L’anno nero della scienza

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di Massimo Fini

Fonte: Massimo Fini

L’ ‘annus horribilis’ segna una straordinaria défaillance della Scienza medica. Si è fatta sorprendere da un’influenza, certamente molto aggressiva, ma pur sempre un’influenza, non un morbo sconosciuto venuto da Marte. Di influenze ce ne sono ogni anno, vengono studiate, classificate, monitorate. La Scienza medica si basa, come ogni altra scienza, sulla ricerca, il che vuol dire non solo ricercare strumenti nuovi e più efficaci per curare un morbo conosciuto, ma provare a prevederne gli sviluppi. È arrivato un profluvio di interventi di epidemiologi, di virologi, di infettivologi, nessuno dei quali era d’accordo con l’altro, segno appunto che non se ne sapeva e non se ne capiva niente, confondendo ulteriormente una popolazione già turbata. L’unica cosa che, all’inizio, la Scienza medica è riuscita a dirci è: restate a casa. Ma questo avrebbe potuto dirlo anche un bambino di 5 anni. Dopo aver utilizzato cure non solo inefficaci ma a volte dannose, dando così il colpo di grazia al malato, si è deciso di ricorrere ai vaccini. Con un certo ritardo direi, se la campagna vaccinale è cominciata, più o meno in tutti i paesi, da poco più di un mese.

Adesso per inoculare il vaccino si sono ingaggiati medici di base, odontoiatri, dottorandi, infermieri, farmacisti. Ma, logistica a parte, il problema non è questo: fare un’iniezione è cosa che è in grado di fare una domestica o un marinaio o lo stesso interessato, avendo le necessarie informazioni. Il problema sta nel fatto che il medico di base dovrebbe essere in grado di capire alla svelta se certi sintomi segnalati dal paziente sono Covid o col Covid non hanno nulla a che fare, ed eventualmente, nei casi meno preoccupanti, curarlo a casa evitando di intasare gli ospedali. Ma, pur con molte eccezioni, il medico di base non è in grado di farlo, di fare il medico, è un burocrate che ha bisogno dell’ausilio della tecnologia. Quando vai in ambulatorio non ti guarda nemmeno in faccia, ti prescrive subito una mezza dozzina di esami, con perdita di denaro e soprattutto di tempo che nel caso del Covid è particolarmente decisivo. C’è una differenza fondamentale fra l’attuale medico di base e il vecchio “medico di famiglia”. Il medico di famiglia conosceva bene la tua storia e appunto quella della tua famiglia ma, soprattutto, il suo unico strumento di conoscenza era proprio il corpo del malato, gli respirava addosso (adesso non vengono a visitarti nemmeno a casa, le diagnosi le fanno a distanza, magari utilizzando il video). E conoscendo il corpo e le reazioni, fisiche e psicologiche, dei suoi pazienti, era in grado di fare le necessarie comparazioni e valutazioni, la diagnosi. Il rapporto di fiducia col proprio medico è già una cura. Non si può avere lo stesso rapporto con una macchina. Continua a leggere

Salvare l’economia dal Covid? Con un reddito di emergenza. Studio Cambridge…

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Salvare le economie? Servono risposte immediate, difesa dei più fragili e senso di comunità. Lo spiega uno studio sul Cambridge University Press. Un reddito…

di Antonio Amorosi

Come salvare l’economia dal Covid che in Occidente quasi nessuno riesce a gestire? Ce lo spiega uno studio pubblicato il 23 dicembre scorso dai ricercatori Jurgen De Wispelaere, lettone, e Leticia Morales, cilena, sul Cambridge University Press, una delle case editrici universitarie più prestigiose al mondo.

I due sostengono che pagare a ciascun residente un importo in contanti, mensilmente e per la durata della crisi servirebbe a proteggere le persone, l’economia oltre alla Sanità, visti gli effetti che le chiusure delle attività procureranno sulle risorse disponibili degli Stati. I due studiosi suggeriscono 3 ragioni per cui la proposta di un reddito di emergenza di base è particolarmente adatta a svolgere un ruolo importante come risposta alla crisi pandemica.

Per contrastare la crisi procuratasi servono risposte immediate, la difesa della popolazione più fragile e promuove un senso di solidarietà dentro le comunità.

Tre aspetti messi a repentaglio durante il Covid e che un reddito di emergenza di base sarebbe capace di alleviare. Aggiungendo che lo strumento dovrebbe essere reso funzionale in modo permanente ogni volta dai governanti e dagli Stati che ci sono crisi simili.

“Oltre a mettere a dura prova i sistemi sanitari in tutto il mondo, si prevede che la pandemia COVID-19 causerà una crisi economica e sociale globale di dimensioni senza precedenti”, spiegano i due studiosi. Come sappiamo le misure di blocco hanno un grave costo economico e sociale. “La Banca Mondiale si aspetta che il PIL mondiale nel 2020 si ridurrà del 5,2%, il che equivale alla più grande recessione dal 1945”. La risposta politica alla pandemia ha già causato una riduzione del tempo di lavoro e di massicci licenziamenti, con le perdite di lavoro: “17,3% delle ore totali stimate nel secondo trimestre del 2020 pari a 495 milioni di posti di lavoro a tempo pieno”. Continua a leggere

L’atteggiamento giusto del cattolico davanti alla pandemia Covid-19

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di Matteo Castagna

L’EQUILIBRIO È LA MISURA DEL BUON CATTOLICO: CI DISTINGUIAMO PER LA FIDUCIA NELLA SCIENZA CHE NON CONTRADDICA LA RAGIONEVOLEZZA  E SANTIFICHIAMO IL MOMENTO PRESENTE!

Possibile che l’atteggiamento del cattolico del Terzo Millennio sia identico a quello del litigioso “no vax” o “no mask”, che passa compulsivamente le giornate da un telegiornale all’altro, da un social al sito che la spara più grossa, quasi a voler far la gara a chi spara per primo la sentenza più roboante e catastrofica, da autentico “profeta” dei nostri tempi? (abbiamo già avuto modo di scrivere sui media e dire in TV che il negazionismo è una posizione idiota! Chi nega l’esistenza del virus, nega la realtà, è un alienato che provoca inquietudine e rischi alla stregua del Pensiero Unico, di cui è il maldestro risvolto della medaglia)

Siamo, davvero, chiamati a fare i cavalieri dell’Apocalisse “de noantri”, senza renderci conto di quanto abbassiamo il livello donatoci dalla fede e di quanto, in tal modo, voliamo basso?

D’altro canto, siamo tenuti, forse, a berci tutto ciò che i media mainstream ci propinano, con lo spirito acritico dell’ebete? Certamente no.

L’equilibrio è la misura del buon cattolico: ci distinguiamo per la fiducia nella scienza che non contraddica la ragionevolezza, che viene dopo l’analisi dei fatti alla luce ed in una prospettiva di fede.

Sant’Agostino insegnava: “Concedimi, Signore, di essere perseverante nel Bene, semplice, ma non incline alla stupidità. Fa’ che non giudichi sulla base di soli sospetti e mantenga una pace sincera, senza indulgere al male”.

Il discepolo prediletto di Gesù, San Giovanni diceva: “Nos ergo diligamus Deum!” (noi, dunque, amiamo Dio!). Anche noi, per poter amare Dio dobbiamo sforzarci di santificare il momento presente.

Non preoccupiamoci, inutilmente, del passato e del futuro, ma concentriamo tutta la nostra buona volontà sul momento presente, il solo che Dio ci accorda, sul quale possiamo appoggiarci e di cui dobbiamo disporre per assicurare il nostro avanzamento, nel cammino che conduce a Dio, nostro fine ultimo, meditando su quanto tutto il resto sia effimero.

Perché queste inquietudini per l’avvenire, a detrimento delle sollecitudini per il presente? Non vedete che a tormentare così la vostra anima, si perde tempo? Santificare il momento presente, vuol dire identificare in qualche maniera la nostra volontà con quella di Dio. Continua a leggere

La pandemia, il guinzaglio e la museruola

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Fonte: Marcello Veneziani

Pubblichiamo un’intervista rilasciata da Marcello Veneziani ad Apostolos Apostolou, uscita sulla rivista ateniese theflagreport.com

Con il coronavirus il sistema politico mondiale, quello che si chiama governo sovranazionale organizza un mondo clinico “ideale”. Niente fuori dal normale clinico. Oggi parliamo di profilassi assoluta, ecco lo slogan nuovo della politica. Soprattutto la profilassi, perché la virulenza si impossessa di un corpo, di una rete o di un sistema e cosi, deve trovare una soluzione il sistema politico globale. Questo è il piano politico oggi? Che ne dici Marcello Veneziani?

Il potere sanitario che si è imposto con la pandemia è l’applicazione di quel regime della sorveglianza e del controllo capillare di cui si era parlato negli anni scorsi. Mai era accaduto che fossero così ristrette le libertà e i diritti elementari, costituzionali e fondamentali dei cittadini e dei popoli. Mai era accaduto che fosse così palese l’uso della paura e il terrorismo sanitario per tenere sotto pressione i popoli e per disperdere ogni resistenza. La motivazione, naturalmente, è inoppugnabile: si tratta di fronteggiare il contagio. Ma la ricorrenza delle ondate (siamo nel pieno della seconda ondata e già si parla della terza per il 2021), il profitto politico, economico e farmaceutico evidente di chi gestisce la pandemia o ne trae benefici, il controllo mediatico quasi assoluto e l’ombra inquietante del modello cinese, che è stato fonte del virus ed è ora modello di riferimento per affrontare la pandemia, lasciano pensare che ci sia un disegno globale dietro tutto questo.

Il governo sovranazionale vuole uno spazio super protetto come campo di concentramento che il corpo perde tutte le sue difese. Il governo vuole un regime di sorveglianza a 360 gradi, rieducazione e lavaggio del cervello dell’intera popolazione. Forse il virus diventa l’arma per questo lavaggio, questo abbiamo visto poco tempo fa, con le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’ America. Come vedi questa opinione? Continua a leggere

Covid-19: gli errori da non ripetere, le lezioni da imparare

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Intervista al dottor Stefano Manera, anestesista e rianimatore che ha lavorato come volontario nella terapia intensiva dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, uno dei più affollati da inizio emergenza.

di Valentina Bennati

È arrivata finalmente l’opportunità di intervistare il dottor Stefano Manera, è un bel po’ di tempo che lo inseguo ma, quando ne vale la pena, si aspetta con pazienza il momento giusto.

Medico specializzato in Anestesia e Rianimazione, Manera nei mesi di marzo e aprile di quest’anno ha prestato servizio in modo del tutto volontario come anestesista e rianimatore presso l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ha lavorato nel reparto di rianimazione e ha contribuito ad allestire, avviare e condurre un reparto intensivo di 15 posti letto istituito per l’occasione dell’emergenza epidemica.

Dunque ha avuto modo di osservare con i suoi occhi e toccare con le sue mani la drammaticità di ciò che stava succedendo intorno a tutti noi.

Questa intervista è l’occasione per rivolgergli varie domande, parlare di ciò che è stato, ma anche della situazione che stiamo vivendo adesso, di ciò che sarebbe opportuno fare o evitare per tutelare davvero la nostra salute e quella dei nostri figli.

Dottor Manera, lo scorso 18 marzo, nella fase più critica dell’emergenza, Lei ha lasciato a Milano la Sua famiglia e si è trasferito a Bergamo, per offrire il suo aiuto come medico volontario all’ospedale Papa Giovanni XXIII. Cosa l’ha spinta? In che situazione operavate voi medici? Ci sono state difficoltà legate a carenze logistiche o a carenze di approvvigionamento di farmaci e presidi?

“Sono partito per Bergamo come medico volontario rispondendo al bando di Regione Lombardia per l’arruolamento di medici da destinare agli ospedali e ai reparti di terapia intensiva, sono partito con la voglia di essere di aiuto e fare ciò che in realtà so fare: il mio lavoro di medico e rianimatore.

In quei giorni, nelle prime settimane, noi medici abbiamo lavorato con una grande tensione, i ricoveri erano tantissimi, continuavano ad arrivare pazienti e i nostri posti, anche se ampliati, erano limitati.

Era una situazione di tensione, di difficoltà e, all’inizio, anche di paura perché non sapevamo cosa fosse il Covid di cui tanto sentivamo parlare. Ricordo bene l’impatto emotivo del primo giorno, tuttavia poi, si sono creati dei bei rapporti tra medici, con gli infermieri e anche vere e proprie amicizie.

Ci sono stati, certo, anche momenti di grande difficoltà legati a carenze logistiche e di approvvigionamento.

Era molto complicato quando finivano i farmaci e i presidi perché a volte si doveva fare il giro delle sette chiese per recuperare un catetere o qualcos’altro che ci serviva, ma devo dire che le abbiamo superate tutte, noi rianimatori siamo resilienti, flessibili, siamo abituati a lavorare sempre al limite e ci sappiamo adattare molto bene alle situazioni, trovando sempre delle buone risorse.”

 

Qualcuno ha scritto che in rianimazione a Bergamo non tutti fossero positivi al tampone ma ci fossero anche casi negativi. Ho aspettato a lungo di intervistarla anche per chiarire questo punto non da poco, a mio avviso, visto che i numeri hanno avuto ed hanno un peso determinante in tutta questa storia. Dunque è vero che non tutti i ricoverati in terapia intensiva erano positivi al tampone? E, se sì, come è possibile? Il test non è affidabile o c’è un’altra spiegazione?

“Nelle rianimazioni Covid i pazienti non risultavano tutti positivi al tampone, sebbene la maggior parte lo fossero, poi abbiamo testato ovviamente anche gli antigeni che confermavano la positività.

Parliamo di marzo e aprile, periodo in cui i tamponi erano meno attendibili di quelli in uso oggi e c’era, effettivamente, la possibilità di avere diversi falsi negativi, ma la clinica che ci trovavamo davanti era sempre comunque molto netta e le immagini radiologiche erano inequivocabili: non poteva che essere Covid.

Poi avevamo la dimostrazione che le nostre cure funzionavano.

Quindi direi che la presenza dei tamponi falsi negativi all’interno dei reparti di rianimazione non ha rappresentato assolutamente un problema nei confronti della gestione clinica della malattia”.

 

Si è sentito dire che le autopsie sulle persone decedute siano state condotte quasi in segreto perché il Ministero della Salute aveva scoraggiato tale pratica, fu così che si è scoperta la vera causa di morte da Covid: non polmonite ma CID, coagulazione intravasale disseminata. Questa informazione che è circolata è corretta? Se le autopsie fossero state fatte fin da subito per ogni decesso (come indicato dalla Società italiana di Anatomia patologica in un documento diramato il 22 marzo) e le informazioni a riguardo fossero circolate prima, si sarebbe potuto evitare un numero così alto di decessi?

“La circolare 08/04/2020 del Ministero della Salute sconsigliava che le autopsie fossero condotte in ambienti non adeguati, cioè in sale autoptiche che non avessero requisiti di sicurezza specifici. Bergamo, Niguarda e l’Ospedale Sacco hanno questi requisiti di sicurezza, pertanto in questi ospedali venivano condotte, all’inizio in misura limitata per una difficoltà oggettiva.

La verità è che le autopsie sono state fatte fin dall’inizio ed è proprio così che è stata scoperta la causa principale di morte che è appunto la CID (la coagulazione intravasale disseminata).

I pazienti in realtà avevano sia la polmonite interstiziale, sia la CID, ma anche altre patologie perché presentavano insufficienza renale, endocarditi, miocarditi, danni neurologici, quindi la presentazione clinica era estremamente variegata.

Le autopsie sono state fatte fin da subito, la CID noi l’abbiamo capita molto presto e di conseguenza l’informazione che è circolata non è proprio corretta, è una narrazione un po’ mitologica del Covid di quei primi mesi: aver fatto le autopsie due settimane prima non avrebbe cambiato l’esito e i numeri in maniera sostanziale”.

 

Si è parlato di ‘terreno fertile’ per lo sviluppo delle conseguenze più gravi dell’infezione da Covid. Cosa avevano in comune i pazienti che sono andati incontro alle complicazioni più serie? Quanto ha influito sul numero dei malati e dei deceduti uno stato pregresso di infiammazione ?

“Oggi è cosa nota che il 95% dei pazienti positivi siano completamente asintomatici, il 5% invece si ammala; parte di questo 5% si ammala in modo grave e una parte ancora più piccola muore.

La mortalità è molto bassa, come è molto basso il numero della morbilità grave.

Generalmente i pazienti che si complicano sono quasi per la maggior parte persone con delle patologie pregresse su base infiammatoria come la sindrome metabolica, l’ipertensione arteriosa e le patologie autoimmuni.

Successivamente questo è cambiato e sono iniziate ad arrivare persone più giovani e poi anche persone con un’anamnesi completamente negativa, poche, ma ci sono anche loro.

Quindi è veramente un virus che può, in certi casi, cogliere alla sprovvista perché, in realtà, nessuno di noi sa quale sia effettivamente il proprio livello di salute, dato che viviamo in un mondo molto inquinato, respiriamo aria, beviamo acqua e mangiamo cibi spesso “avvelenati” quindi, sostanzialmente, nessuno di noi sa quale sia realmente il proprio livello di salute.

Questa purtroppo è la realtà dei fatti”.

 

Al di là del terreno individuale come mai, secondo lei, il nord Italia è stato così colpito? Eventuali altri fattori predisponenti o modalità errate nell’affrontare l’epidemia?

“Non ho idea. È ancora tutto da capire. Possono esserci tante concause: l’inquinamento, la densità demografica della regione, gli spostamenti intensi all’interno del territorio, la presenza di aeroporti internazionali come Malpensa e Orio al Serio. Questo aspetto però purtroppo è ancora qualcosa di poco noto.

Ci sono tante ipotesi da prendere in considerazione, ma nessuna certezza.

Il problema è anche stato quello di aver lasciato totalmente sguarnita e impreparata la medicina di territorio, aver lasciato i medici di base totalmente a loro stessi: si ammalavano, lasciavano i posti vacanti e i pazienti non potevano andare da nessuno, quindi si riversavano negli ospedali saturandoli.

Ma vanno considerati anche i tagli impressionanti alla sanità effettuati nel corso degli ultimi dieci anni, con favoritismi enormi e ingiustificati verso la sanità privata.

Questo impoverimento drammatico della sanità pubblica, purtroppo, ha portato a tutto questo. La scellerata condotta neoliberista applicata alla medicina ha portato a questo dramma”.

 

Il 24 aprile Lei e 32 colleghi, primo firmatario il prof Sestili, ordinario di farmacologia dell’Università di Urbino, scriveste un appello al ministro Speranza perché fosse incentivato l’utilizzo del desametasone in ambito extraospedaliero per frenare la famosa cascata infiammatoria riducendo l’aggravamento della malattia e di conseguenza il numero dei morti. Quell’appello è rimasto senza risposta ma, due mesi dopo, il Regno Unito annunciava al mondo intero che l’utilizzo di questo farmaco poteva avere un ruolo chiave nel salvare vite umane. Il 27 aprile Lei ha anche scritto una mail al Suo ordine di appartenenza rendendosi disponibile a contribuire ad un eventuale tavolo di lavoro per aiutare i colleghi impegnati sul fronte della cura a domicilio. Non solo questa mail è rimasta senza risposta, ma l’Ordine dei medici ha anche avviato un procedimento disciplinare nei suoi confronti. Come è andata a finire?

“Quello che lei dice è tutto vero, abbiamo scritto questa lettera indirizzata al ministro Speranza, ma è assolutamente caduta nel vuoto.

Successivamente un ampio studio dell’Università di Oxford, studio noto col nome di RECOVERY (Randomized Evaluation of COVid-19 ThERapY), ha dichiarato che l’utilizzo del desametasone in fase precoce può salvare molte vite: noi l’avevamo già detto, ma il nostro appello è stato totalmente inascoltato, gli inglesi sono arrivati due mesi dopo.

Come è andata a finire? Nessuno ci ha mai interpellato, ma ad un certo punto, in uno dei protocolli terapeutici dell’Istituto Superiore della Sanità, che sono assolutamente consultabili e alla portata di tutti, compare come indicazione verde il desametasone.

Questo è successo dopo quel famoso studio inglese.

Penso che almeno il Prof Piero Sestili, primo firmatario dell’appello, avrebbe dovuto ricevere una telefonata con delle scuse da parte di un ministro o del Presidente della Repubblica in un momento di così grave avversità per la Nazione.

Però nessuno l’ha fatto e questo riteniamo che dia veramente il polso della situazione. Non ci sono commenti da fare, se non fare i conti con tanta amarezza”.

 

Oggi cosa dice la clinica? Il Covid è cambiato? L’emergenza è mutata? Le persone possono vivere con più serenità o no?

“A fine settembre le avrei potuto rispondere di sì. Oggi, nel momento in cui le sto rilasciando l’intervista, non ne sono più così sicuro, si è attivata una seconda ondata, anche se per ora con toni decisamente minori rispetto a marzo e aprile.

Il Covid non è cambiato, la clinica ci dice che è esattamente lo stesso.

L’emergenza però è mutata perché lo sappiamo curare meglio, siamo più pronti, tanti medici adesso hanno capito, a differenza di marzo e aprile, che cosa devono fare, stanno agendo bene, c’è stata una gestione condivisa da tanti di noi.

Noi medici ci siamo attivati per fare “comunità” e redigere protocolli terapeutici per le fasi iniziali, cioè quelle più subdole e critiche.

Anche l’utilizzo nei luoghi affollati delle mascherine, sebbene possano avere un ruolo molto limitato, e il lavaggio delle mani, che è stato finalmente riscoperto, sono misure che hanno garantito che il virus si propagasse con più lentezza, ma gli ultimi giorni ci stanno dicendo che il virus è ripartito.

Sostanzialmente, le caratteristiche epidemiche in questo momento sono diverse rispetto a marzo e aprile, ma non sappiamo assolutamente cosa succederà nelle prossime settimane.

Io ragiono da medico e il mio lavoro è quello di curare le persone.

Ho già dei casi di Covid tra i miei pazienti e conoscenti che sto seguendo, quindi quello che dico a tutti in questo momento è: non facciamoci prendere dal panico, ma osserviamo realmente che cosa sta accadendo.

A noi medici clinici è richiesto questo: dire esattamente le cose come sono, senza pregiudizi, presunzione e preconcetti. In base alla nostra osservazione dobbiamo poter raccontare alle persone la verità, attraverso la fotografia del momento e, chiaramente, la nostra esperienza clinica ci deve portare ad una interpretazione ed eventualmente anche ad una previsione.

Lei mi ha chiesto se le persone possono vivere con maggiore serenità.

Rispondo affermativamente perché ci sono le cure, sappiamo curare meglio i pazienti e poi, lo ripeto, la mortalità da Covid è effettivamente molto bassa, così come bassa è la morbilità, quindi se le persone in questo momento adottano uno stile di vita congruo alla situazione attuale, cioè prestano attenzione, possono realmente vivere la situazione con una maggiore serenità, senza farsi prendere dal panico.

In questa fase l’attenzione è fondamentale: il 95% dei contagiati è asintomatico, ma chi può dire con certezza che non sarà incluso nel restante 5%?”

 

La comunicazione è importante e in questi mesi ha indubbiamente contribuito ad alimentare il panico tra le persone stimolando soprattutto ansia. Quali saranno, per quanto riguarda la salute, le conseguenze a medio e lungo termine? 

“Questa grande epidemia parallela di paura e di terrore avrà purtroppo delle conseguenze a lungo temine gravi e impegnative e che avranno effetti maggiori rispetto al virus stesso sia sugli adulti, che sui bambini.

Vediamo già adesso persone che non sono più centrate, ma sono completamente coinvolte nella dinamica della paura.

L’altra epidemia, purtroppo drammatica e anch’essa con conseguenze molto severe e di lunga durata, sarà quella economica”.

 

Alcuni suoi colleghi sostengono che con la mascherina si respira male e si può andare in ipercapnia con rischi di svenimento connessi e che intorno a bocca e naso si può creare una cappa di aria viziata e piena di microbi. Si è parlato, in particolare, anche di rischi dovuti all’utilizzo delle mascherine in età pediatrica. Lei è anche padre, oltre che medico, qual è il suo pensiero a riguardo? 

“Per quanto riguarda i bambini ritengo che l’utilizzo delle mascherine sia assolutamente sbagliato. Questo l’ho sempre detto. Un conto sono i ragazzini, ma i bambini proprio no.

I bambini si esprimono con la mimica facciale, con il pianto, con il sorriso, con il viso e con il contatto: togliere ai bambini questi aspetti significa limitare la loro espressione, il loro essere bambini, è qualcosa di profondo e grave.

I bambini hanno inoltre una fisiologia respiratoria caratteristica e l’utilizzo delle mascherine la influenza moltissimo, quindi i bambini non dovrebbero assolutamente indossare la mascherina, anche perché la sporcano mentre parlano, perdendo muco e la mascherina diventa quindi qualcosa di sudicio, un ricettacolo, un terreno di coltura per batteri opportunisti.

Come dice il prof. Donzelli, c’è il gravissimo rischio di inalare nuovamente i propri virus, quindi di aumentare e amplificare tantissimo la propria carica, questo succede anche per gli adulti.

Allora il mio pensiero in questo momento, e mi riallaccio a quello che dice il prof. Donzelli, è: sì alla mascherina nei luoghi chiusi e affollati, con persone a stretto contatto le une con le altre, no all’uso della mascherina all’aria aperta o per le vie della città, a meno che non ci si trovi in ambienti affollati.

Diversamente, indossare mascherine all’aperto, quando è possibile mantenere delle distanze adeguate, è assurdo e contrario a ogni conoscenza medica”.

 

Attualmente c’è un gran caos sul certificato medico per la riammissione a scuola degli studenti dopo un’assenza per malattia. Secondo il Presidente della  Federazione Italiana Medici Pediatri Paolo Biasci “Non c’è modo di distinguere un’influenza stagionale dal Covid, di conseguenza va eseguito sempre il tampone”. Dal Prof Zuccotti, direttore della Cinica pediatrica dell’ospedale Buzzi di Milano, invece, è arrivato l’avvertimento che l’abuso di tamponi sta facendo danni ai bambini. Davvero per un pediatra non è possibile distinguere tra i sintomi di una normale influenza e Covid? I test salivari potrebbero rappresentare una soluzione efficace e indolore?

“I sintomi iniziali dell’influenza e del Covid sono totalmente indistinguibili, soprattutto nei bambini, e pertanto è molto difficile poter fare una diagnosi differenziale, bisogna affinare molto l’osservazione.

Per evitare un numero esagerato di tamponi ai bambini, già molto tempo fa avevamo proposto di praticare un periodo di quarantena di 10 giorni. Se il bambino, alla fine di questo periodo, non ha febbre né sintomi di alcun tipo, si può considerare che non ha più una carica virale elevata, e quindi non è più infettante ed è guarito, di conseguenza, è possibile evitare di eseguire il tampone.

Questo oggi è stato messo in pratica ed io concordo in pieno con questa condotta.

Sono assolutamente d’accordo anche con il prof. Zuccotti quando ha dichiarato che siamo in presenza di un vero e proprio abuso di tamponi, ma qui purtroppo, da un lato ci troviamo di fronte alla medicina difensiva e dall’altro, ci sono tanti colleghi che sono molto impauriti e hanno perso, in questo momento, la capacità di ragionamento. Molti, ma non tutti.

I test salivari potrebbero essere certamente una soluzione efficace e indolore”.

 

L’utilizzo dei gel disinfettanti può essere pericoloso alla lunga per il microbiota cutaneo? Al di là di un buon lavaggio delle mani con acqua e sapone, ci sono alternative ugualmente efficaci e migliori? 

“Sì, l’utilizzo dei gel disinfettanti può alla lunga essere pericoloso per il microbiota cutaneo.

Sono assolutamente contrario che i bambini usino gel idroalcolici.

La pelle giovane dei bambini si può danneggiare, possono comparire eczemi, ragadi, dermatiti e questo è sicuramente un problema.

Un buon lavaggio con acqua e sapone è la cosa migliore. Inoltre usare gel idroalcolici è totalmente inutile perché i bambini si toccano continuamente gli occhi, la bocca e la mascherina, così che le mani sono come prima di aver messo il gel.

Il gel può essere usato dagli adulti che hanno un’accortezza maggiore, ma soprattutto va usato in ambiente ospedaliero dove poi comunque si indossano i guanti, ma lì è un altro discorso”.

 

Parliamo di prevenzione. I dati presentati in una delle sessioni di apertura del Congresso europeo e internazionale sull’obesità di quest’anno (ECOICO 2020), hanno mostrato la chiara relazione tra l’obesità e la gravità della malattia COVID-19. Dunque è sempre più evidente che, alla base, c’è un precario stato di salute (pregresso al virus) e che, forse, sarebbe opportuno fare informazione per cambiare lo stile di vita e di alimentazione, piuttosto che far credere che distanziamento, mascherine, test, tamponi, vaccini e quarantene possano salvarci. Invece il martellamento dei media è stato, e continua ad essere, su questi argomenti piuttosto che su un approccio più salutogenico.  Almeno questa è la mia opinione. Qual è la Sua dottore?

“Cambiare stile di vita e alimentazione è fondamentale, sono coautore di un libro che parla proprio di prevenzione e ne sto scrivendo uno da solo sempre su questa tematica.

Dobbiamo tornare a fare una medicina realmente preventiva. Se vogliamo innalzare il livello di salute, l’unica possibilità che abbiamo è quella di garantire un terreno che non sia inquinato e che sia il meno possibile suscettibile alle infezioni.

Lavorare sulla prevenzione non è qualcosa in più, ma qualcosa che deve essere considerato primario”.

 

Inevitabilmente in questi prossimi mesi anche una sintomatologia banale creerà un grosso allarme. Quali sono i suoi consigli per fare una buona prevenzione e migliorare l’immunocompetenza di adulti e bambini? 

“Innanzitutto rivolgersi a dei medici che parlino questo linguaggio, che conoscano il problema e ci lavorino quotidianamente.

Ogni persona ha bisogno della propria prevenzione, come della propria medicina.

La prevenzione deve essere individualizzata sulla persona, non si possono dare protocolli generalizzati, il grosso del lavoro deve essere fatto sempre con il paziente di fronte per capire quali sono le sue esigenze e se deve apportare correzioni al proprio stile di vita perché, molto spesso, si deve fare proprio questo.

Pertanto ogni paziente avrà una sorta di piano terapeutico differente.

Ovviamente l’alimentazione è fondamentale per tutti, è necessario avere un’alimentazione disinfiammante che significa: non consumare cibo industriale e raffinato, eliminare le farine raffinate, ridurre il consumo di glutine, ridurre, se non azzerare, il consumo di latte vaccino e  derivati, quindi ridurre anche l’introito di caseina. Dovremo azzerare il consumo di zuccheri. Mangiare molta frutta e verdura biologica, viva e vitale, a chilometro zero vero e certificato. Dovremo lavorare sul nostro intestino per renderlo sano, perché è lì che si generano la maggior parte delle  malattie.

Dovremo lavorare con una terapia probiotica individualizzata, specifica per le singole esigenze.

Dovremo disinfiammare anche con prodotti specifici, come ad esempio la lattoferrina che funziona molto bene o altri prodotti che vanno ad integrare la dieta, ma che hanno anche un ruolo molto importante da questo punto di vista.

Anche lo stimolo attraverso le citochine come insegna la cosiddetta Medicina di Segnale può essere estremamente funzionale per far trovare il nostro sistema immunitario più pronto a fronteggiare un’eventuale infezione e, soprattutto,  meno incline a sviluppare le famigerate cascate citochiniche che generano malattia”.

 

RingraziandoLa per la Sua disponibilità, un’ultima domanda per chiudere questa intervista, Dottor Manera. In questa vicenda durissima che ci sta coinvolgendo tutti ormai da tanto (troppo) tempo, quali sono, secondo lei, le lezioni da imparare e quali gli errori da non rifare? 

“Gli errori da non rifare sono prevalentemente quelli soprattutto legati alla distruzione della medicina del territorio, ma purtroppo questi mesi sembrano non aver insegnato nulla perché ci ritroviamo di fronte ad una medicina del territorio che è ancora molto impaurita e sguarnita.

Gli errori da non rifare sono anche quelli di non considerare la medicina preventiva che, invece, è fondamentale.

Errori sono anche quelli che hanno portato a non considerare anche le voci non ufficiali, le voci non sempre istituzionali che però, magari, hanno anche loro qualcosa di importante da dire e non necessariamente sciocchezze come erroneamente si presume.

La lezione da imparare è che bisogna tornare a una medicina della persona, questa epidemia ce lo sta chiedendo.

Bisogna tornare a una Medicina illuminata che accetti il dialogo, la critica, il confronto, che accetti anche pareri diversi, mettendoli insieme.

Si deve tornare a vedere l’uomo nella sua centralità e non il profitto, non i numeri, non il budget.

La Medicina deve tornare a curare la persona, il medico deve tornare a praticare l’Arte Medica che è l’arte lunga, come la definì lo stesso Ippocrate, Medicina come arte che ascolta.

La Medicina non è una scienza, è un insieme di scienze, è una procedura scientifica, la Medicina è prevalentemente ascolto.

O torniamo a questo tipo di Medicina o altrimenti non saremo più in grado di curare le persone, i medici saranno solo dei professionisti tecnici, molto preparati, ma allontanati definitivamente dal piano umano.

E questa sarebbe sostanzialmente una condanna a morte per la Medicina”.

FONTE: https://valentinabennati.it/covid-19-gli-errori-da-non-ripetere-le-lezioni-da-imparare-2/

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Conte ha mentito pure al Parlamento, altro che Cts: il premier ha segregato in casa gli italiani

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di Riccardo Mazzoni

La situazione era già grave anche prima della desecretazione parziale dei documenti del Comitato tecnico scientifico, visto che il governo aveva limitato molte libertà costituzionali sulla base di atti amministrativi del presidente del consiglio sanati solo ex post da decreti legge passati dal Parlamento. La riforma dei servizi segreti inserita di soppiatto nel decreto di proroga dello stato d’emergenza sembrava poi aver raggiunto il culmine della spregiudicatezza di un governo che può contare su una maggioranza parlamentare ma che è, fin dalla sua costituzione, minoranza nel Paese.

Al peggio però non c’è mai fine, e lo si è scoperto ieri, quando Conte – dopo una strenua resistenza – ha deciso di desecretare i documenti del Cts non di propria volontà, ma per l’intervento del Copasir e per la certezza che il Consiglio di Stato gli avrebbe dato torto. Quei documenti hanno dimostrato che il lockdown totale non era stato deciso dai tecnici, che avevano dato indicazione del tutto diversa, limitandosi a suggerire le zone rosse solo nelle regioni del nord più a rischio, ma esclusivamente dal governo. Una decisione tutta politica, dunque, dopo che per settimane si era fatto credere agli italiani che il potere esecutivo fosse stato eterodiretto da un’oligarchia di esperti, e che non avesse toccato foglia che il Comitato non volesse. Tutto falso, o quasi: la responsabilità di aver condannato alla chiusura milioni di imprese, molte delle quali non riapriranno mai più i battenti anche e soprattutto nel centro-sud, con un principio di precauzione applicato quindi molto oltre le indicazioni della scienza, va attribuita solo e soltanto alla sindrome da onnipotenza che ha colto il premier, i suoi più stretti collaboratori e alcuni ministri di fronte alla pandemia. Continua a leggere

Stato di emergenza senza emergenza

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del Prof. Paolo Becchi

Ho già scritto, in questi mesi, che l’incubo di uno stato di emergenza senza emergenza avrebbe terrorizzato anche i più smaliziati e lucidi pensatori della nostre società contemporanee. Più “distopico” di quanto un Philip Dick avrebbe osato immaginare; più “biopolitico” di quanto Foucault si sarebbe immaginato, quando denunciava i dispositivi di governo propri delle società ormai post-disciplinari. Ebbene oggi questo incubo sta rischiando di divenire realtà, nell’indifferenza generale.
Partiamo, però, da un dato reale. Nessuno può onestamente, oggi, sostenere che esista una emergenza da Covid. I morti si contano sulle dita delle mani, le terapie intensive sono semivuote non da giorni, ma ormai da settimane. Dal punti di vista sanitario, di fatto non esiste alcuna emergenza. Certamente, il rischio esiste, nella misura in cui – come alcuni sostengono – l’epidemia potrebbe ritornare, magari con l’autunno. Potrebbe, appunto: una mera probabilità (e non si sa neppure, perché gli scienziati non sono in grado di dirlo, di che probabilità si tratti, di quale sia il rischio concreto). Ma lo “stato di emergenza” è, come la parola stessa indica, uno stato. A giustificarlo, cioè, è l’esistenza, al momento in cui lo si dichiara, di una emergenza, diciamo anche pure un pericolo: ma di un pericolo, appunto, attuale, che è cosa ben diversa dalla possibilità che, in futuro, esso potrebbe presentarsi.
La strategia del governo è chiara, e risponde ad una tendenza in atto da decenni: quella di governare attraverso uno stato di emergenza permanente, facendo valere una logica “securitaria” tale per cui l’azione governativa sarebbe legittimata, più che a risolvere le emergenze, a impedire che esse si verifichino. L’emergenza diventa permanente, allora: non perché essa ci sia realmente, ma proprio perché non c’è (perché si potrà sempre dire che senza i provvedimenti di emergenza essa si verificherebbe – prova, ovviamente, impossibile da dare)! Ma in questo modo, ovviamente si finisce per rendere privo di significato lo stesso istituto giuridico della dichiarazione di uno stato di emergenza, il quale ha senso solo in quanto questo rimanga l’eccezione, e non divenga la regola.
Dal momento che la cosa sembrava ormai troppo sporca, si è deciso di coinvolgere il Parlamento – bypassato, invece, la prima volta. Il che è contradditorio, nuovamente: perché se davvero fossimo in una situazione di emergenza, che per definizione richiede un intervento immediato, non ci sarebbe certo il tempo per calendarizzare e discutere la questione, mentre i morti aumentano. Se il Governo si può oggi permettere il siparietto parlamentare, la democratica discussione in aula, è proprio perché lo stato di emergenza, di cui chiede la proroga, non c’è più. Continua a leggere

La pandemia colpisce gli scettici e i sovranisti…

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Hanno trasformato la pandemia in pantomima. Una tragedia mutata in pagliacciata globale. Dunque, lo schema della fiaba con intenti moralistici e punitivi è il seguente. La pandemia nata in Cina, cresciuta in Asia, infuria nel mondo ma ci sono tre nazioni carogne guidate da tre canaglie che sono paladini, impresari e veicoli della pandemia. I tre porcellini in questione si chiamano Donald TrumpBoris Johnson e Jair Bolsonaro e guarda caso sono tutti “sovranisti”, conservatori o nazional-populisti. Una mezza scomunica arriva pure all’India dove c’è un mezzo nazionalista, Narendra Modi. E una velenosa maledizione scende sulla Russia del Maledetto Zarista-sovranista Vladmir Putin. Il Covid ha una sua morale progressista, secondo i media, punisce chi dubita della sua virulenza ed è sovranista. Fa eccezione la Svezia dove un governo socialdemocratico ha usato la linea aperta sul Covid ma per questi non vale la punizione divina né l’allarme sui dati.

Sugli altri paesi si dice poco e niente, le stragi del covid in Africa, in Asia o nei Caraibi vengono dimenticate, i contagi tra i migranti passano in sordina, e comunque mai col tono usato per i Tre Porcellini, che è riassunto nell’espressione “ben ti sta”, “te lo sei cercato”. Se Johnson o Bolsonaro risultano positivi al virus è un peana euforico degli umanitari, un inno progressista al Covid, un’ola di liberazione che fa il tifo per la Bestia, che in questo caso è il virus, anche se per loro la Vera bestia è la sua vittima sovranità  È inutile dire che la traduzione dei Tre Porcellini in Italia è Prosciutto & Meloni, ove per Prosciutto s’intende Salvini-Suini e per Meloni s’intende Giorgia regina de’ Coatti.  Avvertenza d’obbligo, anche se più volte espressa: nessuna simpatia per Trump e Bolsonaro (un po’ per Johnson), antipatia per i loro nemici e competitori.

Ogni giorno, a partire da quella cloaca grillo-contina che è il tg1 lo schema è sempre lo stesso: i Buoni sono la Cina e la Contea d’Italia da cui arrivano notizie radiose e profilassi efficaci mentre i cattivi sono gli Usa, il Brasile, la Russia, ecc. da cui arrivano sempre notizie sinistre condite da errori colossali dei leader. L’impressione che lasciano ai cittadini italiani è che quei paesi stiano toccando vertici pazzeschi di contagio e di vittime e siano esposti al male per una scelta ideologica folle prima che sanitaria: sono stati liberisti con il virus, hanno lasciato proseguire l’economia, hanno lasciato a piede libero le popolazioni, dunque vanno puniti e intubati. Continua a leggere

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