Mettete dei fiori nei vostri cannoni, cantavano I Giganti al festival di Sanremo del 1967. Da allora in poi il pacifismo fu uno dei messaggi obbligati al festival dei fiori e dei canti. Da quest’anno invece si fa la retromarcia e Sanremo canta: Donate a Zelensky i vostri cannoni. E’ il messaggio che il presidente ucraino verrà a lanciare dalla tribuna di Sanremo. E’ proprio opportuno che Volodymyr Zelensky venga a Sanremo a perorare la sua richiesta d’armi? Un conto è essere vicini alle sofferenze del popolo ucraino, dice, un altro è alimentare da un palco dedicato alla musica questo scellerato “clima bellicista”, questa “propaganda di guerra” al posto di una vera, seria trattativa. Si può non sposare il pacifismo, ritenerlo puro irrealismo da anime belle e notare che nessun pacifismo ha mai fermato una guerra, ma l’obiezione è sensata.
Mezza Italia e forse più non vuole la nostra attiva partecipazione a questa guerra, con la fornitura di armi e supporti. Perché serve a prolungare la guerra anziché risolverla, ad aumentare il numero di vittime e distruzioni, a inguaiare pure noi e serve soprattutto agli Stati Uniti per indebolire Putin e al tempo stesso l’Unione europea, usandola come strumento subalterno della strategia egemonica degli Stati Uniti. La gente ha visto in passato tante invasioni russe, sotto lo sguardo impietrito dell’occidente: l’Ungheria, la Polonia, la Cecoslovacchia erano Europa a differenza dell’Ucraina che per secoli è stata russa, ha una lingua affine, i due popoli sono intrecciati da secoli, hanno la stessa religione ortodossa e tanta storia in comune. Abbiamo visto muti e inermi le invasioni cinesi del Tibet, le repressioni di Hong Kong, le invasioni americane in mezzo mondo, portandoci sull’orlo di tante crisi mondiali. E mai si è deciso d’intervenire in difesa dei popoli invasi. Questa volta invece è d’obbligo armare l’Ucraina e intervenire in suo favore, fino a svenarsi e inguaiarsi. Con un battage mediatico senza precedenti. Al gesto scellerato di Putin d’invadere l’Ucraina ha contribuito la linea di Biden ostile a ogni negoziato per rendere neutrale l’Ucraina e riconoscere che due regioni come il Donbass e la Crimeache sono per storia e maggioranza filo-russe. Quando Trump dice che con lui non ci sarebbe stata l’invasione, riconosce di fatto le corresponsabilità americane nella guerra.
E poi, diciamolo francamente: Zelensky non è affatto simpatico a larga parte della platea italiana, anche se si ha timore a dichiararlo perché s’incappa subito, come ieri sui vaccini e la pandemia, nell’accusa di filo-putinismo, che obiettivamente riguarda solo una piccola minoranza. Zelensky non piace per i suoi trascorsi, per il suo cinismo, per il suo vecchio mestiere di guitto, per le repressioni passate del potere ucraino contro i russi e i partiti non allineati, per le sue ingiunzioni al mondo; e poi per il suo governo di corrotti e per le vistose limitazioni alla libertà d’espressione. Agli occhi di tanti è un fantoccio degli Usa. Quanto ha pesato il suo protagonismo, il suo istrionismo narcisista e la sua dipendenza dagli Stati Uniti nella decisione di resistere ad oltranza, mandando allo sbaraglio il suo popolo e generando danni a catena a mezzo mondo? Insomma, per il senso comune della gente, le responsabilità della guerra non sono solo quelle, accertate e inescusabili, di Putin e della sua nostalgia dell’Impero sovietico e zarista. Ma sono anche dall’altra parte. E a farci le spese, nel mezzo, è in primo luogo il popolo ucraino, le città ucraine, l’economia ucraina (su cui sperano di avventarsi per la ricostruzione molti sciacalli, anche nostrani, dopo aver contribuito ad aggravarle). E in secondo luogo ne fanno le spese tanti paesi europei, sul piano economico ed energetico. Un’Europa al rimorchio degli Stati Uniti e succuba delle sue decisioni e dei suoi interessi, priva di una sua strategia autonoma e di una capacità diplomatica e militare di mediazione e dissuasione, mostra in Ucraina la sua incapacità di diventare una Potenza mondiale in grado di trattare a pari condizioni con le altre superpotenze.
Tra poco sarà un anno dall’inizio della guerra in Ucraina e sono in molti a pensare, e in pochi a dire, che sin dall’inizio era chiara l’intenzione degli Stati Uniti di riequilibrare le forze in campo per rendere più lunga possibile ed estenuante questa guerra, in modo da colpire, sfiancare Putin e indebolire l’Europa sul piano energetico, economico e geopolitico, con la scusa di difenderla dall’aggressore russo (ma Putin non vuole espandersi in Europa; mira, con velleità, a restituire i confini passati all’Impero russo).
Infine, una piccola nota su Sanremo. Da anni ormai è diventato il Tempio scemo del Politically correct, il Collettore delle sciocchezze nazionali e globali, la discarica di tutte le ipocrisie, i buonismi e lo scemenzaio delle mode. Le finte trasgressioni, i sessi in transito, i fatui sermoni strappalacrime (e scrotoclasti), la rassegna dei nuovi luoghi comuni. Una trasgressione di massa non è più trasgressione ma conformismo; è come se per ogni infrazione ti arrivasse a casa non una multa ma un bonus. Sanremo misura il tasso di minchioneria che è nell’aria e inscena una serie di carri allegorici: la Vittima Nera, il Trans virtuoso, la Femminista indignata, l’Accoppiata omosex, il Predicatore antimafia, il Menagramo pandemico, il Pugno chiuso, il Blasfemo, la legalizzatrice della droga. Mancava solo Zelensky…
L’arruolamento dei virologi sembra un collegio di difesa nel caso in cui il centrodestra al governo volesse far luce sulle ombre nella gestione della pandemia
Molto spesso il sedicente complottista è semplicemente uno che ci ha visto giusto ma con eccessivo anticipo rispetto al senso comune e alla accettabilità sociale di una data idea.
E così, nel corso della pandemia, man mano che particolari sempre meno commendevoli e sempre più altamente discutibili venivano disvelati, unitamente ad una robusta dose di critiche alla gestione dell’emergenza, iniziava ad apparire chiaro come gran parte della vulgata prima rubricata con una certa fretta quale ‘complottistica’ iniziasse ad assumere la coloritura della verità. O almeno, della altissima plausibilità.
La politicizzazione della pandemia
Una delle lezioni più dolorose impartite dalla pandemia è infatti quella della e sulla sua intrinseca politicizzazione e sulla sua capacità di incidere in maniera talmente organica, pervasiva, capillare, sulla società da poterla radicalmente modificare in maniera permanente.
Anche sostenere che le misure di contrasto alla circolazione del virus rispondessero ad una agenda politica e ad una visione del mondo che trascendeva il confine limitato della sfera sanitaria era in genere ritenuta considerazione deplorevole e insensata, appannaggio di picchiatelli assortiti.
E dire che persino quando vennero alla luce le limpide asserzioni di Roberto Speranza, messe nero su bianco nel suo libro, si cercarono giustificazioni di ogni tipologia.
Non bisognava essere troppo cinici o dietrologici, si disse, e in fondo pure se il ministro aveva vaticinato con piglio oracolare che la pandemia avrebbe rappresentato occasione per un cambio di marcia e per un ritorno sulla scena della sinistra politica, c’era da capirlo, aveva affrontato a mani nude un virus fino ad allora sconosciuto.
Fortunatamente, o sfortunatamente perché dipende sempre dai punti di vista, il tempo è galantuomo e rende giustizia.
Le virostar candidate nelle liste Pd
Ed ecco così che nella fatidica, e difficoltosa, compilazione delle liste elettorali in vista della tornata del 25 settembre, la componente virologica, sanitaria e anti-pandemica in quota Pd avanza come un rullo compressore.
Proprio Speranza è divenuto in pochissimo tempo autentica cause célèbre: nonostante appartenga ad un altro partito, è stato letteralmente cooptato dal Pd, che punta forte su di lui e gli ha garantito un posto da capolista al proporzionale in Toscana.
Nonostante i posti disponibili si siano drasticamente ridotti, causa taglio del numero complessivo dei parlamentari e i circoli territoriali storcano comprensibilmente la bocca nel trovarsi paracadutati esponenti di altri partiti, il Pd ha dimostrato di voler fare di Roberto Speranzauna sua bandiera.
Caso isolato? Ma nemmeno per sogno! In Puglia, troviamo il virologo Pierluigi Lopalco, ex assessore alla sanità della Giunta Emiliano, mentre è notizia di queste ore la freschissima candidatura nella circoscrizione Estero, in Europa, di Andrea Crisanti.
Gli aspiranti candidati
E a confermare, a contrario, la intrinseca politicità di certe scelte, non dettate dalla presunta fama o attrattività né dalla competenza dei soggetti in questione ma da altre motivazioni su cui ci intratterremo in seguito, ci sono le candidature inizialmente ventilate e poi cassate, su altri fronti partitici.
Ecco così Matteo Bassetti promuovere sul versante centrodestra la sua autocandidatura a ministro, senza nemmeno passare per le urne, e venir respinto ad ora con perdite, mentre sul fronte della calendiana Azione sembra aver perso smalto la sia pur inizialmente ventilata candidatura di Walter Ricciardi: una ipotesi smentita da Calenda, che, come usa dirsi, è uomo di mondo e ha fiutato l’aria.
Per carità, i virologi sono cittadini come tutti e i partiti possono candidarne quanti preferiscono: è però certamente curioso dover rilevare come dopo due anni di profluvio comunicativo, di occupazione manu militari dei palinsesti televisivi e delle pagine dei giornali, di consulenze, di dichiarazioni più o meno in libertà rilasciate nel nome, apparentemente neutro e asettico, della scienza, a capitalizzare tutta questa esposizione arrivi il ‘premio’ della candidatura e la definitiva certificazione di una intrinseca politicizzazione di quanto sul fronte pandemico è stato fatto, detto e proposto.
Significativo in fondo, e palese conferma della politicizzazione di cui si discorre, che ad essere candidati non siano stati virologi in quanto tali, ma virologi assurti a qualche celebrità mediatica. Le virostar.
Ammainata la bandiera draghiana
A meno che non si pensi che l’expertise tecnica di questi virologi possa esser utile a una politica destinata a confrontarsi in eterno con le pandemie, la risultante finale di queste candidature sembra essere la legittimazione piena di limitazioni alla libertà, attenzione ossessiva per il controllo di qualunque comportamento, medicalizzazione e sanitarizzazione del vivere civile, elevazione del principio di precauzione a principio cardine dell’ordinamento.
D’altronde, Speranza non è un medico e la sua presenza al Ministero della salute, nonostante l’entusiastico peana della sinistra che ne ha voluto fare una sorta di eroe civile, ha lasciato dietro di sé una evidentissima scia di polemiche, dubbi, storture che andranno chiariti e accertati.
Il Pd punta fortissimo su di lui, punta cioè elettoralmente fortissimo sull’esponente di un altro partito e per farlo passa sopra le proteste delle sezioni territoriali, espunge ben più meritevoli candidati e cementa una alleanza che rimonta agli anni più cupi della pandemia.
Per fare posto alla legione virologica si fa strame degli esponenti più legati all’agenda Draghi, come ad esempio Enzo Amendola. Eppure, è stato proprio il Pd, orfano di Mario Draghi, a volerne rivendicare strumentalmente l’eredità politica, con tanto di manifesto di dubbio gusto, salvo poi ammainare la bandiera draghiana e far salire sul carro estrema sinistra, verdi, ex 5 stelle e ora i virologi.
Far luce sulle molte ombre
Perché? Una spiegazione potrebbe essere che Speranza e pattuglione di virologi debbano costituire una sorta di comitato politico per rinfocolare certe posizioni liberticide, e, cosa più importante, costituire una sorta di task force per controbattere e resistere alla ipotesi che il centrodestra al potere voglia, auspicabilmente, iniziare a veder chiaro su come la pandemia è stata gestita.
D’altronde di interrogativi ce ne sono tantissimi e andrebbe fatta luce, serenamente ma al tempo stesso inevitabilmente, su ciascuno di essi: dai protocolli di cura, o meglio di mera osservazione del decorso della malattia, alla effettiva indispensabilità di un Green Pass trasformato in strumento tiranno capace di egemonizzare ogni singolo aspetto dell’esistenza, dai parchi giochi per bambini nastrati all’utilizzo ormai grottesco della mascherina, in apparenza indispensabile in alcuni casi e inutile in altri, senza che un chiaro e vero criterio scientifico possa soccorrere.
Più che una pattuglia di parlamentari, questi virologi frettolosamente arruolati sembrano un collegio di difesa per cercare di mettere delle toppe a una gestione che in piana evidenza e al netto della propaganda politica di convenienza è stata tutto fuorché perfetta.
Ciò, appare evidente, è anche un invito al centrodestra nel caso dovesse andare al governo: è tempo di accertare le responsabilità politiche, penali, contabili, amministrative, derivanti dai decisioni e scelte che hanno cambiato, probabilmente per sempre, il modo di stare al mondo di moltissime persone.
Si pensi allo sviluppo psicologico dei più piccoli, cresciuti per due anni tra mascherine e comandi imperativi e divieti molto spesso insensati, o le persone che hanno visto i loro diritti spesso limitati o calpestati.
Continuano a preoccupare i prezzi in continuo aumentodell’energia. Oggi l’allarme per l’Italia è doppio: da un lato c’è la Russia che con Gazprom ha tagliato del 50% le forniture di gas all’Eni, dall’altro c’è lo studio di Confcommercio e Nomisma che ha stimato rincari di oltre il 100% rispetto al 2021 per le imprese sui costi dell’energia. Ma non se la passa bene neppure la Francia.
Nuovo taglio del gas russo all’Italia
La Russiariduce il flusso di gas verso l’Italia. A fronte di una richiesta giornaliera di gas da parte di Eni pari a circa 63 milioni di metri cubi, Gazprom ha comunicato che fornirà solo il 50% di quanto richiesto. Ieri a fronte delle richieste effettuate dalla compagnia italiana, Gazprom aveva comunicato che avrebbe consegnato solo il 65% delle forniture. Ma la situazione è ancora peggiore in Francia
Stop al gas russo per la Francia
La Francia non riceve più il flusso dal gasdotto dalla Germania dal 15 giugno. Lo ha reso noto stamattina l’operatore GRTgaz, citando gli effetti della riduzione dei flussi tra Russia e Germania. “Dal 15 giugno, GRTgaz ha notato un’interruzione del flusso fisico tra Francia e Germania. Questo flusso era di circa 60 GWh/giorno (gigawattora al giorno) all’inizio del 2022, che è solo il 10% della capacità del punto di interconnessione”, si legge nella nota. “GRTgaz rimane vigile per il prossimo inverno e invita a continuare a riempire il più possibile i loro impianti di stoccaggio nazionali”, ha affermato in una nota l’operatore di rete, un’unità del principale fornitore di gas francese Engie.Tuttavia, non vi è alcuna preoccupazione per il prossimo inverno, perché la riduzione dei flussi dalla Germania è compensata dall’aumento di quelli dalla spagna e dalla maggiore capacità nei terminal del metano.
Il prezzo dell’energia sale del 110-140% in Italia
Come se non bastasse, prosegue la crescita senza sosta quella del prezzodell’energia per le imprese del terziario: tra gennaio e aprile 2022, infatti, il prezzo delle offerte di elettricità è salito mediamente del 61%, mentre il prezzo delle offerte gas è aumentato del 21%. Gli aumenti della spesa annuale di elettricità e gas per il terziario sono ancora maggiori raggiungendo una “forchetta” che va da +110% a +140%. Le stime allarmanti emergono dall’Osservatorio Confcommercio Energia, un’analisi trimestrale realizzata in collaborazione con Nomisma Energia.
Secondo le stime del rapporto, per tutte le categorie del settoreterziario i dati parlano chiaro: nel mese di aprile 2022, rispetto alle rilevazioni dello scorso gennaio, si stima un incremento del costo delle forniture di energia elettrica che oscilla tra il 50% fino ad oltre l’80%. In particolare, i dati del primo trimestre 2022 (31 gennaio/30 aprile) testimoniano che la spesa annua per il 2022 in elettricità per un albergo tipo può arrivare fino a circa 137.000 euro, con un incremento del 76%, per un ristorante fino a oltre 18.000 euro (+57%), mentre per un negozio alimentare passerà da 23.000 euro a 40.000 euro (circa il 70% in più), per un bar il conto annuale aumenta del 54%, mentre per i negozi non alimentari il rincaro può arrivare addirittura all’87%.
Insomma, se il 2020 sarà ricordato come l’anno della pandemia, il 2022 passerà senz’altro alla storia come l’anno della crisienergetica. I numeri parlano chiaro, e il taglio alle forniture di gas imposto dalla Russia non potrà che peggiorare la situazione.
Il diritto vale anche a rovescio; ossia tutela e garantisce anche chi dissente dal potere e diverge dall’opinione dominante. Ma da qualche tempo i diritti si vanno restringendo, le imposizioni crescono insieme al conformismo coatto. Prima con la pandemia, l’infinito strascico di restrizioni e obbligazioni, vaccini e green pass, sorveglianza e controllo; poi con la guerra in Ucraina e l’allineamento generale ai falchi della Nato e degli Stati Uniti. Ma ci sono anche altri precedenti e altre vicende collaterali che hanno spinto in quella direzione.
Ugo Mattei, giurista, ordinario di diritto civile, ha pubblicato un libro che già nel titolo contiene la sua tesi, Il diritto di essere contro (Piemme), dedicato al dissenso e alla resistenza nella società del controllo. Si comincia dai vaccini, dai controlli e dai pass, nel nome di una religione scientista, sanitaria e supponente, e si arriva a estenderli ad altri ambiti, fino a instaurare un bieco regime di sorveglianza.
Mattei è tra i firmatari del documento “Dupre” che esprime dubbi e preoccupazione sul regime sanitario e i suoi inquietanti sviluppi. Come lui sono firmatari anche l’oncologo e biologo Mariano Bizzarri e il filosofo Massimo Cacciari; il primo è autore di un recente, affilato pamphlet, Covid-19 un’epidemia da decodificare. Tra realtà e disinformazione (Byoblu edizioni), con un saggio di Cacciari che ne esalta il rigore scientifico e la libertà di giudizio. Per restare nella linea del dissenso è da segnalare un libro-dialogo tra Francesco Borgonovo e lo storico Luciano Canfora, che si occupa dell’altro versante scottante, La guerra in Europa, L’Occidente, la Russia e la Propaganda (Oaks editrice), offrendo una lettura divergente rispetto all’Informazione ufficiale e istituzionale.
A Mattei, Bizzarri, Cacciari, Canfora e Borgonovo, persone di diversa estrazione, non è negato il diritto di essere contro, i loro libri non saranno vietati. Neanche quelli di Alessandro Orsini e di Toni Capuozzo, di Giorgio Agamben e di Carlo Freccero (neanche i miei, se è per questo). Ma saranno ignorati, emarginati o disprezzati e derisi in coro dall’Intellettuale Collettivo. Chi è fuori dalla cappa o dalla cupola, costeggia ai bordi l’editoria, i social e magari si affaccia pure in tv; ma è fuori dal sistema che non ammette contraddittori al suo interno, ma solo ai margini, fuori. La linea divisoria tra insider e outsider è sempre più marcata, come un fossato.
E non si tratta di voci isolate, minoranze esigue in via d’estinzione; ma esprimono un pensiero, un sentire, un’opinione assai larga, forse perfino maggioritaria. Che emerge nei social, affiora nei sondaggi, si trasmette col passaparola. A volte attraversa anche categorie come i medici, i ricercatori, gli intellettuali, i diplomatici, i militari ma il timore di sanzioni, problemi alla carriera e gogna mediatica, li induce a confessare in privato opinioni, dubbi e preoccupazioni che in pubblico sono prudentemente nascoste o stemperate.
Con la scusa dell’emergenza ormai permanente, anche se mutano le sue ragioni, si instaura un regime. Mattei accusa Draghi e Mattarella, ma anche Monti e Napolitano, la magistratura compiacente, i piani scellerati di svendita pubblica e privatizzazione, il servilismo atlantista verso gli Stati Uniti, Big Pharma, i colossi della finanza e del capitalismo globale. Siamo entrati nell’era della Sottomissione, definizione fino a ieri riferita al fanatismo islamista (si pensi al libro omonimo di Michel Houellebecq). Secondo Mattei l’Italia è il luogo in cui l’Occidente sta sperimentando la sostituzione del diritto con l’antidiritto, una forma di controllo sociale sul tipo cinese o coreano, tramite ricatti, tracciamenti, algoritmi, censure. Stiamo arrivando tramite il neo-liberismo a una nuova forma di “dispotismo occidentale”.
Il limite dell’invettiva di Mattei è che da un verso non vede il ruolo parallelo e decisivo che ha avuto l’ideologia progressista e i suoi cascami, il politically correct, la cancel culture sulla distorsione della mentalità, la negazione della realtà e della varietà, i divieti e la fabbrica dell’intolleranza. E dall’altro si ostina a giudicare tutto questo come fascismo, contro cui auspica una nuova resistenza e un nuovo comitato di liberazione. Ora, dai residui ideologici che ne sono il sostrato, dagli interessi privati che si perseguono, dai modelli adottati (come quello cinese), tutto si può dire meno che sia un nuovo fascismo. E quando Mattei vede Draghi come il nuovo fascismo, asservito al capitalismo finanziario, all’atlantismo e all’apparato liberista, va del tutto fuori strada; il fascismo è agli antipodi. Sarebbe invece molto più proficuo interrogarsi sul perché il nuovo globalismo armato e sanitario, finanziario e tecnocratico, abbia trovato nei progressisti la loro guardia bianca, nei dem il loro partito-regime e i falchi nella salute, nella censura come nelle armi. Il regime si fonda sulla saldatura tra sinistra radical e capitalismo global, tra liberal e liberisti.
Il quadro che ne traccia è veritiero: in Occidente un oligopolio finanziario globale controlla i mass media, procede al gran reset, sfonda i confini tra il pubblico e il privato. E si accinge a imitare il modello cinese, abolendo il contante per sorvegliarci con la carta elettronica, inserendo la cittadinanza a punti, censurando il dissenso. Ma poi Mattei si lascia prendere la mano e confessa di preferire “un partito unico funzionale” come quello cinese, a “un finto pluralismo di pagliacci, nani e ballerine”. Allora si, che “il diritto di essere contro” verrebbe del tutto sradicato…
Si allarga la forbice tra ricchi e poveri del Pianeta. Complice anche la pandemia che ha fatto registrare profitti record per le aziende energetiche, farmaceutiche e alimentari. Risultato finale: negli ultimi 2 anni i miliardari che controllano grandi imprese dei settori alimentare ed energetico hanno visto crescere i loro patrimoni al ritmo di 1 miliardo di dollari (950 milioni di euro) ogni 2 giorni.
Complessivamente, la ricchezza dei miliardari è cresciuta del 13,9% del PIL mondiale, una quota più che triplicata dal 4,4% del 2000.
È quanto emerge da un report pubblicato da Oxfam, in occasione dell’apertura di Davos, in cui si sottolinea come mentre la spirale della povertà estrema rischia di inghiottire 1 milione di persone ogni giorno e mezzo nel 2022, i super ricchi che controllano le grandi imprese nei settori alimentare e dell’energia continuano ad accrescere le proprie fortune.
Oggi, 2.668 miliardari – 573 in più rispetto al 2020 – possiedono una ricchezza netta pari a 12.700 miliardi di dollari, con un incremento pandemico, in termini reali, di 3.780 miliardi di dollari.
Chi ha guadagnato di più
A trainare la ricchezza, come anticipato, i profitti record delle imprese nei settori caratterizzati da un forte monopolio, come quello energetico, alimentare e farmaceutico. Per dare un’ordine di grandezza, cinque delle più grandi multinazionali energetiche (BP, Shell, Total Energies, Exxon e Chevron) fanno 2.600 dollari di profitto al secondo.
Nel settore alimentare, la pandemia ha prodotto 62 nuovi miliardari. Insieme ad altre tre imprese, la famiglia Cargill controlla il 70% del mercato agricolo globale, e ha realizzato l’anno scorso il più grande profitto nella sua storia (5 miliardi di dollari di utile netto), record che potrebbe essere battuto nel 2022. La stessa famiglia conta ora 12 miliardari, rispetto agli 8 di prima della pandemia.
Anche nel settore farmaceutico, i cui profitti sono stati spinti alle stelle dalla pandemia, ci sono ben 40 paperoni in più. Imprese come Moderna e Pfizer hanno realizzato 1.000 dollari di profitto al secondo grazie al solo vaccino COVID-19 ed Oxfam ricorda che, nonostante abbiano usufruito di ingenti risorse pubbliche per il suo sviluppo, fanno pagare ai governi le dosi fino a 24 volte in più rispetto al costo di produzione stimato.
Ricchi sempre più ricchi, mentre salari rimangono stagnanti
Tutto questo mentre i salari invece rimangono stagnanti e i lavoratori sono esposti a un aumento esorbitante del costo della vita se paragonato agli ultimi decenni, spiega Oxfam. Un esempio su tutti: un lavoratore che si trova nel 50% degli occupati con retribuzioni più basse, dovrebbe lavorare 112 anni per guadagnare quello che un lavoratore nel top 1% guadagna in media in un solo anno. Da qui la richiesta ai Governi di tassare subito gli extraprofitti realizzati sulle spalle delle famiglie.
“I miliardari a Davos potranno brindare all’incredibile impulso che le loro fortune hanno ricevuto grazie alla pandemia e all’aumento dei prezzi dei generi alimentari e dell’energia, – ha detto Gabriela Bucher, direttrice esecutiva di Oxfam International – ma allo stesso tempo decenni di progressi nella lotta alla povertà estrema rischiano di essere vanificati con milioni di persone lasciati senza mezzi per poter semplicemente sopravvivere”. “La marcata concentrazione della ricchezza – e di potere economico – nelle mani di pochi è il risultato di politiche di lungo corso, di decenni di liberalizzazioni e deregolamentazione della finanza e del mercato del lavoro, di anni in cui le regole del gioco sono state fortemente condizionate da interessi particolari a detrimento della maggioranza dei cittadini”, ha aggiunto Bucher.
SE NON CI IMPEGNIAMO IN POLITICA IL CONTROLLO SOCIALE CHE ABBIAMO FINORA ACCETTATO NON È DESTINATO A FINIRE PERCHÉ FA PARTE DI QUELLA “NUOVA NORMALITÀ” CHE IL SISTEMA GLOBALE HA IN MENTE PER NOI
I Padri della Chiesa, gli antichi e i grandi pensatori ci hanno insegnato ad avere una visione d’insieme e lungimirante dei fatti perché analisi settoriali in epoche di grandi cambiamenti possono portare ad analisi incomplete ed a una certa miopia che conduce nei vicoli ciechi dell’irrealismo, della vacuità dei cronici bastian contrari, del fanatismo apocalittico.
Un virus sconosciuto, scappato da un laboratorio cinese, ha creato una pandemia e prodotto due anni di stato d’emergenza. La vita di ognuno di noi è cambiata. Ci stanno abituando a determinate restrizioni delle libertà personali, al distanziamento sociale, alla mascherina, al tracciamento digitale delle nostre scelte e abitudini. Il controllo sociale, che abbiamo accettato nel corso di questo lungo periodo, non è destinato a finire perché fa parte di quella “nuova normalità” che il Sistema globale ha in mente per noi.
L’esperimento, a parte la reticenza di una minoranza, è perfettamente riuscito. E’ la globalizzazione che si doveva rimodulare, attraverso la digitalizzazione di massa di ogni processo vitale, per l’arricchimento delle solite poche famiglie dell’alta finanza, che hanno preso il sopravvento con la fine della Seconda Guerra Mondiale, nelle plutocrazie occidentali, dominate in modalità unipolare a partire dal crollo del muro di Berlino.
Ecco ergersi, forte e fiero, l’orso russo, che sembra uscito dal letargo pandemico, a lanciare zampate terribili per marcare il territorio e pretendere lo spazio che l’accerchiamento dell’Heartland, teorizzato dal politico britannico Halford Mackinder (1861-1947) è determinato a precludergli.
Assieme alla Cina, divenuta una Superpotenza, costruita in almeno tre decenni di accettazione del capitalismo economico, abbinato alla peggior repressione comunista in ambito sociale, la Russia di Putin, evocando l’epoca imperiale, si è fatta amici l’Oriente e l’America Latina. Noi siamo l’Europa debole del decadentismo, che si trova in mezzo alla contesa per il potere di un mondo multipolare, che lo zar e Xi Jinping vogliono marcare, nell’ambito di quella rimodulazione del globalismo, che, attraverso il Covid, doveva insegnarci a vivere alla cinese, ma da consumatori all’americana. L’identità fluida, importata dal protestantesimo d’Oltreoceano è già sciolta davanti all’identità forte che proviene da Est.
Un parallelismo storico si potrebbe fare tra la guerra in Ucraina e la guerra di Crimea del 1853. Quest’ultima fu un avvenimento e un sintomo inedito: uno scontro tra due monarchie in cui entrambe apparivano come esponenti mercenari della sovversione dell’ordine naturale e divino, portata dalla rivoluzione francese. La guerra del 1853 fu la prima “guerra democratica” della storia, in cui i figli di una stessa famiglia si sono uccisi a vicenda, non per le loro patrie o per i loro Principi, ma perché, dalle due parti, la feccia preparata e sobillata dal fermento liberal potesse passare sui loro corpi. Solo ciò che sardonicamente viene chiamato “libertà” ha potuto far sì che una ironia così feroce, implicante un simile accecamento, fosse, in genere, possibile. Prima, gli uomini si sacrificavano per ciò che amavano. Divenuti “liberi”, sono costretti a farsi uccidere, occorrendo agli interessi del capitalismo globale: pena l’emarginazione, l’accusa di tradimento, l’isolamento e la morte, come se la patria, la massoneria, la democrazia e la plutocrazia fossero una cosa sola.
Le figure rappresentative della democrazia e della “libertà” videro nella guerra di Crimea lo scontro fra due mondi, il duello tra due dogmi fondamentali, “quello del cristianesimo barbaro d’Oriente contro la giovane fede sociale dell’Occidente civilizzato”, secondo le parole testuali dello storico francese Jules Michelet (1798-1874). Ricordiamo che le Logge massoniche, le Borse e le Banche erano i templi futuri dell’Occidente “civilizzato”, mentre Nicola I era un “tiranno”, un “vampiro”, ed anche Metternich lo era stato.
Vi è della gente che non si ha il diritto di molestare senza essere vampiri, ma ve n’è un’altra che si è liberi di massacrare in massa in nome della “libertà”, senza cessare di essere “nobili” e “generosi”, “buoni” e “giusti”. Obiettivo era distruggere il cristianesimo per preparare la via al bolscevismo in Oriente e all’ubiquità capitalista in Occidente. Oggi, l’ubiquità capitalista ha prevalso, ma la globalizzazione imposta dall’Occidente liberale sta crollando a causa delle sue contraddizioni, il cattolicesimo è sempre più marginale e l’Oriente si è ripreso dalla sbornia socialista. Come andrà a finire, lo vedremo nei prossimi anni, tenendo presente che il Cuore Immacolato di Maria trionferà.
La sentenza del Tribunale Penale di Pisa del 17 febbraio 2022 – Giud. Lina Manuali – affronta tutte le violazioni costituzionali del periodo della pandemia, inclusa la proroga dello stato di emergenza
Riteniamo di fare cosa gradita nel pubblicare ampi stralci della sentenza n. 1842/2021, emessa in data 8 novembre 2021, depositata oggi, 17 febbraio 2022, dal Giudice Monocratico del Tribunale Penale di Pisa Lina Manuali.
La panoramica svolta per pervenire alla decisione della fattispecie in disamina permette di rilevare quale compressione dei diritti fondamentali sia stata realizzata in Italia al tempo della diffusione del virus Sars-Cov-2 avuto riguardo alla libertà personale (art. 13 Cost), alla libertà di movimento e di riunione (artt. 16 e 17 Cost.), al diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, anche in forma associata (art. 19 Cost.), al diritto alla scuola (art. 34 Cost.), al diritto al lavoro (art. 36 Cost), al diritto alla libertà di impresa (art. 41 Cost.).
Ma nella significativa pronuncia pisana viene affrontato anche il tema – attualissimo – della proroga dello stato di emergenza.
“Nel momento in cui viene meno lo stato di emergenza, i diritti e le libertà fondamentali debbono riespandersi nel loro alveo originale, poiché la compressione degli stessi ha raggiunto e superato il limite massimo di tollerabilità; compressione che non può ulteriormente protrarsi, né a tempo predeterminato, né, a maggior ragione, ad libitum, attraverso continui e reiterati prolungamenti di operatività”.
Va posto in risalto che il brano che segue si innesta in una decisione su un capo d’imputazione più esteso, ma che annovera la contestazione del reato di cui all’art. 650 c.p. perché gli imputati avrebbero violato “l’ordine imposto con DPCM dell’8/03/2020 per ragioni di igiene e sicurezza pubblica, di non uscire se non per ragioni di lavoro, salute o necessità”.
Buona lettura, con l’avvertenza che tutti i neretti sono nostri.
TRIBUNALE PENALE DI PISA, giud. Dott.ssa Lina Manuali, sentenza emessa l’8 novembre 2021, depositata in data 17 febbraio 2022, n. 1842/2021
Agli odierni prevenuti e, infine, contestata, ai sensi dell’art. 650 c.p., Ia violazione dell’ordine imposto con DPCM dell’8/03/2020, per ragioni di igiene e sicurezza pubblica, di non uscire se non per motivi di lavoro, salute o necessità. In merito a tale reato si ritengono sussistenti i presupposti per Ia pronuncia di assoluzione nella formula piu ampia e favorevole al reo, perché il fatto non sussiste e non perché il fatto non e piu previsto dalla Iegge come reato, con trasmissione degli atti al Prefetto, in quanto non si reputa il DPCM 08.03.2020 costituente provvedimento legalmente dato dall’Autorità, come per contro richiesto dall’art. 650 cp.
Si rileva che a causa della epidemia da COVID-19, al fine di tutelare Ia salute pubblica, sono state emanate disposizioni che hanno comportato la sospensione e compressione di alcune libertà garantite dalla nostra Carta Costituzionale, come previsti dagli artt. 13 e seguenti della stessa.
Si tratta di libertà che concernono i diritti fondamentali dell’uomo e costituiscono il “nucleo duro” della Costituzione stessa, tanto che, secondo Ia dottrina maggioritaria (Cfr. C. Mortati, in “Una e indivisibile”, Milano, Giuffre 2007, p. 216; G. Azzariti, in Revisione Costituzionale e rapporto tra prima e seconda parte della Costituzione, in Nomos, Quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico comparato e storia costituzionale, n. 1-2016, p. 3.) non sono revisionabili nemmeno con il procedimento di cui all’art. 138 Cost. – Revisione della Costituzione, ragion per cui occorre verificare se, a quali condizioni e con quali modalità, in situazioni emergenziali, tali diritti possano essere compressi a tutela di altri diritti anch’essi costituzionalmente previsti.
Si deve evidenziare che l‘Ordinamento Costituzionale Italiano non contempla ne’ lo stato di eccezione, ne’ lo stato di emergenza, che è una declinazione dell’eccezione, al di fuori dello stato di guerra, previsto all’art. 78 della Cost.
Lo stato di emergenza è una condizione giuridica particolare che pur essere attivata al verificarsi di eventi eccezionali. Questa particolare situazione emergenziale richiede, pertanto, un intervento urgente e con poteri straordinari al fine di tutelare i cittadini e porre rimedi ad eventuali danni.
Tuttavia, per fronteggiare una tale situazione gli strumenti idonei a cui si fa ricorso devono trovare, comunque, un fondamento di rango costituzionale, specie per quanto attiene ai presupposti, qualora incidano e impattino su diritti costituzionalmente garantiti.
Orbene, la Costituzione italiana non prevede alcun articolo che disciplini lo stato d’emergenza/d’eccezione, volta a ricomprendere tutte quelle situazioni diverse (purché interne) che non si riferiscano al vero e proprio “stato di guerra” previsto ex art. 78 Cost. (inerente conflitti bellici esterni).
Per altro, Ia situazione attuale causata dal Covid 19 non è nemmeno giuridicamente assimilabile allo “stato di guerra”, per cui non è possibile far ricorso all’applicazione analogica dell’art. 78 Cost.: del resto, l’assenza di uno specifico diritto speciale per lo stato di emergenza è frutto di una consapevole scelta dei padri costituenti; infatti, Ia proposta di introdurre Ia previsione della stato di emergenza per ipotesi diverse da eventi bellici (come ad esempio per motivi di ordine pubblico durante lo stato di assedio) non venne accolta, onde evitare che attraverso la dichiarazione della stato di emergenza si potessero comprimere diritti fondamentali con conseguente alterazione della stesso assetto dei poteri.
L’allora Presidente della Consulta Marta Cartabia, oggi Ministro della Giustizia, il 28 aprile 2020 ebbe a dichiarare: «Non c’è un diritto speciale, anche in emergenza. La Costituzione sia bussola per tutti».
Peraltro, in dottrina si rileva che all’interno dell’ordinamento costituzionale italiano sia comunque rinvenibile un “implicito statuto costituzionale dell’emergenza”, quale espressione dei tradizionali principi del primum vivere e del salus rei publicae, è costituito dai principi di unità ed indivisibilità della Repubblica, di tutela della salute pubblica e della pubblica sicurezza, da specifiche fonti sulla produzione normativa determinata dalla necessità ed urgenza e dall’intangibilità dei principi supremi del vigente ordine costituzionale, primi su tutti i diritti fondamentali, i quali – per espressa volontà dei padri costituenti – si trovano tra loro in rapporto di integrazione reciproca e mai di prevalenza di uno rispetto agli altri: “dalla sentenza 83/2013 della Consulta si evince chiaramente che Ia tutela dei diritti non puo ingigantirsi a tal punto da tiranneggiare sulla protezione di altri diritti di pari natura costituzionale.”
Pertanto, qualora emergano situazioni emergenziali, in cui si ravvisi Ia necessità di dare attuazione ai principi precauzionali del primum vivere e del salus rei publicae, occorre sempre tener presente che non è possibile istituire una gerarchia tra le varie figure di diritti fondamentali, non sussistendo nell’ordinamento costituzionale alcuna presunzione assoluta di prevalenza di un diritto su tutti gli altri.
Quindi, qualora l’esercizio di un diritto comporti, in caso di necessità ed urgenza, Ia limitazione di altri, ciò deve avvenire nel rispetto dei principi della legalità, riserva di Iegge (assoluta o relativa), necessità, proporzionalità, bilanciamento e temporaneità, in quanta, altrimenti, si determinerebbe l’insorgere del cd. “diritto tiranno” (avanti al quale tutti gli altri diritti dovrebbero soccombere), con conseguente non solo violazione della Costituzione, ma addirittura superamento del perimetro delineate dalla carta costituzionale (non una incostituzionalità ma una “a-costituzionalità“, Cfr. F.Giulimondi, “Ia Costituzione ai tempi del coronavirus (sottacendo sulla “costituzione sospesa“)”, in Foroeuropa, 2020, n. 2).
Poiché nella situazione venutasi a creare con Ia diffusione del virus denominato Sars-Cov-2, si è ravvisata Ia necessità di contemperare Ia tutela dei diritti fondamentali del singolo individuo con quella della salute pubblica, garantita dall’art. 32 Cost., non è irrilevante, ai fini del decidere, verificare se la composita filiera normativa emergenziale posta in essere dal Governo – costituita dalla deliberazione dello stato di emergenza e successive proroghe, dai decreti Iegge e dai DPCM – rispetti o meno principi di legalità e di riserva di Iegge, di temporaneità, ragionevolezza, bilanciamento, e proporzionalità, così come sanciti dalla Carta Costituzionale, e se, pertanto, le delibere emesse dal Consiglio dei Ministri, i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri abbiano o meno una copertura normativa.
Lo statuto dell’emergenza ad hoc (come definite da autorevole dottrina, Cfr. M. Calame Specchia, A Lucarelli, F. Salmoni – Sistema Normativo delle fonti nel governo giuridico della pandemia. lllegittimità diffuse e strumenti di tutela, in Rivista AIC 2021 n. 1), delineate dal Governo, trae “origine” dalla Delibera 20 del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 – emessa in forza del combinato disposto degli artt. 7, comma 1, lettera c), e 24, comma 1 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 – con cui veniva dichiarato per sei mesi lo stato di emergenza nazionale “in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”.
II D.Lvo n. 1 del 02.01.2018 (c.d. Codice della Protezione Civile), prevede, infatti, all’art. 24, Ia deliberazione da parte del Consiglio dei Ministri dello stato di emergenza, da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale, qualora ricorrano le “emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo di cui all’art. 7 lett c). Tale delibera rientra nel novero dei provvedimenti non aventi forza di Iegge, di cui alla previsione di cui alla lett. a) dell’art. 3 (Norme in materia di controllo della Corte dei conti) della Iegge n. 20/1994, e, come tale – anche per espressa previsione del comma 5 dell’art. 24 D.Lgs. n. 1/2018 -, essa è esclusa da qualsiasi controllo preventivo circa Ia legittimità e fondamento, · mentre rimane soggetta al successivo vaglio dell’autorità giudiziaria.
Pertanto, ai fini della sua giustiziabilità, si deve verificare se Ia delibera de qua sia stata effettivamente emanata sulla base di sussistenti presupposti normativi.
Orbene, il D.Lgs n. 1/2018 all’art. 7 individua le tipologie degli eventi emergenziali, fra le quali rientrano, lett. c), le: “emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24”.
Si tratta a questo punto di verificare se il “rischio sanitario” connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, fondante Ia delibera del Consiglio dei Ministri, rientri o meno negli “eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo”, di cui all’art. 7 sopra citato, evidenziandosi che per tali si intendono le calamità naturali, quali terremoti, maremoti, alluvioni, valanghe ed incendi.
Si deve rilevare come l’epidemia o la pandemia non rientrino in alcun modo nell’ambito della calamità naturale, per il semplice motivo che sono dimensioni di crisi del tutto diverse fra di loro.
lnfatti, Ia pandemia, e “una epidemia con tendenza a diffondersi ovunque, cioè a invadere rapidamente vastissimi territori e continenti.
La pandemia può dirsi realizzata soltanto in presenza di queste tre condizioni: un organismo altamente virulento, mancanza di immunizzazione specifica nell’uomo e possibilità di trasmissione da uomo a uomo; l’epidemia è una manifestazione collettiva d’una malattia (colera, influenza ecc.), che rapidamente si diffonde fino a colpire un gran numero di persone in un territorio più o meno vasto in dipendenza da vari fattori, si sviluppa con andamento variabile e si estingue dopo una durata anche variabile.”
La calamità naturale si configura dinanzi ad “ogni fatto catastrofico, ragionevolmente imprevedibile, conseguente a eventi determinanti e a fattori predisponenti tutti di ordine naturale, e a foro volta ragionevolmente imprevedibili”.
La calamità naturale, pertanto, non ha nulla a che fare con l’epidemia/pandemia, provocata da agenti virali o batterici.
II Legislatore, nel redigere un testo onnicomprensivo sulla Protezione civile come il d.lgs. 1/2018, non ha indicato il rischio epidemico fra quelli a causa dei quali occorre intervenire, previa dichiarazione di stato di emergenza comunale, regionale o nazionale.
II Legislatore, ad esempio, cita nel dettaglio l’inquinamento marino all’art. 24, comma 8, d.lgs. 1/2018, ma non fa alcun riferimento all’epidemia.
Certamente non è credibile inserire il plesso epidemia-pandemia nella locuzione “rischio igienico-sanitario”, ex art. 16, comma 2, d.lgs. 1/2018.
II rischio igienico sanitario – di competenza delle ASL- individua e valuta i fattori di rischio chimico e biologico, oltre le relative misure di prevenzione e protezione per la salute dei lavoratori, dei consumatori e degli utenti, nonché le misure di sicurezza per la salubrità degli ambienti di lavoro e professionali, di ristorazione, intrattenimento e commercio, degli edifici e delle strade a partire dalla raccolta e gestione dei rifiuti e, infine, degli alimenti e dei prodotti eno-agro-gastronomici.
Dentroi piccoli argini del rischio igienico sanitario – di competenza legislativa esclusiva delle Regioni – non si possono far rientrare le dimensioni nazionali ed internazionali di una pandemia, di spettanza normativa esclusiva dello Stato. Pertanto, le disposizioni normative poste a base della dichiarazione dello stato di emergenza del 31.01.2020 nulla hanno a che vedere con situazioni di “rischio sanitario”, qual è quello derivato dal virus Sars-Cov-2 (certamente evento calamitoso), riguardando altri e diversi eventi di pericolo: “eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo” (recita l’art. 7 comma 1) lett. C D.Lgs n. 1118), vale a dire calamità naturali, quali terremoti, maremoti, alluvioni, valanghe ed incendi, con Ia conseguenza che viene meno il fondamento giuridico di rango primario della delibera del 31.01.2020.
Venendo meno la fonte normativa primaria, occorre far ricorso alla Carta Costituzionale e, come già sopra ampiamente argomentato, in essa non è riscontrabile alcuna disposizione che conferisca poteri particolari al Governo, tranne che venga deliberato dalle Camere lo stato di guerra, nel qual caso (le Camere) “conferiscono al Governo i poteri necessari” (art. 78 Cost.).
Manca, perciò, un qualsivoglia presupposto legislativo su cui fondare Ia delibera del Consiglio dei Ministri del 31.1.2020, con consequenziale illegittimità della stessa per essere stata emessa in violazione dell’art. 78, non rientrando tra i poteri del Consiglio dei Ministri quello di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria.
In conclusione, Ia delibera dichiarativa dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei Ministri il 31.1.2020 è illegittima per essere stata emanata in assenza dei presupposti legislativi, in quanto non è rinvenibile alcuna fonte avente forza di Iegge, ordinaria o costituzionale, che attribuisca al Consiglio dei Ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario.
A fronte della illegittimità della delibera del CdM del 31.01.2020, devono reputarsi illegittimi tutti i successivi provvedimenti emessi per il contenimento e Ia gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID 19, nonche tutte le successive proroghe dello stesso stato di emergenza.
Peraltro, oltre all’acclarata illegittimità della dichiarazione dello stato di emergenza, si ravvisano violati i principi di legalità e di riserva di legge, in quanto – nel modello emergenziale costruito dal Governo – le libertà fondamentali sarebbero state limitate formalmente da norme di rango primario (ovvero dai vari decreti Iegge fin in qui adottati) ma nella sostanza sono state compresse dai DPCM, atti di natura amministrativa.
Con Ia dichiarazione dello stato di emergenza, il Governo assume Ia gestione dell’emergenza sanitaria da Covid 19, mediante il ricorso alia decretazione d’urgenza, di cui all’art. 77 Cost., a sua volta posta alia base dei DPCM, con i quali sono state adottate misure piu stringenti e limitative dei diritti fondamentali degli individui, anche rispetto a quanto previsto negli stessi decreti – Iegge, primo tra tutti il decreto Iegge n. 6 del 23 febbraio 2020.
lnvero, il D.L. n. 6/2020 costituisce una “delega in bianco” a favore del governo, dotando sé stesso e lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri di poteri extra ordinem.
Difatti, il DL n. 6/2020 conferisce al Governo ed in particolare al Presidente del Consiglio – all’art. 1 – ampi poteri con delega in bianco, con il limite del rispetto dei criteri dell’adeguatezza e della proporzionalità, laddove si dispone che “le autorità competenti possono adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”, nonché – all’art. 2 – una delega in bianco, senza limitazione alcuna, laddove si dispone che “le autorità competenti possono adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire Ia diffusione dell’epidemia da COVID-19”, senza specificazione alcuna in ordine alia tipologia e aile misure atipiche, anche fuori dai casi disciplinati dall’articolo 1, comma 1 e, dunque, diverse da quelle previste nel decreto Iegge in questione, con ciò eludendo sia Ia riserva di Iegge posta a livello costituzione, sia il principio di legalità non solo formale ma anche sostanziale.
Quindi, ogni misura di contenimento e di gestione dell’emergenza, dettata dall’evolversi della situazione epidemiologica, e adottata, sulla base della suddetta procedura, nella forma giuridica del dpcm, ovvero di un atto monocratico, di titolarità e responsabilità politica del presidente del consiglio dei ministri, come tale sottratto al vaglio del Presidente della Repubblica, del Parlamento, della Corte Costituzionale e della stessa Corte dei Conti. 24 In tal modo – come affermato da autorevole dottrina cui si intende aderire (cfr. A. Lucarelli – Costituzione, fonti del diritto ed emergenza sanitaria, in Rivista AIC 2020 n. 2) – il fondamento giuridico, costituito dai decreti Iegge, si presenta a “maglie larghe“, consentendo ai dpcm uneccesso di discrezionalità, non proporzionata ed adeguata.
Essi, pertanto, esplicano, di fatto, Ia loro carica e funzionalità emergenziale con una portata extra ordinem, tale da violare riserva di Iegge assoluta e principio di legalità sostanziale.
Difatti, il governo non perimetra, né limita l’azione dei dpcm.
Nel caso di specie, si tratta di un ampio trasferimento di poteri a favore del presidente del consiglio dei ministri che, con discrezionalità, ogni qualvolta ritenga che Ia misura sia adeguata e proporzionata per affrontare Ia crisi epidemiologica, può adottare atti amministrativi, e finisce per innovare l’ordinamento giuridico.
Di fatto, Ia riserva di Iegge assoluta che, a determinate condizioni, legittima Ia limitazione dei diritti fondamentali, a partire dalla libertà di circolazione, si trasforma in una riserva di atto amministrativo (dpcm), con un evidente vulnus al principio di legalità sostanziale.
L’innovazione ordinamentale, introdotta dai dpcm, si palesa laddove Ia norma (decreto-legge), che si atteggia nebulosamente quale fondamento attribuzione del potere, non delinea né limiti formali, né sostanziali all’esercizio di tale potere, al di fuori della locuzione «adozione di atti adeguati e proporzionati per affrontare la crisi».
Si tratta, dunque, di atti amministrativi capaci di incidere potenzialmente ed in effetti incidono su tutta la prima parte della Costituzione, con violazione della riserva di legge assoluta e del principio di legalità.
Pare evidente come sia stata conferita al Presidente del Consiglio una delega generale, sia in violazione dell’art. 76 Cost. (rilevandosi che una siffatta delega non potrebbe nemmeno essere conferita al Consiglio dei Ministri, senza indicazione da parte del Legislatore (rectius Parlamento) dei limiti e degli ambiti in cui esercitare la funzione legislativa delegata), sia in violazione dell’art. 78 Cost., in quanto la situazione di emergenza sanitaria non rientra nella previsione di tal norma costituzionale (ove, per altro, si parla di conferimento al Governo, quale organo collegiale, dei poteri necessari e non di certo qualsiasi potere). In altri termini, viene delegato al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di attuare misure restrittive, molto ampio e senza indicazione di alcun limite, nemmeno temporale, con compressione di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, quali Ia libertà personale (art. 13 Cost), Ia libertà di movimento e di riunione (artt. 16 e 17 Cost.), il diritto di professare liberamente Ia propria fede religiosa, anche in forma associata (art. 19 Cost.), il diritto alia scuola (art. 34 Cost.), il diritto al lavoro (art. 36 Cost), il diritto alia libertà di impresa (art. 41 Cost.), e tutto ciò, si ribadisce, non con legge ordinaria, ma con un decreto del Presidente del Consiglio, che risulta inficiato da illegittimità per diversi motivi, tra cui: a) mancanza di fissazione di un effettivo termine di efficacia; b) elencazione meramente esemplificativa delle misure di gestione dell’emergenza adottabili dal Presidente del Consiglio dei Ministri; c) omessa disciplina dei relativi poteri.
Pertanto, alia luce delle deduzioni sopra svolte, si deve rilevare, a parere di questo giudice e non solo, come da argomentazioni di eminenti costituzionalisti ed ex presidenti, vice presidenti e consiglieri della Corte Costituzionale (Cassese, Baldassarre, Marini, Cartabia, Onida, Maddalena), oltre che da decisioni di giudici di merito (Frosinone, Roma, Reggio Emilia), Ia indiscutibile illegittimità del DPCM del 8/3/2020 (come pure di quelli successivi emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri), ove viene stabilito all’art. 1 che, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio neii’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, sono adottate le misure volte ad evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessita ovvero spostamenti per motivi di salute, consentendo il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza;” e ove, all’art. 4, rubricate Monitoraggio delle misure, il mancato rispetto degli obblighi di cui al DPCM de quo viene punito ai sensi dell’art. 650 c.p.
Disposizione poi estesa a tutto il territorio nazionale per effetto del D.P.C.M. 9 marzo 2020, recante misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale, innovando l’ordinamento giuridico con misure sempre più stringenti e limitative delle libertà.
Difatti, con tali provvedimenti, aventi natura meramente amministrativa, si è stabilito un divieto generale e assoluto di spostamento, salvo alcune eccezioni; divieto che si configura, perciò, in un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare e come tale limitativo del diritto di liberta personale, rilevandosi come Ia possibilità di spostamento per comprovate esigenze lavorative veniva riconosciuto unicamente ai lavoratori che esplicavano Ia propria attività nell’ambito dei c.d. servizi essenziali, mentre tutte le restanti attività economiche erano state sospese.
Per Ia nostra Costituzione uno dei diritti fondamentali, il più importante, è costituitodalla libertà personale.
lnfatti, dopo l’art. 3, che sancisce Ia pari dignità sociale di tutti i cittadini, Ia Carta Costituzionale indica una serie di diritti inviolabili, fra i quali pone al primo posto quello della libertà personale, l’art. 13, il quale nei primi tre commi dispone: “La libertà personale e inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla Iegge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla Iegge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. [ …)”, sancendo cosi l’inviolabilità della persona (habeas corpus) nei confronti di potenziali abusi delle pubbliche autorità e richiedendo Ia sussistenza di precisi presupposti giuridici per poterne limitare Ia libertà.
Esso si presenta, cioè, non “come illimitato potere di disposizione della persona fisica, bensi come diritto a che l’opposto potere di coazione personale, di cui lo Stato e titolare, non sia esercitato se non in determinate circostanze e col rispetto di talune forme” (Corte Cost. sentenza n. 11/1956).
Nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare configura una fattispecie restrittiva della libertà personale e, in quanto tale, può essere irrogata solo dal Giudice con atto motivato nei confronti di uno specifico soggetto, sempre in forza di una Iegge che preveda “casi e modi”.
Quindi, “in nessun caso l’uomo potrà essere privato o limitato nella sua libertà se questa privazione o restrizione non risulti astrattamente prevista dalla legge, se un regolare giudizio non sia a tal fine instaurato, se non vi sia provvedimento dell’autorità giudiziaria che ne dia le ragioni” (Corte Cost. sentenza n. 11 del 19 giugno 1956), avendo il Costituente posto a tutela della inviolabilità personale tre garanzie: a) Ia riserva di Iegge assoluta, per cui solo il legislatore può intervenire in materia e porre dei limiti; b) Ia riserva di giurisdizione, potendo solo l’autorità giudiziaria emettere provvedimenti restrittivi della libertà personale; c) l’obbligo di motivazione, dovendo essere esplicitate le ragioni alla base dei provvedimenti restrittivi.
Perciò, il vietare ad una persona fisica ogni spostamento anche all’interno del territorio in cui vive o si trova, configurandosi quale vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare, a mente dell’ art. 13 Cost., richiede una specifica disposizione legislativa e un atto motivato dell’autorità giudiziaria.
Consegue, allora, che un DPCM, fonte meramente secondaria, non atto normativo, non puo disporre limitazioni della libertà personale, come invece disposto dal DPCM del 8/3/2020, ove sono adottate le misure volte ad evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori previsti dal medesimo decreto, nonché all’interno dei medesimi territori, e successivamente estese a tutto il territorio nazionale dal DPCM 09.03.2020, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute” ed una siffatta previsione viola all’evidenza il citato art. 13 Cost. 28.
Altro diritto che risulta violato e quello della libertà di circolazione, di cui all’art. 16 Cost., in forza del quale “Ogni Cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza[ … ]”.
L’art. 16, come e dato leggere, afferma e tutela Ia libertà di circolazione dei cittadini, cioe Ia libertà di muoversi liberamente da un luogo ad un altro, senza necessità alcuna di richiedere permessi o render conto ad alcuno dei motivi dei propri spostamenti, e, nel far salve le limitazioni a tale libertà, pone dei limiti alia discrezionalità del legislatore, predeterminando già alcuni contenuti che la legge deve avere, c.d. principio di riserva di Iegge rinforzata, in quanto Ia libertà di circolazione e soggiorno può essere impedita solo in via generale, nel senso che l’inciso “limitazioni che la legge stabilisce in via generale” “debba essere applicabile alia generalità dei cittadini, non a singole categorie” (cfr. Corte Cost. n. 2/1956), e per motivi di sanità e sicurezza, principio che comunque impedisce restrizioni stabilite sulla base di atti aventi natura diversa dalla legge statale.
Le limitazioni sono dunque garantite da una riserva di legge, con la conseguenza che solo atti aventi valore primario possono prevederle (legge, decreto legge e decreto legislativo) e non provvedimenti aventi natura amministrativa, quali sono per l’appunto i DPCM.
Per altro, come già in precedenza rilevato, il Decreto Legge del 23.02.2020 n. 6, convertito, con modifiche, dalla legge del 05.03.2020 n. 13, nell’attribuire alle autorità competenti il potere di adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica.”, faceva riferimento ad alcune zone specifiche, alle zone c.d. “rosse”, e non già all’intero territorio nazionale e, né in sede di conversione del decreto, né con altra fonte primaria, è dato rinvenire alcuna estensione, tant’è che il DPCM deii’08.03.2020 si applicava solo alla regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano[-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, mentre solo con il DPCM del 09.03.2020 venivano estese le disposizioni del primo DPMC a tutto il territorio nazionale.
Consegue, allora, che le misure limitative alia libertà di circolazione di cui ai successivi DPCM risultano essere prive di fondamento legislativo di rango primario, in patente violazione, quindi, della stessa riserva di legge di cui all’art. 16 Cost.
Né può costituire fonte di rango primario l’art. 2 del decreto DL n. 6/2020 (“Uiteriori misure di gestione dell’emergenza -1. Le autorità competenti possono adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da COVID-19 anche fuori dai casi di cui all’articolo 1, comma 1.”) ove quel semplice rinvio a “ulteriori misure”, senza specificazione alcuna in ordine alia tipologia, misure atipiche, diverse da quelle previste dall’art. 1, costituisce di fatto un vulnus ed elusione alia riserva di legge imposta dall’art. 16 Cost.
Non può invocarsi, al fine di attribuire efficacia e legittimità dei DPCM 08.03.2020 e 09.03.2020, Ia clausola di salvezza degli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei decreti e delle ordinanze emanate ai sensi del DL n. 6/2020, contenuta nell’art. 2 comma 3 del DL del 25.03.2020 n. 19, prevista a fronte dell’espressa abrogazione del DL n. 6/2020, già convertito con Ia L. 5.03.2020 n. 13, ad eccezione degli articoli 3, comma 6-bis, e 4, ma comprovante la carenza della disciplina dettata dall’art. 2 del DL n. 6/2020, in merito alia mancata specificazione contenutistica dei DPCM.
Difatti, benché l’art. 2 comma 3 del D.L. n. 19/2020 faccia salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei decreti e delle ordinanze emanate ai sensi del DL n. 6/2020, si ritiene che tale clausola non possa incidere sulla invalidità derivata di cui sono, comunque, affetti i provvedimenti nel frattempo emanati, tra cui per l’appunto i DPCM e i conseguenziali atti amministrativi, considerato che il principio di legalità presuppone che Ia norma abilitante preceda e non segua quella abilitata e che il nesso tra Ia situazione emergenziale e le misure adottate deve essere rigorosamente individuate, in modo che possa essere rispettato il criterio di proporzionalità e adeguatezza a superare l’emergenza e a ripristinare Ia normalità sociale e costituzionale.
D’altro canto, proprio Ia salvezza degli effetti di atti invalidi, in quanto derivanti da fonte normativa (DL n. 6/2020) costituzionalmente illegittima (per violazione dei principi di riserva di legge e di legalità) determina la stessa illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 3 del DL n. 19/2020, ciò in quanto esso si pone in rapporto di reiterazione implicita del DL n. 6/2020, che continua cosi a fungere da base legale (non conforme alia Costituzione) dei DPCM emanati ed emandandi.
Peraltro, si deve notare come nel corso della gestione della situazione emergenziale, il Governo abbia proceduto a ripetute e successive proroghe della stato di emergenza, che hanno previsto ad oggi come termine ultimo il 31.03.2022, il che dimostra, in realtà, il passaggio dallo stato di emergenza epidemiologico alia gestione ordinaria dell’epidemia, con il conseguente venir meno dei presupposti di temporaneità e, dunque, di straordinarietà giustificativi dell’adozione dei decreti legge e conseguentemente dei DPCM.
Non si può non evidenziare come, con il protrarsi dell’emergenza, si sia assistito al continuo riutilizzo della decretazione di necessità e di urgenza, benché tale “modus operandi” non possa più essere assolutamente considerato una situazione straordinaria e temporanea, determinando una lesione delle prerogative del Parlamento, a cui viene di fatto assegnato il ruolo di mero ufficio di conversione in legge dei decreti del Governo.
Peraltro, occorre rilevare come, a distanza di due anni del suo inizio, uno stato di emergenza prorogato per accordo politico – anzi per negoziazione fra parti della Stato – è una contraddizione in termini, in quanta “normalizza” l’eccezionalità, per cui non servono più situazioni impreviste ed eventi fuori dall’ordinario e basta il principio della precauzione per invocare poteri speciali e non più emergenziali.
Pertanto, al netto di tutte le considerazioni già svolte in merito alia illegittimità della dichiarazione di emergenza a far data dal 31.01.2020, inficiante tutte le successive proroghe, non può non evidenziarsi il venir meno dei presupposti di temporaneità, straordinarietà e necessità, posti a base della concatenazione normativa e amministrativa posta in essere daii’Esecutivo.
II Governo ha deliberato lo stato di emergenza in forza dell’art. 24 del D.Lvo n. 1/2018, il quale – nel prevedere in modo esplicito il termine di durata della stato di emergenza di rilievo nazionale – dispone, al quarto comma, che esso non può superare i 12 mesi ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi.
Sennonché, lo stato di emergenza è stato dichiarato (nella sua prima fase genetica per Ia minor durata di sei mesi) dal 31.01.2020 al 31.07.2020, per poi essere prorogate con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 29.07.2020 (quale primo atto di proroga), cui sono seguite le successive proroghe sino al 15 ottobre 2020, poi al 31 gennaio 2021, poi al 30 aprile 2021, al 31 luglio 2021, al 31.12.2021 e infine al 31.03.2022.
Da ciò si deduce che il termine massimo di proroga di 12 mesi previsto dal codice della protezione civile è spirato il 31 .07.2021 e che il DL n. 105/2021 (che ha prorogato lo stato di emergenza al 31.12.2021) ed il DL n. 221/2021 (che ha prorogato lo stato di emergenza fino al 31.03.2022), nonché tutti i Decreti Iegge e provvedimenti amministrativi medio tempore emessi a far data dal 31.07.2021, si pongono al di fuori del “circuito di legittimazione offerto dalla dichiarazione di emergenza” ed eludono il disposto del su citato art. 24 comma 3 D.Lvo n. 1/2018 (Cfr. M. Calamo Specchia, relazione scritta audizione del 06.10.2021 in Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica).
Peraltro, anche qualora si dovesse interpretare Ia norma de qua nel senso di attribuire allo stato emergenziale nazionale Ia durata massima di 24 mesi, il termine decorrente dal 31.01.2020 giunge comunque a scadenza il 31.01 .2022, con il che Ia proroga ultima al 31 .03.2022 si pone comunque in contrasto con la norma succitata – eludendola – evidenziandosi come nel nostro ordinamento giuridico non sia ammessa l’introduzione di un diritto speciale del diritto speciale.
lnfine, va da sé che il requisito della temporaneità risulta facilmente aggirabile attraverso il meccanismo della reiterazione del decreto-legge, non coperto dalla dichiarazione di emergenza, evidenziandosi come Ia mancanza della stessa dichiarazione di emergenza determini il venir meno del presupposto giustificativo della deroga ai diritti fondamentali.
D’altro canto tale deroga non può proseguire oltre, anche alia luce della sentenza n. 213/2021 della Corte Costituzionale, la quale in tema di proroga del blocco degli sfratti per morosità, riconosce che, trattandosi di una misura dal carattere intrinsecamente temporaneo in quanto destinata ad esaurirsi entro il 31 dicembre 2021, non vi è possibilità di ulteriore proroga, atteso che la compressione del diritto di proprietà ha raggiunto il limite massimo di tollerabilità, pur considerando Ia sua funzione sociale (articolo 42, secondo comma della Costituzione).
Ma se si è pervenuti ad una tale enunciazione con riferimento al diritto di proprietà, riconosciuto dall’art. 42 Cost., a maggior ragione, deve pervenirsi a siffatta conclusione in merito alle libertà ed agli altri diritti fondamentali, evidenziandosi come – in questo periodo emergenziale – tutte le libertà costituzionali siano state trasformate in libertà autorizzate (cit. A. Mangia in ilsussidiario. net).
Con il susseguirsi – spesso in sovrapposizione tra loro – di decreti legge e DPCM, si è assistito all’introduzione di sempre più stringenti restrizioni e limitazioni nell’esercizio delle libertà e dei diritti fondamentali, fino ad arrivare ad incidere sui diritto al lavoro e ad un’equa retribuzione, con violazione dell’art. 36 Cost, il quale riconosce al lavoratore il diritto ad una retribuzione (…) in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alia propria famiglia una esistenza libera e dignitosa; nonché fino ad escludere una categoria di persone dalla vita sociale, e dunque, da tutte quelle attività che attengono alia sfera della libertà personale, intesa quale diritto di svolgere attività che sviluppino Ia propria dimensione psicofisica (come riconosciuta dal combinato disposto degli artt. 2 e 13 Cost.), piuttosto che alia sfera della libertà di circolazione.
II tutto in violazione dell’art. 3 Cost., il quale, al comma 1, sancisce il principio di uguaglianza, in forza del quale “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alia Iegge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali o sociali”, e, al comma 2, statuisce il dovere inderogabile della Repubblica di “rimuovere (con implicito divieto di introdurre) gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Pertanto, quando si introducono misure potenzialmente lesive del principio di eguaglianza e della dignità sociale, occorre far riferimento al rispetto della persona umana, in quanto Ia dignità della persona e il “criterio di misura della compatibilità dei bilanciamenti, continuamente operati dal legislatore e dai giudici, con il quadro costituzionale complessivo.
Sarebbe necessaria, in occasione di ogni operazione di bilanciamento, chiedersi se il risultato incide negativamente sulla dignità della persona, oppure se rimane intatta Ia sua consistenza” (Cfr. G. Silvestri, L’individuazione dei diritti della persona, in Diritto penale contemporaneo).
Dunque, le misure con cui si comprimono diritti e libertà fondamentali dell’uomo non debbono mai incidere sulla dignità umana e Ia tutela dell’interesse della salute collettiva, che con esse si intende perseguire, non può mai superare il limite invalicabile del rispetto della persona umana.
II superamento di tale limite, oltre a porsi in contrasto con Ia Costituzione (se non addirittura a porsi al di fuori del perimetro della stessa), può condurre (come, in effetti, conduce) alia violazione dei Trattati lnternazionali e della Carta Europea dei Diritti Fondamentali dell’Uomo, che sanciscono l’inviolabilità dei diritti fondamentali dell’uomo e della dignità della persona umana.
lnfine, pur ribadendo tutte le considerazioni svolte in merito aile sopra indicate questioni di illegittimità, gli effetti di tutte le misure restrittive, adottate in questo periodo emergenziale, non possono protrarsi oltre il periodo della vigenza dello stato di emergenza, in quanto esso ha costituito e costituisce il presupposto che ne ha giustificato l’adozione.
Per cui, nel momento in cui viene meno lo stato di emergenza, i diritti e le libertà fondamentali debbono riespandersi nel loro alveo originale, poiché la compressione degli stessi ha raggiunto e superato il limite massimo di tollerabilità; compressione che non può ulteriormente protrarsi, né a tempo predeterminato, né, a maggior ragione, ad libitum, attraverso continui e reiterati prolungamenti di operatività.
In caso contrario, le libertà ed i diritti fondamentali, costituzionalmente riconosciuti e garantiti, verrebbero svuotati nel loro nucleo essenziale, e degradati, come tali, a meri simulacri.
lnfine, per completezza decisione, altro aspetto di illegittimità di cui sono affetti i DPCM giova ripetere atti amministrativi, deve ravvisarsi in un ricorrente difetto di motivazione.
L’art. 3 L. n. 241 del 1990, sancisce «ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato [ … ]. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione aile risultanze dell’istruttoria». II legislatore ha reso, pertanto, essenziale Ia motivazione, sotto l’aspetto sia testuale (deve essere motivato) che contenutistico (La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato Ia decisione, in relazione aile risultanze dell’istruttoria).
La motivazione dell’atto amministrativo può essere indicata anche per relationem, nel senso che essa può essere espressa anche con il riferimento ad atti del procedimento amministrativo come, ad esempio, pareri o valutazioni tecniche.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, nel caso di provvedimento motivato per relationem, sebbene non occorra necessariamente che l’atto richiamato dalla motivazione sia portato nella sfera di conoscibilità legale del destinatario, essendo invece sufficiente che siano espressamente indicati gli estremi o Ia tipologia dell’atto richiamato, tuttavia esso deve essere messo a disposizione ed esibito ad istanza di parte (Cfr. Consiglio di Stato sentenza n. 8276 del 3 dicembre 2019: «va ammessa Ia motivazione per relationem, purche l’atto [ … ] al quale viene fatto riferimento, sia reso disponibile agli interessati e non vi siano pareri richiamati che siano in contrasto con altri pareri o determinazioni rese all’interno del medesimo procedimento»).
In breve sintesi, l’atto amministrativo ben può fondare Ia propria motivazione su un altro atto, ma a condizione che l’atto richiamato sia reso disponibile agli interessati, non si faccia riferimento a pareri in contrasto con altri pareri o con determinazioni rese all’interno del medesimo procedimento.
L’art. 21 septies L. n. 241/90 sancisce, a sua volta, “E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali”.
Pertanto, alia luce di quanto disposto dall’art. 3 della L. n. 241/1990, deve ritenersi invalido per violazione di legge l’atto amministrativo sfornito di motivazione ovvero non esprima compiutamente i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche alia base dell’atto, ovvero non indichi l’atto cui fa riferimento per Ia motivazione o non lo renda disponibile.
Orbene, provvedimenti emanati per fronteggiare l’emergenza epidemiologica, oggetto del presente procedimento, hanno fatto uso per lo più proprio della tecnica della motivazione “per relationem”, con particolare riguardo ai verbali del Comitato Tecnico Scientifico (CTS).
Come è notorio, vi sono stati casi in cui tali atti non solo sono stati resi noti dopo lungo tempo, o addirittura in prossimità della scadenza di efficacia dei DPCM, ma addirittura classificati come “riservati”, o meglio “secretati” (come i cinque verbali datati 28 febbraio, 1 marzo, 7 marzo, 30 marzo e 9 aprile 2020, del CTS, che hanno costituito Ia base delle misure di contenimento adottate per l’emergenza COVID, con omissione degli allegati e documenti sottoposti aile valutazioni del CTS), vanificando di fatto Ia stessa procedura di accesso agli atti e rendendo impossibile Ia stessa tutela giurisdizionale. In sostanza, e stata posta in essere tutta una situazione che di fatto non ha consentito Ia disponibilita stessa degli atti di riferimento, posti a base del provvedimento, con consequenziale invalidita dello stesso provvedimento.
Perciò, da quanto sopra esposto e argomentato, non si ritiene di poter dubitare della illegittimità e invalidità dei DPCM che hanno imposto Ia compressione di diritti fondamentali e, quindi, dello stesso DPCM del 8/3/2020, che qui interessa e degli altri atti normativi ed amministrativi conseguenti e susseguenti. Consegue che, trattandosi di atti amministrativi e non legislativi, non soggetti al vaglio della Corte Costituzionale, affermata Ia illegittimita dei medesimi per contrasto con gli artt. 13 e ss. Costituzione, oltre che di altre disposizioni legislative, il Giudice deve unicamente procedere alia loro disapplicazione, in ossequio dello stesso dettato dell’art. 5 della Iegge 2248/1865 all. E, in forza del quale “(…) le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi aile leggi”. In ragione di quanto sopra detto e argomentato, dovendosi procedere alia disapplicazione del DPCM del 08.03.2020, si deve concludere per la dichiarazione di inesistenza di alcuna condotta criminosa ascrivibile in capo agli imputati, e si deve conseguentemente pronunciare sentenza di assoluzione, nei confronti degli stessi, perche il fatto non sussiste, nella formula all’evidenza piu favorevole al reo, anziche perché il fatto non è più previsto dalla Iegge come reato.
lnfatti, a fronte della depenalizzazione operata dall’art. 4 del D.L. n. 19/20, per i fatti posti in essere prima dell’entrata in vigore dello stesso, alla pronuncia di assoluzione con Ia formula perché il fatto non è più previsto dalla Iegge come reato, si dovrebbe poi procedere alia trasmissione degli atti al Prefetto per Ia comminazione della sanzione amministrativa, con pregiudizio per gli odierni imputati, stante la palese illegittimità del DPCM del 08.03.2020.
L’ultima settimana è stata veramente ricca di notizie e di “inversioni a U” in materia di Covid e di gestione pandemica, al punto che possiamo ipotizzare che sia in corso un decisivo cambio di rotta nella narrazione mainstream. Vediamo di passare in rassegna le notizie principali:
– La notizia principale è senza dubbio la netta presa di posizione sia dell’OMS che dell’EMA contro i booster, ovverosia contro la politica dei richiami vaccinali ravvicinati permanenti. L’OMS ha dichiarato che è ormai evidente che i vaccini esistenti hanno un bassissimo impatto sulla prevenzione dell’infezione e della trasmissione, soprattutto nei confronti di Omicron, e che «andrebbero sviluppati vaccini contro il Covid-19 che abbiano un alto impatto sulla prevenzione dell’infezione e della trasmissione oltre che sulla prevenzione di malattie severe e morte». Fino a quel momento, secondo l’OMS, non ha senso continuare ad effettuare richiami con i vaccini esistenti. «Una strategia di vaccinazione basata su richiami ripetuti» dei vaccini attuali «non appare né appropriata né sostenibile», ha concluso l’OMS¹.
– Sull’incapacità del vaccino di fermare la trasmissione, da segnalare l’ennesimo studio, apparso su “The Lancet”, che conferma che «l’impatto della vaccinazione sulla trasmissione delle varianti circolanti di SARS-CoV-2 non risulta essere significativamente diverso dall’impatto tra le persone non vaccinate». Una cosa che già si sa da tempo ma repetita iuvant².
– Sempre su questo punto, interessante la netta presa di posizione di Crisanti, secondo cui: «Come misura per bloccare la trasmissione i non vaccinati hanno un contributo marginale, la maggior parte dei casi, di questi 120.000 magari o di più, sono i vaccinati, sono loro che contribuiscono in maniera elevata a diffondere il virus. Per me c’è stato un corto circuito di comunicazione da parte del governo che ha sbagliato, è pur vero che i non vaccinati si ammalano e occupano posti in terapia intensiva, ma non sono loro la maggiore causa di trasmissione del virus, bensì i vaccinati»³.
– Sulla stessa linea dell’OMS, come si diceva, l’EMA, il cui capo della strategia vaccinale, Marco Cavaleri, ha dichiarato: «Sta emergendo una discussione sulla possibilità di somministrare una seconda dose booster con gli stessi vaccini attualmente in uso: non sono ancora stati generati dati a sostegno di questo approccio. Se l’uso dei richiami potrebbe essere considerato parte di un piano di emergenza, vaccinazioni ripetute a brevi intervalli non rappresenterebbero una strategia sostenibile a lungo termine. Non possiamo continuare con booster ogni 3-4 mesi»⁴.
– Sempre su questo tema abbiamo anche l’interessante dichiarazione di Sergio Abrignani, membro del Comitato Tecnico Scientifico (CTS), secondo cui un regime di vaccinazione ravvicinata permanente potrebbe addirittura avere effetti negativi in termini di immunizzazione: «Se si vaccina ogni 2-3 mesi per stimolare continuamente la risposta “effettrice”, dopo un po’ potrebbe ottenersi l’effetto contrario. Il sistema immunitario si potrebbe “anergizzare”. Si rischia l’effetto paradossale di “paralizzare” la risposta immunitaria»⁵.
– In controtendenza Pfizer (strano, eh?), che ha invece ha ribadito la sua opinione del tutto disinteressata secondo cui la variante Omicron necessaria rende necessaria quanto prima anche la quarta dose di vaccino (in seguito alla quale, è lecito supporre, si “renderà necessaria” la quinta dose e poi la sesta, e così via)⁶.
– L’altra notizia della settimana, poi, è la legittimazione, a livello di discorso mainstream, di quello che certi “cospirazionisti” dicono fin dal primo giorno: ovverosia che il numero dei ricoverati e dei decessi Covid è falsato dal fatto che, fin dall’inizio della pandemia, viene registrato come paziente/decesso Covid chiunque risulti positivo al momento dell’ospedalizzazione e/o del decesso, a prescindere dal reale motivo dell’ospedalizzazione e/o del decesso. Attenzione: qui non stiamo parlando del dibattito, piuttosto sterile, se una persona con patologie pregresse che muore perché il virus ha esacerbato le patologie in questione sia da considerarsi un morto per o con Covid. Qualcuno che avrebbe verosimilmente vissuto più a lungo nel caso in cui non avesse contratto il virus è da considerarsi un morto per Covid, per quanto mi riguarda (al netto della necessità di fare corretta informazione sulle fasce di età di età e sulle categorie che rischiano veramente dal Covid). No, qui stiamo parlando di una persona che entra in ospedale con una gamba rotta o che muore perché cade dal decimo piano di palazzo e che viene classificato come paziente/decesso Covid solo perché positivo al momento dell’ingresso in ospedale o della morte. Cosa nota fin dall’inizio ma che non si poteva dire fino all’altro giorno, quando la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO) ha sganciato la bomba, ammettendo che «un numero significativo di pazienti che arrivano in ospedale per altre malattie (traumi, tumori, scompensi cardiocircolatori) all’atto del ricovero, che prevede il tampone, vengono diagnosticati come casi positivi asintomatici e questo aumenta la pressione nelle aree Covid delle strutture sanitarie»⁷.
Sempre la FIASO ha poi specificato che addirittura più del 30 per cento dei “pazienti Covid” non manifestano segni clinici, radiografici e laboratoristici di interessamento polmonare: ovverosia sono stati ricoverati non per il virus ma con il virus⁸. La diagnosi da infezione da SARS-CoV-2 è dunque occasionale.
– Una volta che questa verità di pulcinella è diventata di dominio pubblico e non più negabile, le virostar più intelligenti si sono affrettate a riposizionarsi. Tra questi anche Bassetti, da sempre in prima fila nell’alimentare la psicosi da Covid, che ha dichiarato: «Nei nostri reparti siamo ben oltre il 35 per cento di ricoverati che con il Covid-19 non c’entrano nulla. Non hanno della malattia nessun sintomo, ma solo la positività al tampone per l’ingresso in ospedale. Anzi, dirò di più, questo avviene anche nella registrazione dei decessi: se il paziente entra in ospedale per tutt’altro, ma è positivo e muore, viene automaticamente registrato sul modulo come decesso Covid. Sono numeri assolutamente falsati»⁹. È piuttosto curioso che Bassetti se ne accorga solo ora ma meglio tardi che mai, come si suol dire.
– Si arriva poi al caso della Lombardia, che ha addirittura dichiarato che da venerdì 14 comincerà a distinguere ufficialmente tra pazienti ammessi per e con Covid. In una nota, ha specificato che: «Si definisce affetto da malattia Covid solo il soggetto che positivo al test antigenico o molecolare presenti sintomatologia e diagnostica compatibile con la malattia Covid. I ricoverati per altra patologia che si positivizzino al Covid, ma senza sintomi di malattia Covid, attualmente devono essere isolati secondo le vigenti norme, ma non dovrebbero essere conteggiati come malati Covid»¹⁰.
– Sorprende che ci si siano voluti due anni per riconoscere un fatto così ovvio. Considerando che ogni giorno in Italia muoiono in Italia all’incirca 2.000 persone, è normale che una parte di questi risulti anche positiva. Il vero dato per capire l’impatto (diretto o indiretto) del Covid sui tassi di mortalità è quella della mortalità in eccesso rispetto agli anni pre-pandemia. Da questo punto di vista, al momento, per fortuna, la mortalità in Italia risulta essere più o meno in linea con quella del 2019, come si può verificare sul sito di EUROMOMO¹¹.
– Questo è senz’altro merito della protezione dalla malattia grave offerta dal vaccino nelle fasce di età e nelle categorie a rischio, ma anche della progressiva endemizzazione e “influenzizzazione” del Covid. Particolarmente interessante la dichiarazione del premier spagnolo Pedro Sanchez, che ha reso nota l’intenzione della Spagna di cominciare a trattare il Covid come una «normale influenza» , rinunciando a tracciare e confinare chiunque risulti positivo al test ma monitorando la situazione controllando alcune zone a campione. Dato lo scarto che ormai si sta scavando tra numero di contagi e numero di morti per Covid, secondo Sanchez ci sono le condizioni per passare da un quadro di «pandemia» a uno di «malattia endemica» come è appunto l’influenza stagionale¹².
– Anche su questo punto si è subito accodato Bassetti, sempre attento a come tira il vento, che ha dichiarato che la nuova variante è più contagiosa ma causa meno ricoveri ordinari e in terapia intensiva, non solo per chi ha due dosi e booster, anche per chi non ne ha nessuna. In entrambi i casi, ha detto, siamo davanti a «una sorta di forma influenzale, un raffreddore». Ci sono due quadri, ha spiegato Bassetti, «con la Delta che nel vaccinato doppia dose o tripla dose causa una forma influenzale e di raffreddore rinforzato, e la Omicron sembra fare lo stesso nel non vaccinato»¹³.
– Infine, una pillola di ottimismo dall’estero, che però dà il senso del baratro politico e culturale in cui sia sprofondato il nostro paese. Ecco la comunicazione del governo giapponese ai propri cittadini in materia di vaccinazione anti-Covid: «Anche se incoraggiamo tutti i cittadini a ricevere la vaccinazione Covid-19, essa non è obbligatoria o forzata. La vaccinazione sarà eseguita solo con il consenso della persona da vaccinare dopo le informazioni fornite. Si prega di farsi vaccinare per decisione propria, comprendendo sia l’efficacia nella prevenzione delle malattia che il rischio di effetti collaterali. Nessuna vaccinazione sarà effettuata senza consenso. Per favore, non costringete nessuno sul vostro posto di lavoro o coloro che vi circondano ad essere vaccinati, e non discriminate coloro che non sono stati vaccinati»¹⁴. Che dire? Esistono ancora dei paesi in cui la civiltà è sopravvissuta alla pandemia.
– Alla luce di tutto questo, cosa fa il governo italiano? Cambia narrazione? Chiede scusa ai propri cittadini per il colossale fallimento della sua gestione pandemica? Figurarsi: continua ad inasprire le regole. È di questi giorni, infatti, la notizia di persone non vaccinate che non riescono a lasciare le isole per raggiungere la terraferma per curarsi o di persone che non riescono a tornare a casa sulle isole perché sprovviste di green pass¹⁵. Infine, un’altra previsione “cospirazionista” che rischia di divenire realtà. Come riporta il “Corriere della Sera”, dall’1 febbraio i non vaccinati rischiano di perdere il reddito di cittadinanza a meno che non si vaccinino o non si sottopongano a tamponi regolari. Dall’articolo in questione: «Chi percepisce il reddito di cittadinanza è obbligato a frequentare i Centri per l’impiego. Pena la decadenza del diritto all’assegno. Ma per entrare nei CPI bisogna esibire il green pass. Dunque, di fatto, i percettori del reddito di cittadinanza che non si sono vaccinati si vedranno negare il sostegno, a meno che non facciano un tampone»¹⁶.
Per oggi dal Draghistan è tutto. Per fortuna il resto del mondo sembra andare in una direzione diversa dalla nostra.
LA CALAMITÀ, LA PANDEMIA, LE DISGRAZIE, GLI INCIDENTI NON SONO MAI “COLPA DI DIO“
Il 31 dicembre abbiamo cantato il te Deum in ringraziamento al Signore per l’anno trascorso. Il 1° gennaio abbiamo festeggiato la Circoncisione di Gesù, che scelse di versare, fin da subito, un po’ del Suo sangue per noi miseri peccatori e ieri il Santissimo Nome di Gesù, che significa Salvatore, attribuito al Messia, al Figlio del Dio vivente, su indicazione dell’Arcangelo Gabriele alla Santa Vergine Maria, nel giorno dell’annunciazione. Tre grandi misteri, da meditare e contemplare in questo inizio dell’anno liturgico, soprattutto attraverso la preghiera.
Ci sono cristiani che si chiedono cosa mai vi sia da ringraziare per un anno difficile, se non addirittura tragico per molti, come quello trascorso. Non è facile, umanamente parlando, dare una risposta ragionevole e convincente. Sul piano meramente naturale, verrebbe da dire che c’è ben poco da ringraziare. Sul piano soprannaturale, invece, pur apparendo ad occhio superficiale o indifferente alla Fede un assunto assurdo, dobbiamo ringraziare anche per il dolore e per le sofferenze. Partendo dal presupposto che Dio, Somma Potenza, Giustizia e Misericordia, trae sempre un bene anche dal male, del quale, nella nostra limitatezza e finitezza, ci accorgeremo a tempo debito, ogni pena che patiamo in questa valle di lacrime va in espiazione dei peccati personali e del prossimo. Diviene, dunque, una enorme Grazia, se pensiamo che attraverso la sofferenza alleggeriamo il peso delle nostre miserie agli occhi di Dio.
La calamità, la pandemia, le disgrazie, gli incidenti non sono mai colpa di Dio, che non può volere il male per le Sue creature. Altresì lo permette, perché ci ha voluti liberi e noi, troppo spesso, abusiamo di tale facoltà per fare ciò che piace a noi, non ciò che si deve per piacere a Lui. Ci facciamo leggi contro la natura creata da Lui, ci creiamo regole in contrasto con le Sue Leggi ed i Suoi Comandamenti, oltraggiamo la Chiesa, Suo Corpo Mistico, creandoci una religione di comodo, tramite un “fai-da-te” che significa sostituirsi a Dio, decidendo a prescindere da Lui, dal Suo insegnamento e dai Suoi precetti. Dopo il peccato originale, abbiamo continuato a peccare e oggi, a distanza di XXI secoli dall’Incarnazione del Verbo, abbiamo addirittura rinnegato l’essenziale per la salvezza dell’anima, e nella secolarizzazione ci stiamo comportando da pagani. Molti adorano il loro Vitello d’Oro e vivono solo per questo. Siamo nella grande apostasia, foriera di caos, disordine e morte, in ogni ambito della vita. Qualcuno ha forse l’ardire di chiedere un premio per tutto questo? Non sappiamo utilizzare il libero arbitrio indirizzandolo, con un semplice esercizio della volontà, in una vita integralmente cristiana. Quindi offriamo le nostre sofferenze, soprattutto le peggiori, ai piedi di Gesù Bambino perché abbia pietà di noi!
Apriamo questo nuovo anno, accettando ciò che verrà, riscoprendo il significato della preghiera, quotidiana e costante. S. Giovanni Damasceno, nel suo trattato De Fide Orthodoxa, ci ha dato due definizioni della preghiera: “Elevazione della mente a Dio”, oppure “petizione a Dio di cose oneste” (c. 24).
La prima cosa da notare del trattato di Tommaso d’Aquino sulla preghiera è la sua adozione della definizione propria della preghiera: la preghiera è la petizione a Dio di cose oneste. La preghiera per antonomasia per S. Tommaso non è una cosa complicata, ma sommamente semplice: è la preghiera di una madre che accende una candela davanti ad un crocifisso per la salute dei suoi figli; è la preghiera di un eremita nella sua solitudine per la salvezza del mondo; è la preghiera di un drogato che chiede di poter uscire dal ciclo vizioso in cui si è intrappolato: è la preghiera di tutti. Disse Padre Garrigou-Lagrange: «Il più miserabile, dal fondo dell’abisso in cui è caduto, può alzare un grido verso la misericordia, e questo grido è la preghiera».
Dio, nella sua somma sapienza, ha deciso fin dall’eternità che le preghiere degli uomini saranno indispensabili per l’ordine dell’universo, e per ottenere certi effetti. La nostra preghiera, quindi, non ha lo scopo di cambiare le disposizioni divine, ma di impetrare quanto Dio ha disposto di compiere mediante la preghiera (S. Th. II-II, q. 83, a. 2). Pertanto, secondo la disposizione di Dio, la preghiera ha una vera causalità ed efficacia indispensabile, in tal modo che è vano pensare a ricevere alcuni benefici da Dio senza chiederli a Lui nella preghiera.
Perché Dio ha voluto che dobbiamo pregare per ottenere certi benefici? Anzitutto, in senso generale, Dio, nella sua somma Bontà, ha voluto associare a sé l’uomo nel suo governo dell’universo, e così conferire a lui la dignità di causa (S. Th. I, q. 22, a. 3). Poi, l’atto stesso di pregare porta numerosi benefici all’uomo. Per esempio, pregando per certi bisogni, ricordiamo esplicitamente che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. Questo atteggiamento, non solo ci insegna l’umiltà (S. Th. II-II, q. 83, a. 2, ad 1), ma la preghiera stessa diventa una forma di culto a Dio: nella preghiera, Dio è glorificato ed è riconosciuto come fonte di bontà, onnipotente e misericordioso (cfr. S. Th. II-II, q. 83, a. 3). Essendo un atto di riverenza a Dio, essa ci fa tornare anche alla definizione generica della preghiera, in quanto elevazione: «La preghiera è l’elevazione a Dio, come a un superiore, come al supremo superiore, al di sopra del quale non c’è nulla; è l’atteggiamento di venerazione e riverenza, che non può già prescindere dall’umiltà».
Al centro della riflessione sulla preghiera, S. Tommaso inserisce la preghiera del Padre Nostro. Questa preghiera, semplice e conosciuta da qualsiasi buon cristiano, è il modello di tutte le preghiere, in primo luogo, perché è la preghiera che Gesù Cristo, Dio-Uomo, ci ha insegnato. La sua eccellenza si trova, inoltre, nel fatto che «non solo vengono domandate tutte le cose che possiamo rettamente desiderare, ma anche nell’ordine in cui devono essere desiderate: cosicché questa preghiera non solo insegna a chiedere, ma plasma tutti i nostri affetti.» (S Th. q. 83, a. 9). Iniziando con le parole Padre nostro che sei nei cieli, ci ricordiamo della sua cura per noi e la sua onnipotenza: quindi, vengono suscitati in noi sentimenti di fiducia e di speranza. Poi, il Padre Nostro ci insegna tutto ciò che possiamo onestamente desiderare nella vita.
Ri-impariamo a vivere da cristiani e ad instaurare omnia in Christo – come insegna S. Pio X – perché la Sua Gloria sia la nostra prima felicità e la nostra salvezza eterna sia l’unico Fine e obiettivo della vita, da ottenere con le buone opere.
L’OCCIDENTE INVIDIA IL MODELLO CINESE? LE CONSEGUENZE POLITICHE DELLA PANDEMIA
Abituati a vivere la quotidianità pandemica, e immersi nelle polemiche sui vaccini e il green pass, poco riflettiamo sulle conseguenze storico-politiche di più ampia durata delle politiche di contrasto messe in opera, indipendentemente da come le si possa giudicare. In questo senso, si può veramente dire che Covid-19 abbia accelerato dei processi in corso già da un po’ di tempo, almeno dalla crisi finanziaria del 2007-8.
Il sistema occidentale in crisi
Con l’efficacia che può essere di un titolo di copertina, è The Economist a parlare questa settimana di The triumph of big government e a chiedersi quale dovrebbe essere, di fronte a una così forte espansione dello Stato, la risposta del liberalismo classico. In effetti, quello che non si dice, o che viene semplicemente occultato, è che un sistema basato quasi esclusivamente sula spesa pubblica, e quindi su una forte tassazione, non può reggere a lungo. Non solo per motivi economici, ma anche culturali. Quello che non può reggere, più propriamente, è il complicato sistema delle libertà istituzionali e costituzionali che l’Occidente ha costruito nei secoli e decenni scorsi, e soprattutto quella sana e caotica anarchia della società civile che ha permesso di liberare energie e spiriti vitali che alla fine ci hanno garantito, e ancora ci garantiscono, una rispettabile qualità della vita.
La Cina, il modello alternativo
La qualità della democrazia liberale è qualcosa che ci deve stare a cuore se teniamo alla qualità delle nostre vite. Inutile dire che il convitato di pietra, in questo mio discorso, è la Cina, che da partner commerciale strategico dell’Occidente quale era stato nei primi anni della globalizzazione (che hanno coinciso con la sua escalation come potenza globale) è diventato, almeno per l’America (e qui Trump o Biden fa poca differenza), un temibile avversario politico di sistema, cioè con modello alternativo di politica e vita civile del tutto poco rispettoso delle libertà personali.
Per mesi, osserva il settimanale inglese, mente la vaccinazione in Europa procedevamoltolentamente, “la Cina ha potuto celebrare la sua risposta al virus come una vittoria del modello dello Stato forte”. È emersa perciò, anche nelle nostre democrazie, una sorta di volontà di emulazione, che ovviamente si è realizzato in forme edulcorate e più controllate. Stessa però l’impostazione del problema: “la strategia dello zero-covid ha esemplificato l’inflessibilità di un potere centralizzato e incontrollato”.
La nuova “dittatura preventiva”
Che l’Occidente invidi sotto sotto il modello cinese? Questa domanda se la poneva ieriLe Figaro nel recensire il libro appena uscito di un ex diplomatico. L’Occidente ha invidia e paura al tempo stesso della Cina, spiegava l’articolista, non certo per la repressione degli Uiguri (certamente esecrabile) ma per la strana mescolanza che lì sembra essersi realizzata “fra la prosperità organizzata del capitalismo cinese, che garantisce una forma di armonia sociale, e una ‘dittatura preventiva’, fondata sul controllo sociale dei dati, che rende obsoleta la “dittatura repressiva” del XX secolo”. La Cina, sulla lunga scorta di un confucianesimo ben integratosi con il marxismo e il progresso tecnico-informatico, sembra quasi proporci un nuovo equilibrio fra benessere individuale e benessere collettivo. “Il successo cinese, senza che noi osiamo ammetterlo, diventa la tentazione dell’Occidente”. Il discorso, a ben vedere, è sempre quello di Tocqueville: un individuo atomizzato e alla ricerca di piaceri effimeri è ben disposto a svendere la sua libertà a un sistema che lo protegge e lo rassicura dalla culla alla bara.
Devo dire la verità: il dibattito su no vax e no pass non mi appassiona più di tanto, soprattutto quando è urlato, fazioso, piazzaiolo, violento. Né mi sembra intelligente la retorica del “noi” contro “loro”, ove il loro che vorrebbe controllarci e sottometterci non si sa bene chi sia. E, pur avendo non pochi dubbi sul green pass, credo che la sua introduzione, in quanto legge di uno Stato democratico come il nostro, vada assolutamente rispettata. Porsi però anche in Italia, con la postura giusta e nelle sedi giuste, queste questioni di fondo, che la stampa e il dibattito esteri non occultano, credo sia importante e “salutare” (tanto per restare in tema).