realmente nel cuore del popolo. “Iste boje, ista vera” ossia “stessi colori, stessa fede” amano ripetere i serbi, alludendo ai colori delle bandiere dei due Paesi e alla fratellanza ortodossa. Continua a leggere

Milano: la marcia degli anti-italiani

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Ancora Milano, ancora “antirazzismo” autoreferenziale. La marcia degli anti-italiani, però, ancora una volta non ha nulla a che fare con la lotta alla discriminazioni, ma solo con la solita ipocrisia in salsa sinistrorsa e con il marciume dei media completamente asserviti ad essa. Dopo i flop degli anni scorsi, stavolta i numeri sono più alti: niente a che vedere con le sparate degli organizzatori (200mila persone!) e ancora più divertenti di Repubblica (“oltre 250mila!”), visto che piazza Duomo colma, secondo tutte le possibili stime, può contenere massimo 80 o 90mila persone.

Ma in ogni caso riempire quella piazza è indice – per l’ennesima volta – della forza culturale della sinistra, quella che se ne frega del parere contro lo ius soli dell’80% degli italiani e manifesta lo stesso per imporlo anzitutto culturalmente, riuscendo nella solita impresa: riuscire a dare l’illusione di essere una maggioranza. Riuscire a farlo in un periodo di crollo dei consensi, rilanciando l’immagine migliore per provare a recuperarli. Chi li dà per finiti non ha idea di cosa stia parlando.

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