Un florilegio sulla grandezza di san Giuseppe

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Il 19 Marzo si festeggia San Giuseppe, Patrono della Chiesa Cattolica, padre putativo di Gesù. Giungendo quest’anno la festa di Domenica, la Messa di San Giuseppe viene celebrata domani (non di precetto). Lo si dice sommessamente per non urtare la suscettibilità di chi non crede. San Giuseppe la urta lo stesso con l’esempio della Sua vita di padre esemplare, vergine e gran lavoratore, che ha aderito pienamente alla difficile chiamata del Signore.

Segnalazione Redazione I Tre Sentieri

Dal Vangelo: Giuseppe da Nazareth, figlio di Davide, uomo giusto, marito di Maria, padre di Gesù, salvatore della vita del Salvatore. 

Dalla liturgia: Certa speranza della nostra vita, sostegno del mondo, illustre per meriti, ministro della nostra salute, padre del Verbo, vincitore dell’inferno, servo fedele e prudente, quasi padre del Re, padrone della sua casa e principe di ogni sua possessione, procuratore della Chiesa di Dio. 

Da Origene: Giusto nella legge, nelle parole, nei fatti, nel giudizio della grazia; umilissimo, stimasi indegno di stare con Maria.

Da sant’Eusebio di Cesarea: In lui un esimio pudore, una modestia e una prudenza somma; eccellente nella pietà verso Dio, splendeva di una meravigliosa bellezza anche nel sembiante. 

Da sant’Ilario di Poitiers: La sua vita è tipica: egli fu come gli Apostoli, alle cui cure fu affidato Cristo, perché lo portassero traverso il mondo; perciò esemplare e figura degli uomini apostolici.

Da sant’Efrem il Siro: Paradiso di delizie, sollievo della Madre di Dio. Pare di sentirlo: « E donde a me questo, ch’io sia sposo alla Madre del mio Dio? Donde a me che il Figlio di Dio sia diventato mio figlio? Ecco che mi è stata resa la corona di Davide, dal momento che il Signore di Davide è venuto nelle mie mani!»

Da san Basilio Magno: Qual Angelo o Santo meritò di essere padre del Figlio di Dio? Solo Giuseppe. Quindi egli è «Fatto tanto più grande degli Angeli, quanto più di loro ha ereditato un nome sovraeccellente!» (Cf Ebr 1, 4).

Da san Gregorio Nisseno: I sacerdoti d’Israele furono guidati divinamente nello scegliere Giuseppe a sposo di Maria. 

Da sant’Epifanio: Grande tra gli uomini, fedele nei costumi, pio nello stesso suo sembiante.

Da san Giovanni Crisostomo: Era colmo di straordinaria riverenza per il Bambino Gesù, e, quando Maria lo poso nella mangiatoia, Giuseppe s’inchino a contemplarlo, il suo cuore fu inondato di gioia, ma non osò toccarlo. Insigne in tutto, fornito d’ogni sorta di virtù, sapiente oltre la legge, era sempre intento alla meditazione dei Profeti.

Da san Girolamo: Più custode che marito per Maria, dovette essere vergine per poter essere chiamato padre del Signore. Intanto fu il Salvatore dell’onore della Madre di Dio.

Da sant’Agostino d’Ippona: Vero marito di Maria, benché vergine; e vero padre di Gesù, benché non l’abbia procreato: se, adottando un figlio di una donna qualsiasi, avrebbe avuto diritto di dirsi suo padre, tanto più allevando come suo il Figlio della sua consorte! Chi dice non doversi chiamare padre Giuseppe per non avere generato Gesù, cerca nel procrear figli più la libidine che l’affetto: Giuseppe ottenne colla carità meglio assai di quel che altri colla carne; e anche quelli che adottano figli, castamente li procreano coll’affetto meglio che colla carne. Come Cristo morente non affidò che a un vergine la sua Madre Vergine, così nemmeno l’avrebbe data in sposa a Giuseppe, se questi non fosse stato più che vergine! Onore della verginità e guardiano della castità, adunque!

Da san Pier Crisologo: È detto «giusto» per il pieno e perfetto possesso di tutte le virtù.

Da san Gregorio Magno: L’unico tra gli uomini trovato degno di essere sposo di Maria!

Da sant’Isidoro di Siviglia: È la creatura più d’ogni altra amata da Gesù e da Maria.

Da san Giovanni Damasceno: A lui, solo fra tutti gli uomini, fu dato il nome di padre del Figlio di Dio, e fu dato liberamente, con tutti gli affetti e l’autorità di padre !

Da san Pier Damiani: È fede della Chiesa che Dio non si contentò di una Madre Vergine, ma vergine volle anche colui, che doveva figurare suo padre.

Da Ruperto di Mästricht: Giuseppe, paradiso di voluttà, in cui c’erano tutte le delizie!

Da san Bernardo di Chiaravalle: Senza dubbio dovette essere uomo ben buono e fedele questo Giuseppe, a cui fu sposata la Madre del Salvatore; fedele servo, cui Dio costituì sollievo di sua Madre, nutrizio della carne di Dio, solo in terra coadiutore fedelissimo del gran consiglio; figlio di Davide, per santità, fede e devozione; il più fedele cooperatore dell’Incarnazione, signore e padrone della Sacra Famiglia, consolatore di Maria nelle sue prove e tribolazioni. Quale felicità per lui nel portare Gesù, carezzarlo, baciarlo!

Da Ssant’Alberto Magno: Modello ai sacerdoti e ai prelati, che governano la Chiesa di Dio!

Dal Gersone: Chi non predicherà la più pura e perfetta pudicizia di Giuseppe, che, vergine, sposò una vergine e la custodì vergine? Primo tra gli uomini, egli insegnò a praticare nel matrimonio un santo e intero celibato. In lui il fomite del peccato originale fu estinto o almeno smorzato, perché l’avvenente aspetto della Vergine non fosse pregiudizievole alla sua virtù. Ci fu chi lo disse santificato nel seno materno. È la terza persona della trinità terrestre. Quale dignità, o Giuseppe, che Maria ti chiami suo signore e il Dio fatto Uomo suo padre! O gloriosa trinità terrena! nulla di più grande, di più buono, di più eccellente. E anche in cielo, quando il padre prega il Figlio, la preghiera vien presa come un comando.

Da san Bernardino da Siena: Per operazione di virtù, doveva essere somigliantissimo alla Vergine; perciò io lo penso mondissimo nella castità, profondissimo nell’umiltà, ardentissimo nella carità, altissimo nella contemplazione, per essere un aiuto simile alla Vergine: con tutto l’affetto del cuore Maria l’amava sincerissimamente e dal tesoro del suo cuore davagli quanto egli ne poteva ricevere. A lui poi è debitrice la Chiesa per avere egli ordinatamente e onestamente introdotto nel mondo il Divin Redentore; onde, se la Chiesa onora Maria, per averci dato il Cristo, dopo che a Maria, tanto devesi a Giuseppe. È la chiave del Vecchio Testamento, in cui la dignità dei Patriarchi e dei Profeti consegue il frutto promesso: egli solo corporalmente possedette Colui, che ad essi era stato promesso. Non si può dubitare che Cristo continui in cielo a lui quella famigliarità, riverenza e sublimissima dignità accordatagli in terra: anzi è da credere che in cielo compia e perfezioni tutte queste cose.

Da san Giovanni d’Avila: Capo della immensa moltitudine dei tribolati! 

Da santa Teresa di Gesù: Io non capisco come si possa pensare a Maria tutta occupata nelle sue cure al Bambino Gesù, senza ringraziare san Giuseppe per tutti gli aiuti, che presto in quel tempo alla Madre e al Figlio! San Giuseppe è maestro d’orazione e di vita interiore: chi non ha chi gl’insegni a pregare, prenda per maestro questo glorioso Santo, e non fallirà la strada. Egli è il mio avvocato e protettore, padre e signore!

Da san Pietro Canisio: Caro a Dio e agli uomini (Eccles., XLI, I). Poiché rifulse per eminente virtù, è giusto che a tutti venga proposto in esempio da imitare per vivere bene e santamente.

Dal padre Suarez: Tre privilegi ebbe san Giuseppe: essere santificato nell’utero materno, essere insieme confermato in grazia, essere perciò esente dagli stimoli della concupiscenza. L’opinione che superi tutti i Santi in grazia e in gloria, io non credo che sia avventata e improbabile, bensì. Il suo ministero, nella sua qualità, fu più perfetto di quello dell’apostolato, perché appartiene all’unione ipostatica.

Da san Francesco di Sales: Non è solo patriarca, ma corifeo dei patriarchi; non è solo confessore, ma più che confessore, perché nella sua confessione sono racchiuse la dignità dei vescovi e la generosità dei martiri e di tutti gli altri Santi. Quale unione tra san Giuseppe e Maria! Per questa unione Nostro Signore, come apparteneva a sua Madre, apparteneva anche a san Giuseppe, non secondo la natura, ma secondo la grazia; perché questa unione lo faceva partecipe di tutto ciò che apparteneva alla sua Sposa: Maria, quasi specchio, riceveva nella sua anima i raggi del Sole eterno di giustizia, e l’anima di Giuseppe, quasi altro specchio, anch’essa di faccia a Maria ne raccoglieva perfettamente i raggi riflessi. Più perfetto degli Angeli nella verginità, eminentissimo in sapienza, compitissimo in ogni sorta di perfezione, anch’egli morì di amore, non altrimenti della Vergine sua Sposa, e, com’Essa, fu sollevato in anima e corpo al cielo.

Da Cornelio a Lapide: Giuseppe è più un angelo che un uomo in tutta la sua condotta!

Dal venerabile Olier: Fu dato alla terra per esprimere visibilmente le adorabili perfezioni di Dio Padre. Nella sola sua persona egli portava la bellezza, la purità, l’amore, la sapienza e la prudenza, la misericordia e la compassione di Lui. Un Santo solo è destinato a rappresentare Dio Padre, mentre che un’infinità di creature, una moltitudine di Santi sono necessari per rappresentare Gesù Cristo; poiché tutta la Chiesa non opera se non per manifestare le virtù e le perfezioni del suo adorabile Capo: il solo san Giuseppe rappresenta il Padre Eterno! Tutti gli Angeli insieme sono creati per rappresentare Dio e le sue perfezioni: un uomo solo rappresenta tutte le grandezze di Lui! Egli è perciò l’essere più grande, più celebre, più incomprensibile e, in proporzione, come Dio Padre, nascosto e invisibile nella sua persona, incomprensibile nel suo essere e nelle sue perfezioni: sotto questo riguardo, è incomparabile e costituisce un ordine a parte.

Da Paolo Aresi di Tortona: Da tutte le Persone della Santissima Trinità ebbe privilegi singolarissimi: dalla prima, di essere padre del Verbo Incarnato; dalla seconda, di essere giusto e figlio di Davide; dalla terza, di essere sposo di Maria. Quand’anche non fosse stato santo, lo sarebbe diventato sposando Maria, secondo la parola dell’Apostolo (1 Cor 7,14). Dovette essere poi somigliantissimo a Cristo e nella bellezza del volto e nella gentilezza del tratto; e l’arguisco da questo che, avendo Cristo voluto passare per suo figlio, la gente doveva riscontrare in Lui le fattezze di Giuseppe per crederlo suo vero padre, benché non lo fosse.

Dal padre Paolo Segneri: Fu niente per sé, ma tutto per Cristo. Fu sposo della Vergine, solo quanto ciò doveva valere a salvare l’onore di Gesù; del resto, la lasciò intatta, come fa l’olmo, che si sposa alla vite, ma non ha parte alcuna nel suo frutto, che pure aiuta a portare. Fu padre a Cristo, ma solo di affetto e assistenza per la sollecitudine, che gli doveva prestare: del resto, non doveva vederne la gloria, e anche delle sue azioni solo doveva sapersi quanto era necessario a lumeggiare Gesù, e anche dopo morte per dei secoli rimase incognito e inglorioso.

Dal Bossuet: Fatto custode dei tre più preziosi depositi -la Verginità di Maria, la Persona di Gesù, il Mistero dell’Incarnazione Divina- li custodi fedelmente. Nessun dubbio perciò che sia stato fornito delle tre virtù necessarie a custodire tali depositi: purità, fedeltà, umiltà. Se fu la verginità di Maria, che trasse dal cielo in terra il Verbo, Giuseppe è a parte di questo miracolo, perché la purità di Maria è deposito di Giuseppe, anzi bene suo, per il matrimonio e le cure, con cui la custodì; tanta parte quindi ha ben anche nel frutto di Lei. Cristo aveva un Padre in cielo, che l’avrebbe poi abbandonato sulla Croce, e anche da quando venne in terra sembrò abbandonarlo, viceversa L’affidò a Giuseppe, qual padre terreno; e Giuseppe raccolse il mandato e non visse più che per Gesù, tutto viscere di padre; ciò che non è per natura, lo è per affetto, poiché Dio gli ha mutato il cuore, come a Saul (1 Re 10, 9), onde non è meraviglia che comandi e tutto si sacrifichi per Lui. La sua missione è diversa da quella degli Apostoli: Gesù è loro rivelato, perché lo predichino; a Giuseppe invece per celarlo. Quelli sono fiaccole, che Lo mostrano al mondo; questi un velo, che Lo copre: velo misterioso, che coprì la verginità di Maria e gli splendori del Figlio di Dio. Giuseppe vide Gesù e tacque; Lo godette e non parlò; adempì la sua vocazione di ministro e compagno della vita nascosta.

Da san Leonardo da Porto Maurizio: Come Maria è Regina degli Angeli e dei Santi, così per legge san Giuseppe suo sposo è re degli Angeli e dei Santi: onde, se onorate Maria con questo titolo, così anche si deve dire a san Giuseppe: «Re degli Angeli, re dei Santi, prega per noi!» Dio volle che S. Giuseppe fosse protettore speciale d’ogni classe di persone e intercessore universale, perché tutti possano sentirsi protetti da lui.

Da sant’Alfonso M. de’ Liguori: Non si deve dubitare che Giuseppe, vivendo con Cristo, crebbe tanto in meriti e santità da sorpassare tutti i Santi. Egli è speciale protettore dei moribondi, perché la sua intercessione presso Gesù è più potente di quella d’ogni altro Santo, e perché ha maggior potere contro i demoni, e perché fu assistito in morte da Gesù e Maria. Da Giuseppe ottiene più grazie chi più lo prega: la più grande grazia, che fa ai suoi devoti, è un tenero e ardentissimo amore a Gesù.

Da Pio IX: È il Patrono della Chiesa Cattolica. Per la grande dignità e posizione concessagli da Dio, la Chiesa lo tiene nel più alto onore e massima considerazione, dopo Maria, e con preferenza a lui rivolge le sue preghiere nelle sue necessità.

Da Leone XIIIS’avvicina in grandezza, grazia, santità e gloria a Maria quanto nessun altro mai, e non meno grandeggia quale custode e padre putativo di Gesù. Modello ai padri di famiglia, ai coniugi, ai vergini, ai nobili, ai ricchi, ai proletari, operai o poveri: è cosa conveniente e sommamente degna di lui, che, come già la Sacra Famiglia, Egli copra e difenda col suo patrocinio la Chiesa di Cristo. 

Da San Pio X: Qual era la professione di S.Giuseppe? San Giuseppe, benché fosse di stirpe reale di David, era povero, e ridotto a guadagnarsi il vitto colla fatica delle sue mani.

Da Benedetto XV: Col fiorire così della devozione dei fedeli verso san Giuseppe, aumenterà insieme, per necessaria conseguenza, il loro culto verso la Sacra Famiglia di Nazareth, di cui egli fu l’augusto Capo, sgorgando queste due devozioni l’una dall’altra spontaneamente. poiché per san Giuseppe noi andiamo direttamente a Maria, e per Maria al fonte di ogni santità, Gesù Cristo, il quale consacrò le virtù domestiche colla sua obbedienza verso san Giuseppe e Maria. A questi meravigliosi esemplari di virtù Noi quindi desideriamo che le cristiane famiglie si ispirino e completamente si rinnovellino.

Da Pio XI: Ecco un santo che entra nella vita e si spende interamente nell’adempimento d’una missione unica da parte di Dio, la missione di custodire la purezza di Maria, di proteggere nostro Signore e di nascondere, con la sua ammirabile cooperazione, il segreto della redenzione. Nella grandezza di questa missione ha le sue radici la santità singolare e incomparabile di san Giuseppe, poiché una tale missione non fu affidata a nessun altro santo… è evidente che, in virtù d’una missione così alta, Giuseppe possedeva già il titolo di gloria che è suo, quello di patrono della Chiesa universale. Tutta la Chiesa, infatti, è già presente presso di lui allo stato di germe fecondo.

Da Pio XII: È facile dunque, è dolce rappresentarci questa santa Famiglia di Nazareth all’ora della consueta preghiera. Nell’alba dorata o nel violaceo crepuscolo della Palestina, sulla piccola terrazza della loro bianca casetta, rivolti verso Gerusalemme, Gesù, Maria e Giuseppe sono in ginocchio; Giuseppe, come capo della famiglia, recita la preghiera ma è Gesù che la ispira, e Maria unisce la sua dolce voce a quella grave del santo Patriarca. Futuri capi di famiglia! Meditate e imitate questi esempio, che troppo uomini oggi dimenticano.

 

Il ritorno del padre e della madre

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di Marcello veneziani

Fonte: Marcello Veneziani

Con l’anno neonato verranno ripristinati il padre e la madre, rispetto alle loro controfigure fluide, genitore 1 e genitore 2, che ne avevano usurpato il posto per dare priorità alle coppie omosessuali. Per “includere” poche centinaia di coppie dello stesso sesso, con prole adottata, si voleva escludere dal gergo burocratico e di riflesso dal lessico “corretto”, il nome del padre e della madre. Sostituiti con quel grottesco e neutrale riferimento alla genitorialità, differenziata solo dal numeretto, come le file alla posta e dal salumiere: Genitore 1 e genitore 2, dove paradossalmente si faceva una peggiore discriminazione di genere, se assegnavi per esempio al padre il numero 1 e relegavi la madre nel ruolo secondario di numero 2; e lo stesse valeva se il criterio si fosse applicato all’inverso, comunque un’inaccettabile gerarchia ai fini della parità dei diritti.
Quella diversa designazione dei genitori sulla carta d’identità, applaudita dalla sinistra, aveva trovato conferma in una sentenza del tribunale di Roma che nello scorso novembre aveva riammesso la dicitura genitore 1/genitore 2, già propagata anche in altri ambiti “sensibili”, come le scuole, e ambiva sostituire in modo definitivo le denominazioni di sempre, padre e madre. Non più onora il padre e la madre, ma ometti il padre e la madre.
La definizione sostitutiva di genitore 1 e genitore 2 era stata già introdotta in precedenza. Un decreto Salvini del 2019, quando era Ministro dell’Interno, aveva ripristinato il riferimento al padre e alla madre. La sentenza recente aveva invece riportato la dicitura neutrale.
Ma il ministro della Famiglia e delle Pari Opportunità, Eugenia Roccella, ha annunciato che la dicitura corrente sulle carte d’identità e sui documenti pubblici, non si adeguerà a quella sentenza, che ha valore individuale, cioè vale solo per la singola coppia che ha fatto ricorso. Il sottinteso è che chiunque voglia rifiutare la denominazione tradizionale, tra le coppie dello stesso sesso, dovrà fare ricorso e ottenere il riconoscimento; ben sapendo che la decisione si applicherà solo nel suo caso, non farà giurisprudenza né sistema. Come è giusto, altrimenti il potere legislativo passerebbe definitivamente al potere giudiziario: le leggi sarebbero fatte o corrette dai giudici e non più dal Parlamento, espressione del popolo sovrano nel rispetto della separazione dei poteri, tra esecutivo, legislativo e giudiziario.
Le organizzazioni gay insorgono perché ricorrere ai giudici per ottenere la dizione neutra significherebbe perdere tempo e denaro; ma l’obiezione chiara ed elementare è che non si può cancellare la paternità o la maternità per riconoscere l’omogenitorialità. Anzi, l’ipotesi che si possa richiedere un diverso riconoscimento giuridico preserva la libertà dei singoli e sancisce un buon equilibrio tra diritti privati, individuali, e diritto pubblico e universale. Per semplificare, il diritto privato non può prevaricare sul diritto pubblico, modificarlo e imporre che il secondo si adegui al primo. Ma i movimenti omotrans annunciano class action e confidano nella Commissione Ue che sta approvando un regolamento filo-gay e anti-famiglia tradizionale a cui gli Stati nazionali dovrebbero conformarsi. E magari studiano in alternativa il ricorso alla Corte europea dei diritti umani, che come è noto e come dimostrano non pochi suoi pronunciamenti, svolge ormai una funzione di correzione ideologica nel segno del politically correct, scavalcando i tribunali e i canoni giuridici nazionali.
Insomma, la partita è aperta, e probabilmente assisteremo a conflitti, rovesciamenti, sballottamenti che alla fine non sono solo giuridici, formali, burocratici ma incidono sulla visione reale dei rapporti famigliari e genitoriali. Si fronteggiano due visioni opposte: una fondata sulla natura, la tradizione, la realtà di sempre; l’altra sull’ideologia, la correzione della realtà, il predominio di una sparuta minoranza sulla larga maggioranza delle famiglie.
Ma per una volta soffermiamoci sul significato simbolico di questo “ritorno del padre e della madre” seppure nel linguaggio formale della legge.
Certo, la crisi della famiglia, della figura paterna e materna, non vengono certo attenuate da un cambio di dizione formale; così come la dicitura imposta dalla legge di genitore 1 e genitore 2, non modificava certo l’uso nel linguaggio corrente del riferimento alla mamma e al papà. È inimmaginabile pensare che la prima parola pronunciata da un lattante non sia un monosillabo riferito alla mamma (o al babbo) ma un vago riferimento a genitore uno o due. Il linguaggio della natura, degli istinti e di una tradizione che si è fatta quasi corredo genetico, non può essere surrogato da un lessico finto, artificiale, burocratico. E penso che la stessa cosa valga anche per i bambini adottati dalle coppie omosessuali.
Resta però vero che per restituire vitalità al ruolo paterno e materno, da qualche parte bisogna pur cominciare. E riconoscere già la parola è comunque un primo segnale. Dopo le parole magari verranno i fatti. In ogni caso, è più difficile ripensare alla paternità e alla maternità se già la loro denominazione è cancellata, rimossa, negli atti pubblici, nei tribunali, negli uffici comunali e nelle scuole. Intanto Le Sezioni Unite della Cassazione, hanno ribadito in una sentenza che la maternità surrogata – anche laddove avvenga in forma gratuita ‒ è sempre da considerarsi una pratica “che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”. Una bella svolta.
Il sottinteso che il concepimento, la gravidanza e il parto, il legame di sangue, l’eredità genetica siano irrilevanti, è un’erosione progressiva e malefica del naturale e affettivo legame tra un padre, una madre, un figlio e una figlia, con tutto ciò che ne deriva.  Adeguiamo la legge e il suo linguaggio alla natura, alla civiltà e alla realtà di sempre.

SALVIAMO MAMMA E PAPÀ! No a Genitore 1 e 2 sui documenti dei bambini!

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Segnalazione di Pro Vita & Famiglia

Vogliono eliminare mamma e papà con un colpo di spugna, ma possiamo impedirlo.

Il Tribunale di Roma ha ordinato al Governo di eliminare le parole PADRE e MADRE dai documenti di riconoscimento dei bambini.

Secondo i giudici devono essere sostituite con GENITORE 1 e GENITORE 2, per assecondare le richieste delle coppie Lgbtq.

Il Governo Meloni deve opporsi a questa richiesta ideologica e continuare a scrivere “madre” e “padre”: firma la petizione e fai sentire la tua voce, è urgente!

Salviamo Mamma e Papà, firma ora!

Sai perché il Tribunale ha fatto questa richiesta ideologica?

Per riconoscere legalmente le cosiddette “famiglie arcobaleno”.

Si tratta di coppie omosessuali che pianificano a tavolino la nascita di bambini “senza papà” o “senza mamma”.

Come fanno?

Sfruttano all’estero pratiche illegali in Italia: l’utero in affitto (nel caso di due uomini) o l’acquisto di sperma e la fecondazione artificiale (nel caso di due donne).

Incredibilmente, i giodici vogliono “premiare” chi sfrutta queste pratiche riconoscendo due uomini o due donne come “due padri” o “due madri” dei bambini nati.

È un attacco micidiale: blocchiamolo.

FIRMA ORA per chiedere al Governo Meloni di continuare a scrivere LA VERITÀ sui documenti di identità dei bambini: esiste solo un padre e una madre! [CLICCA QUI]

Appena ho letto la notizia ho rilasciato un durissimo comunicato ripreso dalla stampa:

Come vedi ci siamo mossi immediatamente, ma occorre anche il tuo aiuto per essere più incisivi e mandare al Governo un messaggio chiaro: MAMMA E PAPÀ NON SI TOCCANO!

Stefania Craxi: Draghi? Dimostra tutta l’attualità del presidenzialismo di mio padre

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di Ferdinando Bergamaschi

Stefania Craxi: “Non mi chiami senatrice, preferisco senatore”. La battuta rivela tutta la sicurezza della figlia di Bettino Craxi, che a Palazzo Madama siede tra i banchi di Forza Italia. Il senatore ha uno sguardo dolce ma sempre attento, e l’atteggiamento di chi ama raccontarsi ma anche confrontarsi. Arriva da Parigi nella Milano di suo padre e osserva con piacere la Madonnina che appare ben distinta dalla vista che ci offrono le finestre del settimo piano che ci circondano. Poche formalità, ed entriamo subito nel vivo del discorso.

A questo punto della sua carriera politica che bilancio fa della sua esperienza parlamentare?
“Innanzitutto non sono in Parlamento per far carriera. Ho fatto questa scelta perché ho condotto e conduco una battaglia per rendere onore e merito a un uomo che ha lavorato tutta la vita per il bene del suo Paese. Ed è più facile farlo avendo un pulpito nazionale piuttosto che no. Mi è servito indubbiamente per avere consensi, ma lo spettacolo che da tempo offre il Parlamento italiano è miserevole; d’altronde questo accade da quando hanno distrutto i partiti, che avevano una funzione molto importante”.

Qual era questa funzione?
“Innanzitutto selezionavano una classe politica. La politica è una grande passione che richiede esperienza, confronto con la vita degli italiani e delle italiane. Una volta i partiti ti facevano fare una scuola di vita con percorsi che duravano anni. E che cominciavano dal basso, dalle periferie, dai piccoli paesi. Il fatto che oggi il Parlamento sia formato da persone che per lo più nella vita fanno altre cose è stato un depauperamento grave della politica e della nostra democrazia”. 

In Italia si è tornati a parlare di presidenzialismo. Pensa che il progetto di riforma costituzionale disegnato da suo padre in tal senso sia ancora attuale e perseguibile?
“Craxi parla della grande riforma istituzionale comprensiva del presidenzialismo nel lontano 1979. Lui aveva visto che quel sistema nato alla fine della guerra e che a quell’epoca era giusto, oggi di fatto impedisce il governo del Paese. Credo che Craxi fosse lungimirante quarant’anni fa e che il presidenzialismo sia di totale attualità; e credo anche che in questi vent’anni il Paese si sia avviato naturalmente verso un sistema presidenziale; basti vedere la fiducia che si è riposta nei presidenti della Repubblica e oggi nello stesso Draghi che di fatto sta governando con un sistema semipresidenziale. È la politica ad essere in ritardo”.

A proposito del premier, come pensa che finirà la partita del Quirinale? Draghi potrà salire al Colle già nel febbraio del 2022?
“Come sempre è successo nella nostra Repubblica la partita del Quirinale è molto complicata. Una volta si diceva: chi entra Papa esce cardinale. Non è mai detto che il candidato previsto sia quello che esce. Pensi al caso di Pertini, di Scalfaro e a tanti altri. Credo che Draghi, una volta fatte le riforme necessarie a consentirci di portare a casa i soldi del Pnrr (che, ci tengo a precisare, sono in gran parte debiti) probabilmente ambirà ad andare al Quirinale. E credo che sarà difficile per i partiti che oggi lo sostengono non votarlo. Tuttavia la ritengo una partita ancora aperta”. 

Torniamo a suo padre: lei pensa che la mancanza di servilismo che lo caratterizzava nei confronti degli altri partiti, dal Pci alla Dc e verso la dirigenza del suo partito (il Psi), così come nei confronti delle maggiori potenze straniere – vedi la crisi di Sigonella – abbia poi giocato un ruolo decisivo nel linciaggio giuridico-mediatico che ha subìto?
“Più che di mancanza di servilismo parlerei delle convinzioni profonde – giuste o sbagliate che fossero – che guidavano Craxi nelle sue decisioni politiche. Non si è mai posto un problema di opportunità. Certamente il suo carattere non lo ha aiutato, perché era un uomo libero. E si sa, gli uomini liberi difficilmente sono digeribili, soprattutto in un Paese che è stato molto spesso servo”.  

Ritiene che l’azione politica così incisiva e carismatica di suo padre sia stata in qualche misura ereditata da uno o più partiti di oggi? Se sì, quali sono questi partiti? E di cosa sono debitori dell’azione politica di Bettino Craxi?
“Craxi lascia indubbiamente un’eredità politica che è un patrimonio di idee capace di dare ancora buoni frutti. Che ci sia un partito che lo abbia ereditato in toto, credo di no; certamente alcune visioni, come quella del sistema presidenziale, si ritrovano più in un centrodestra che non in una sinistra che oggi senza ragione, senza storia e senza verità pretende di dirsi riformista. In realtà, dico sempre che è una usurpazione mancata: è come nel film Blade Runner, sono dei replicanti che vestono abiti non loro. Quella di Craxi comunque è un’eredità ancora viva nella disponibilità non di una persona, né di un partito ma dell’intera Nazione”. 

Bettino Craxi aveva grande ammirazione per Garibaldi e teneva in grande considerazione anche Mazzini. La personalità di suo padre si abbeverava alla fonte della sinistra risorgimentale. Il 2 giugno 1985 nel commemorare Garibaldi all’isola di Caprera, ebbe a dire: “Io considero un dovere il rinnovare la memoria delle idee, dei fatti e degli uomini che innalzarono l’Italia al rango di Nazione. La coscienza nazionale non è una retorica presunzione nazionalistica”. Questo concetto di coscienza nazionale oggi è forse più attuale che mai? Draghi oggi è, o può essere, la coscienza nazionale?
“Craxi era una personalità del tutto straordinaria perché aveva un esprit risorgimentale fortissimo; basti pensare che è un uomo che ha rinunciato alla sua vita per difendere le sue idee: un gesto di un altro secolo. E al tempo stesso aveva uno sguardo estremamente lungimirante sul  futuro. Era veramente un ‘ircocervo’ particolarissimo”.

E il suo amore per Garibaldi?
“Era un amore per l’Italia, per le battaglie combattute nel Risorgimento, per il pensiero di Garibaldi che era un socialista umanitario (andava al Senato col poncho e parlava di povertà, diritti, parità tra uomo e donna, elezione dei magistrati). A un certo punto addirittura la vita di Craxi si è sovrapposta alla vita del suo idolo…”.

In che senso, senatore Craxi?
“Se lei pensa che Garibaldi, pochi giorni dopo la morte di Anita, inseguito da cinque eserciti si imbarca per Tunisi dove rimarrà un anno in esilio; se lei pensa che entrambi concludono la loro vita da sconfitti, guardando quello che succede all’Italia con amarezza. Garibaldi ebbe a dire: ‘Non è questa l’Italia che io sognavo: miserabile al suo interno e derisa al suo esterno’. Potrebbero essere parole pronunciate anche da Craxi nell’ultimo periodo della sua vita, perché era un patriota. Quindi l’interesse della Nazione, scevro da ogni tentazione nazionalistica, era per lui un faro”.

Ci fa un esempio concreto?
“Certo. Anche quando ha dato vita all’Atto Unico Europeo, non ha mai pensato a un’Europa dove non si potessero difendere gli interessi nazionali. Oggi quella coscienza nazionale così intesa è d’attualità. Lo confermano anche le espressioni più estremiste, come questo sovranismo, che non si capisce bene cosa sia. Ma è comunque la reazione ad una globalizzazione finanziaria che ha preteso che non esistessero più popoli e nazioni; invece i popoli e le nazioni esistono ed esiste quindi una coscienza nazionale”.

E Draghi oggi può rappresentarla?
“È un uomo tenuto in grande considerazione internazionale, di grande livello culturale, di conoscenza, ma è un banchiere. Il suo mondo di riferimento non è mai stato un mondo nazionale e si riferisce ad ambienti sovranazionali: non saprei dirle se Draghi può essere espressione della coscienza nazionale”. 

Quale pensa possa essere la critica maggiore, formale e sostanziale, che si può muovere a Bettino Craxi?
“Il suo errore politico più grande fu, nel 1991, fidarsi dei comunisti, fare un gesto di lealtà nei loro confronti e non andare alle elezioni. Era caduto il Muro di Berlino, probabilmente sarebbero stati distrutti. Craxi pensava che la storia avrebbe fatto il suo corso e avrebbe portato i comunisti sulla strada di una socialdemocrazia matura, di un socialismo liberale. Ma ciò non è avvenuto, neanche oggi. Un altro errore, sul piano umano, è l’aver dato fiducia a persone che forse non la meritavano”.  

Suo padre, in un’intervista, raccontava che da ragazzo andava a portare dei fiori a Piazzale Loreto dove 15 antifascisti (tra cui diversi socialisti) erano stati uccisi dai fascisti. Poi che un giorno, arrivato a Giulino di Mezzegra sul lago di Como con moglie e figli, decise di portare dei fiori davanti al cancello di Villa Belmonte, luogo simbolo dell’uccisione di Benito Mussolini. E che quando si recava al cimitero di Musocco era solito portare dei fiori anche agli sconfitti della Seconda guerra mondiale… Lei crede che gesti così nobili possano aiutare a far sì che la coscienza italiana possa riappacificarsi con se stessa?
“Guardi, le rispondo così: ho trovato assolutamente ridicola la polemica odierna su fascismo e antifascismo. Sono passati 70 anni e una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe non dividersi ma lavorare per una pacificazione nazionale”.

Lo ritiene possibile?
“No. Basta vedere lo scontro paradossale e ridicolo di questi giorni in cui si è divisa tra fascisti e antifascisti sempre con due pesi e due misure”.

Quali sarebbero?
“Non si capisce perché si chiede a chi ha nell’album di famiglia la storia del fascismo di abiurarla e nessuno dall’altra parte ha mai pensato di abiurare la storia del totalitarismo comunista. Quella di portare i fiori a Piazzale Loreto sia dove è stata consumata quella scena barbara, cioè lo scempio del cadavere di Mussolini, sia dove sono stati uccisi 15 resistenti socialisti, è una cosa che mi riprometto di fare ogni 25 aprile e che mi piacerebbe molto fare. Devo trovare qualcuno che abbia il coraggio di venire con me”.

Il padre del divorzio in Italia, massone e socialista

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Segnalazione del Centro Studi Federici

I grembiulini del Grande Oriente d’Italia hanno ricordato Loris Fortuna, rivendicando la sua militanza massonica, nel 50° anniversario della legge sul divorzio. Anche dopo l’unità d’Italia i massoni cercarono di introdurre il divorzio, ma in quell’epoca i cattolici in politica erano intransigenti e non democristiani e l’assalto mortale alla famiglia non passò. L’articolo che segue, scritto in senso elogiativo, alla luce della fede è un terribile atto di accusa nei confronti di Loris Fortuna e dei politici di tutti gli schieramenti che condividono i medesimi errori.

Il ricordo di Loris Fortuna a 50 anni dalla legge sul divorzio e a 35 dalla morte

Marco Rocchi dedica un articolo, pubblicato sul giornale “Avanti!” a Loris Fortuna, massone e socialista, padre della legge che 50 anni fa portò all’introduzione del divorzio in Italia

Esattamente cinquanta anni fa, il primo dicembre 1970, il Parlamento Italiano promulgava la legge, a firma Fortuna e Baslini, che introduceva per la prima volta il divorzio nel nostro Paese. Quasi un secolo era passato dai primi, reiterati tentativi dell’onorevole Salvatore Morelli, prima nel 1878 e poi nel 1880, ai quali erano seguiti quelli di Tommaso Villa nel 1892 e quelli di Giuseppe Zanardelli nel 1902. Tutte le proposte provenivano dalla mente e dalla penna di parlamentari affiliati alla massoneria, e rientravano in un progetto generale di laicizzazione dello Stato (insieme ad altra battaglie come quelle per la cremazione e, su tutte, quella di una scuola pubblica, gratuita e laica) che si era bruscamente interrotto durante il fascismo. E anche Loris Fortuna e Antonio Baslini non facevano eccezione. Fortuna, in particolare, era stato iniziato in una Loggia all’obbedienza della Gran Loggia del Territorio Libero di Trieste, costituitasi in pieno accordo con il Grande Oriente d’Italia, immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Loris Fortuna era nato nel 1924 a Breno, in provincia di Brescia, Ma la famiglia si era presto trasferita ad Udine per seguire il lavoro del padre, cancelliere di tribunale. Durante la guerra, Loris fu partigiano nelle Brigate Osoppo e Friuli. Nel 1944 fu catturato dai nazisti e inviato nel penitenziario di Bernau in Germania, ove scontò una condanna ai lavori forzati.
Tornato in Italia al termine del conflitto, si iscrisse al Partito Comunista Italiano e nel 1949 si laureò in Giurisprudenza all’Università di Bologna con una tesi sul diritto di sciopero. I primi anni di attività professionale lo videro impegnato come legale della Federazione dei Lavoratori della Terra e delle Camere del Lavoro a Udine e a Pordenone. Intanto dirigeva il settimanale Lotte e lavoro, al quale collaborò anche Pier Paolo Pasolini, col quale condivise diverse battaglie.
Nel 1956, alla repressione sovietica della rivolta d’Ungheria, Loris Fortuna, allora consigliere comunale, abbandonò per protesta il Partito Comunista per iscriversi, di lì a poco, al Partito Socialista, nelle liste del quale venne eletto deputato, a partire dal 1963, per sei legislature consecutive. Nella sua lunga carriera politica fu anche Ministro della protezione civile tra il 1982 e il 1983 e Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie nel 1985.
Sebbene il suo nome sia rimasto indissolubilmente legato alla legge sul divorzio, Loris Fortuna si distinse, nei lunghi anni di attività parlamentare, in numerosissime battaglie nella difesa e nell’ampliamento dei diritti civili.
Sin dalla sua prima legislatura, si adoperò per i diritti dei lavoratori, e in particolare per la protezione della manodopera minorile e femminile. Risale a questo periodo anche la prima proposta di legge sul divorzio, il cui iter parlamentare venne però rallentato per non compromettere i rapporti politici che si stavano instaurando tra il Partito Socialista e la Democrazia Cristiana. Fu solo al terzo tentativo – forte di un successo elettorale personale di straordinaria portata nelle elezioni del maggio 1968 e del successo popolare che la Lega per l’Istituzione del Divorzio stava ottenendo – che Fortuna potè forzare la mano e condurre al traguardo la legge dopo un tormentato percorso parlamentare (che incluse un’accusa di incostituzionalità per violazione del Concordato con la Santa Sede), iniziato nello stesso anno e terminato, come si diceva, dopo un biennio, nel 1970.
Il legame coi Radicali si fece più stretto durante la battaglia divorzista e Fortuna fu il primo ad avvalersi della possibilità di un doppio tesseramento (in seguito, poco prima di morire, Fortuna fece un appello a Bettino Craxi per la realizzazione di un’intesa elettorale tra Partito Socialista e Partito Radicale). Il sodalizio coi radicali portò anche alla fondazione della Lega Italiana per l’Abrogazione del Concordato.
Ancora, spesso in stretta collaborazione con i compagni radicali, fu promotore di numerosissime proposte di legge, che coprivano uno spettro così variegato di questioni da rendere persino difficoltosa una completa elencazione, eppure tutte caratterizzate dal minimo comune denominatore dei diritti e delle libertà.
Fu firmatario di proposte di legge per la modifica del codice di procedura penale in materia di carcerazione preventiva (1963), per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza (1964), per la riparazione dei danni derivanti da errore giudiziario (1966), per la istituzione di una commissione di inchiesta sugli orfanotrofi (1968), per la riforma del diritto di famiglia (1971 e 1972), per la disciplina e la depenalizzazione dell’aborto (1973), sulla libertà di espressione e di comunicazione (1976), per la parità e contro ogni discriminazione di genere (1977), per la liberalizzazione della cannabis (1979), per la riforma dell’insegnamento della religione in base ai principi della costituzione repubblicana (1980), per i diritti degli animali (1983), per la trasparenza dei lavori parlamentari (1984), per i diritti dei detenuti (1984), per il voto dei cittadini italiani all’estero (1984) e per la cooperazione dell’Italia a favore dei paesi in via di sviluppo (1984).
È impressionante riconoscere, all’interno della sua attività parlamentare, la capacità di Fortuna di precorrere i tempi e di riconoscere con grande anticipo le tematiche che il “naturale ampliamento dei diritti” avrebbe reso evidenti a tutti.
Vale la pena però di soffermarsi un momento sull’ultima delle proposte di legge che propose come primo firmatario, quella del 19 dicembre 1984, un anno prima della sua morte (anno durante il quale fu impegnato come Ministro della protezione civile).
La proposta di legge, recante il titolo “Norme sulla tutela della dignità della vita e disciplina della eutanasia passiva”, venne presentata in Parlamento, dallo stesso Fortuna, con un intervento di portata memorabile. Dopo la citazione del racconto La morte di Ivan Il’ic di Lev Tolstoj e alcune lucide e profonde analisi di Max Weber sulla controversa tematica, Fortuna fece riferimento al fatto che «l’ordinamento giuridico non è indifferente (o quantomeno non può esserlo) al concetto di morte come fatto liberatorio da un’esistenza che si ritenga troppo dolorosa per poterla naturalmente concludere o far concludere o per doverla artificialmente prolungare». E, dopo aver citato il Manifesto sull’eutanasia del 1975, firmato da quaranta intellettuali, tra cui tre premi Nobel (Pauling, Monod e Thompson), conclude sottolinenando, con i toni di un appello all’umanitarismo, l’utilità della sua proposta di legge, che «mentre da una parte sorregge la coscienza dei medici e dei parenti in un momento di gravi decisioni, colloca dall’altra (in base ad una autonoma scelta di campo dell’ordinamento statale) il rapporto uomo-vita-morte in una dimensione più umana».
Non solo si tratta del primo tentativo di una legge (seppure limitato al caso di eutanasia passiva) su una materia che ancora oggi presenta, come sottolineato più volte dalla Corte Costituzionale, un vuoto legislativo non ancora colmato; ma, in maniera ancora più evidente, rende palese l’incapacità del nostro Parlamento di dare risposte a un problema così sentito nella pubblica opinione, un Parlamento nel quale da oltre sette anni giace una legge di iniziativa popolare che, in base alla nostra Costituzione (quella che gli stessi parlamentari che la ignorano bellamente, si ostinano a definire la Costituzione più bella del mondo) lo stesso Parlamento non può esimersi dal discutere. Mancano forse, in questo Parlamento, dei Loris Fortuna, pronti a battersi per dei diritti anche quando l’opportunismo parlamentare sembra rappresentare un ostacolo insormontabile.
Fortuna morì a Roma nel 1985, quando non aveva ancora compiuto i 62 anni. Riposa nel famedio del cimitero di San Vito a Udine. (di Marco Rocchi Avanti!)

https://www.grandeoriente.it/cinquantanni-di-divorzio-avanti/

Nella foto: Loris Fortuna e Marco Pannella festeggiano la vittoria del referendum contro l’abrogazione della legge sul divorzio.

Fonte: http://www.centrostudifederici.org/il-padre-del-divorzio-in-italia-massone-e-socialista/ 

I.M.B.C.: I video delle conferenze contro il ’68 di don Francesco Ricossa

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Risultati immagini per contro il 68

Segnalazione del Centro Studi Federici

Modena, 20/10/2018, XIII giornata per la regalità sociale di Cristo, seminario di studi: “Non serviam: il ’68 contro il principio dell’autorità”.
 
Le basi del nuovo diritto di famiglia: contro l’autorità del padre
 
Humanae vitae e contraccezione: la desistenza dell’autorità” I parte
 
Humanae vitae e contraccezione: la desistenza dell’autorità” II parte
 

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Il ministro Fontana: “L’odio delle élite non mi spaventa”

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Il ministro Fontana: "L’odio delle élite non mi spaventa"di Lorenzo Fontana, Ministro della Famiglia, 4/06/2018

Il responsabile della Famiglia scrive a Il Tempo: “Mi batto contro la furia dell’ideologia relativistica”

Egregio direttore,
ringrazio Lei, Il Tempo, la Sua redazione e tutti coloro che mi hanno espresso sostegno nei giorni in cui è in atto un forte tentativo di attacco non solo nei miei confronti, ma contro i valori in cui la maggioranza silenziosa e pacata del Paese si rispecchia. Quanto si è visto ricorda amaramente le previsioni di Gilbert Keith Chesterton: «Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate», una profezia che non sembra più così remota. Ed è quello che è successo. Abbiamo affermato cose che pensavamo fossero normali, quasi scontate: che un Paese per crescere ha bisogno di fare figli, che la mamma si chiama mamma (e non genitore 1), che il papà si chiama papà (e non genitore 2). Abbiamo detto che gli ultimi e gli unici che devono avere parola su educazione, crescita e cura dei bambini sono proprio mamma e papà, principio sacrosanto di libertà. La reazione – di certi ambienti che fanno del relativismo la loro bandiera – è stata violentissima. È partita un’accanita raffica di insulti, offese, anche personali, minacce (che saranno portate all’attenzione degli uffici competenti). I social hanno amplificato la portata di questa azione, da taluni condotta a tavolino. Viviamo in tempi strani. La furia di certa ideologia relativistica travalica i confini della realtà, arrivando anche a mettere in dubbio alcune lampanti evidenze, che trovano pieno riscontro nella nostra Costituzione. «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», recita l’articolo 29, che sarà il principio azione da ministro.

Detto questo: la rivolta delle élite non ci spaventa e non ci spaventa affrontare la dittatura del pensiero unico. Andiamo avanti, con grande motivazione, abbiamo tanti progetti da attuare. Lo facciamo con i tantissimi che – come Voi – ci hanno manifestato la loro solidarietà. Siete stati e siete numerosissimi e a tutti va un sentito ringraziamento. La storia ci conforta. «Vi chiameranno papisti, retrogradi, intransigenti, clericali: siatene fieri!», diceva San Pio X. E noi siamo fieri di non aver paura di dirci cristiani, di dirci madri, padri, di essere per la vita. Abbiamo le spalle abbastanza larghe per resistere agli attacchi gratuiti rispondendo con l’evidenza dei fatti, la forza delle idee e la concretezza delle azioni. Onore a un giornale libero che ha il coraggio di esprimere posizioni controcorrente. Mai come in questo momento battersi per la normalità è diventato un atto eroico. Continua a leggere