La visita di Bergoglio a Verona ha visto riunire circa 12 mila persone nell’Arena per l’incontro “Arena di pace. Giustizia e pace si baceranno”, che cita il salmo 85. Il tema affrontato, nel dramma dell’attualità, quindi, è stato quello della pace.
Sul palco, oltre a Bergoglio, il sempre più presente don Ciotti e Alex Zanotelli, comboniano e orgoglioso indossatore di foulards arcobaleno. Questa volta il missionario non si è limitato a sfoggiare quello che costantemente porta al collo ma ha voluto sventolare una bandiera di analoghi colori e la scritta “Pace” davanti al pontefice.
Sarebbe il caso di ricordare sempre che la bandiera della pace, quella vera, è un’altra, a maggior ragione per un cristiano. È la Croce.
Quella arcobaleno, che ormai si è diffusa anche in troppi ambienti cattolici, con l’acquiescenza delle gerarchie ecclesiastiche, ha ben altra origine e significato.
Helena Petrovna Blavatsky
Fu ideata da Helena Petrovna Blavatsky – Dnipro 12 agosto 1831, Londra 8 maggio 1891- , occultista, nemica giurata del cristianesimo, fondatrice della Società Teosofica – basata su una dottrina sincretica costituita da elementi esoterici, neoclassici e provenienti da diverse religioni orientali – oltre che della rivista intitolata “Lucifer”.
Così come Lucifero rappresenta l’opposto di Dio e il capovolgimento di tutti i Suoi principi – non a caso uno dei simboli satanici è la Croce capovolta – la bandiera inventata da Madame Blavatsky contiene i colori dell’arcobaleno in ordine capovolto.
Nella Bibbia l’arcobaleno rappresenta la ritrovata pace tra Dio e gli uomini dopo il diluvio universale: “Avverrà che quando avrò raccolto delle nuvole al di sopra della terra, l’arco apparirà nelle nuvole, e io mi ricorderò del mio patto fra me e voi e ogni essere vivente di ogni carne, e le acque non diventeranno più un diluvio per distruggere ogni carne…” (Gen 9:12-17)
Proporre l’arcobaleno in modo capovolto, pertanto, vuol dire esattamente rinnegare questo patto e muovere guerra a Dio.
Questi erano gli intendimenti di Madame Balvatsky, che non a caso affermò:” “Il nostro obiettivo non è restaurare l’induismo, ma spazzare via il cristianesimo dalla faccia della terra”. Oggi l’arcobaleno capovolto si è purtroppo affermato pressoché universalmente, come simbolo di pace.
Sicuramento la grande maggioranza di coloro che lo ostentano ignora le sue origini e il suo significato autentico, ma è un simbolo falso.
Questa è la bandiera che Alex Zanotelli ha sventolato, questi sono i colori che porta costantemente addosso. Siamo sicuri che lui sia animato da buone intenzioni e che sia tra i tanti a cui sfugge il reale senso dell’arcobaleno rovesciato.
Ma, allora, don Alex, butti via quello straccio teosofico e, magari, indossi la talare.
Riceviamo e pubblichiamo questo interessante articolo del Prof. De Mattei, che ci vede concordi, sebbene con posizioni dottrinali differenti (n.d.r.)
del Prof. Roberto De Mattei
Tra gli anniversari che ricorrono nel mese di ottobre c’è quello dell’enciclica di Pio XII Summi Pontificatus, pubblicata il 20 ottobre 1939, la prima e una delle più importanti del suo pontificato.
Il cardinale Eugenio Pacelli era stato elevato al soglio di Pietro, con il nome di Pio XII, il 2 marzo del 1939. Per temperamento e vocazione, Pio XII era un uomo di pace. Il suo stemma mostrava una colomba con un ramo d’ulivo e il suo motto indicava la pace come frutto della giustizia: Opus justitiae pax (Is. 34, 17). E il primo messaggio inviato via radio a tutto il mondo fu dedicato a: “La pace, dono di Dio desiderato da tutti gli uomini retti, frutto dell’amore e della giustizia“.
Pio XII invocava la pace perché il mondo era alla vigilia della guerra. Egli, scrive uno dei suoi biografi, “ricevette la tiara come se fosse un elmetto, perché l’Europa era in armi“.
Nella conferenza di Monaco del settembre 1938 Hitler si era formalmente impegnato a garantire l’incolumità dello stato cecoslovacco. Ma il 15 marzo 1939, pochi giorni dopo l’incoronazione del Papa, il dittatore nazista violò gli accordi di Monaco e invase la Ceco-Slovacchia, annettendo Boemia e Moravia al Reich tedesco. La posizione della Francia e della Gran Bretagna nei confronti di Hitler, che a Monaco era stata cedevole, da questo momento cambiò: le due nazioni decisero di impegnarsi a proteggere la Polonia.
Il 23 agosto 1939 i ministri degli Esteri sovietico Molotove tedesco Ribbentrop firmarono un trattato di non aggressione accompagnato da un protocollo segreto che prevedeva la spartizione della Polonia e la divisione dell’Europa orientale in due sfere d’influenza:
Il 1° settembre dello stesso anno, dopo il rifiuto polacco di concedere a Hitler il “corridoio” di Danzica, l’esercito tedesco invase la Polonia. Due giorni dopo, il 3 settembre, Gran Bretagna e Francia dichiararono guerra alla Germania.
La Seconda guerra mondiale era iniziata. Un conflitto che non conosceva frontiere e coinvolgeva i civili di tutto il mondo, con un bilancio spaventoso di più di sessanta milioni di morti ma soprattutto di milioni di vittime spirituali e morali.
Poche settimane dopo l’inizio della catastrofe, il 20 ottobre, Pio XII, pubblicò l’enciclica Summi Pontificatus, in cui non si limitò a deplorare la guerra ma ne indicò con chiarezza le cause. Pio XII affermava: “Il tempo presente, venerabili fratelli, aggiungendo alle deviazioni dottrinali del passato nuovi errori, li ha spinti a estremi, dai quali non poteva seguire se non smarrimento e rovina. Innanzitutto è certo che la radice profonda e ultima dei mali che deploriamo nella società moderna sta nella negazione e nel rifiuto di una norma di moralità universale, sia della vita individuale, sia della vita sociale e delle relazioni internazionali; il misconoscimento cioè, così diffuso ai nostri tempi, e l’oblio della stessa legge naturale.
Questa legge naturale trova il suo fondamento in Dio, creatore onnipotente e padre di tutti, supremo e assoluto legislatore, onnisciente e giusto vindice delle azioni umane. Quando Dio viene rinnegato, rimane anche scossa ogni base di moralità, si soffoca, o almeno si affievolisce di molto, la voce della natura, che insegna, persino agli indotti e alle tribù non pervenute a civiltà, ciò che è bene e ciò che è male, il lecito e l’illecito, e fa sentire la responsabilità delle proprie azioni davanti a un Giudice supremo”.
Sono parole da meditare in tempi, come quelli in cui viviamo, in cui il rinnegamento della legge naturale è arrivato al punto di negare l’esistenza stessa di una natura umana, attraverso teorie e pratiche abominevoli come quella del gender.
Ma Pio XII va più a fondo. “La negazione della base fondamentale della moralità – dice – ebbe in Europa la sua originaria radice nel distacco da quella dottrina di Cristo, di cui la cattedra di Pietro è depositaria e maestra; dottrina che un tempo aveva dato coesione spirituale all’Europa, la quale, educata, nobilitata e ingentilita dalla croce, era pervenuta a tal grado di progresso civile da diventare maestra di altri popoli e di altri continenti”.
Per ottenere la pace, la vera pace, che è la tranquillità dell’ordine, la vita nazionale e internazionale – afferma Pio XII – deve fondarsi “sulla roccia incrollabile del diritto naturale e della divina rivelazione”. Non c’è altra strada possibile. “La rieducazione dell’umanità, se vuole sortire qualche effetto, deve essere soprattutto spirituale e religiosa: deve, quindi, muovere da Cristo come da suo fondamento indispensabile, essere attuata dalla giustizia e coronata dalla carità”.
Questo insegnamento costituì l’asse del pontificato di Pio XII e ha un valore perenne. Le generiche deplorazioni della guerra i generici appelli alla pace non sono sufficienti. Solo il rispetto della legge naturale e la conversione a Cristo potrà restituire pace al mondo e gloria alla Chiesa, che potrà tornare ad essere, la civitas supra montem posita, la “città posta su un colle”, la roccia incrollabile, contro cui si infrange invano la furia delle onde marine.
Si è tenuto a Mosca il congresso di fondazione del Movimento Internazionale Russofilo (IRM). Si è trattato del primo congresso di questo tipo, al quale hanno partecipato circa 90 rappresentanti di 42 Paesi, tra cui gli Stati della CSI, gli Stati Uniti, l’UE, l’Asia e l’Africa, ecc.
Lo scopo del congresso, nel contesto dell’operazione militare speciale in corso e della pressione delle sanzioni, è stato quello di dimostrare che l’interesse per la cultura, le tradizioni e la visione del mondo russi non fa che crescere nonostante i tentativi di isolamento internazionale e culturale a vari livelli. Nell’ambito del forum, le persone che condividono l’amore e l’interesse per la Russia hanno avuto l’opportunità di scambiare opinioni e contatti. È importante, anche a livello simbolico, che i MDR abbiano scelto il Museo Statale Pushkin come luogo di incontro. Museo Statale Pushkin, in segno di protesta contro l’abolizione della cultura russa in diversi Paesi del mondo.
Ai massimi livelli
L’evento è stato sostenuto ai massimi livelli in Russia. Alla vigilia della cerimonia di apertura, il Presidente russo Vladimir Putin ha inviato un telegramma di saluto ai partecipanti al congresso: secondo lui, “in molti Paesi si fomenta deliberatamente l’isteria antirussa, si perseguitano i nostri connazionali e coloro che simpatizzano con loro, si impongono divieti e restrizioni persino sulle opere dei grandi classici russi che appartengono al tesoro della cultura mondiale”.
Il messaggio di Sua Santità il Patriarca Kirill di Mosca e di tutte le Russie è stato letto da Konstantin Malofeev, vice capo del Consiglio Mondiale del Popolo Russo. Il Primate della Chiesa ortodossa russa ha benedetto i partecipanti al congresso, esortandoli a “stare insieme per la verità che consiste nel diritto di una persona di rimanere se stessa e di preservare la fede e le tradizioni dei suoi antenati”.
Il Ministero degli Esteri russo ha sostenuto la creazione del nuovo movimento internazionale. Il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov è intervenuto alla cerimonia di apertura del congresso, aggiungendo la geopolitica al tema della cultura. Secondo il ministro, la Russia e i suoi amici non sono mai “amici contro qualcuno” e non costringono gli altri ad adottare la loro posizione. Il ministro degli Esteri russo ha sottolineato che nell’attuale confronto con l’Occidente, la Russia non impone nulla a nessuno e tratta gli altri poli dell’emergente mondo multipolare come pari.
“I Paesi del Sud globale, la maggioranza del mondo, sono in grado di trarre conclusioni da soli”, ha detto il diplomatico, “Siamo tutti adulti, non trattiamoci con un atteggiamento arrogante – come fanno i nostri partner occidentali”.
Il ministro degli Esteri ha osservato che la civiltà occidentale sta degenerando perché è “ossessionata dalla sua grandezza” e dal suo “eccezionalismo”. Secondo il ministro, l’Occidente sta combattendo fino alla morte per mantenere la sua sfuggente egemonia sulla scena mondiale.
Il ministro degli Esteri ha inoltre definito la visita degli ospiti stranieri “un atto di coraggio” in un momento così difficile.
Il senatore Konstantin Kosachev e Leonid Slutsky, capo della fazione del Partito liberaldemocratico della Russia, hanno parlato a nome del Consiglio della Federazione e della Duma di Stato.
L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico (ambasciatore del Vaticano) negli Stati Uniti, si è rivolto al Congresso dei russofili con un messaggio di benvenuto.
Tra coloro che si sono riuniti a Mosca il 14 marzo c’erano rappresentanti di famiglie aristocratiche, ex capi di governo, ex e attuali parlamentari, diplomatici e filosofi, giornalisti e rappresentanti di movimenti sociali. Uno degli ospiti più brillanti del congresso è stato Steven Seagal, attore americano e inviato speciale del Ministero degli Esteri russo per le relazioni umanitarie con gli Stati Uniti e il Giappone.
Superare ostilità e disinformazione
Uno dei principali promotori dell’evento e autori del manifesto è stato Nikolai Malinov, leader del movimento nazionale russofilo bulgaro. Per le sue posizioni russofile, Malinov è stato inserito nelle liste di sanzioni degli Stati Uniti e del Regno Unito ed è stato anche accusato di “spionaggio” nel suo Paese. Il 14 marzo è stato eletto dai delegati del congresso come leader del Movimento russofilo internazionale.
Intervenendo al congresso del MDR, ha sottolineato che in Europa gli atteggiamenti russofili dominano gli atteggiamenti delle élite e sono diffusi attraverso i media, e lo scopo dell’evento è quello di ricordare l’amore per il popolo russo a livello internazionale. Secondo il manifesto, i partecipanti mostreranno come “l’ostilità, la disinformazione e la sfiducia possono essere superate nell’attuale mondo di conflitti”.
“Vedo il nostro movimento come un fronte separato che mostra che ci sono forze nel mondo che combatteranno, attraverso la diplomazia popolare, la russofobia che vieta ai gatti russi di partecipare alle competizioni, che cancella Pushkin, che vieta il discorso russo”, ha detto Malinov. Secondo lui, il compito della comunità russofila è quello di dimostrare che esistono forze capaci di resistere nonostante “gli strumenti finanziari e l’aggressione”.
Necessità di movimento
Come hanno notato i media, Nikolai Malinov parla da tempo del progetto di creare un movimento russofilo internazionale. L’operazione militare speciale della Russia iniziata il 24 febbraio 2022 è diventata un catalizzatore dei processi di divisione nel mondo. La divisione tra sostenitori dell’egemonia occidentale e i suoi oppositori. I sostenitori di un mondo libero multipolare, della diversità delle civiltà e delle culture, per il quale il pensiero russo, a partire da N.Y. Danilevskij, ha sempre sostenuto, e i sostenitori di un mondo unipolare liberale totalitario, in cui l’unica forma di libertà è la libertà di seguire lo standard liberale occidentale, sempre più limitato e ristretto.
La Russia negli ultimi anni per molti in Europa, Asia e Africa, America Latina e anche negli stessi Stati Uniti è diventata un simbolo della Tradizione, un’”arca di salvezza”, il centro del movimento internazionale per un giusto ordine mondiale basato sul multipolarismo e sul rispetto dei valori tradizionali dei Paesi e dei popoli.
Oltre a queste persone, ci sono anche molti nel mondo che semplicemente amano la cultura e l’arte russa, hanno legami familiari con la Russia e i russi. Tuttavia, anche queste persone esteriormente apolitiche sono ora vittime della “cultura della cancellazione”. Il 14 marzo, il giorno in cui si è svolto il primo congresso del Movimento Internazionale dei Russofili, la Russia ha portato la questione della russofobia al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La Procura generale russa aveva proposto in precedenza di equiparare la russofobia all’estremismo.
Un anno fa, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha ammesso che la russofobia era diventata mainstream nel suo Paese e ha invitato altri Paesi europei a unirsi all’odio per la Russia in Polonia. Nell’ultimo anno, rappresentanti dell’Ucraina e dei Paesi occidentali hanno apertamente chiesto la “decolonizzazione” e la disintegrazione della Russia. In Ucraina, la lingua russa è stata vietata e non può essere insegnata nelle scuole, nemmeno come lingua straniera. I russi sono perseguitati negli Stati baltici. In Polonia, tutti i laureati del MGIMO sono stati licenziati dal Ministero degli Esteri. Nel Regno Unito, il numero di “incidenti di aggressione contro i russi e gli abitanti di lingua russa” è raddoppiato nell’ultimo anno, come ha rilevato l’ambasciata russa in quel Paese. Anche i media europei mainstream sono costretti a riportare i numerosi casi di aggressione contro i russi di lingua russa nei Paesi della NATO.
“Noi russi e i russofili vinceremo sicuramente”
Il presidente della Società di Tsargrad Konstantin Malofeev ha sottolineato che “i russofili sono coloro che amano prima di tutto il loro Paese, coloro che amano la Russia e i russi come riflesso del loro sogno di libertà e indipendenza. Con queste persone costruiremo un mondo molto migliore di quello con cui siamo entrati nel XXI secolo. Un mondo multipolare di popoli liberi e di valori tradizionali, piuttosto che la dittatura di un solo Paese che impone abomini anticristiani, antiumani e satanici. Sono sicuro che noi russi e russofili vinceremo sicuramente. Perché Dio è con noi!
Gli ospiti del congresso provenienti dall’estero sono persone coraggiose, ha sottolineato il filosofo Alexander Dugin. “Le persone che vengono qui dai Paesi dell’UE o dall’America e dicono: sì, amiamo comunque la Russia, la amiamo come cultura, come civiltà, come identità, la amiamo come religione, come tradizione, come arte – dimostrano davvero un atto di eroismo”.
Anche Pierre de Gaulle, presidente e fondatore della Fondazione per la Pace, l’Armonia e la Prosperità dei Popoli della Svizzera e nipote del leggendario fondatore della Quinta Repubblica, Charles de Gaulle, è intervenuto al congresso. Ha sottolineato l’importanza del fattore ideologico nel conflitto tra Russia e Stati Uniti: “Il conflitto attuale è un conflitto ideologico in difesa dei nostri valori tradizionali, della famiglia, della religione. Il nostro compito, il mio dovere è quello di difendere i valori, di difendere il benessere del mondo e dell’Europa”.
“Così come l’Occidente ha creato un’icona nella persona della Principessa Diana, noi dobbiamo creare i nostri ideali”.
Da parte sua, la Principessa Vittoria Alliatta di Villafranca, nota ricercatrice italiana dell’Oriente, traduttrice e figura culturale, ha sottolineato che l’Occidente non si sottrae ai metodi terroristici, ricordando l’omicidio della filosofa e giornalista Daria Dugina.
“Uno dei principali strumenti che vengono sempre utilizzati in questa battaglia sono le donne. Eppure quando Daria Dugina, una filosofa, una scrittrice che rappresentava il meglio che l’Europa aveva da offrire, dalla filosofia greca antica al pensiero imperiale russo, è stata uccisa, nessuno ha detto una parola. Ma quando una povera ragazza iraniana ha avuto un infarto in una stazione di polizia, allora tutti sono scesi in strada e hanno cercato di rovesciare il regime al potere in Iran”, ha detto l’italiano fornendo un esempio dell’ipocrisia occidentale.
Ha suggerito che un metodo per combattere l’ideologia occidentale è quello di sottolineare l’importanza dei nostri eroi e delle nostre eroine, soprattutto delle donne. “Penso che dovremmo concentrarci sui nostri eroi. Così come l’Occidente ha creato un’icona nella persona della Principessa Diana, noi dovremmo creare i nostri ideali. Le donne sono il nostro patrimonio, dobbiamo dare loro la forza di difendersi. Non ogni donna è un’eroina, ma ogni donna può dare un pezzo del suo amore per rendere il mondo un posto migliore”, ha concluso la principessa.
Manifesto del MDR
Il congresso ha adottato un manifesto per il nuovo movimento, in cui i partecipanti promettono di promuovere la cultura russa, aiutare gli amici russi, sostenere la diffusione di informazioni accurate sulla Russia, contrastare la russofobia e rafforzare la “diplomazia del popolo”. Come primo passo, Malinov ha proposto di raccogliere un milione di firme per revocare le sanzioni alla Russia, di creare un’istituzione per combattere la russofobia, di rilanciare l’idea del “russofobo dell’anno”, di creare un’alternativa all’Eurovision e così via.
Una parte importante del nuovo movimento sarà la lotta alla russofobia nei media. Pepe Escobar, noto giornalista internazionale, ha definito ciò che sta accadendo nel mondo “una guerra di soft power, una guerra culturale e di informazione contro la Federazione Russa”. “Le persone che gestiscono tutto non sono Sunak, Nuland o Soros”, ha spiegato l’esperto, “Tutto viene deciso non a Bruxelles, ma in riunioni private. Si tratta di alcune famiglie che possiedono molto denaro e non si mostrano in pubblico. Qualche anno fa è stato deciso che la Russia deve essere presa in mano, per appropriarsi delle sue risorse, che la Russia presumibilmente non merita. Ora è il momento di reagire”. Inoltre, gli organizzatori hanno dichiarato che il movimento si impegnerà anche su questioni legali, difendendo i diritti dei russi e degli amici della Russia all’estero.
Una scelta escatologica
Il Movimento Internazionale dei Russofili ha un grande futuro. Il NWO e le precondizioni per la transizione del conflitto tra Russia e Occidente a una guerra inter-civile su larga scala rendono la divisione tra i sostenitori della Russia e dell’Occidente moderno una scelta escatologica. È una lotta tra due versioni antagoniste del futuro. È in questa lotta che tutto il potere, le forze e i significati della cultura russa assumono un significato veramente storico-mondiale. L’aggressore in questo conflitto è l’Occidente; la Russia può dimostrare la giustezza del suo modo di procedere, in una competizione e in un dialogo pacifici con il mondo occidentale, se è pronta al dialogo e rinuncia alle sue pretese di esclusività totalitaria e alla sua giustezza a priori. Per definizione, i russofili sono i sostenitori del dialogo, coloro che cercano di creare un ponte tra le loro culture e le loro politiche e la Russia. Coloro che vi si oppongono non sono interessati a tali ponti e al dialogo. Pertanto, i russofili sono anche combattenti per la pace, per un mondo giusto in cui l’identità dei popoli e delle culture sia rispettata, e i tentativi di “abolire” la Russia non provocherebbero altro che una condanna universale.
È probabile che né la Russia né l’Ucraina ottengano una vittoria militare decisiva nella guerra in corso: entrambe le parti hanno un ampio spazio per un’escalation mortale. L’Ucraina e i suoi alleati occidentali hanno poche possibilità di cacciare la Russia dalla Crimea e dalla regione del Donbass, mentre la Russia ha poche possibilità di costringere l’Ucraina alla resa. Come ha osservato Joe Biden in ottobre, la spirale dell’escalation segna la prima minaccia diretta di “Armageddon nucleare” dalla crisi dei missili cubani 60 anni fa. Anche il resto del mondo soffre, anche se non sul campo di battaglia. L’Europa è probabilmente in recessione. Le economie in via di sviluppo lottano con l’aumento della fame e della povertà. I produttori di armi americani e le grandi compagnie petrolifere raccolgono guadagni inaspettati, anche se l’economia americana nel suo complesso peggiora. Il mondo deve sopportare una maggiore incertezza, catene di approvvigionamento interrotte e terribili rischi di escalation nucleare. Ciascuna parte potrebbe optare per una guerra continua nella convinzione di ottenere un vantaggio militare decisivo sul nemico. Almeno una delle parti si sbaglierebbe in una tale visione, e probabilmente entrambe. Una guerra di logoramento devasterà entrambe le parti.
Eppure il conflitto potrebbe continuare per un altro motivo: che nessuna delle due parti vede la possibilità di un accordo di pace applicabile. I leader ucraini ritengono che la Russia userebbe qualsiasi pausa nella lotta per riarmarsi. I leader russi ritengono che la NATO userebbe qualsiasi pausa nei combattimenti per espandere l’arsenale dell’Ucraina. Scelgono di combattere ora, piuttosto che affrontare un nemico più forte in seguito. La sfida è trovare un modo per rendere un accordo di pace accettabile, credibile e applicabile. Credo che la causa di una pace negoziata debba essere ascoltata più ampiamente, in primo luogo per evitare che l’Ucraina diventi un campo di battaglia perpetuo e, più in generale, perché vantaggiosa per entrambe le parti e per il resto del mondo. Sono molti gli argomenti forti a favore del coinvolgimento di Paesi neutrali per aiutare a far rispettare un accordo di pace che gioverebbe a molti.
Un accordo credibile dovrebbe innanzitutto soddisfare gli interessi di sicurezza fondamentali di entrambe le parti. Come disse saggiamente John F. Kennedy sulla via del successo del Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti nucleari con l’Unione Sovietica nel 1963, “si può fare affidamento anche sulle nazioni più ostili per accettare e mantenere quegli obblighi del Trattato, e solo quegli obblighi del Trattato, che sono nel loro stesso interesse”.
In un accordo di pace, l’Ucraina dovrebbe essere rassicurata sulla sua sovranità e sicurezza, mentre la NATO dovrebbe promettere di non allargarsi verso Est (sebbene la NATO si descriva come un’alleanza difensiva, la Russia certamente la pensa diversamente e si oppone fermamente all’allargamento della NATO). Bisognerebbe trovare alcuni compromessi per quanto riguarda la Crimea e la regione del Donbass, forse congelando e smilitarizzando quei conflitti per un periodo di tempo. Un accordo sarà anche più sostenibile se includerà la graduale eliminazione delle sanzioni contro la Russia e un accordo tra la Russia e l’Occidente per contribuire alla ricostruzione delle aree dilaniate dalla guerra.
Il successo potrebbe dipendere da chi è coinvolto nel tentativo di trovare e imporre la pace. Dal momento che gli stessi belligeranti non possono forgiare una tale pace da soli, una soluzione strutturale chiave consiste nel portare altre parti all’accordo. Nazioni neutrali tra cui Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia e Sud Africa hanno ripetutamente chiesto una fine negoziata del conflitto. Potrebbero aiutare a far rispettare qualsiasi accordo raggiunto.
Questi Paesi non odiano né la Russia né l’Ucraina. Non vogliono né che la Russia conquisti l’Ucraina, né che l’Occidente espanda la NATO verso Est, cosa che molti vedono come una pericolosa provocazione non solo per la Russia ma forse anche per altri Paesi. La loro opposizione all’allargamento della NATO si è acuita quando i sostenitori della linea dura americana hanno esortato l’alleanza ad affrontare la Cina. I Paesi neutrali sono stati colti di sorpresa dalla partecipazione dei leader dell’Asia-Pacifico di Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda a un vertice lo scorso anno di presunti Paesi del “Nord Atlantico”.
Il ruolo pacificatore dei principali Paesi neutrali potrebbe essere decisivo. L’economia e la capacità bellica della Russia dipendono dal mantenimento di solide relazioni diplomatiche e dal commercio internazionale con questi Paesi neutrali. Quando l’Occidente ha imposto sanzioni economiche alla Russia, le principali economie emergenti, come l’India, non hanno seguito l’esempio. Non hanno voluto schierarsi e hanno mantenuto forti relazioni con la Russia.
Questi Paesi neutrali sono i principali attori dell’economia globale. Secondo le stime del FMI sul PIL a parità di potere d’acquisto, la produzione combinata di Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia e Sudafrica (51,7 trilioni di dollari, ovvero quasi il 32% della produzione mondiale) nel 2022 è stata superiore a quella delle nazioni del G7, America, Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Italia e Giappone. Le economie emergenti sono anche cruciali per la governance economica globale e manterranno la presidenza del G20 per quattro anni consecutivi, oltre a posizioni di leadership nei principali organi regionali. Né la Russia né l’Ucraina vogliono sperperare le relazioni con questi Paesi, cosa che li rende importanti garanti potenziali della pace.
Inoltre, molti di questi Paesi cercherebbero di rafforzare le proprie credenziali diplomatiche aiutando a negoziare la pace. Molti, tra cui ovviamente Brasile e India, aspirano da tempo a seggi permanenti nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La possibile architettura di un accordo di pace potrebbe essere un accordo co-garantito dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con alcune delle principali economie emergenti. Oltre ai Paesi sopra citati, altri co-garanti credibili sono la Turchia (che ha abilmente mediato i colloqui Russia-Ucraina); l’Austria, orgogliosa della sua duratura neutralità; e l’Ungheria, che quest’anno detiene la presidenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e ha ripetutamente chiesto negoziati per porre fine alla guerra.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e i co-garanti imporrebbero misure commerciali e finanziarie concordate dalle Nazioni Unite contro qualsiasi parte che violi l’accordo di pace. L’attuazione di tali misure non sarebbe soggetta al veto della parte inadempiente. La Russia e l’Ucraina dovrebbero confidare nel fair play dei Paesi neutrali per garantire la pace e i rispettivi obiettivi di sicurezza.
Non ha senso che i combattimenti continuino in Ucraina. È improbabile che nessuna delle due parti vinca una guerra che sta attualmente devastando l’Ucraina, imponendo enormi costi in vite umane e finanze alla Russia e causando danni globali. I principali Paesi neutrali, in collaborazione con le Nazioni Unite, possono essere i co-garanti per iniziare una nuova era di pace e ricostruzione. Il mondo non dovrebbe permettere alle due parti di continuare una sconsiderata spirale di escalation.
di Jeffrey Sachs (direttore del Centro per lo Sviluppo Sostenibile della Columbia University).
L’articolo è stato pubblicato su The Economist del 18 gennaio 2023 e rilanciato dall’Autore su Other News. La traduzione è di Fulvio Scaglione.
La trattativa per un cessate il fuoco in Ucraina non sembra nemmeno sul punto di nascere ma in realtà tutti gli addetti ai lavori sanno che da tempo ormai gli Stati Uniti, di fronte all’insostenibilità militare e finanziaria del confronto tra Ucraina e Russia, hanno dato luce verde alla CIA per dare vita ad una ipotesi di negoziato con mediazioni varie, ultima arrivata quella indiana.
C’è da essere fiduciosi sull’apertura di un negoziato? Tutto il sistema politico e mediatico scommette sulla sua impraticabilità, pur se in qualche momento di lucidità ne ravvisa l’improcrastinabilità, dato che Kiev è allo stremo e ancor più lo sono le finanze europee. A sostegno deciso di un’ipotesi che vorrebbe la fine della guerra in Aprile, arriva ora una notizia di assoluto interesse.
Il più grande fondo speculativo del mondo, Blackrock, il cui peso è dato dal volume dei suoi affari (ottomila miliardi di Dollari in portafoglio) e dalla rinomata influenza sulla politica statunitense, lavora alla raccolta fondi per la ricostruzione post-bellica dell’Ucraina. Le stime minori per rimettere in piedi il Paese arrivano a 350 miliardi di Dollari, quelle più pesanti si spingono a mille miliardi di Dollari.
Per la Blackrock sarebbe uno dei più colossali affari di questo decennio e, di fronte a questa prospettiva, non c’è afflato ideologico statunitense che tenga il confronto.
L’eventualità che ciò si realizzi rappresenterebbe una nuova applicazione sul campo della strategia “distruggi e terrorizza” poi divenuta “distruggi e ricostruisci”, iniziata con la prima guerra in Irak. La strategia prevede la distruzione dei paesi ostili a Washington, che oltre a liberarsi di avversari politici che questionano la sua legittimità di dominare il mondo a loro esclusiva convenienza, produce prima un gran guadagno per il settore bellico, volano centrale dell’economia statunitense, poi un business altrettanto grande per la ricostruzione di quello che prima si è distrutto.
Infatti, la fine delle ostilità si chiude sempre con in allegato un contratto che favorisce le multinazionali estrattive e le aziende di costruzione statunitensi, ai quali si aggiungono poi succosi contratti che il Pentagono firma con le società di mercenari incaricata di vegliare sul personale civile e diplomatico statunitense durante tutti gli anni della ricostruzione. I becchini si fanno medici: il tritolo di ieri diventa il cemento di domani.
La strategia del “distruggi e ricostruisci” è quindi portatrice per gli USA di grandi successi economici, oltre che geopolitici, ed è appunto legata ai successi militari a stelle e strisce. Infatti è fallita solo in Afghanistan e Siria, dove gli Stati Uniti hanno raccolto figuracce e disseminato il campo di mine e fughe. A Kabul sono stati letteralmente cacciati da alcune migliaia di uomini in ciabatte e turbante, a Damasco invece – aiutati da Iran e Hezbollah, oltre che dai siriani – ci hanno pensato i russi, che sono intervenuti ed hanno sbaraccato in poco tempo l’Isis e tutta la Nato.
Le tasche piene dei soliti noti
Dal punto di vista politico, economico e militare gli USA non usciranno comunque dall’Ucraina. La Monsanto (ora Bayern) resterà proprietaria della quota enorme di terra ucraina ottenuta praticamente in forma gratuita. Si è fantasticato in propaganda sull’impatto che l’assenza di grano ucraino sul mercato avrebbe sulla crisi alimentare africana, ma era una colossale fake news. I raccolti ucraini vanno per il 95% in Europa, in Africa solo va il 5% degli stessi.
L’acquisizione di campi coltivabili fu semplice, non certo un ricordo nobile per la sovranità ucraina. Monsanto ha preso le terre, i diritti di sfruttamento e persino i finanziamenti internazionali per la produzione, che l’Ucraina richiedeva e gli statunitensi incassavano. Secondo una interrogazione parlamentare di Die Linke al Bundestag, ci fu una linea di credito da 17,000 milioni di dollari concessa all’Ucraina nel 2014 da parte delle istituzioni finanziare internazionali guidate dal Fondo monetario internazionale e il denaro utilizzato da Kiev per far ripartire le coltivazioni. Se le accuse di Die Linke fossero vere, saremmo al paradosso di un governo che riceve finanziamenti che poi dà alle imprese straniere per fare landgrabbing in casa propria.
Idem dicasi per i 37 laboratori biologici per la guerra batteriologica aperti e gestiti dai militari USA in territorio ucraino. Secondo il Cremlino il Pentagono ha finanziato la modernizzazione di almeno sessanta laboratori biologici segreti lungo i confini cinese e russo e il ministero degli Esteri cinese afferma che dispone dei dati che mostrano che Washington ha 336 laboratori sotto il suo controllo in 30 stati al di fuori della giurisdizione nazionale.
Si ricordi che gli esperimenti sul guadagno di funzione, cioè gli studi che permettono di modificare geneticamente un virus animale al fine di trasformarlo in un patogeno che possa essere trasmesso da uomo a uomo, sono vietati negli Stati Uniti dal 2014. In questo l’Ucraina è una cuccagna: agli statunitensi i risultati degli esperimenti, agli ucraini i rischi di possibili contaminazioni.
I laboratori resteranno saldamente nelle mani statunitensi, così come saranno gli Stati Uniti i maggiori creditori dell’Ucraina, che dovrà passare l’eternità a risarcire Washington per le forniture di armamenti, che tutti fanno finta di credere siano aiuti quando in realtà sono contratti di vendita.
Dovranno rinunciare, forse, alle ricche miniere del Donbass ed ai relativi affari di Hunter Biden, che andrà a tirare crack altrove. Del resto il potere d’interdizione del Presidente Biden non sarà più quello avuto fino ad ora; le elezioni di middle term e la sua demenza avanzata lo rilegano ormai a un puro ruolo raffigurativo. La stessa ridicola cerimonia di Zelensky al Congresso con l’esultanza di congress-man democratici ormai scaduti e la presenza di solo 70 dei 238 senatori repubblicani, è stata in qualche modo il canto del cigno di Biden più che l’inizio di una nuova era. La pagliacciata sulla minaccia russa è servita soprattutto a sostenere l’enorme aumento del budget per le spese militari, portate alla stratosferica somma di 858 miliardi di Dollari (addirittura 45 in più di quelli richiesti dalla Casa Bianca!), record assoluto nella storia statunitense e indicatore di direzione per la prossima guerra alla Cina.
Un simile aumento di budget sembra anche ignorare i risultati di un audit interno, che rivela come il Pentagono non sappia dove siano andati a finire 6500 miliardi di Dollari, circa il 40% del PIL degli USA. Denari dei cittadini di cui mancano i rendiconti, che risultano “dispersi in azione”.
E se la lobby delle armi viene soddisfatta anche quella del petrolio avrà soddisfazione. La guerra voluta dagli USA ha ottenuto il principale risultato che si prefiggeva: bloccata la partnership commerciale tra Russia ed Europa, fine delle forniture energetiche che consentivano lo sviluppo dei paesi UE, blocco delle attività finanziarie e rottura delle relazioni politiche. La dipendenza europea dalla Russia è diventata dipendenza dagli Stati Uniti e dal loro gas liquido, di scarsa quantità, minor qualità e maggior prezzo.
Firmare una pace ma continuare la guerra
A questo punto, il proseguimento della guerra così com’è non avrebbe senso, i risultati che si volevano ottenere si sono ottenuti. Mosca è lontana dall’Occidente ed è sempre più ancorata ad Oriente. La pressione militare della Nato sulla Russia resterebbe alta e, anche se gli accordi di pace dovessero prevedere Crimea e Donbass come territori russi, il risultato sarebbe quello di mettere altri 300, utilissimi, chilometri tra Mosca e la linea del fronte ucraino. L’addio scontato alla nato da parte di Kiev potrà essere sostituito dall’abbraccio mortale della UE, così i drammi sociali e i costi del ripristino dell’economia ucraina verranno pagati dagli europei.
Continuare una guerra convenzionale sarebbe un enorme onere per Washington e Bruxelles senza nessuna possibilità di vittoria sul campo. Di contro, addestrare, armare e finanziare i gruppi neonazisti incaricati di continuare le azioni militari anche dopo il raggiungimento di un accordo di pace, costerebbe poco e renderebbe molto. Un po’ quello messo in opera dal 2014 al 2022 con gli Accordi di Minsk, il cui rispetto è stato una burla, serviva solo ad avere tempo per costruire l’esercito ucraino, come ha candidamente confessato Angela Merkel.
Nelle teste d’uovo del Pentagono e di Langley si prospetta uno scenario nel quale l’Ucraina viene ridotta sensibilmente nelle sue dimensioni, creando così una corrente politico-militare che non riconosce gli accordi e sceglie la via del conflitto. Si creerebbe così un modello di guerriglia permanente come quello dei mujaheddin afghani e dei ceceni, che tennero Mosca impegnata militarmente per anni, senza altro scopo che fiaccarla e metterla nelle condizioni di dirottare le risorse del comparto bellico orientato sulla guerra a bassa intensità, più che su quella convenzionale e nucleare che preoccupa USA e UE.
Perché come sempre avviene dopo un conflitto che ha radici lontane, la pace non comporta la pacificazione. Soprattutto se gli sponsor della guerra continuano a soffiare sul fuoco del terrore.
Siamo costretti a scrivere quel che nessuno vuol dire. Ci esimeremmo volentieri dal compito se nell’Informazione ci fosse almeno qualcuno capace di staccarsi dal coro per esprimere idee degne di merito. I media, chi più chi meno, sono concordi nell’affermare che la guerra in corso ha un aggredito e un aggressore. Pure chi ha capito che così non si può andare avanti, che per Kiev è meglio trattare, che l’Occidente non può inviare armi sine die perché non conviene all’Europa, non lesina giudizi sprezzanti sul tiranno di Mosca e sulla sua invasione. Ma trattasi di menzogna bella e buona. Per otto anni gli ucraini hanno bombardato e discriminato le popolazioni russofone delle loro province orientali. Hanno colpito per primi e ora stanno subendo la reazione che deve essere sproporzionata per non prolungare le sofferenze di tutti e ben al di là di quel contesto ristretto. I mezzi d’informazione allora non c’erano, preferivano voltarsi dall’altra parte ma questo non significa che quegli avvenimenti non stessero accadendo. I giornalisti sono troppo abituati a fabbricare i fatti tanto da giungere a credere che se non sono loro a produrli questi non esistano. Dunque, da un lato abbiamo i filo americani che tifano per la guerra perché devono obbedire al padrone il quale garantisce la loro condizione e dall’altro i filo moralisti che s’illudono di trasformare la pace in un’arma.
Ma la pace non è nulla, non esiste se non come descrizione di illusi o retorici. Ciò che viene dopo qualsiasi conflitto acuto si chiama ordine. Questo può essere stabile o più labile, in ogni caso è sempre precario, non dura per sempre perché il conflitto è ineliminabile dalle nostre società e agisce come un flusso continuo anche e soprattutto sotto traccia. La pace perpetua è quello a cui gli uomini anelano perché sono posti di fronte al conflitto costante. Quest’ultimo è la realtà mentre la prima fa parte di un mondo immaginario ma agli esseri umani piace credere che il concreto sia solo una proiezione delle loro astrazioni.
L’inseguimento di questa pace universale può diventare un problema quando alimenta sentimenti di ignavia e di vagheggiamenti che rimbambiscono i popoli. Chi si serve di queste chimere generalmente strumentalizza la credulità altrui per bassi fini di consenso elettorale. I guerrafondai a rimorchio degli stranieri sono sicuramente una razza peggiore ma non sottovaluterei gli ipocriti dell’irenismo la cui volontà di obnubilare le menti non è da meno.
Pertanto è meglio essere chiari e precisi sul senso degli accadimenti. “Perché la guerra non è lo scatenamento di sentimenti disumani, un orrore ingiustificabile per esseri razionali come gli uomini. E’ invece il mezzo che alla fine diventa necessario per mettere di nuovo ordine (mai completo, ma accettabile) nell’organizzazione della formazione generale (mondiale). Quindi la guerra è una delle modalità della Politica.
Quando la guerra ha deciso il nuovo ordine mondiale, ha semplicemente definito la nuova gerarchia di potere tra i vari paesi, gerarchia che assicuri un periodo di “pace”, che non è altro che lo scatenamento di conflitti meno acuti e non condotti con mezzi di distruzione e di uccisione di molti esseri umani. Ma anche il conflitto detto “guerra” dovrà sempre esistere finché c’è vita. Una vera pace universale c’è solo con la morte generale di tutto ciò che esiste. Non c’è un solo organismo al mondo, fosse pure la piccola molecola, in cui non c’è conflitto finché c’è vita. Vogliamo infine capirlo? Questo non significa amare la guerra, che conduce certo a drammi e dolori di immane portata. Significa solo prendere atto e capire che il dramma e il dolore sono parte essenziale della vita in “questo mondo”. Chi crede nell’“altro”, rinvii a quello ogni speranza di pace e amore; e si rassegni a quanto avviene in questo mondo e vi prenda parte.
Siamo dinanzi ad una guerra infinita? Quello russo – ucraino è in effetti un conflitto il cui esito e la cui durata non sono prevedibili. Questa guerra tra USA e Russia è un confronto geopolitico in cui sono in gioco i nuovi equilibri mondiali.
Dopo il fallimento della guerra – lampo, l’estensione della Nato nel mar Baltico con l’ingresso di Svezia e Finlandia ed i recenti arretramenti russi dinanzi alla controffensiva ucraina, le difficoltà della Russia sono evidenti. Ma Putin non può perdere la guerra, poiché la sua leadership non sopravvivrebbe alla sconfitta. Né è pensabile una pace che comporti il consolidamento delle posizioni russe del 2014 nella Crimea e nelle province russofone orientali dell’Ucraina. Si tratterebbe in tal caso di riproporre soluzioni già previste dagli accordi di Minsk, peraltro disattesi dell’Ucraina. E un simile accordo si tramuterebbe per Putin in una sconfitta. Pertanto Putin, attraverso la mobilitazione parziale vuole compattare il fronte interno e con l’aggravarsi della crisi energetica dell’Europa, vuole esercitare pressioni sull’Occidente per giungere ad una trattativa con gli USA, data la riscontrata impossibilità di una vittoria sul campo.
Improbabili appaiono altresì le velleità di Zelenski e dei paesi dell’est europeo circa il perseguimento di una guerra ad oltranza con l’obiettivo di sconfiggere la Russia, destabilizzarne le istituzioni e determinarne un suo successivo smembramento. L’Ucraina è totalmente dipendente dal sostegno bellico della Nato. La dissoluzione della Russia non rientra nelle strategie americane. Si verrebbe a creare un vuoto geopolitico in un immenso territorio che, diviso in tanti stati, sarebbe impossibile da controllare, specie per quanto concerne la probabile dispersione degli armamenti nucleari russi. Con la crisi energetica potrebbero sorgere nel prossimo futuro conflittualità interne all’Europa difficilmente governabili. E gli USA non possono permettersi di perdere l’Europa per sostenere la guerra dell’Ucraina. Gli americani inoltre, temono una escalation del conflitto che potrebbe comportare un intervento diretto della Nato. Dopo la sconfitta umiliante in Afghanistan (l’ultima di una lunga serie), l’opinione pubblica americana è refrattaria a farsi coinvolgere in nuove guerre. Anzi, l’opposizione repubblicana, alla vigilia delle elezioni di medio termine, imputa alla presidenza Biden l’eccessiva spesa militare a sostegno dell’Ucraina.
La Russia attualmente vuole negoziare una tregua, come anche l’Europa centrale, mentre l’Ucraina e l’Europa dell’est propendono per una guerra ad oltranza. Gli USA necessitano della russofobia quale storico elemento di contrapposizione ideologica al primato americano nel mondo, ma al contempo questa guerra distoglie gli Stati Uniti dalla loro priorità strategica, quella del contenimento della Cina. Gli americani sono dunque arbitri esclusivi della pace e della guerra?
Tre elementi tuttavia si oppongono ad ogni possibile prospettiva di negoziato. 1) L’attuale conflitto è nei fatti una guerra civile tra russi ed ucraini, che ha innescato una spirale di odio irriducibile tra i due popoli. 2) Con l’estensione della Nato ad est e la trasformazione dell’Ucraina in un avamposto strategico armato occidentale, accordi che prevedano uno status di neutralità dell’Ucraina sono impossibili. 3) L’annessione alla Russia delle regioni di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Luhansk è un atto che preclude qualsiasi possibilità di ripristino dello status quo del 2014. Si deve quindi concludere che attualmente ogni prospettiva di pace appare impossibile.
Gli USA non vogliono la vittoria dell’Ucraina ma il controllo dell’Europa
Fino a che punto gli americani sono disposti a sostenere l’Ucraina? Non vogliono certo ingaggiare un conflitto diretto con la Russia. La stessa minaccia nucleare potrebbe costituire un valido strumento propagandistico per indurre le parti in conflitto ad una trattativa. Pertanto il conflitto non dovrà essere esteso oltre i confini dell’Ucraina. L’obiettivo primario degli americani non è quello ottenere una vittoria dell’Ucraina, ma il controllo dell’Europa.
E’ del resto assai improbabile che l’Ucraina possa riconquistare interamente i territori occupati dai russi, nonostante i successi conseguiti nella recente controffensiva. L’avanzata ucraina è stata resa possibile dalle rilevanti forniture di armamenti americani. Non si sa comunque fino a che punto la controffensiva ucraina potrà spingersi nella riconquista dei territori occupati. Gli USA hanno fornito all’Ucraina 16 sistemi di artiglieria Himars (ed è in programma l’invio di altri 18), oltre ai carri armati Abrams. Ma tali armamenti tecnologicamente sofisticati necessitano di lunghi tempi di produzione, valutabili in alcuni mesi se non anni. Tali armamenti saranno prodotti per la prima volta in Europa e non negli USA. Gli americani non possono lasciare sguarnito il loro arsenale di scorte armate in patria per evidenti motivi di sicurezza. Un eccessivo sostegno militare all’Ucraina potrebbe compromettere l’azione di contenimento americana nei confronti della Cina nell’area dell’indo – Pacifico riguardo al contenzioso per Taiwan.
L’elettorato americano è largamente contrario ad una escalation del conflitto e, data la attuale impennata inflazionistica con conseguente ondata recessiva incombente, le eccessive spese militari dell’amministrazione Biden non riscuotono molto consenso popolare. Gli Stati Uniti hanno sostenuto spese militari a sostegno dell’Ucraina per 16 miliardi di dollari in 7 mesi, contro i 4 erogati ogni anno a Israele gli 1,3 all’Egitto.
La guerra, la crisi energetica, l’inflazione galoppante e la recessione economica sono fattori destinati a generare gravi conflittualità sociali e instabilità politica in Europa. Gli USA, onde scongiurare fratture tra i paesi europei membri della Nato, potrebbero essere indotti ad una soluzione negoziata del conflitto ucraino. Aggiungasi che da una conflittualità interna all’Europa potrebbe trarne vantaggio lo stesso Putin.
Si rileva inoltre che la russofobia imperante nei media occidentali costituisce una formidabile arma di distrazione di massa, atta a distogliere il dissenso politico e sociale dilagante tra i popoli dell’Occidente, per dirottarlo contro la Russia, “stato canaglia” di turno.
E’ noto che la finalità strategica americana nella guerra ucraina è quella di logorare economicamente e militarmente la Russia. Questa guerra è da considerarsi una fase della strategia geopolitica americana che prevede la penetrazione della Nato in Eurasia e l’accerchiamento della Russia. Ne sono la prova il recente conflitto tra Azerbaigian e Armenia e i disordini verificatisi in Kazakistan. Tuttavia un eccessivo prorogarsi della guerra a cui sia gli USA che la Cina non sono in grado di porre fine, potrebbe condurre al logoramento non solo della Russia, ma dello stesso Occidente. La Cina potrebbe trarre profitto da un prolungato conflitto russo – ucraino che comportasse un eccessivo impegno sia militare che finanziario da parte americana. E si deve inoltre rammentare che contenimento della Cina rappresenta una priorità strategica per gli USA. Come afferma Michael Kimmage in una intervista pubblicata sul numero 9/2022 di Limes: “Inoltre, esiste un desiderio cinese di vedere l’Europa, gli Stati Uniti e la Russia indebolirsi insieme a causa di questo conflitto. Nonostante le dichiarazioni a Samarcanda, credo che Xi auspichi un risultato della guerra d’Ucraina simile a quello della prima guerra mondiale, dove tutte le potenze coinvolte riemersero infiacchite, lasciando la Cina unica beneficiaria. Nel frattempo, cercherebbe di trarne vantaggio. Per esempio nel Sud del mondo, visto il discredito della leadership americana. La Repubblica Popolare potrebbe ergersi a isola di stabilità in un emisfero caotico. Quindi in una certa misura è probabile che anche Pechino ritenga una guerra lunga nei propri interessi”. Occorre tuttavia osservare che la Cina teme che uno stato di guerra prolungato possa determinare una grave recessione economica nell’Occidente, che inciderebbe gravemente sul suo export, già danneggiato dalla chiusura della via della seta in Ucraina, che rappresenta la principale via di transito commerciale nelle relazioni economiche tra la Cina e l’Europa. Inoltre, un eccessivo indebolimento della Russia potrebbe compromettere gravemente la sicurezza dei confini settentrionali della Cina e depotenziarla nel contenzioso con gli USA nell’area dell’indo – Pacifico.
La strategia occidentale di logoramento della Russia attuata mediante le sanzioni si è rivelata fallimentare. Anzi, dalle sanzioni alla Russia ne esce penalizzata maggiormente l’economia europea in termini di inflazione e caro energia, rispetto a quella russa. La stessa URSS, colpita dalle sanzioni, seppe sviluppare grandi capacità di resistenza e suscitare nel popolo russo un grande patriottismo contro l’aggressore occidentale. L’esclusione della Russia dal sistema interbancario swift ha sviluppato la diffusione di sistemi di pagamento alternativi nei paesi non occidentali. Le sanzioni, con l’esclusione dal mercato interno delle merci importate, si tramutano nei paesi sanzionati in formidabili incentivi allo sviluppo della produzione nazionale. Ma soprattutto le sanzioni, comportando la confisca dei patrimoni e il congelamento dei depositi nei confronti della Russia, hanno generato la sfiducia negli USA e nel dollaro da parte dei paesi non occidentali. In tali paesi si è diffusa da tempo la convinzione secondo cui, in caso di dissenso nei confronti della politica estera americana nel mondo, si vedrebbero minacciati nella loro sovranità sia economica che politica.
E’ in corso pertanto un processo di dedollarizzazione dell’economia mondiale che ha comportato negli anni la riduzione delle riserve valutarie in dollari presso le banche centrali dal 70% al 52%. Si diffonde sempre più il commercio nelle valute nazionali tra i paesi non occidentali. Mediante le fluttuazioni del dollaro, che è valuta di riserva mondiale, gli USA hanno fatto sempre fronte alle proprie crisi esportando recessione e debito nei paesi europei. L’attuale rincorsa della BCE al rialzo dei tassi della FED condurrà l’Europa alla recessione e al suo dissanguamento finanziario. L’Europa atlantica è oggi dipendente sia dal punto di vista energetico che finanziario dall’area del dollaro. Ma l’Europa stessa con l’euro potrebbe creare un proprio sistema economico e finanziario alternativo al dollaro come lo sono l’EAEU (Eurasian Economic Union) e lo SCO (Shanghai Cooperation Organization). Ma, come afferma Fabio Mini nel suo saggio “Le guerre dentro e per l’Ucraina” pubblicato nel libro “Ucraina 2022” a cura di Franco Cardini, Fabio Mini e Marina Montesano, edito da “La Vela” 2022: “C’è abbastanza per far ragionare tutti, e in particolare Stati Uniti ed Europa. Senon fosse per la debolezza politica interna, se si liberasse della sudditanza nei confronti americani e seassumesse la responsabilità della propria sicurezza, l’Unione europea potrebbe diventare la potenza equilibratrice per tutto l’Occidente e perfino per Russia e Cina. L’euro potrebbe diventare la moneta internazionale in grado di rappresentare finalmente un’economia reale solida ancorché minacciata dai trucchi finanziari, dalle bolle speculative e dai vari quantitative easing. Ma quei “se” pesano come macigni.
Germania: la grande sconfitta
La guerra russo – ucraina ha determinato la rottura dei rapporti politici ed energetici tra Germania e Russia. Con i sabotaggi del Nord Stream 1 e 2, che hanno estromesso le forniture di gas russo dall’Europa, è venuto meno il ruolo della Germania quale paese distributore di gas in Europa. La Germania è stata infatti soppiantata dalla Polonia, che ha inaugurato in concomitanza con gli attentati il gasdotto Baltic Pipe, con cui verrà importato il gas norvegese che poi verrà distribuito dalla Polonia stessa in Europa. Inoltre, la Turchia e la Russia hanno recentemente concluso un accordo per la costruzione di un hub energetico per esportare gas russo in Europa e paesi terzi. Alla dipendenza russa si è quindi sostituita quella polacca. La debacle della Germania è evidente.
Ma la svolta epocale verificatasi nella politica tedesca con la crisi ucraina è costituita dalla fine della Ostpolitik. All’inizio degli anni ’70 il cancelliere Brandt inaugurò una nuova stagione politica per la Germania, con il riconoscimento della DDR e l’instaurazione di una politica di distensione con i paesi dell’est europeo, in particolare con l’URSS. La Ostpolitik ha garantito una lunga fase di sviluppo economico alla Germania ed ha creato una interdipendenza sia nel campo energetico che commerciale con la Russia. Ma la Germania ha sempre dovuto fronteggiare l’ostilità americana e inglese riguardo al rapporto privilegiato con la Russia. Gli USA hanno sempre osteggiato la nascita di una potenza europea autonoma dalla Nato.
Pertanto, a seguito della rottura dei rapporti energetico – commerciali con la Russia, la Germania ha assunto una nuova dimensione nella politica estera. La Germania, da potenza economica sarà trasformata anche in potenza militare nell’ambito della Nato. E’ stato varato dal governo Scholz un programma di riarmo per 100 miliardi di euro in 4 anni.
La fine della Ostpolitik comporterà anche la fine di un modello tedesco che ha fatto assurgere la Germania a potenza economica mondiale. La potenza tedesca si basava: 1) Sull’importazione di energia a basso costo dalla Russia. 2) Sull’export verso la Cina. 3) Sui suplus commerciali realizzati nella UE, a discapito degli altri paesi europei. Tali fattori di sviluppo sono dunque venuti meno. I rincari energetici e l’inflazione genereranno la crisi dell’export tedesco e difficilmente potrà ancora sussistere quel modello di sviluppo imposto anche alla UE, fondato su bassi costi energetici, compressione salariale, contenimento della domanda interna e avanzi commerciali. Onde salvaguardare l’export verso la Cina, la Germania effettuerà la cessione alla cinese Cisco del 25% del porto di Amburgo. La Germania è stata inoltre penalizzata nell’export dell’auto verso gli USA da un piano di incentivi alla produzione di auto elettriche di carattere protezionistico recentemente varato da Biden. La nuova Germania, seppur riconvertita all’Occidente con la rottura delle relazioni con la Russia, dovrà comunque fronteggiare l’ostilità americana riguardo ai rapporti con la Cina.
Il varo da parte di Scholz di un piano di 200 miliardi di finanziamenti per far fronte al caro energia, che darà luogo a rilevanti distorsioni della concorrenza nell’ambito della UE, produrrà profonde conflittualità con gli altri paesi della UE. E la crisi dell’export tedesco si ripercuoterà nella UE, data l’interdipendenza economica tedesca con gli altri paesi europei (specialmente con l’industria italiana). E’ evidente che la Germania esporterà in Europa inflazione e recessione economica.
Dalla fine del modello economico tedesco scaturirà alla lunga anche la dissoluzione della UE. La Germania non mira ad assumere la leadeship politica della UE. Vuole semmai trasformarsi un una “grande Svizzera”, tesa alla protezione dei suoi interessi economici e finanziari, a salvaguardare il benessere dei suoi cittadini ma diverrà un paese concentrato esclusivamente nei suoi egoismi nazionali e soprattutto regionali. La Germania vuole preservarsi nella sua dimensione post – storica assunta dal dopoguerra in poi nell’ambito della Nato. Ma non potrà estraniarsi dalla storia e tanto meno restare esclusa dai mutamenti geopolitici in atto su scala globale. Sarà infatti il divenire incessante della storia a coinvolgere, seppur passivamente, la Germania nel contesto delle trasformazioni dell’ordine mondiale del prossimo futuro.
E’ assai significativa l’analisi di Lucio Caracciolo espressa in un recente video sul blog di Limes: “E’ presto per stabilire chi vincerà la guerra tra Russia e Ucraina. Ma un grande sconfitto c’è ed è la Germania”.
La colonizzazione dell’Ucraina
L’Ucraina è da decenni un paese in declino. La sua popolazione in 30 anni è scesa da 52 milioni (1991) a 41 milioni (2021), con relativa fuga di cervelli e smembramento delle sue istituzioni culturali e scientifiche. Le sue risorse naturali e il suo export agroalimentare sono stati acquisiti da multinazionali e fondi di investimento occidentali.
Non si deve credere peraltro che il sostegno armato occidentale sia stato erogato a favore dell’Ucraina per ragioni ideali o con finanziamenti filantropici. L’Ucraina usufruisce degli aiuti occidentali a fronte della cessione di 12 miliardi di dollari di riserve auree agli Stati Uniti, come si rileva da un articolo di Drago Bosnic pubblicato sul blog “Bye Bye Uncle Sam”: “Attualmente, poiché in Ucraina è rimasto molto poco da saccheggiare, il regime di Kiev ha deciso di cedere le ultime vestigia di ricchezza nazionale: le sue riserve d’oro. Secondo Gold Seek, il regime di Kiev ha recentemente consegnato agli Stati Uniti almeno 12 miliardi di dollari di riserve auree ucraine. Sembra che quelle potrebbero essere le ultime riserve auree rimaste al Paese.
Da quando la Russia iniziò la sua operazione militare speciale a febbraio, la politica occidentale, guidata dagli Stati Uniti, si è appropriata di decine di miliardi di dollari di valuta estera e riserve auree dell’Ucraina. Dopo aver ricevuto decine di miliardi di dollari in cosiddetti “aiuti militari”, oltre a finanziamenti per le istituzioni governative, il regime di Kiev è stato costretto a rinunciare alle sue riserve d’oro come condizione per tutta l’”assistenza” statunitense e dell’UE”.
E’ già stato programmato peraltro dall’Occidente un grandioso business per la ricostruzione dell’Ucraina. Questa guerra avrà come epilogo la colonizzazione economica e politica dell’Ucraina. Le multinazionali occidentali mirano infatti ad appropriarsi delle riserve di gas scisto presenti nel sottosuolo ucraino, valutabili in 1,2 milioni di metri cubi di gas.
A guerra conclusa il popolo ucraino non tarderà a prendere coscienza di come la sciagurata scelta di Zelenski a favore della Nato abbia comportato la svendita del paese all’Occidente.
Dalle ceneri della UE nascerà una nuova Europa
L’unità europea nella Nato in funzione antirussa è un mito mediatico destinato a dissolversi dinanzi alla realtà. Varie aree continentali e blocchi di stati di diverso orientamento geopolitico sussistono nell’ambito della Nato. Gli stati dell’Europa orientale sono storicamente russofobi, considerano la Russia una minaccia esistenziale e sono determinati ad una guerra ad oltranza, non temendo nemmeno una sua escalation. Per l’Europa centrale invece le relazioni con la Russia sono state essenziali per il suo sviluppo economico. Poiché la crisi energetica potrebbe provocare una crisi strutturale del suo sistema economico, propendono per una pace negoziata con la Russia. L’Europa dell’anglosfera, costituita dalla Gran Bretagna e dai paesi scandinavi è ormai parte integrante dell’area geopolitica atlantica e condividono con gli USA la strategia di contenimento di Russia e Cina su scala globale.
In realtà gli USA hanno conseguito in questa guerra un rilevante successo strategico: quello di provocare la rottura delle relazioni tra l’Europa e la Russia e di ricondurre la UE nella sfera atlantica. Infatti gli USA hanno sempre avversato ogni politica europea volta alla collaborazione con la Russia, che comportasse l’emergere di una singola potenza europea o peggio, di un blocco continentale che si affrancasse dal dominio americano sull’Europa. Gli interventi americani in Europa nelle due guerre mondiali costituiscono i precedenti storici di questa strategia.
Con tutta probabilità il fronte europeo della Nato è destinato a spaccarsi. Con l’arrivo dell’inverno la crisi energetica accentuerà i suoi effetti, generando recessione economica e conflittualità politico – sociali che potrebbero condurre alla destabilizzazione interna degli stati dell’Europa centrale e mediterranea. Come afferma Dario Fabbri sul numero 7/2022 della rivista “Domino”: “Se l’armata russa può contare soltanto sulla popolazione della Federazione, sul timore di subire un’umiliazione, sul patologico legame con le terre occupate, il campo ucraino è appeso al soccorso proveniente da ovest, militare, economico, diplomatico.
Retroguardia che, in piena bufera, potrebbe repentinamente collassare. Per eclatante choc energetico, se non addirittura nucleare. Per inclinazione a fare da sé nei momenti decisivi. Per il rabbioso scorno degli americani. I prossimi mesi sperimenteranno il tasso di sopportazione degli europei occidentali, quelli meno convinti tra i sostenitori della causa ucraina, a differenza degli ex paesi comunisti, ancestralmente antirussi. L’aggravarsi della questione gasiera provocherà profonde lacerazioni alle nostre latitudini, dentro paesi post-storici usi a studiare gli eventi con lenti economicistiche, maneggiando il bilancino dei costi e dei benefici”.
Profonde lacerazioni si profilano all’interno dell’Europa: la UE è destinata a sfaldarsi. Quindi, onde evitare la frammentazione europea, gli americani assumeranno il ruolo di mediatori interni tra blocchi contrapposti. La governance politica dell’Europa sarà dunque devoluta agli USA, con una UE ormai in fase di dissoluzione.
Questa guerra produrrà fratture insanabili all’interno dell’Europa. Occorre dunque ripensare l’Europa, acquisendo la coscienza dell’artificialità delle barriere novecentesche tra oriente e occidente, che si rivelano ormai antistoriche. L’Europa rinnega se stessa, nella misura in cui non si percepisce come continente eurasiatico, in cui convivono da sempre popoli diversi, dotati di una propria identità specifica, ma accumunati da un unico destino. E’ altresì evidente il fallimento della UE, quale unione fondata esclusivamente su interessi economici e quindi destinata a dilaniarsi in conflittualità interne insanabili.
I confini di una nuova Europa non corrisponderanno più con quelli geografici. Accanto all’Europa carolingia, dovrà emergere la centralità dell’Europa mediterranea, protesa a coinvolgere anche i popoli del nord Africa e del medio oriente, in virtù delle comuni radici storiche e spirituali. E’ la sola Europa possibile. I paesi dell’anglosfera e del Baltico appartengono ormai ad altre aree sia culturali che geopolitiche non compatibili con il processo di unificazione europea. La configurazione di una possibile nuova Europa è magistralmente delineata da Franco Cardini in una recente intervista rilasciata a “La Verità”: “Fin dal Novanta al crollo dell’URSS avevano promesso a Gorbaciov che la Nato non sarebbe avanzata neppure di un pollice. Si sono mangiati tutta l’Europa orientale. Stiamo presentando il mondo con il confine Occidente dove sta il bene e Oriente dove sta il male. Ma questo confine non c’è: esiste una dimensione euro-afro-asiatica, ci doveva essere e dovevamo ribadire e difendere la centralità del Mediterraneo forte di una enorme tradizione. Invece ci troviamo a considerare gli americani come fossero i fratelli della porta accanto, i russi come criminali, i cinesi chissà come e nel frattempo ci siamo impoveriti e diventiamo sempre più succubi”.
Ciò che spinge la Cina e la Russia è che prima o poi saranno loro a governare l’Heartland.
Il discorso del Presidente Xi Jinping, durato 1h45min, all’apertura del 20° Congresso del Partito Comunista Cinese (CPC) presso la Grande Sala del Popolo di Pechino, è stato un coinvolgente esercizio di informazione del passato recente sul futuro prossimo. Tutta l’Asia e tutto il Sud globale dovrebbero esaminarlo attentamente.
La Sala Grande era sontuosamente addobbata con striscioni rosso vivo. Uno slogan gigante appeso in fondo alla sala recitava: “Lunga vita al nostro grande, glorioso e corretto partito”.
Un altro, in basso, fungeva da riassunto dell’intera relazione:
“Tenere alta la grande bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi, attuare pienamente il Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era, portare avanti il grande spirito fondatore del partito, unirsi e lottare per costruire pienamente un Paese socialista moderno e promuovere pienamente il grande ringiovanimento della nazione cinese”.
Fedele alla tradizione, il rapporto ha delineato i risultati ottenuti dal PCC negli ultimi 5 anni e la strategia della Cina per i prossimi 5 – e oltre. Xi prevede “feroci tempeste” in arrivo, interne ed estere. Il rapporto è stato altrettanto significativo per ciò che non è stato detto o lasciato sottilmente intendere.
Tutti i membri del Comitato centrale del PCC erano già stati informati del rapporto – e lo avevano approvato. Trascorreranno questa settimana a Pechino per studiare i dettagli e sabato voteranno per l’adozione. A quel punto verrà annunciato un nuovo Comitato Centrale del PCC e verrà formalmente approvato un nuovo Comitato Permanente del Politburo, i sette che governano davvero.
Questo nuovo schieramento di leadership chiarirà i volti della nuova generazione che lavoreranno a stretto contatto con Xi, oltre a chi succederà a Li Keqiang come nuovo Primo Ministro: quest’ultimo ha terminato i suoi due mandati e, secondo la Costituzione, deve dimettersi.
Nella Sala Grande sono presenti anche 2.296 delegati che rappresentano gli oltre 96 milioni di membri del PCC. Non sono semplici spettatori: durante la sessione plenaria che si è conclusa la scorsa settimana, hanno analizzato in profondità ogni questione importante e si sono preparati per il Congresso nazionale. Votano le risoluzioni del partito, anche se queste vengono decise dai vertici del partito a porte chiuse.
I punti chiave
Xi sostiene che negli ultimi 5 anni il PCC ha fatto progredire strategicamente la Cina, rispondendo “correttamente” (terminologia del Partito) a tutte le sfide estere. In particolare, i risultati chiave includono la riduzione della povertà, la normalizzazione di Hong Kong e i progressi nella diplomazia e nella difesa nazionale.
È significativo che il ministro degli Esteri Wang Yi, seduto in seconda fila, dietro ai membri del Comitato permanente in carica, non abbia mai staccato gli occhi da Xi, mentre gli altri leggevano una copia del rapporto sulla loro scrivania.
Rispetto ai risultati ottenuti, il successo della politica “Zero-Covid” ordinata da Xi rimane molto discutibile. Xi ha sottolineato che ha protetto la vita delle persone. Ciò che non ha potuto dire è che la premessa della sua politica è trattare il Covid e le sue varianti come un’arma biologica statunitense diretta contro la Cina. Ovvero, una seria questione di sicurezza nazionale che ha la meglio su qualsiasi altra considerazione, persino sull’economia cinese.
Il Covid zero ha colpito duramente la produzione e il mercato del lavoro e ha praticamente isolato la Cina dal mondo esterno. Un esempio lampante: I governi distrettuali di Shanghai stanno ancora pianificando l’azzeramento del Covid in un arco di tempo di due anni. Lo zero-Covid non sparirà presto.
Una grave conseguenza è che l’economia cinese crescerà sicuramente quest’anno meno del 3% – ben al di sotto dell’obiettivo ufficiale di “circa il 5,5%”.
Vediamo ora alcuni dei punti salienti del rapporto Xi.
Taiwan: Pechino ha iniziato “una grande lotta contro il separatismo e le interferenze straniere” a Taiwan.
Hong Kong: è ora “amministrata da patrioti, che la rendono un posto migliore”. A Hong Kong c’è stata “una grande transizione dal caos all’ordine”. Corretto: la rivoluzione dei colori del 2019 ha quasi distrutto un importante centro commerciale/finanziario globale.
Riduzione della povertà: Xi l’ha salutata come uno dei tre “grandi eventi” dell’ultimo decennio insieme al centenario del PCC e al socialismo con caratteristiche cinesi che entra in una “nuova era”. La riduzione della povertà è al centro di uno dei “due obiettivi del centenario” del PCC.
Apertura: La Cina è diventata “un importante partner commerciale e una destinazione importante per gli investimenti stranieri”. Xi confuta l’idea che la Cina sia diventata più autarchica. La Cina non si impegnerà in alcun tipo di “espansionismo” durante l’apertura al mondo esterno. La politica statale di base rimane: la globalizzazione economica. Ma – non l’ha detto – “con caratteristiche cinesi”.
“Auto-rivoluzione”: Xi ha introdotto un nuovo concetto. L’”auto-rivoluzione” permetterà alla Cina di sfuggire a un ciclo storico che porta a una recessione. E “questo assicura che il partito non cambierà mai”. Quindi, o il PCC o il fallimento.
Il marxismo: rimane sicuramente uno dei principi guida fondamentali. Xi ha sottolineato: “Dobbiamo il successo del nostro partito e del socialismo con caratteristiche cinesi al marxismo e a come la Cina è riuscita ad adattarlo”.
Rischi: questo è stato il tema ricorrente del discorso. I rischi continueranno a interferire con i “due obiettivi centenari”. L’obiettivo numero uno è stato raggiunto l’anno scorso, in occasione del centenario del PCC, quando la Cina ha raggiunto lo status di “società moderatamente prospera” sotto tutti i punti di vista (xiaokang, in cinese). L’obiettivo numero due dovrebbe essere raggiunto al centenario della Repubblica Popolare Cinese, nel 2049: “costruire un Paese socialista moderno che sia prospero, forte, democratico, culturalmente avanzato e armonioso”.
Sviluppo: l’attenzione si concentrerà sullo “sviluppo di alta qualità”, compresa la resilienza delle catene di approvvigionamento e la strategia economica della “doppia circolazione”: l’espansione della domanda interna in parallelo agli investimenti esteri (per lo più incentrati sui progetti BRI). Questa sarà la priorità assoluta della Cina. Quindi, in teoria, qualsiasi riforma privilegerà una combinazione di “economia socialista di mercato” e apertura di alto livello, mescolando la creazione di una maggiore domanda interna con una riforma strutturale dal lato dell’offerta. Traduzione: “Doppia circolazione” con gli steroidi.
“Democrazia a processo completo”: è l’altro nuovo concetto introdotto da Xi. Si traduce come “democrazia che funziona”, come il ringiovanimento della nazione cinese sotto – che altro – la guida assoluta del PCC: “Dobbiamo garantire che il popolo possa esercitare i propri poteri attraverso il sistema del Congresso del popolo”.
Cultura socialista: Xi ha detto che è assolutamente necessario “influenzare i giovani”. Il PCC deve esercitare un controllo ideologico e assicurarsi che i media favoriscano una generazione di giovani “che siano influenzati dalla cultura tradizionale, dal patriottismo e dal socialismo”, a vantaggio della “stabilità sociale”. La “storia della Cina” deve arrivare ovunque, presentando una Cina “credibile e rispettabile”. Questo vale certamente per la diplomazia cinese, anche per i “Guerrieri del Lupo”.
“Sinicizzare la religione”: Pechino continuerà la sua azione di “sinicizzazione della religione”, ovvero di adattamento “proattivo” della “religione e della società socialista”. Questa campagna è stata introdotta nel 2015, e significa ad esempio che l’Islam e il Cristianesimo devono essere sotto il controllo del PCC e in linea con la cultura cinese.
La promessa di Taiwan
Arriviamo ora ai temi che ossessionano completamente l’egemone in declino: il legame tra gli interessi nazionali della Cina e il modo in cui questi influenzano il ruolo dello Stato-civiltà nelle relazioni internazionali.
Sicurezza nazionale: “La sicurezza nazionale è il fondamento del ringiovanimento nazionale e la stabilità sociale è un prerequisito della forza nazionale”.
Le forze armate: l’equipaggiamento, la tecnologia e la capacità strategica del PLA saranno rafforzati. Va da sé che ciò significa un controllo totale del PCC sulle forze armate.
“Un Paese, due sistemi”: Si è dimostrato “il miglior meccanismo istituzionale per Hong Kong e Macao e deve essere rispettato a lungo termine”. Entrambi “godono di un’elevata autonomia” e sono “amministrati da patrioti”. Xi ha promesso di integrare meglio entrambi nelle strategie nazionali.
Riunificazione di Taiwan: Xi si è impegnato a completare la riunificazione della Cina. Traduzione: restituire Taiwan alla madrepatria. Il discorso è stato accolto da un fiume di applausi, che hanno portato al messaggio chiave, rivolto contemporaneamente alla nazione cinese e alle forze di “interferenza straniera”: “Non rinunceremo all’uso della forza e prenderemo tutte le misure necessarie per fermare tutti i movimenti separatisti”. Il punto cruciale: “La risoluzione della questione di Taiwan è una questione che riguarda il popolo cinese stesso, che deve essere decisa dal popolo cinese”.
È anche significativo che Xi non abbia nemmeno menzionato lo Xinjiang per nome: solo implicitamente, quando ha sottolineato che la Cina deve rafforzare l’unità di tutti i gruppi etnici. Lo Xinjiang per Xi e la leadership significa industrializzazione dell’Estremo Occidente e nodo cruciale della BRI: non l’oggetto di una campagna di demonizzazione imperiale. Sanno che le tattiche di destabilizzazione della CIA utilizzate in Tibet per decenni non hanno funzionato nello Xinjiang.
Al riparo dalla tempesta
Vediamo ora di analizzare alcune variabili che incidono sugli anni molto difficili che attendono il PCC.
Quando Xi ha parlato di “tempeste feroci in arrivo”, è quello che pensa 24 ore su 24: Xi è convinto che l’URSS sia crollata perché l’egemone ha fatto di tutto per indebolirla. Non permetterà che un processo simile faccia deragliare la Cina.
A breve termine, la “tempesta” potrebbe riferirsi all’ultimo round della guerra americana senza esclusione di colpi alla tecnologia cinese – per non parlare del libero scambio: tagliare alla Cina l’acquisto o la produzione di chip e componenti per supercomputer.
È lecito pensare che Pechino mantenga l’attenzione a lungo termine, scommettendo sul fatto che la maggior parte del mondo, soprattutto il Sud globale, si allontanerà dalla catena di approvvigionamento high tech degli Stati Uniti e preferirà il mercato cinese. Man mano che i cinesi diventeranno sempre più autosufficienti, le aziende tecnologiche statunitensi finiranno per perdere mercati mondiali, economie di scala e competitività.
Xi non ha nemmeno menzionato gli Stati Uniti per nome. Tutti i membri della leadership – soprattutto il nuovo Politburo – sono consapevoli di come Washington voglia “sganciarsi” dalla Cina in tutti i modi possibili e continuerà a dispiegare provocatoriamente ogni possibile filone di guerra ibrida.
Xi non è entrato nei dettagli durante il suo discorso, ma è chiaro che la forza trainante in futuro sarà l’innovazione tecnologica legata a una visione globale. Ed è qui che entra in gioco la BRI, ancora una volta, come campo di applicazione privilegiato per queste scoperte tecnologiche.
Solo così possiamo capire come Zhu Guangyao, ex vice ministro delle Finanze, possa essere sicuro che il PIL pro capite in Cina nel 2035 sarebbe almeno raddoppiato rispetto a quello del 2019 e avrebbe raggiunto i 20.000 dollari.
La sfida per Xi e il nuovo Politburo è quella di risolvere subito lo squilibrio economico strutturale della Cina. E pompare di nuovo gli “investimenti” finanziati dal debito non funzionerà.
Si può quindi scommettere che il terzo mandato di Xi – che sarà confermato alla fine di questa settimana – dovrà concentrarsi su una pianificazione rigorosa e sul monitoraggio dell’attuazione, molto più di quanto non sia avvenuto durante i suoi precedenti anni audaci, ambiziosi, abrasivi ma talvolta scollegati. Il Politburo dovrà prestare molta più attenzione alle considerazioni tecniche. Xi dovrà delegare una maggiore autonomia politica a un gruppo di tecnocrati competenti.
Altrimenti, torneremo alla sorprendente osservazione dell’allora premier Wen Jiabao nel 2007: L’economia cinese è “instabile, squilibrata, scoordinata e in definitiva insostenibile”. Questo è esattamente il punto in cui l’egemone vuole che sia.
Allo stato attuale, la situazione è tutt’altro che cupa. La Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma afferma che, rispetto al resto del mondo, l’inflazione al consumo in Cina è solo “marginale”, il mercato del lavoro è stabile e i pagamenti internazionali sono stabili.BRI,
Il rapporto di lavoro e gli impegni di Xi possono anche essere visti come un capovolgimento dei soliti sospetti geopolitici anglo-americani – Mackinder, Mahan, Spykman, Brzezinski -.
Il partenariato strategico Cina-Russia non ha tempo da perdere con i giochi egemonici globali; ciò che li spinge è che prima o poi governeranno l’Heartland – l’isola del mondo – e oltre, con alleati dal Rimland, dall’Africa all’America Latina, tutti partecipanti a una nuova forma di globalizzazione. Certamente con caratteristiche cinesi, ma soprattutto con caratteristiche pan-eurasiatiche. Il conto alla rovescia finale è già iniziato.
Joe Biden non è il mediatore adatto a causa degli attacchi verbali sferrati contro Putin
“La tregua non deve avvenire fra Russia e Ucraina, ma fra l’America e la Russia”.
Lo ha detto il premier ungherese, Viktor Orban, a Berlino, intervenendo a una conferenza promossa dal media online Cicero e dalla Berliner Zeitung.
Joe Biden non è il mediatore adeguato, secondo il leader del Fidesz, a causa degli aspri attacchi verbali sferrati nei mesi scorsi contro Putin: “adesso suonerà brutale quello che dico, ma la speranza per la pace si chiama Donald Trump”.
Orban ha espresso esplicita nostalgia per la leadership di Angela Merkel: “Quello che ha fatto durante la crisi della Crimea è stato un capolavoro”. Alla domanda se la cancelliera avrebbe potuto evitare la guerra attuale, la sua risposta è sì: “già nel 2014 Merkel ha evitato che si arrivasse a una guerra a causa dell’annessione russa”.
“Non hanno permesso che la cosa andasse in un’escalation e che ci coinvolgesse tutti”, ha concluso. Orban ha incontrato ieri Olaf Scholz in cancelleria.
La strategia della Russia è entrata in crisi ed ha dovuto proclamare la mobilitazione parziale dei riservisti dell’esercito. A causa dell’impossibilità di controllare i territori conquistati con l'”operazione speciale”, ovvero con l’utilizzo dei soli professionisti dell’esercito di fronte agli Ucraini che fin dall’inizio hanno decretato la coscrizione obbligatoria e che godono del sostegno dell’intero occidente. Questo è un passaggio molto importante, che ha causato una crisi. Da come verrà risolta dipende l’esito futuro del conflitto.
In un articolo su Ria Novosti si affrontava senza reticenze il fenomeno “massiccio” di coloro che sono fuggiti dalla Russia per evitare la chiamata alle armi. Tra le varie cause il commentatore (se il traduttore automatico ci restituisce bene il senso delle sue parole) individuava la cultura occidentale che ha fatto preso sulla Russia, ma anche le ingiustizie del sistema liberal-nazionale su cui si è attestata la Russia, merito alle quali il commentatore stesso ammette che c’è del vero. “Perché dobbiamo andare a combattere per lo Yacht di Abramovic?” La Russia ha affrontato difficoltà indicibili con le truppe naziste sul proprio territorio, tuttavia anche questa volta si trova ad affrontare un nemico molto insidioso. Il contatto e il rapporto con l’Occidente di questi anni, soprattutto con l’Europa, hanno avuto come contropartita la penetrazione del veleno ideologico occidentale soprattutto quello sviluppatosi quando gli Usa seppero diabolicamente trasformare la “controcultura” sviluppatasi durante la contestazione alla guerra in Vietnam in un veleno ideologico con cui infettare le nazioni, diffondendo un individualismo anti-comunitario, in cui vince la superiore capacità di corruzione.
La Russia è di fronte ad un passaggio, ogni passaggio comporta una crisi. Questo passaggio comporta anche la necessità di abbandonare il sistema liberal-nazionale. Il gruppo dirigente con Putin ha deciso di superare la crisi in avanti, rilanciando la lotta contro l’Occidente. Bisogna vedere se la società russa nel suo complesso seguirà il suo gruppo dirigente. Da ciò dipende la vittoria o la sconfitta della civiltà russa e della civiltà in generale.