Germania, allarme rosso

Condividi su:
Il governo tedesco conferma: “I dati non indicano ancora una ripresa”. Il caso dell’auto e i rischi per l’Italia

di Franco Lodige

La chiamavano la “locomotiva d’Europa”. La crescita era costante, le finanze dello Stato solide, la potenza politica inattaccabile. Era l’era di Angela Merkel, ormai finita da tempo. La guerra in Ucraina, i tentennamenti di Olaf Scholz e la chiusura del rapporto privilegiato col gas di Putin hanno trasformato la Germania. In peggio. Oggi l’economia tedesca affanna, la produzione industriale si è fermata, le vendite calano. A maggio è stata dichiarata la “recessione tecnica“. E anche il clima imprenditoriale generale è negativo. Segno che oggi Berlino non è più quella solida roccia che è stata nell’ultimo ventennio.

Allarme rosso in Germania

L’ultima notizia negativa è stata diffusa oggi dal ministero dell’Economia secondo cui non si intravede alcun miglioramento per l’economia tedesca. “Gli indicatori attuali non indicano ancora una ripresa economica sostenuta nei prossimi mesi”. Certo: i consumi privati hanno retto il colpo. Ma le “deboli condizioni esterne” rallentano la produzione e soprattutto le esportazioni, ormai al palo. I dati parlano chiaro: a giugno la produzione industriale è calata dell’1,3%, trainata verso il basso dal settore automobilistico e dalle costruzioni.

Il settore immobiliare fatica

I segnali sono sconfortanti. La società Project, che ha sede a Norimberga e investimenti per miliardi di euro in tutta la Germania, ha presentato istanza di insolvenza. Parliamo di qualcosa come 120 progetti di costruzione edile (pianificati o in costruzione) per 3,2 miliardi di euro, ma l’aumento dei costi di costruzione a seguito della guerra in Ucraina hanno dato il colpo finale. “Non è stato possibile trasferire questi aumenti di costo ai clienti”, ha fatto sapere la società, non l’unica in difficoltà in tutta la Germania: l’aumento dei tassi di interesse immobiliari e dei costi dei materiali hanno prodotto una raffica di insolvenze.

Germania, clima imprenditoriale negativo

Non che i professionisti se la passino meglio. Un sondaggio realizzato dall’Ifo tra i lavoratori autonomi registra un peggioramento drastico del clima imprenditoriale per i lavoratori autonomi tedeschi. L’indice elaborato dall’istituto è sceso a -16,4 punti a luglio dai -12,6 di giugno. “L’economia tedesca sta attraversando una fase di debolezza”, afferma Katrin Demmelhuber, ricercatrice dell’ifo. E anche “i lavoratori autonomi sono colpiti da questa situazione”. Senza contare che nei primi sei mesi del 2023 hanno cessato l’attività qualcosa come 50.600 medie imprese, con un aumento del 12,4% rispetto all’anno precedente. Il numero di insolvenze aziendali registrate è aumentato del 3,5% a maggio rispetto ad aprile e del 19% rispetto a maggio 2022.

La crisi tedesca

I motivi dietro la crisi tedesca sono numerosi. Negli ultimi anni la Germania aveva sviluppato un’economia decisamente rivolta verso Oriente: usava il gas della Russia e rivendeva beni a Mosca così come a Pechino. Nel primo caso i rapporti sono ai minimi termini a causa delle sanzioni. Nel secondo si sta realizzando un calo della fame cinese per il made in Germany. Soprattutto sul settore dell’auto, dove l’avanzata dell’elettrico sta dando un vantaggio competitivo alle aziende locali cinesi. Da gennaio a maggio del 2023, Volkswagen, Audi, Bmw e Mercedes hanno prodotto in Ue mezzo milione di vetture in meno rispetto al 2019. Un crollo del 20%. E se l’automotive tedesco tentenna, a rimetterci sono anche le aziende italiane.

Vero: se il Fmi alza le stime della crescita italiana e la pone al di sopra di quella tedesca un po’ di orgoglio nazionale è giustificato. Ma senza fuochi d’artificio. Come spiega Matteo Zoppas, direttore dell’Ice, la Germania è il nostro primo mercato e “rappresenta il riferimento per alcuni comparti primari come food, fashion e componentistica”. Se Berlino piange, insomma, Roma non può certo ridere.

Franco Lodige, 14 agosto 2023

Fonte: https://www.nicolaporro.it/germania-allarme-rosso/

La Cina e la globalizzazione, la leadership statunitense e l’Europa vassalla

Condividi su:

l’EDITORIALE DEL LUNEDI (articolo pubblicato anche su www.2dipicche.news www.info.hispania.it e www.vocesdelperiodista.it (in Spagna e America Latina)

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/07/31/la-cina-e-la-globalizzazione-la-leadership-statunitense-e-leuropa-vassalla/

QUALCHE RIFLESSIONE SULLA VIA DELLA SETA

Uno degli argomenti principali più attuali del momento, è il dibattito sulla cosiddetta Via della Seta. Come sostiene il Prof. Fabio Massimo Parenti (docente all’Istituto Lorenzo de’ Medici di Firenze) sulla rivista Eurasia (3/2023), essa è, “in estrema sintesi, una proposta cinese di cooperazione internazionale, incentrata sull’aumento della della connettività terrestre, marittima ed aerea a livello intercontinentale”.

E’ più che legittimo interpretare questo enorme piano di investimenti come una nuova opportunità per affrontare i problemi globali, potenziando il multilateralismo e migliorando la cooperazione mondiale sul piano della governance, delle modalità per affrontare la povertà, lo sviluppo ineguale, le guerre, il degrado ambientale.

Il progetto cinese parla di trilioni di dollari ed è aperto a tutti i paesi del mondo. Continua il Prof. Parenti: “[…] Così come definito nel XIX Congresso nazionale del 2017, il Partito Comunista Cinese si è posto due macro-obiettivi: primo, costruire nuove forme di relazioni internazionali, incentrate sulla cooperazione vantaggiosa per tutti ed il rispetto reciproco, e, secondo, creare una comunità dal futuro condiviso per tutta l’umanità”.

Questo modello andrebbe, a tutti gli effetti, a sostituire la globalizzazione con leadership statunitense ed Europa vassalla. Per questo, negli ultimi anni, l’Occidente ha demonizzato il progetto cinese, accusandolo di tutto e di più, soprattutto delle nefandezze predatorie compiute nei confronti del “Sud del mondo”, che, in realtà, sono state perpetuate per gli interessi degli USA e dei suoi alleati. In particolare, la Cina viene accusata di voler intrappolare i paesi in via di sviluppo in una rete di debiti, che costoro hanno contratto, però, nel predominio finanziario del blocco occidentale, tanto che “secondo Zhao Lijan, portavoce del Ministero degli Affari Esteri, sarebbe un ennesimo esempio “della diplomazia delle menzogne in stile americano” “.

Nel recentissimo viaggio a Washington, il premier italiano Giorgia Meloni ha incontrato il Presidente Joe Biden e parlato anche della Via della Seta. Già in Senato Meloni ha detto che “la questione va maneggiata con delicatezza, cura e rispetto, coinvolgendo anche il Parlamento”. Nonostante i mugugni di Pechino che hanno preceduto la visita negli States del Presidente del Consiglio italiano, in ballo c’è stata la discussione con gli USA sul rinnovo del memorandum d’intesa sulla Via della Seta, che Roma aveva siglato con la Cina nel 2019, durante il governo gialloverde. Seppur non ufficialmente, il governo Meloni pare aver preso la decisione fortemente voluta da Biden, ovvero non rinnovare l’accordo. Ma Meloni ha annunciato anche un prossimo viaggio a Pechino per incontrare Xi Jinping, e, probabilmente comunicargli la decisione, pur mantenendo un ottimo rapporto commerciale, sulla scia di Germania, Francia e Regno Unito, che hanno rapporti economici ingenti con Pechino, senza rientrare nel memorandum della Via della Seta.

Il Presidente dell’Aspen Institute Italia Prof. Giulio Tremonti, di cui è socia anche Giorgia Meloni, scrive, nel suo libro “Globalizzazione, le piaghe e la cura possibile” (Ed. Solferino, 2022): “appena trent’anni fa gli “illuminati” ci hanno graziosamente comunicato il passaggio dalla vecchia triade Liberté, Egalité, Fraternité, alla loro nuova triade: Globalité, Marché, Monnaie (Globalità, Mercato, Moneta). Saremmo entrati nell’ “età dell’oro” attraverso l’utopia della globalizzazione. E, guarda caso, utopia vuol dire assenza di luogo – ou-topos, in greco “non luogo” – e dunque è proprio questa l’essenza della globalizzazione!” Sempre Tremonti dedica un capitolo molto interessante alla Cina (pp. 82-89) ricordando che “la “modernizzazione” della Cina è iniziata solo negli anni Ottanta del secolo scorso, ma si è in effetti concretizzata con la globalizzazione, prima sfruttando di fatto le prime aperture del WTO (1994) e poi con il suo formale ingresso nell’organizzazione (2001).Quando esplode la grande crisi del 2008 la Cina è già una grande potenza, ma solo a livello mercantile e perciò con una politica ancora totalmente allineata al comune sentire dell’Occidente”. Poi, tutto è cambiato. Le vie della Seta sono state introdotte nello Statuto del Partito e nella Costituzione a indicare una proiezione geopolitica diretta a dimensioni globali, verso Occidente e verso l’Artico.

“L’ 11 marzo 2021 la Cina ha aperto all’ipotesi di sviluppo, a fianco del mercato esterno, del suo mercato interno. Ed è così che si è formato il progetto della cosiddetta “doppia circolazione”, inserita nel XV Piano quinquennale (2021-2025). Il problema più grande della Cina è dovuto alla mancanza di risorse naturali, quindi diviene esistenziale il bisogno di nuove tecnologie, a partire dall’intelligenza artificiale, con la quale può acquisire i dati degli altri. All’orizzonte, molti osservatori ed esperti vedono, dunque, la possibilità di una guerra tra l’Occidente e la Cina. Si chiede il Prof. Tremonti: “chi vince?” […]”la forza di attrazione e non tanto e non solo la forza militare. La Cina fa paura all’Occidente, è considerata lontana e pericolosa, dagli usi e costumi troppo diversi perché come nel secolo americano tutti avrebbero voluto essere americani per mille motivi, soprattutto la ricchezza ed il potere, nessuno oggi desidererebbe essere cinese.
E’ vero che la Cina dispone della bomba atomica dal 1964, il suo primo satellite lanciato nello spazio è stato nel 1970 e il primo astronauta in orbita nel 2003, ma non è certo priva di problemi: dalla questione Taiwan alla moneta alternativa che sta preparando con la Russia e che sconvolgerebbe certamente l’asse mondiale dei commerci e dei mercati. Inoltre vanno contate le sue fragilità interne dovute alle rivolte popolari, alla scarsità sanitaria e alle crisi finanziarie, come ad esempio il fallimento del colosso immobiliare Evergrande.

Lo stallo e la transizione con incertezze enormi sui cambiamenti globali regnano in questo momento storico nella decadenza di ogni cosa, dall’arte alla morale, dalle idee alla comune mentalità. Nella multipolarità economica e geopolitica vi potrebbe essere uno spiraglio di luce, che crei un minimo di entusiasmo in questa società sciatta, grigia e nichilista. Il prezzo da pagare per un cambiamento sistemico globale di simile portata sarà altissimo, nonostante il popolo anestetizzato pensi solo ai social network, attendendo con ansia la prossima edizione del Grande Fratello.

E meno male che la Cina aveva abbandonato Putin

Condividi su:

di Matteo Milanesi

Xi è volato a Mosca per incontrare Putin e saldare i rapporti. Anche questa volta, i media occidentali hanno fatto cilecca

È terminata la prima giornata in territorio russo del leader della Repubblica Popolare cinese, Xi Jinping. Alle 16.30 di ieri (ora di Mosca), il dittatore comunista ha incontrato Vladimir Putin al Cremlino, per un colloquio durato quattro ore e mezzo. Relazioni sino-russe, rapporti commerciali e naturalmente guerra in Ucraina sono i tre macro-argomenti analizzati, che accompagneranno la visita di Xi in Russia fino il prossimo 23 marzo.

Come riportato ieri sulle colonne del sito nicolaporro.it, Putin ha più volte ringraziato il capo del Dragone per il sostegno di questi ultimi mesi, in particolare dallo scoppio del conflitto tra Kiev e Mosca. Dall’altro lato, Xi sembra aver voluto saldare (almeno a parole) il particolare legame che oggi sussiste tra le due potenze, parlando esplicitamente di “cooperazione strategica a livello globale”. Subito è arrivata la dura reazione degli Stati Uniti, i quali hanno intimato al governo ucraino di non accettare piani di pace proposti dalla Cina, in quanto salderebbero le conquiste compiute dai russi fino a questo momento.

Per approfondire:

Il progressivo avvicinamento tra Pechino e Mosca presenta almeno due notizie negative per il mondo occidentale. La prima: le sanzioni atlantiche sono state decisamente sovrastimate. Al momento del primo pacchetto di sanzioni, i leader del Vecchio Continente parlavano apertamente di un pericolo imminente per l’economia russa, che sarebbe potuto sfociare addirittura nel fallimento. Eppure, a distanza di oltre un anno dall’inizio della guerra, il Pil di Mosca ha segnato “solo” un -2 per cento, ben lontano dalle previsioni pessimistiche sia dei media occidentali, che di quelli della stessa Russia.

La seconda notizia riguarda necessariamente (l’ennesimo) buco nell’acqua dei media mainstream degli Stati atlantici. Pochissime settimane fa, infatti, era la stessa Repubblica a scrivere dell’imbarazzo di Xi Jinping, al momento dell’inizio della “operazione speciale” di Putin in Ucraina, intervistando Shi Yinhong, professore di Relazioni internazionali all’Università Renmin di Pechino, conoscitore della politica estera cinese. Quest’ultimo specificava come la Cina non avesse altra scelta che “stare un po’ più lontana da Putin“. Ora, invece, La Stampa ci racconta come l’amicizia tra i due Paesi sia ormai “senza limiti”.

Si badi bene: entrambe le formule sono profondamente errate. Da una parte, i rapporti sino-russi non possono ancora definirsi un’alleanza (quale può essere, invece, quella tra Usa e Europa), ma un’amicizia fondata sulla seguente formula: il nemico del mio nemico è mio amico. Insomma, un rapporto segnato da un unico fattore in comune: l’odio verso l’Occidente. Entrambe le potenze, infatti, si sono avvicinate per convenienza. La Cina per garantirsi la presenza della prima potenza nucleare al suo fianco, e distrarre gli Stati Uniti dal fronte taiwanese; la Russia in quanto obbligata a causa delle serrande abbassate dagli Stati europei ed atlantici. Dall’altro lato, è quindi evidente che un conflitto a bassa intensità possa avvantaggiare, sia economicamente che strategicamente, il ruolo della Cina, riuscendo a far entrare nella propria sfera anche la Federazione Russa, rendendola nei fatti subordinata al miliardo e mezzo di consumatori cinesi.

La sintonia con il Cremlino serve per presentarsi dinanzi agli Usa da una posizione di vantaggio, ma l’idea di Xi non è sicuramente quella di farsi intrappolare da Putin. Quest’ultimo, però, non vuole accettare l’idea di essere alla guida di una semplice Nazione e non di un impero, cercando quindi di rinnegare un proprio ruolo di stampella rispetto all’ascesa della superpotenza cinese. Nel mezzo, quindi, rimane un quadro ben più complesso rispetto a quello narrato dal mainstream, che negli ultimi mesi ha spaziato dal sostenere le tesi più disparate sul rapporto vigente tra Mosca e Pechino, dalle freddure agli avvicinamenti, dall’abbandono alla possibile fornitura militare del Dragone a Putin. Ed anche la visita di Xi al Cremlino ne offre l’ennesima prova: l’informazione ha fatto cilecca.

Matteo Milanesi, 21 marzo 2023

Per approfondire l’articolo: https://www.nicolaporro.it/e-meno-male-che-la-cina-aveva-abbandonato-putin/

Usa contro Cina: l’analisi dei servizi segreti italiani

Condividi su:

 

Pubblicata la relazione dei servizi segreti italiani per la sicurezza della Repubblica. All’interno l’analisi del confronto, soprattutto economico, tra Usa e Cina un rapporto che può cambiare i destini del Mondo come l’abbiamo conosciuto finora.

“Non c’è stato il sorpasso di Pechino nei confronti degli Stati Uniti, valutato invece da diversi analisti internazionali come imminente.

La tutela della sicurezza nazionale Il confronto tra Stati Uniti e Cina in dieci settori chiave è riportato nell’infografica sotto.

Usa contro Cina: l'analisi dei servizi segreti italiani

 

In molti campi la distanza tra Cina e Stati Uniti è ancora ampia. Non è affatto scontato che il sorpasso, se mai si vedrà, sia questione di anni o di lustri. A livello macroeconomico il rallentamento della crescita cinese rappresenta un nuovo equilibrio. La tendenza statunitense, di contro, rimane stabilmente in crescita. A livello finanziario la Cina è in forte ritardo a causa della sua riluttanza a liberalizzare i flussi di capitali. Inoltre, l’uso internazionale del renminbi rimane molto limitato per il commercio e per gli investimenti transfrontalieri. In relazione ad alcuni settori considerati strategici (aeronautica, semiconduttori, energetico, intelligenza artificiale, dispositivi medici), emerge come gli Stati Uniti siano leader globali, avanti a livello tecnologico, in grado di guidare l’innovazione globale. La Cina fa spesso affidamento sulla tecnologia straniera importata. Il confronto a livello demografico è favorevole agli USA. La popolazione statunitense continuerà a crescere nel corso del secolo. Dal punto di vista del capitale umano, la Cina è agli ultimi posti tra i Paesi al suo livello di sviluppo; gli Stati Uniti partono da una posizione di netto vantaggio”.

Il Mondo sta cambiando è evidente. I rapporti di forza stanno cambiando. Ma il cambiamento è nella storia dell’uomo

Leopoldo Gasbarro 04/03/2023

Ecco come la Russia aggira le sanzioni sul gas

Condividi su:

Segnalazione di Wall Street Italia

di Leopoldo Gasbarro

“Certi amori non finiscono. Fanno dei giri immensi e poi ritornano”, cantava Antonello Venditti in “Amici mai”Lo stesso vale per il gas e per Vladimir Putin, alludendo ai giri immensi del gas, che porta nelle casse del capo di stato russo una quantità indicibile di miliardi, nonostante le sanzioni. Ma vediamo i numeri e le considerazioni sul “raggiro” della Russia anche da parte del “Financial Times”.

Secondo i dati doganali cinesi, nei primi sei mesi del 2022 la Cina ha comprato dalla Russia 2,35 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto (Gnl), per un valore di 2,16 miliardi di dollari. In questo modo, la Russia ha superato l’Indonesia e gli Stati Uniti ed è diventato il quarto fornitore cinese di Gnl per quest’anno.

A questo dato va aggiunto il gas che Gazprom fornisce giornalmente alla Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia, che aveva raggiunto un nuovo massimo storico, con un balzo del 63,4% nella prima metà del 2022.

Il vero motivo dietro l’impennata del Gnl dalla Russia

La Cina ha tranquillamente rivenduto il Gnl russo agli unici che ne hanno un disperato bisogno: i Paesi europei. A caro presso, ovviamente. Come dal “Financial Times”, “i timori dell’Europa di una carenza di gas verso l’inverno potrebbero essere stati aggirati, grazie a un inaspettato cavaliere bianco: la Cina”. Non si tratta di surplus di Gnl dalla Cina. Il Gnl che sta vendendo all’Europa è russo.

Secondo la società di ricerca Kepler, le importazioni europee di Gnl sono aumentate del 60% anno su anno nei primi sei mesi del 2022. Il gruppo cinese Jovo, un grande commerciante di Gnl, ha recentemente rivelato di aver rivenduto un carico di Gnl a un acquirente europeo. Un trader di future a Shanghai ha dichiarato che il profitto ottenuto da tale transazione potrebbe aggirarsi attorno a decine, se non centinaia, di milioni di dollari. La più grande raffineria di petrolio cinese, Sinopec Group, ha ammesso ad aprile di aver incanalato l’eccesso di Gnl nel mercato internazionale.

I media cinesi hanno affermato che la sola Sinopec ha venduto 45 carichi di Gnl, ovvero circa 3,15 milioni di tonnellate. La quantità totale di Gnl cinese che è stata rivenduta è probabilmente superiore a 4 milioni di tonnellate, equivalenti al 7% delle importazioni di gas dall’Europa nel semestre fino alla fine di giugno.

La buona notizia è che i 53 milioni di tonnellate hanno permesso all’Europa di arrivare fino al 77% di riserve. Se continua così, è probabile che il Vecchio Continente raggiunga l’obiettivo dichiarato di riempire l’80% dei i suoi impianti di stoccaggio del gas entro novembre. E a quel punto non ci saranno più rischi di blocco per l’inverno.

L’Europa ora diventando dipendente dalla Cina per il gas, solo che questa volta passa per le importazioni dalla Cina, che così diventa il centro di un percorso del gas che indebolisce un po’, tutti visto che l’Europa paga un prezzo anche 3 volte più alto di quello ufficiale. Ma anche la Russia si indebolisce perché, come sottolinea il “Financial Times”:

“Se la Russia finirà per esportare più gas in Cina come mezzo per punire l’Europa, la Cina avrà più capacità di rivendere il gas in eccesso al mercato, aiutando indirettamente l’Europa”.

Ironia della sorte, l’Europa che cerca di affrancarsi dalla sua dipendenza dalla Russia per l’energia, sta diventando sempre più dipendente dalla Cina.

Il “Grande Timoniere” bombarda Hong Kong e anche il Vaticano è sotto tiro

Condividi su:

QUINTA COLONNA

di Redazione

Questo articolo è particolarmente interessante perché rivela retroscena molto interessanti. Il lettore tenga presente, comunque, che almeno dalla morte di Pio XII (1958) il Vaticano è occupato dalla Contro-Chiesa modernista che è stata legittimata dal Conciliabolo Vaticano II. La Chiesa Cattolica sta, invece, ovunque chierici e laici rimangano fedeli a quanto sempre insegnato e da tutti creduto, ovunque e sempre, per parafrasare S. Vincenzo di Lerins. Il piccolo gregge rimasto fedele non alberga in Vaticano, ma è disperso nel mondo. L’articolo qui sotto risente di questa premessa essenziale, di cui, però, il lettore deve tener conto:

Fonte: L’Espresso del 2/02/2022

di Sandro Magister

In ottobre scadrà l’accordo provvisorio e segreto tra la Santa Sede e la Cina sulle nomine dei vescovi, stipulato il 22 settembre 2018 e rinnovato per altri due anni nel 2020. È presto per dire se sarà riconfermato in forma più stabile. Di certo, ciò che non è provvisorio è lo strapotere di Xi Jinping, che da dicembre è stato anche insignito del titolo altamente simbolico di “Grande Timoniere”, come soltanto Mao Zedong prima di lui.

Questo comporta che la linea politica dettata da Xi è incondizionata e a lungo termine, con strettissimi se non inesistenti margini di negoziazione per una controparte già di per sé debole come il Vaticano. Di fatto, nella scelta dei nuovi vescovi, il predominio della Cina è schiacciante e l’eccezione rappresentata dalla diocesi di Hong Kong, che è esente dall’accordo del 2018, è anch’essa in serio pericolo. Lo scorso anno il suo attuale vescovo è stato nominato senza che, nella sua scelta, Roma dovesse sottostare alle autorità cinesi. Ma un mese prima che il nuovo vescovo fosse consacrato, Pechino ha compiuto un passo che ha fatto presagire un vicino pieno dominio della Cina non solo sulla metropoli di Hong Kong, come già avviene, ma anche sulla vivace Chiesa cattolica presente nell’ex colonia britannica.

Il nuovo vescovo di Hong Kong, Stephen Chow Sau-yan, 62 anni, gesuita, è stato consacrato lo scorso 4 dicembre. Ebbene, il 31 ottobre ha avuto luogo nella città un incontro senza precedenti, inizialmente rimasto segreto ma poi reso noto dall’agenzia Reuters in una corrispondenza del 30 dicembre.

L’incontro era promosso dall’Ufficio che rappresenta a Hong Kong il governo centrale di Pechino, con la supervisione, dal continente, dell’Amministrazione statale degli affari religiosi.

Vi hanno preso parte per la Cina tre vescovi e 15 religiosi della Chiesa ufficiale riconosciuta dal governo di Pechino, e per Hong Kong due vescovi e 13 religiosi.

A guidare la delegazione di Hong Kong era Peter Choy Wai-man, il docile prelato che le autorità cinesi avrebbero visto volentieri alla testa della diocesi. Chow, il nuovo vescovo designato, ha preso parte all’incontro solo per poco, all’inizio, mentre ad aprire e a chiudere l’evento è stato il cardinale John Tong Hon, vescovo emerito e amministratore temporaneo della diocesi. Scontata l’assenza del novantenne cardinale Joseph Zen Ze-kiun, emblema dell’opposizione al governo cinese e critico severo dell’accordo tra il Vaticano e Pechino.

I delegati provenienti dal continente hanno insistito perché venisse applicata pienamente anche a Hong Kong la cosiddetta politica di “sinicizzazione” delle religioni, con una subordinazione più marcata della Chiesa cattolica ai caratteri propri della Cina, quelli dettati dal Partito comunista e dallo Stato.

La “sinicizzazione” delle religioni è un caposaldo della politica di Xi, la cui agenda applicativa era ben nota ai partecipanti all’incontro. Nell’arco dell’intera giornata nessuno ha fatto il nome del presidente della Cina, ma “Xi era l’elefante nella stanza”, ha detto alla Reuters un membro della delegazione di Hong Kong. “Per qualcuno di noi la ‘sinicizzazione’ è sinonimo di ‘Xinicizzazione’”.

L’incontro di Hong Kong non è stato affatto un’iniziativa isolata. Ai primi di dicembre Xi ha tenuto un discorso a Pechino nell’ambito di una “Conferenza nazionale sul lavoro riguardante gli affari religiosi”, in cui ha ribadito che tutte le religioni in Cina devono sottostare al Partito comunista, al quale spetta “la direzione essenziale dell’attività religiosa”, ai fini di una piena “sinicizzazione”.

Ma soprattutto va tenuto conto del fondamentale documento approvato l’11 novembre dal Comitato centrale del Partito comunista cinese, col titolo di “Risoluzione sui grandi compimenti e sulla storica esperienza del partito nel secolo trascorso”.

Una risoluzione di questo tipo è la terza in tutta la storia della Cina comunista. La prima fu con Mao Zedong nel 1945, la seconda con Deng Xiaoping nel 1981 e questa terza, ad opera di Xi Jinping, si rapporta alle altre come una sorta di sintesi hegeliana, con l’ambizione di incorporare il meglio di quanto fatto da Mao, la tesi, e corretto da Deng, l’antitesi.

Nella sua quinta sezione, la risoluzione rifiuta il sistema democratico occidentale, fatto di costituzionalismo, di alternanza al governo e di separazioni tra i poteri, un sistema che se adottato “porterebbe la Cina alla rovina”.

Ma in particolare respinge “la libertà religiosa di modello occidentale”. In Cina “le religioni devono essere cinesi nell’orientamento” e costantemente sottomesse alla “guida del Partito comunista perché si adattino alla società socialista”.

In Vaticano ben conoscono questa politica e tentano di addomesticarla come “complementare” alla visione cattolica della “inculturazione”. Nel maggio del 2019, in un’intervista al quotidiano “Global Times”, espressione in lingua inglese del Partito comunista cinese, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha detto che “inculturazione” e “sinicizzazione” insieme “possono aprire cammini di dialogo”, tenendo presente “la reiterata volontà” delle autorità cinesi “di non minare la natura e la dottrina di ciascuna religione”.

Ma la più argomentata apologia della “sinicizzazione”, da parte Vaticana, resta tuttora l’articolo pubblicato nel marzo del 2020 sulla rivista “La Civiltà Cattolica” – come sempre con l’approvazione previa della segreteria di Stato e di papa Francesco – dal sinologo gesuita Benoit Vermander.

L’autore paragona coloro che oggi criticano la “sinicizzazione” – e fa i nomi del cardinale Zen e dell’allora direttore di “Asia News” Bernardo Cervellera – agli eretici montanisti e donatisti dei primi secoli, intransigenti nel condannare i cristiani che si erano piegati alle imposizioni dell’impero romano.

Vermander difende in pieno sia l’accordo tra la Santa Sede e la Cina del settembre 2018, sia il concomitante messaggio di papa Francesco ai cattolici cinesi e la successiva istruzione vaticana su come registrarsi nella Chiesa ufficiale.

Ma soprattutto mette in evidenza quella che ritiene la faccia buona della “sinicizzazione”: il fatto che “l’articolo 36 della Costituzione cinese continua a garantire formalmente la libertà religiosa”; il trattamento più benevolo adottato dalla autorità cinesi con i cattolici rispetto ai seguaci di altre religioni; la capacità di adattamento delle generazioni più giovani; la pazienza indotta nei cattolici cinesi dall’amore per il loro paese, “senza cercare il martirio a ogni costo”.

A testimonianza di ciò, Vermander esalta la vitalità di una parrocchia di Shanghai di sua conoscenza, in cui tutto sembra andare per il meglio, nonostante “i sacerdoti debbano partecipare regolarmente a ‘corsi di formazione’ organizzati dall’Ufficio per gli affari religiosi”.

Curiosamente, però, il gesuita non fa parola del fatto che il vescovo di Shanghai, Thaddeus Ma Daqin, è agli arresti domiciliari dal giorno della sua ordinazione nel 2012, semplicemente per essersi dissociato dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, il principale strumento con cui il regime controlla la Chiesa. Non gli è valso a ottenere clemenza nemmeno l’atto di pubblica sottomissione a cui si è piegato nel 2015, tra gli applausi – anch’essi inutili – de “La Civiltà Cattolica”, che definì quel suo gesto un modello esemplare di “riconciliazione tra la Chiesa in Cina e il governo cinese”.

Per non dire del totale, prolungato silenzio di papa Francesco su questa e sulle tante altre ferite inferte dal regime di Xi ai cattolici della Cina e di Hong Kong, questi ultimi già pesantemente perseguitati e ormai vicinissimi a finire anch’essi del tutto sotto il dominio del nuovo “Grande Timoniere”.

la Cina contro gli USA anche nella politica monetaria

Condividi su:

La Cina sta aprendo i cordoni della propria borsa monetaria e sta fornendo uno stimolo all’economia, soprattutto al settore immobiliare, molto elevato e chi va in contrasto con la stretta in preparazione negli Stati Uniti. I segnali di questo movimento sono almeno tre:

1. La Cina ha fornito maggiore sostegno al mercato immobiliare. I responsabili politici hanno chiesto alle banche di aumentare i prestiti immobiliari nel primo trimestre e hanno allentato una restrizione chiave del debito per gli immobiliaristi. Questo fa parte del più ampio cambiamento politico volto a dare la priorità alla stabilità economica quest’anno. Sebbene il mercato del credito rimanga fragile, i titoli immobiliari sono saliti ai massimi da luglio

Ad

Scarpe artigianali, fatte con cura.Velasca

2. L’allentamento della Cina è in contrasto con gli Stati Uniti, dove la Fed ha intrapreso una delle svolte restrittive  della storia recente. I Treasury statunitensi, i titoli di stato a stelle e strisce, hanno avuto il peggior inizio di un anno da decenni, poiché i verbali della Fed hanno suggerito che la banca centrale potrebbe liquidare il proprio bilancio subito dopo aver alzato i tassi.

Il rapporto sul lavoro USA  di venerdì ha mostrato che il tasso di disoccupazione è sceso al di sotto del 4%, cementando le aspettative per il primo aumento dei tassi a marzo. Il rapporto sull’inflazione di questa settimana potrebbe aumentare la vulnerabilità del mercato obbligazionario. La divergenza politica tra Stati Uniti e Cina ha portato il loro differenziale di rendimento al livello più basso dal 2019. Questo perché la fine del QE spinge i tassi americani verso l’alto, mentre la politica espansiva monetaria cinese li spinge verso il basso, portandoli quasi allo stesso livello.

3. La rigida strategia anti Covid di Pechino aggiunge rischi al ribasso per l’economia. Essendo una delle ultime tattiche che tendono al “Covid Zero” al mondo, la Cina ha adottato misure rigorose per frenare la diffusione del virus, incluso il blocco di circa 13 milioni di residenti a Xi’an. I viaggi sono stati penalizzati, con un calo dei passeggeri aerei durante il lungo weekend dell’1-3 gennaio in calo del 27% rispetto a un anno fa, secondo quanto riportato dall’emittente statale CCTV. Questo quindi rende probabile è necessaria la prosecuzione della politica monetaria espansiva da parte della banca centrale cinese (PBOC).

Fonte: https://scenarieconomici.it/la-cina-contro-gli-usa-anche-nella-politica-monetaria/

Dai missili ipersonici a Taiwan: alta tensione tra Stati Uniti e Cina

Condividi su:

LETTERE DEL LETTORE

Riceviamo e pubblichiamo questo interessante articolo, che si trova anche su: https://www.ilmiogiornale.net/dai-missili-ipersonici-a-taiwan-alta-tensione-tra-stati-uniti-e-cina/

di Ferdinando Bergamaschi

Missili ipersonici: sono la nuova frontiera militare delle grandi potenze. “Le armi ipersoniche uniscono al vantaggio della velocità quello della manovrabilità, che permette loro di eludere i sistemi di difesa antimissile di teatro e territoriale e di colpire obiettivi situati nel cuore dei territori nemici oppure in mare”, scrive Joseph Henrotin nella prefazione a uno studio dell’Ifri (Institut français des relations internationales) pubblicato lo scorso giugno.

I missili ipersonici, che viaggiano a oltre 6.000 Kmh e hanno una portata superiore ai 2.000 km, sarebbero manovrabili come i missili da crociera e potenti quanto i missili balistici, se non addirittura di più. Questo perché la tecnologia ipersonica consente, e consentirà, di superare delle barriere tecniche in maniera formidabile. 

Delusione a Washington

Dopo i successi dei test compiuti da Mosca e Pechino sui missili ipersonici nelle ultime settimane, era arrivato il turno degli Stati Uniti. Ma clamorosamente le cose per Washington sono andate male. Il Pentagono ha infatti ammesso il fallimento dell’ultimo test avvenuto in Alaska. Il lancio è stato compromesso dal malfunzionamento del razzo usato per portare il missile oltre la velocità del suono. Da qui la grande preoccupazione degli analisti americani. Gli Stati Uniti, infatti, così come per le armi al laser e per i robot-soldato, hanno investito molto su queste nuovissime tecnologie belliche anche in funzione anticinese. 

Biden versus Pechino

Addirittura il presidente americano Joe Biden, poche ore dopo la diffusione delle notizie relative al fallimento dei test dei missili ipersonici, ha rilasciato dichiarazioni molto pesanti contro Pechino. “In caso di attacco dalla Cina, difenderemo Taiwan. Abbiamo un impegno a farlo”, ha affermato l’inquilino della Casa Bianca alla Town hall di Baltimora. La replica cinese non si è fatta attendere. Ed è stata durissima, avvertendo gli Usa di essere prudenti e di non inviare segnali sbagliati all’isola. Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Wang Wenbin, è arrivato ad utilizzare toni minacciosi. “Nessuno dovrebbe sottovalutare la forte risolutezza, determinazione e capacità del popolo cinese di salvaguardare la sovranità nazionale e l’integrità territoriale”. La Cina, ha concluso Wang, “non ha margine per compromessi”.  

Il peso di Taiwan 

Non è un caso quindi che Biden sia intervenuto proprio ora, dopo il fallimento dei test sui missili ipersonici americani; e che lo abbia fatto utilizzando toni bellicistici sulla questione di Taiwan. L’isola a circa 150 km dalla costa cinese ha infatti un ruolo molto importante da un punto di vista delle nuovissime tecnologie. Oltre ad essere al centro di mari strategici che la rendono così contesa da un punto di vista geopolitico, per esempio è leader mondiale nella produzione di semiconduttori. Sono i minuscoli dispositivi elettronici basilari per gli smarthphone, i computer e le automobili. E sempre più l’Occidente, dagli States all’Unione europea, guarda a Taiwan come fonte di approvvigionamento di questi componenti, indispensabili per vincere la competizione tecnologica mondiale.

L’élite globale anglosassone e la Terza Guerra mondiale?

Condividi su:

Riceviamo e pubblichiamo questa analisi di una nostra amica ed assidua lettrice, che segue una teoria e trae conclusioni che non possiamo considerare definitive, ma degne di nota. E’ un’ opinione politicamente scorretta, con una sua logica, di cui tener conto. (Nota del Circolo Christus Rex) 

di Francesca Catanese

Carrol Quigley, professore alla Georgetown University, pubblicò nel 1966 un volume di 1348 pagine: Tragedy and Hope. Quigley non è accusabile di complottismo perché ha formato la classe dirigente angloamericana, a iniziare da Clinton. Il professore rivelava l’esistenza di una élite anglofila che puntava al dominio globale e che in parte lo aveva già conquistato. Ma prevedeva anche che, dopo il 2000, nuove forze, come la Cina, una Russia liberatasi dal Comunismo – che, dimostrava Quigley era per lo più uno strumento dell’élite globale britannica – avrebbero contrastato l’egemonia anglofila mondiale. Continua a leggere

Come la Cina sta conquistando il mondo

Condividi su:

Segnalazione di Redazione BastaBugie

Inoltre in campo religioso Xi Jinping promuove l’ideatore della campagna che ha portato alla rimozione di 1.500 croci e la demolizione di tante chiese cristiane
da Laogai Research Foundation

(LETTURA AUTOMATICA)

La bilancia commerciale cinese è abbondantemente in attivo con tutti i principali paesi industrializzati. Praticamente tutti si ritrovano ad importare dalla Cina molto di più di quello che riescono ad esportare.
Questo processo consente alla Cina di ottenere una crescita costante del PIL (circa del 7% anno), quindi centrare l’obiettivo fissato da Pechino. In sostanza ogni anno, un fiume di denaro si sposta da occidente verso la Cina. Con questi soldi Pechino sta acquistando aziende, tecnologia e “know how” da tutto il mondo, si sta trasformando in una formidabile potenza economica e militare in grado di influenzare gli equilibri mondiali e di ridefinirne regole e principi.
Nel 2017 il surplus commerciale complessivo della Cina è stato di $ 422,5 miliardi.
Il surplus della Cina verso gli Stati Uniti nel 2017 è stato pari a $ 275,81 miliardi (finanza.com).
Il surplus della Cina verso l’Europa nel 2017 è stato pari a € 175 miliardi (ilgiornale.it).
Il surplus della Cina verso l’Italia nel 2016 è stato pari a € 16,18 miliardi (infomercatiesteri.com).
Questi incredibili numeri spiegano le ragioni della potenza cinese e delle difficoltà, spesso disastrose, da parte occidentale. Ma visto che i cinesi non si sono dimostrati leader in nessun settore legato ad innovazione, scienza o tecnologia, allora cerchiamo di capire quali sono state le cause che hanno portato a questa nuova realtà. Continua a leggere