La via alla vera pace secondo Pio XII

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Riceviamo e pubblichiamo questo interessante articolo del Prof. De Mattei, che ci vede concordi, sebbene con posizioni dottrinali differenti (n.d.r.)

del Prof. Roberto De Mattei

Tra gli anniversari che ricorrono nel mese di ottobre c’è quello dell’enciclica di Pio XII Summi Pontificatus, pubblicata il 20 ottobre 1939, la prima e una delle più importanti del suo pontificato.

Il cardinale Eugenio Pacelli era stato elevato al soglio di Pietro, con il nome di Pio XII, il 2 marzo del 1939. Per temperamento e vocazione, Pio XII era un uomo di pace. Il suo stemma mostrava una colomba con un ramo d’ulivo e il suo motto indicava la pace come frutto della giustizia: Opus justitiae pax (Is. 34, 17).  E il primo messaggio inviato via radio a tutto il mondo fu dedicato a: La pace, dono di Dio desiderato da tutti gli uomini retti, frutto dell’amore e della giustizia“.

Pio XII invocava la pace perché il mondo era alla vigilia della guerra. Egli, scrive uno dei suoi biografi, “ricevette la tiara come se fosse un elmetto, perché l’Europa era in armi“.

Nella conferenza di Monaco del settembre 1938 Hitler si era formalmente impegnato a garantire l’incolumità dello stato cecoslovacco. Ma il 15 marzo 1939, pochi giorni dopo l’incoronazione del Papa, il dittatore nazista violò gli accordi di Monaco e invase la Ceco-Slovacchia, annettendo Boemia e Moravia al Reich tedesco. La posizione della Francia e della Gran Bretagna nei confronti di Hitler, che a Monaco era stata cedevole, da questo momento cambiò: le due nazioni decisero di impegnarsi a proteggere la Polonia.

Il 23 agosto 1939 i ministri degli Esteri sovietico Molotov e tedesco Ribbentrop firmarono un trattato di non aggressione accompagnato da un protocollo segreto che prevedeva la spartizione della Polonia e la divisione dell’Europa orientale in due sfere d’influenza:

Il 1° settembre dello stesso anno, dopo il rifiuto polacco di concedere a Hitler il “corridoio” di Danzica, l’esercito tedesco invase la Polonia. Due giorni dopo, il 3 settembre, Gran Bretagna e Francia dichiararono guerra alla Germania.

La Seconda guerra mondiale era iniziata. Un conflitto che non conosceva frontiere e coinvolgeva i civili di tutto il mondo, con un bilancio spaventoso di più di sessanta milioni di morti ma soprattutto di milioni di vittime spirituali e morali.

Poche settimane dopo l’inizio della catastrofe, il 20 ottobre, Pio XII, pubblicò l’enciclica Summi Pontificatus, in cui non si limitò a deplorare la guerra ma ne indicò con chiarezza le cause. Pio XII affermava: “Il tempo presente, venerabili fratelli, aggiungendo alle deviazioni dottrinali del passato nuovi errori, li ha spinti a estremi, dai quali non poteva seguire se non smarrimento e rovina. Innanzitutto è certo che la radice profonda e ultima dei mali che deploriamo nella società moderna sta nella negazione e nel rifiuto di una norma di moralità universale, sia della vita individuale, sia della vita sociale e delle relazioni internazionali; il misconoscimento cioè, così diffuso ai nostri tempi, e l’oblio della stessa legge naturale.

Questa legge naturale trova il suo fondamento in Dio, creatore onnipotente e padre di tutti, supremo e assoluto legislatore, onnisciente e giusto vindice delle azioni umane. Quando Dio viene rinnegato, rimane anche scossa ogni base di moralità, si soffoca, o almeno si affievolisce di molto, la voce della natura, che insegna, persino agli indotti e alle tribù non pervenute a civiltà, ciò che è bene e ciò che è male, il lecito e l’illecito, e fa sentire la responsabilità delle proprie azioni davanti a un Giudice supremo”.

Sono parole da meditare in tempi, come quelli in cui viviamo, in cui il rinnegamento della legge naturale è arrivato al punto di negare l’esistenza stessa di una natura umana, attraverso teorie e pratiche abominevoli come quella del gender.

Ma Pio XII va più a fondo. “La negazione della base fondamentale della moralità – dice – ebbe in Europa la sua originaria radice nel distacco da quella dottrina di Cristo, di cui la cattedra di Pietro è depositaria e maestra; dottrina che un tempo aveva dato coesione spirituale all’Europa, la quale, educata, nobilitata e ingentilita dalla croce, era pervenuta a tal grado di progresso civile da diventare maestra di altri popoli e di altri continenti”. 

Per ottenere la pace, la vera pace, che è la tranquillità dell’ordine, la vita nazionale e internazionale – afferma Pio XII – deve fondarsisulla roccia incrollabile del diritto naturale e della divina rivelazione”.  Non c’è altra strada possibile. “La rieducazione dell’umanità, se vuole sortire qualche effetto, deve essere soprattutto spirituale e religiosa: deve, quindi, muovere da Cristo come da suo fondamento indispensabile, essere attuata dalla giustizia e coronata dalla carità”.

Questo insegnamento costituì l’asse del pontificato di Pio XII e ha un valore perenne. Le generiche deplorazioni della guerra i generici appelli alla pace non sono sufficienti. Solo il rispetto della legge naturale e la conversione a Cristo potrà restituire pace al mondo e gloria alla Chiesa, che potrà tornare ad essere, la civitas supra montem posita, la “città posta su un colle”, la roccia incrollabile, contro cui si infrange invano la furia delle onde marine.

 

DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII ALLE LAVORATRICI DELLA CASA

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di Sua Santità Papa Pio XII, Basilica Vaticana – Domenica, 19 gennaio 1958

Il paterno benvenuto che vi diamo, dilette figlie Lavoratrici della casa, vuol essere la conferma dell’assidua premura che Noi dedichiamo alla vostra categoria, più volte dimostratavi, ora accogliendovi con vivo gradimento alla Nostra presenza, ed ora esponendo il Nostro pensiero sul vostro lavoro, come facemmo parecchi anni or sono, nel corso di tre distinte Udienze concesse ai novelli Sposi, nelle quali illustrammo ampiamente in che modo il senso cristiano debba animare i rapporti tra padroni e domestici (cfr. Discorsi e Radiomessaggi, vol. IV, pagg. 151-158165-173177-184). Che anzi anche più di recente rivolgemmo nuovamente la parola ad un numeroso gruppo di lavoratrici della vostra categoria (cfr. Discorsi e Radiomessaggi, vol. XVIII, pagg. 263-267). Sicché la presente Udienza, tutta per voi, sarà come la ripresa di quei colloqui ideali, ispirati dal senso di paternità, propria del Vicario di Cristo, che volge l’amore, nello stesso tempo, a tutti e a ciascuno, scevro di debolezze e di parzialità, rispettoso dei diritti degli uni e degli altri, esigendo però da ambedue le parti corrispettivi doveri.

Poiché Ci sembra che in quelle Nostre esposizioni non abbiamo tralasciato alcuno dei punti essenziali sull’argomento, basterà ora che accenniamo a qualche particolare applicazione, non senza raccomandarvi, se è possibile, la conoscenza o la rinnovata lettura di quei Nostri insegnamenti.

CONTINUA SUhttps://www.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1958/documents/hf_p-xii_spe_19580119_lavoratrici-casa.html

 

Il latino unisce le diocesi di tutto il mondo alla Chiesa Romana e alla Sede di Pietro

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI 

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/11/28/il-latino-unisce-le-diocesi-di-tutto-il-mondo-alla-chiesa-romana-e-alla-sede-di-pietro/

PERCHÉ ANDARE ALLA MESSA IN LATINO

Anche se Paolo VI celebrò, per la prima volta, la Messa in italiano Domenica 7 Marzo 1965, la data dell’entrata in vigore del Novus Ordo Missae in tutte le parrocchie è quella della Prima Domenica di Avvento del 1969 ossia 52 anni fa, da ieri.

Dal Giovedì Santo dell’anno 33 d.C., giorno in cui Nostro Signore Gesù ha celebrato la prima Messa, insegnando agli Apostoli, ossia ai primi Vescovi, i fondamentali del mirabile Mistero della Transustanziazione, ovvero sulla trasformazione di pane e vino nel Suo corpo, sangue, anima e divinità, attraverso formule ben precise, che solo il sacerdote può realizzare, la Chiesa ha elaborato il rito romano aggiungendo, progressivamente, preghiere conformi al Dogma per arricchire la liturgia.

Questa Messa fu celebrata sempre e codificata da san Pio V, a seguito della Controriforma e del Concilio di Trento. Questo atto si rese necessario per ovviare alle eresie di Lutero. La Bolla Quo Primum Tempore servì da accompagnamento al Messale e stabilì l’indulto perpetuo per la Sua celebrazione, prevedendo l’anatema per chiunque ne avesse l’ardire di cambiare anche uno iota.

Una risposta magisteriale potente della Chiesa Cattolica che, dunque, estendeva a tutti, non solo a Lutero, il dovere di attenersi all’unico rito che esprimeva in maniera perfetta la Fede tramandata fin dai secoli precedenti.

La lingua propria della Chiesa Romana è la latina“, scrive san Pio X nella “Tra le sollecitudini” del 22 novembre 1903.

Leone XIII ha insegnato che “Gesù Cristo scelse per sé e consacrò la sola città romana. È qui che volle restasse in perpetuo la sede del suo Vicario“.

Papa Gelasio disse che “per mirabile disposizione di Cristo“, san Pietro scelse Roma come sede episcopale del Principe degli Apostoli. L’utilizzo della lingua latina unisce le diocesi di tutto il mondo alla Chiesa Romana e alla Sede di Pietro.

La Chiesa – scrisse Pio XI nell’Officiorum Omnium del 1° agosto 1922 – abbracciando nel suo seno tutte le Nazioni […] esige per la sua stessa natura una lingua universale“.

Al contrario, lo scisma orientale e la pseudo-riforma protestante rompendo l’unità cattolica, hanno creato “chiese” autocefale e nazionali.

Pio XII, nell’enciclica Mediator Dei del 20 novembre 1947, attesta che l’uso della lingua latina, come vige nella gran parte della Chiesa, “è un chiaro e nobile segno di unità”, poiché l’unità si può fare solo nella Verità, non nella convivenza tra essa e l’errore.

Come possono rispondere oggi alla domanda “perché dite la Messa in latino?” i sacerdoti che lo fanno? In maniera succinta ma che dice tutto don Francesco Ricossa ha risposto così: “semplicemente perché così lo vuole la Chiesa Cattolica, nelle sue rubriche liturgiche e nelle sue leggi canoniche (can. 819 e 1257). Semplicemente, perché siamo Sacerdoti cattolici di rito latino“.

La domanda è stata posta recentemente anche al sottoscritto durante un dibattito sul canale televisivo nazionale La7. Ho replicato così: “andiamo alla Messa in latino perché siamo fedeli cattolici di rito romano; perché la Messa di San Pio V esprime in maniera perfetta la Fede che professiamo e non tolleriamo che la Tradizione venga adulterata, perché il Depositum Fidei non è ‘proprietà privata’ di nessuno, ma un tesoro da tramandare ed arricchire“.

Perciò non abbiamo alcuno scrupolo di coscienza nell’andare alla stessa Messa in cui si sono santificati tutti i più grandi santi della storia della Chiesa, da san Francesco d’Assisi a Padre Pio da Pietrelcina, da san Domenico a Massimiliano Kolbe e tanti altri.

La solidarietà verso gli immigrati non è un obbligo morale

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/11/14/la-solidarieta-verso-gli-immigrati-non-e-un-obbligo-morale/

LA “CIVILTÀ” DELLA SOLIDARIETÀ IMMIGRAZIONISTA DELLE SINISTRE, NON È ALTRO CHE IL COMPIMENTO DEL TERZO “VALORE” DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE, QUELLO PIÙ UTOPICO DELLA “FRATERNITÉ” SENZA IL CRISTIANESIMO

La parola solidarietà viene, spesso, abusata o utilizzata a sproposito per far apparire il Cattolicesimo come una grande O.N.G. (Organizzazione Non Governativa) col fine di favorire il mondialismo. Questa è la versione social-democratica del Magistero della Chiesa. L’interpretazione centrista è, altresì, ancor più incline ad un buonismo che afferisce all’umanesimo integrale, tanto sbandierato dai liberali, che non riconosce alcun ruolo a Dio, quanto ad un’etica materialista della comune famiglia globale.

La solidarietà come pseudo-virtù è un’invenzione del positivismo ottocentesco, e di August Comte in particolare, per il quale la solidarietà è “l’intrinseca e totale dipendenza di ogni uomo dalle precedenti generazioni” , in una prospettiva totalmente deterministica, che non gli riconosce alcuna libertà.

Il problema di entrambe le ideologie, che spesso hanno radici e caratteristiche che si incrociano, come, del resto, il progressismo marxista e il conservatorismo liberista, in tema di immigrazione di massa, è che dimenticano o rifiutano il destino soprannaturale degli esseri umani.

Il lavoro illuminista, fatto proprio dalle logge massoniche, è stato quello di convincere, nell’arco di almeno tre secoli, il mondo che vi possa essere una solidarietà senza carità, ossia la filantropia senza Dio, propria dei nemici di Cristo e della Chiesa. Questa confusione terminologica e fattuale è così intrinsecamente perversa da essere riuscita, nel tempo, a traghettare nel suo campo molti cattolici in buona fede.

Del resto, è risaputo che i figli del serpente sono più scaltri dei figli della Luce. Il grande G.K. Chesterton mise in guardia, a pieno titolo, dall’ambiguità, che porta sempre al male.

E’ per evitare spiacevoli equivoci che il Magistero ecclesiastico è intervenuto per fare chiarezza.Il primo di tali perniciosi errori, oggi largamente diffuso, è la dimenticanza di quella legge umana di solidarietà e carità, che viene dettata e imposta sia dalla comunanza di origine e dalla eguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano, sia dal sacrificio di redenzione offerto da Gesù Cristo sull’ara della Croce al Padre suo celeste in favore dell’umanità peccatrice” (Pio XII, Lettera enciclica Summi pontificatus, n. 15).

Nella sfera sociale la carità è “un’amicizia tra Dio e l’uomo [che] suppone necessariamente la Grazia che ci fa figli di Dio ed eredi della gloria (Padre Antonio Royo Marìn, Teologia della perfezione cristiana, Edizioni Paoline, Torino 1987, p. 602).

Dopo Dio, occorre amare il bene spirituale dell’anima propria e di quella del prossimo, più che il nostro e altrui bene corporale. Solo se riferita al suo oggetto primo, cioè a Dio, la carità è veramente tale perché “senza la Fede è impossibile piacere a Dio” (San Paolo, Lettera agli Ebrei, II,6).

La solidarietà riguarda, dunque, i beni spirituali, molto di più di quelli materiali, come il venerabile Papa Pio XII spiega mirabilmente nella costituzione apostolica Exsul Familia del 1° agosto 1952.

Quanto alla carità sociale internazionale, quale principio della dottrina sociale della Chiesa enunciato dal Magistero di Pio XI, nella meravigliosa enciclica Quadragesimo anno (n. 87-88) rientra la “solidarietà delle nazioni”, per cui Pio XII giustifica il principio dell’intervento armato a difesa di un altro popolo ingiustamente aggredito, che non sia in grado di difendersi da solo. Ma, “nessuno Stato ha l’obbligo di assistere l’altro, se per questo deve andare in rovina o compiere sacrifici, sproporzionatamente gravi” (Padre Eberhard Welty o.p. vol. II, pag. 404).

Un popolo minacciato o già vittima di una ingiusta aggressione, se vuole pensare ed agire cristianamente, non può rimanere in una indifferenza passiva; tanto più la solidarietà della famiglia dei popoli interdice agli altri di comportarsi come semplici spettatori in un atteggiamento d’impassibile neutralità. […] Ciò è così vero, che né la sola considerazione dei dolori e dei mali derivanti dalla guerra, nè l’accurata dosatura dell’azione e del vantaggio valgono finalmente a determinare, se è moralmente lecito, od anche in talune circostanze concrete obbligatorio (sempre che vi sia probabilità fondata di buon successo) di respingere con la forza l’aggressore. […] La sicurezza che tale dovere non rimarrà inadempiuto, servirà a scoraggiare l’aggressore e quindi ad evitare la guerra, o almeno, nella peggiore ipotesi, ad abbreviarne le sofferenze” (Pio XII, Radiomessaggio natalizio 1948).

Secondo il prof. Roberto de Mattei la civiltà della solidarietà, cui si richiama la nuova sinistra, altro non sarebbe che il compimento del “terzo valore della Rivoluzione, quello più utopico della fraternité”, l’inveramento della triade giacobina di liberté, egalité e fraternité nella prospettiva naturalistica e totalmente secolarizzata della cosiddetta società multietnica e multireligiosa.

Questa solidarietà consisterebbe nella coscienza di una progressiva convergenza sociale dell’umanità verso un futuro unitario, verso un mondo caratterizzato dall’interdipendenza sempre più stretta dei rapporti sociali. […] L’etica della solidarietà, intesa come pura etica relazionale, porterebbe come conseguenza necessaria la realizzazione dell’uguaglianza assoluta e anche dell’assoluta libertà nel regno della fratellanza. […] Queste teorie ricevono conferma ideologica dalle sponde del progressismo cattolico, dove un teorico della solidarietà quale Josef Tischner ci presenta l’uomo non come persona individuata e distinta, ma come ente confuso in una “complessa rete relazionale” (1900-2000 Due sogni si succedono la costruzione la distruzioneEdizioni Fiducia, Roma 1990, pp. 121 e 122).

Oggi si tace il fatto che il Magistero della Chiesa pone dei limiti all’accoglienza verso gli stranieri ed al diritto naturale di emigrare, inteso come l’inalienabile volontà di interagire con altri popoli, secondo i principi di legalità e reciprocità di rispetto e dignità.

Nessuno parla mai del dovere di carità cristiana e solidarietà di comportamento nel cercare e rimuovere le cause che provocano la necessità di trasferirsi in massa in un nuovo Continente.Nessuno Stato, in forza del diritto di sovranità, può opporsi in modo assoluto a una tale circolazione, ma non gli è interdetto di sottoporre l’esodo degli emigranti o l’ammissione degli immigrati a determinate condizioni richieste dalla cura degli interessi, che è suo ufficio tutelare” (AA.VV., Codice di morale internazionale, La civiltà cattolica, Roma 1943, pp. 53-54).

Una politica di puro protezionismo o di egoismo nazionalistico o etnico non è invece ammissibile.Il Creatore dell’Universo, infatti, ha creato tutte le cose in primo luogo ad utilità di tutti; perciò il dominio delle singole nazioni, benché debba essere rispettato, non può venir tanto esagerato che, mentre in qualsivoglia luogo la terra offre abbondanza di nutrimento per tutti, per motivi non sufficienti e per cause non giuste ne venga impedito l’accesso a stranieri bisognosi ed onesti, salvo il caso di motivi di pubblica utilità da ponderare con la massima scrupolosità” (Pio XII, Lettera In fratres caritas all’Episcopato degli Stati Uniti, 24 dicembre 1948, in A. A. S. XXXXI, 1949, pag. 15 e seg.).

Padre Antonio Messineo S.J. sostiene che lo Stato di destinazione possa impedire che gli stranieri ”non rimangano a suo carico e non compromettano l’ordine e la sicurezza pubblica (sanità, istruzione, moralità, mezzi pecuniari ecc.), AA.VV. Codice di morale internazionale, cit., pag.55.

Infine, Papa Pio XII appare profetico, quanto dimenticato.

Rivolgendosi, in particolare, ai popoli africani e al Terzo Mondo in generale, li “avvertivamo […] a riconoscere all’Europa il merito del loro avanzamento; all’Europa, senza il cui influsso, esteso in tutti i campi, essi potrebbero essere trascinati da un cieco nazionalismo a precipitare nel caos o nella schiavitù. […] Non ignoriamo, infatti, che in molte regioni dell’Africa vengono diffusi i germi di turbolenza dai seguaci del materialismo ateo, i quali attizzano le passioni, eccitano l’odio di un popolo contro l’altro, sfruttano alcune tristi condizioni per sedurre gli spiriti con fallaci miraggi o per seminare la ribellione nei cuori” (Pio XII, Lettera enciclica, Fidei donum del 21 aprile 1957, nn. 6-7).

 

Dio, Patria e Famiglia: è il programma di governo che ci attendiamo da chi si dichiara cristiano

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/09/05/dio-patria-e-famiglia-e-il-programma-di-governo-che-ci-attendiamo-da-chi-si-dichiara-cristiano/

QUANDO LA CHIESA INTERVIENE SU QUESTIONI POLITICHE, I GRANDI MEDIA GRIDANO ALL’INDEBITA INGERENZA, ORA CHE TACE VORREBBERO CHE PARLASSE…

Il 21 Agosto scorso, il quotidiano La Repubblica titolava in prima pagina: “Voto, il silenzio della Chiesa“. Dunque, il più importante media d’area progressista pare lamentarsi del fatto che la Chiesa non intervenga nella campagna elettorale. Generalmente, quando la Chiesa interviene su questioni politiche, i titoloni gridano all’indebita ingerenza. Insomma a ‘sti laicisti non va mai bene niente! Se la Chiesa tace vorrebbero che parlasse per poterla accusare di intromettersi e, se parla, la aggrediscono perché si è pronunciata.

Non fa meraviglia che i nemici della Chiesa abbiano, in ogni tempo, osteggiato la sua missione, negandole le Sue divine prerogative e i suoi poteri. San Luca (19,14) scrive, riferendosi a Gesù Cristo, che contro di Lui si gridò: “Nolumus hunc regnare super nos!” (Non vogliamo che quest’uomo regni su di noi). Dal canto suo, la Chiesa replica nell’Ufficio dell’Epifania: “Non eripit mortalia qui regna dat caelestia” (“non usurpa i regni mortali chi li dà celesti” ).

Col timore di essere accusati di voler tornare al Medioevo, alcuni politici, intellettuali, scrittori, giornalisti temono di mantenere vive le posizioni dottrinali che sono state costantemente affermate nelle encicliche, come appartenenti alla vita e al diritto della Chiesa di ogni tempo. Sopravviene la logica del compromesso o quella del silenzio per non urtare le altrui sensibilità. In tal modo, viene meno l’azione dei cattolici in politica ed il campo è lasciato largo per tutti gli anticristi della Terra.

Leone XIII raccomanda espressamente la concordia e l’unità nel combattere l’errore stando “bene in guardia di non lasciarsi andare ad essere conniventi nell’errore, o ad opporgli più debole resistenza, che la verità non comporti” (Enciclica Immortale Dei, 1° novembre 1885).

Si tratta di Magistero Ordinario infallibile, che implica l’obbedienza dei cattolici. Papa Pecci del resto continua precisando che “gli Stati non possono, senza empietà, condursi come se Dio non fosse o passarsi della Religione come di cosa estranea e di nessuna importanza“. Tutta la Dottrina Sociale della Chiesa si basa su tale principio, indicando con estrema chiarezza quali siano le regole, i principi, le posizioni che, sull’esempio evangelico, devono essere messe in pratica nel governo di una Nazione.

Contro l’agnosticismo morale e religioso dello Stato e delle sue leggi, Pio XII ribadì il concetto dello Stato cristiano nella sua lettera per la XIX Settimana Sociale dei cattolici italiani del 19 ottobre 1945: “ben riflettendo sulle conseguenze deleterie, che una costituzione la quale, abbandonando la “pietra angolare” della concezione cristiana della vita, tentasse di fondarsi sull’agnosticismo morale e religioso, porterebbe in seno alla società e alla sua labile storia, ogni cattolico comprenderà facilmente come ora la questione che, a preferenza di ogni altra, deve attirare la sua attenzione e spronare la sua attività, consiste nell’assicurare alla generazione presente e alle future il bene di una legge fondamentale dello Stato, che non si opponga a sani principi religiosi e morali, ma ne tragga piuttosto, vigorosa ispirazione, e ne proclami e ne persegua sapientemente le alte finalità“.

Papa Pacelli si appella alla giustizia e alla ragione, perché non è giusto attribuire gli stessi diritti al bene e al male, alla verità e all’errore. Il primo diritto di un popolo è quello alla Verità nella fermezza dei principi, così come, sempre Papa Pio XII, illustra nell’Enciclica Mystici Corporis del 29 giugno 1943.

Ecco che il motto “Dio, Patria, Famiglia” è cristiano prima che mazziniano e poi fascista. E’ il programma di governo che ci attendiamo da chi si dichiara cristiano.

Marcello Veneziani scrisse un libro con analogo titolo e, a ben vedere, il commento che fa è sempre più attuale: “mi sono spinto a vedere oltre, ho scrutato dove conduceva il pensiero critico di voi “aggiornati” e non ho trovato nulla: ho trovato il Nulla. Criticato ogni esito storico, non ha preso corpo nulla di nuovo, perché dallo zero non nasce qualcosa, e “non riuscite a congedarvi dal vostro congedo”. Così ho notato che le ultime tracce di vita risalivano a quelle giacenti tra le rovine. Allora, per stare alla realtà, meglio partire da ciò che viveva, piuttosto che da ciò che non è mai nato e non accenna a nascere. È un solido punto di partenza, almeno, un punto vero da cui salpare, anche se non è un approdo o un punto di arrivo“.

Il noto giornalista e scrittore aggiungeva quindi: “la religione addomestica la morte e la vecchiaia, il dolore e la solitudine. La modernità atea, tramite la tecnica, li addormenta, li alleva e li protrae; e, tramite lo svago, simula, eccita e distrae. Non muta il verdetto ma il tipo di consolazione. […] Patria non è solo cannoni, bandiere e monumenti ai caduti. E non è solo un valore politico o militare. E non attiene solo alla cittadinanza, non è solo Costituzione e virtù repubblicana. Patria è nostalgia delle origini, dell’infanzia, dei sapori nostrani. Patria è dove ti senti a casa, dove i cinque sensi percepiscono il mondo come familiare. […] Famiglia è la comunità originaria più devastata in Occidente ma è l’unica struttura portante intorno a cui ruota la vita pubblica e privata e la principale mediazione tra l’individuo e la società“.

Preghiera di Pio XII per la pace

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Segnalazione del Centro Studi Federici

O Padre nostro che state nei cieli, o Dio, protettore nostro, volgete lo sguardo a Cristo vostro Figlio; mirate i segni vermigli delle sue ferite, a cui lo condusse l’amore per noi e l’obbedienza a Voi, con le quali volle farsi in ogni tribolazione nostro Avvocato e Propiziatore. O Gesù, Salvatore nostro, parlate al Padre vostro e Padre nostro per noi, supplicatelo per noi, per la vostra Chiesa, per tutti gli uomini, conquista del vostro sangue. O Re pacifico, Principe di pace! Voi, che avete le chiavi della vita e della morte, donate la pace della requie sempiterna alle anime di tutti i fedeli, dal turbine di guerra travolti nella morte, e, noti e ignoti, lacrimati o illacrimati, sepolti sotto le rovine delle città e dei villaggi distrutti, per le pianure insanguinate, su per i colli squarciati, negli abissi delle valli o nei gorghi marini. Scenda sulle loro pene il vostro sangue purificatore a imbiancare i loro manti e a renderli degni e fulgidi al vostro cospetto beatificante. Voi, amoroso confortatore degli infelici, che lacrimaste alle lacrime di Marta e Maria sconsolate per il morto fratello, concedete la pace del conforto, della rassegnazione e dell’aiuto ai miseri, dalle calamità della guerra prostrati nella tribolazione e nel dolore, agli esuli, ai profughi dalla patria, ai raminghi sconosciuti, ai prigionieri, ai feriti fiduciosi in Voi. Rasciugate le lacrime di tante spose, di tante madri, di tanti orfani, di tante famiglie, di tanti derelitti; lacrime nascoste, cadenti sopra il pane del dolore, dopo durati digiuni, in freddi tuguri, pane diviso fra i fanciulli più volte condotti ai vostri altari nell’umile chiesetta a pregare per il babbo o per il fratello maggiore, forse morto, forse languente, forse sperduto. Consolate tutti coi doni celesti e con quei sollievi e soccorsi della feconda carità, che Voi sapete ispirare agli animi gentili, i quali negli affannati e sfortunati riconoscono i loro fratelli e amano le immagini vostre. Concedete ai combattenti, coll’eroismo nell’adempimento del loro dovere, anche fino al supremo sacrificio, per la difesa della Patria, quel nobile senso di umanità, che in ogni evento non fa ad altri ciò che non vorrebbe fosse fatto a sé o al proprio popolo.
O Signore, regni e trionfi la carità del vostro divino Spirito sul mondo, e torni fra i popoli e le nazioni la pace della concordia e della giustizia. Siano accetti e graditi al mite e umile vostro Cuore i nostri voti, e Vi renda a noi propizio il numero e la devozione dei santi sacrifici che, prona, tutta la Chiesa, vostra Sposa, per Voi stesso, Sacerdote e Vittima in eterno, offre al divino vostro Padre. Parlate Voi ai cuori degli uomini. Voi avete parole, che penetrano e scuotono il cuore, che illuminano la mente, che calmano le ire, spengono gli odi e le vendette. Dite quella parola che seda le tempeste, che risana gl’infermi, che è luce ai ciechi e udito ai sordi, che è vita ai morti. La pace fra gli uomini, che voi volete, è morta: risuscitatela, o divino Vincitore della morte; e per Voi si tranquillino alfine la terra e il mare; cessino nei cieli i turbini, che, sfidando i raggi del sole od occulti fra le tenebre della notte, gettano su inermi popolazioni il terrore, gl’incendi, le distruzioni, le stragi; la giustizia con cristiana carità pareggi dall’uno e dall’altro lato i sussulti delle bilance; sicché riparata ogni ingiustizia, restaurato l’impero del diritto, estinta ogni discordia e rancore degli animi, risorga e si ravvivi in serena visione di nuova e unanime prosperità una vera e ordinata e duratura pace che affratelli, nel cammino dei secoli e nel consenso del bene più alto, tutte le genti dell’umana famiglia sotto lo sguardo vostro. Così sia.
 
Foto: il 13 agosto 1943 Pio XII prega a San Giovanni dopo il bombardamento aereo anglo-americano sui quartieri popolari Prenestino, Casilino, Appio, San Lorenzo, Porta Maggiore e San Giovanni. Le bombe degli Alleati causarono 1500 morti, seimila feriti, diecimila case in macerie o lesionate, 40 mila romani senza tetto. Tra le vittime vi fu don Raffaele Melis, colpito mentre soccorreva i feriti. Pio XII definì la morte del sacerdote “lutto e gloria del benemerito istituto degli Oblati” (gli Oblati di Maria Vergine, fondati da padre Pio Bruno Lanteri).
 

La recita del Rosario: come Davide contro Golia

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Segnalazione del Centro Studi Federici

All’inizio del mese del Santo Rosario segnaliamo un’enciclica di Pio XII del 1951, dove il papa parla anche delle persecuzioni dei regimi comunisti nei confronti della Chiesa. Sull’incompatibilità del comunismo e del socialismo con la dottrina cattolica: https://www.sodalitium.biz/giornata-la-regalita-sociale-cristo-2021/
Lettera Enciclica “Ingruentium Malorum” di Pio XII del 1951
 
Fin da quando siamo stati elevati alla suprema cattedra di Pietro, per disegno della divina Provvidenza, alla vista dei mali che avanzavano, non abbiamo mai cessato di affidare al validissimo patrocinio della Madre di Dio le sorti dell’umana famiglia, e a questo scopo, come ben sapete, più volte, abbiamo scritto lettere di esortazione. Vi è noto, venerabili fratelli, con quanto zelo e con quanta spontaneità e unanimità di consensi il popolo cristiano abbia risposto dappertutto ai Nostri inviti. Lo hanno magnificamente attestato ripetute volte grandiosi spettacoli di devozione e di amore verso l’augusta Regina del Cielo, e sopra tutto quella manifestazione di universale letizia che i Nostri occhi medesimi poterono in qualche maniera contemplare, quando lo scorso anno dalla Piazza S. Pietro, circondati da una moltitudine immensa di fedeli, abbiamo solennemente proclamato l’assunzione in corpo e anima di Maria vergine in Cielo.
Se il ricordo di queste cose torna a Noi gradito e Ci conforta a sperare fermamente nella misericordia divina, al presente, tuttavia, non mancano motivi di profonda tristezza che tengono in ansia e addolorano il Nostro animo paterno.
Conoscete, infatti, venerabili fratelli, le veramente tristi condizioni dei nostri tempi. L’unione fraterna delle nazioni, da tanto tempo infranta, non è stata ancora dappertutto ristabilita, ma da ogni parte vediamo gli animi sconvolti dall’odio e dalle rivalità, e incombono ancora sopra i popoli minacce di nuovi sanguinosi conflitti. A ciò si aggiunge quella violentissima tempesta di persecuzioni, che già da lungo tempo infierisce contro la chiesa, privata della sua libertà, affliggendola assai duramente con calunnie e angustie di ogni genere, facendo scorrere talvolta anche sangue di martiri. A quali e quante insidie vediamo sottoposte le anime di molti Nostri figli in quelle regioni, perché rigettino la fede dei loro padri, e spezzino con somma loro sventura il vincolo di unione che li lega a questa sede apostolica! Né infine possiamo in alcuna maniera passare sotto silenzio un nuovo misfatto, intorno al quale, con immenso dolore, desideriamo vivamente richiamare non solo la vostra attenzione, ma pure quella di tutto il clero, dei singoli genitori e delle stesse pubbliche autorità: Ci riferiamo a quella iniqua campagna che gli empi conducono a danno della candida innocenza dei fanciulli. Neppure l’età innocente è stata risparmiata, ma si osa, purtroppo, strappare con gesto temerario persino i fiori più belli nel mistico giardino della chiesa, che formano la meravigliosa speranza della religione e della società. Se a ciò si rifletta, non deve destare molta meraviglia il fatto, che tanti popoli gemano sotto il peso dei divini castighi, e vivano sotto l’incubo di calamità ancora maggiori.
Tuttavia la considerazione di uno stato di cose tanto gravido di pericoli non deve abbattere il vostro animo, venerabili fratelli; memori, invece, di quel divino insegnamento: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto» (Lc 11, 9), con maggiore fiducia vogliate innalzare spontaneamente i vostri cuori verso la Madre di Dio, cui sentì sempre il bisogno di ricorrere il popolo cristiano nell’ora del pericolo, giacché ella «è stata costituita causa di salvezza per tutto il genere umano»(2)
Per tale motivo con gioiosa attesa e ravvivata speranza guardiamo al prossimo ritorno del mese di ottobre, durante il quale i fedeli sogliono accorrere con maggiore frequenza alle chiese, per innalzare le loro suppliche a Maria per mezzo del santo rosario. Questa preghiera, venerabili fratelli, desideriamo sia fatta quest’anno con maggiore fervore di animo come è richiesto dall’aggravarsi delle necessità. Ci è ben nota, infatti, la sua potente efficacia per ottenere l’aiuto materno della Vergine. Benché non vi sia certamente un unico modo di pregare per poter conseguire questo aiuto, tuttavia Noi stimiamo che il rosario mariano sia il mezzo più conveniente ed efficace, come del resto viene chiaramente suggerito dall’origine stessa, più divina che umana, di questa pratica e dalla sua intima natura.
Che cosa infatti di più adatto e più bello dell’orazione domenicale e del saluto angelico, che formano come i fiori di cui s’intreccia questa mistica corona? Aggiungendosi, inoltre, alle ripetute preghiere vocali la meditazione dei sacri misteri, ne deriva l’altro grandissimo vantaggio, che tutti, anche i più semplici e i meno istruiti, hanno in ciò una maniera facile e pronta per alimentare e custodire la propria fede. E invero, dalla meditazione frequente dei misteri, l’animo attinge e insensibilmente assorbe la virtù che essi racchiudono, si accende straordinariamente alla speranza dei beni immortali, e viene fortemente e soavemente spronato a seguire il sentiero battuto da Cristo medesimo e dalla sua Madre. La recita stessa di formule identiche tante volte ripetute, nonché rendere questa preghiera sterile e noiosa, quale mirabile virtù, invece, possiede, come si può sperimentare, per infondere fiducia in chi prega e fare dolce violenza al cuore materno di Maria!
Adoperatevi, dunque, venerabili fratelli, con particolare sollecitudine, perché i fedeli, in occasione del prossimo mese di ottobre, possano compiere questo fruttuoso ufficio con la maggior diligenza possibile, e il santo rosario sia da essi sempre più convenientemente stimato e diffusamente praticato. Per opera vostra principalmente il popolo cristiano possa comprenderne l’eccellenza, il valore e la salutare efficacia.
Ma soprattutto Noi desideriamo che in seno alla famiglia sia dappertutto diffusa la consuetudine del santo rosario, religiosamente custodita e sempre più sviluppata. Invano, infatti, si cerca di portare rimedio alle sorti vacillanti della vita civile, se la società domestica, principio e fondamento dell’umano consorzio non sarà diligentemente ricondotta alle norme dell’evangelo. A svolgere un compito così arduo, Noi affermiamo che la recita del santo rosario in famiglia è mezzo quanto mai efficace. Quale spettacolo soave e a Dio sommamente gradito, quando, sul far della sera, la casa cristiana risuona al frequente ripetersi delle lodi in onore dell’augusta Regina del Cielo! Allora il rosario recitato in comune aduna davanti all’immagine della Vergine, con una mirabile unione di cuori, i genitori e i figli, che ritornano dal lavoro del giorno; li congiunge piamente con gli assenti, coi trapassati; tutti infine li stringe, più strettamente, con un dolcissimo vincolo di amore, alla Vergine santissima, che, come madre amorosissima, verrà in mezzo allo stuolo dei suoi figli, facendo discendere su di essi con abbondanza i doni della concordia e della pace familiare. Allora la casa della famiglia cristiana, fatta simile a quella di Nazaret, diventerà una terrestre dimora di santità e quasi un tempio, dove il rosario mariano non solo sarà la preghiera particolare che ogni giorno sale al cielo in odore di soavità, ma costituirà altresì una scuola efficacissima di virtuosa vita cristiana. I grandi misteri della redenzione, infatti, proposti alla loro contemplazione, col mettere sotto i loro occhi i fulgidi esempi di Gesù e Maria, insegneranno ai grandi a imitarli ogni giorno, a ricavare da essi conforto nelle avversità, e, dagli stessi, verranno richiamati a umilmente volgersi verso quei celesti tesori «dove non giunge ladro, né tignola consuma» (Lc 12, 33); porteranno, inoltre, a conoscenza dei piccoli le principali verità della fede, facendo quasi spontaneamente sbocciare nelle loro anime innocenti la carità verso l’amorevolissimo Redentore, mentre essi, dietro il buon esempio dei loro genitori genuflessi davanti alla maestà di Dio, fin dai teneri anni impareranno quanto sia grande il valore della preghiera recitata in comune.
Non esitiamo quindi ad affermare di nuovo pubblicamente che grande è la speranza da Noi riposta nel santo rosario, per risanare i mali che affliggono i nostri tempi. Non con la forza, non con le armi, non con la umana potenza, ma con l’aiuto divino ottenuto per mezzo di questa preghiera, forte come Davide con la sua fionda, la chiesa potrà affrontare impavida il nemico infernale, ripetendo contro di lui le parole del pastore adolescente: «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con lo scudo: ma io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti … e tutta questa moltitudine conoscerà che il Signore non salva con la spada, né con la lancia» (1 Re 17, 44.49).
Per la qual cosa vivamente desideriamo, venerabili fratelli, che tutti i fedeli, dietro il vostro esempio e il vostro incitamento, corrispondano con sollecitudine alle Nostre paterne esortazioni, unendo insieme i loro cuori e le loro voci, nello stesso ardore di carità. Se aumentano i mali e gli assalti dei cattivi, deve parimenti crescere e diventare sempre più vigoroso lo zelo di tutti i buoni; si sforzino costoro di ottenere dalla nostra amorosissima Madre, specialmente per mezzo di questa preghiera, senza dubbio a lei graditissima, che possano ritornare al più presto tempi migliori per la chiesa e per la società.
La potentissima Madre di Dio, mossa dalle preghiere di tanti suoi figli, ci ottenga dal suo Unigenito Figlio – noi tutti la supplichiamo – che coloro i quali hanno miseramente smarrito il sentiero della verità e della virtù, rinnovati nel loro animo, possano ritrovarlo; ci ottenga, che possano felicemente placarsi gli odi e le rivalità, fonti di discordia e di ogni genere di sventura; che la pace, quella vera, giusta e genuina, torni felicemente a risplendere sugli individui, sulle famiglie, sui popoli e sulle nazioni; che finalmente, assicurati, com’è giusto, i diritti della chiesa, quel benefico influsso che da essa deriva, penetrando senza ostacoli nel cuore degli uomini, fra le classi sociali e le arterie stesse della vita pubblica, congiunga fraternamente i popoli tra di loro e li conduca a quella prosperità che regoli, difenda e coordini i diritti e i doveri di tutti, senza ledere alcuno, affermandosi sempre maggiormente, per la vicendevole e comune collaborazione.
Non dimenticate, venerabili fratelli e diletti figli, mentre pregando fate scorrere la corona del rosario fra le vostre mani, non dimenticate, ripetiamo, coloro che languiscono miseramente in prigionia, nelle carceri, nei campi di concentramento. Tra di essi si trovano, come sapete, anche vescovi allontanati dalle loro sedi per avere eroicamente difeso i sacrosanti diritti di Dio e della chiesa; si trovano figli, padri e madri di famiglia, strappati dal focolare domestico e costretti a condurre lontano una vita infelice in terre sconosciute, sotto altri climi. Come Noi prediligiamo e circondiamo di un affetto paterno tutti costoro, così anche voi, animati da quella carità fraterna che la religione cristiana alimenta e accresce, insieme con le Nostre unite le vostre preghiere davanti all’altare della Vergine Madre di Dio, e raccomandateli al suo cuore materno. Essa senza dubbio, con dolcezza squisita, allevierà le loro sofferenze, ravvivando nei cuori la speranza del premio eterno, e non mancherà ancora, come fermamente confidiamo, di affrettare rapidamente la fine di tanti dolori.
Non dubitando che voi, venerabili fratelli, con lo zelo ardente che vi è solito, porterete a conoscenza del vostro clero e del vostro popolo, nella maniera che vi sembrerà più opportuna, queste Nostre paterne esortazioni; così pure nella certezza che i Nostri figli, sparsi ovunque sulla terra, corrisponderanno volentieri a questo Nostro invito, a voi tutti, al gregge affidato a ciascuno di voi – a quelli in particolare che specialmente reciteranno il rosario mariano secondo queste Nostre intenzioni – come segno della Nostra riconoscenza, auspice di celesti favori, con effusione di cuore impartiamo l’apostolica benedizione.
 
Roma, presso San Pietro, 15 settembre, festa dei Sette Dolori di Maria Vergine, nell’anno 1951, XIII del Nostro pontificato. PIO PP. XII
 

 

La massa appare anestetizzata, materialista, priva di un fine ultraterreno da raggiungere

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TRE SECOLI DI CULTURA LIBERALE – OVVERO L’APOGEO DEL SOGGETTIVISMO E DEL RELATIVISMO, CHE NON AMMETTONO VERITÀ OGGETTIVE – HANNO PORTATO A VIVERE COME SE DIO NON ESISTESSE

La massa del XXI secolo appare anestetizzata, materialista, priva di un fine ultraterreno da raggiungere. Si osservano persone vivere alla giornata, non in funzione di un Aldilà, come era proprio delle generazioni passate, quando l’Italia era profondamente cattolica.

Oggi, ciascuno per sè, senza più alcun senso comunitario, sceglie di sopravvivere come un pagano, senza prospettive trascendenti, come se Dio non esistesse. L’hanno ucciso le ideologie intrinsecamente perverse e oltre tre secoli di cultura liberale, ovvero l’apogeo del soggettivismo e del relativismo, che non ammettono verità oggettive.

Nel nichilismo che ne deriva, ogni forma di pensiero non ha cittadinanza e la religione diviene come un insieme di norme sulla carta o un’ ipocrita abitudine. I media plasmano le coscienze con un’informazione viziata all’origine dal cosiddetto mainstream per annichilire ogni libera espressione di un giudizio critico e circostanziato. Siamo ridotti a degli automi del pensiero o della prassi altrui.

La filosofia, salvo rare eccezioni, è considerata una materia inutile. La teologia è una cosa imperscrutabile, da preti intellettuali. L’esempio evangelico e la Tradizione cattolica sono costantemente irrisi, laddove non palesemente occultati, per non urtare la suscettibilità di altri credi. Gesù non si pose mai questo problema, predicando a tutti e pagando gli strali lanciati ai sacerdoti del Suo tempo, con la morte infame di croce, vinta con la Resurrezione e la redenzione del mondo dal peccato.

Oggi, chi vive in funzione della vita eterna, con le buone opere? Siamo uomini razionali diretti dalla fede, oppure consumatori che hanno accettato la fine di tutto con la morte? Ammettiamo che siamo sempre meno. Il gregge rimasto fedele è ampiamente ridotto.

Il disaccordo delle opinioni sulla persona di Gesù Cristo e sul suo insegnamento, che erano già diffuse quando Egli era su questa terra, fa del mondo una specie di Babele. La gente, oramai, ritiene illusoria la Rivelazione cristiana oppure c’è chi pensa di dover interpretarla a piacimento. Ma non può essere così perché Dio ha parlato chiaramente. Ad un’anima di buona volontà, ad un’anima che cerca la verità con desiderio di trovarla e senza essere schiava di istinti malvagi… ad un’anima che creda ancora alla possibilità per l’intelligenza di trovare la verità…è possibile, con la grazia di Dio, conoscere con certezza la divinità di Gesù Cristo, uniformando, per diretta conseguenza, la propria volontà alla Sua, guardando all’unico fine che non è di questo mondo ma in Paradiso, alla Sua destra, per sempre.

Gesù stesso ci ha avvertiti: “Io sono la via, la verità, la vita, e nessuno può venire al Padre mio se non per mezzo di me” (Gv. XIV,6). San Pietro in Atti IV davanti al Sinedrio ha proclamato che “non c’è salvezza in alcun altro”. San Giovanni Apostolo ci avverte nell’Apocalisse: “per gli schiavi del rispetto umano, per gli increduli, per gli uomini di cattivi costumi, …la loro sorte sarà lo stagno ardente di fuoco e di zolfo” (Ap. XXI,8).

Papa Leone XIII estende la conversione personale alla società: “o il mondo ritornerà alle istituzioni cristiane, o il mondo non si rialzerà” (Rerum novarum). il Santo Padre fu così profetico da rispondere a coloro che perdono tempo nel cercare risposte meramente umane come la creazione del partito dei cattolici o altre simili amenità, scrivendo: “ce ne sono e in gran numero, che spinti dall’amore della pace, vale a dire la tranquillità dell’ordine, si associano e si raggruppano per formare ciò che essi chiamano il partito dell’ordine.

Oh! Vane speranze, fatiche sprecate! Di partiti d’ordine capaci di ristabilire la tranquillità in mezzo alla perturbazione delle cose ce n’è uno solo: il partito di Dio…Tuttavia, venerabili fratelli, questo ritorno delle nazioni al rispetto della maestà e della sovranità divina, non avverrà che mediante Gesù Cristo. L’Apostolo in effetti ci avverte che “nessuno può porre altro fondamento al di fuori di quello che è stato posto e che è Gesù Cristo” “. (1 Cor. III; San Pio X, E supremi apostolatus)

Non vi potrebbe essere vera pace – questa pace di Cristo così desiderata – intanto che non seguiremo fedelmente i principi e gli esempi di Cristo, nell’ordine della vita pubblica come della vita privata” (Pio XI, Ubi arcano).

Pio XII fu realmente profetico nel messaggio di Natale del 1956: “i Cristiani sono sicuri che la contraddizione di cui soffriamo oggi (da una parte: progresso tecnico inebriante, e dall’altra parte: insicurezza) costituisce la prova di una grande rottura tra la vita e la Fede cristiana e che è questo male che bisogna innanzitutto guarire“.

L’unione tra la piena conversione personale alla Regalità Sociale di Gesù Cristo costruisce il motto di San Pio X: “Instaurare omnia in Christo“. Non possono esserci compromessi con l’errore e col peccato, come prevedrebbe la politica politicante. Perché la Verità ha plasmato il mondo, prima d’essere rifiutata, bestemmiata e detronizzata.

Come diceva S. Agostino: “delle due l’una: o il mondo è stato convertito dai miracoli che noi reclamiamo esser stati fatti in favore della Religione Cristiana, ed allora Essa è divina; o il mondo è stato convertito senza miracoli: in questo caso l’insediamento del cristianesimo è per se stesso il più grande dei miracoli“.

La nostra soluzione a tutti i guai del momento presente sta qui: “io credo in Gesù Cristo, Figlio di Dio“, come predicava con ardente fervore padre Ludovic Marie Barrielle (1897-1983).

Pio XII e il carattere internazionale di Gerusalemme

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“La persuasione dell’opportunità di dare a Gerusalemme e dintorni, ove si trovano tanti e così preziosi ricordi della vita e della morte del Salvatore, un carattere internazionale che, nelle presenti circostanze, sembra meglio garantire la tutela dei santuari” (Pio XII).
 
Enciclica “In Multiplicibus Curis” di Pio XII
Nuove pubbliche preghiere per la pacificazione della Palestina. 
 
Tra le molteplici preoccupazioni che Ci assillano in questo periodo di tempo tanto pieno di conseguenze decisive per la vita della grande famiglia umana e che Ci fanno sentire così grave il peso del supremo pontificato, occupa un posto particolare quella che Ci è causata dalla guerra che sconvolge la Palestina. In piena verità possiamo dirvi, venerabili fratelli, che né lieta né triste vicenda riesce ad attenuare il dolore mantenuto vivo nel Nostro animo dal pensiero che sulla terra su cui il Signore nostro Gesù Cristo versò il suo sangue per apportare a tutta quanta l’umanità la redenzione e la salvezza, continua a scorrere il sangue degli uomini; che sotto i cieli nei quali echeggiò nella fatidica notte l’evangelico annunzio di pace si continua a combattere, si accresce la miseria dei miseri e il terrore degli atterriti, mentre migliaia di profughi, smarriti e incalzati, vagano lontano dalla patria in cerca di un ricovero e di un pane. 
A rendere più cocente questo Nostro dolore contribuiscono non solo le notizie che continuamente Ci giungono di distruzioni e di danni causati agli edifici sacri e di beneficenza sorti attorno ai luoghi santi, ma anche il timore ch’esse Ci ispirano per la sorte di questi stessi luoghi, disseminati in tutta la Palestina e in maggior numero sul suolo della città santa, che furono santificati dalla nascita, dalla vita e dalla morte del Salvatore. Non è necessario assicurarvi, venerabili fratelli, che posti in mezzo allo spettacolo di tanti mali e alla previsione di mali maggiori, Noi non Ci siamo rinchiusi nel Nostro dolore, ma abbiamo fatto quanto era in Nostro potere per cercare di apportarvi rimedio. 
Parlando, prima ancora che il conflitto armato avesse inizio, a una delegazione di notabili arabi venuta a renderCi omaggio, manifestammo la Nostra viva sollecitudine per la pace in Palestina e, condannando ogni ricorso ad atti violenti, dichiarammo che essa non poteva realizzarsi se non nella verità e nella giustizia, cioè nel rispetto dei diritti di ognuno, delle tradizioni acquisite, specialmente nel campo religioso, come pure nello stretto adempimento dei doveri e degli obblighi di ciascun gruppo di abitanti. Dichiarata la guerra, senza discostarCi dall’attitudine di imparzialità impostaCi dal Nostro ministero apostolico che Ci colloca al di sopra dei conflitti dai quali è agitata la società umana, non mancammo di adoperarci, nella misura che dipendeva da Noi e secondo le possibilità che si sono offerte, per il trionfo della giustizia e della pace in Palestina e per il rispetto e la tutela dei luoghi santi. 
Nel tempo stesso, sollecitati dai numerosi e urgenti appelli quotidianamente rivolti a questa sede apostolica, abbiamo cercato di venire per quanto possibile in soccorso delle infelici vittime della guerra, inviando a tal fine ai Nostri rappresentanti in Palestina, nel Libano e in Egitto i mezzi a Nostra disposizione, e incoraggiando il sorgere e l’affermarsi, tra i cattolici nei vari paesi, di iniziative tendenti allo stesso scopo. Convinti, peraltro, della insufficienza dei mezzi umani per l’adeguata soluzione di una questione di cui tutti possono vedere l’eccezionale complessità, abbiamo soprattutto fatto costantemente ricorso al grande mezzo della preghiera, e nella Nostra recente lettera enciclica Auspicia quaedam vi invitammo, venerabili fratelli, a pregare e a far pregare i fedeli affidati alla vostra sollecitudine pastorale, affinché, sotto gli auspici della Vergine santissima, «conciliate le cose nella giustizia, ritornassero felicemente in Palestina la concordia e la pace».(2) 
Sappiamo che il Nostro invito non vi è stato rivolto invano. Né ignoriamo che, mentre con le Nostre suppliche e con la Nostra opera Ci adoperavamo in unione con il mondo cattolico per la pace in Palestina, uomini di buona volontà hanno moltiplicato nello stesso intento, senza badare a pericoli e sacrifici, nobili sforzi ai quali Ci è grato rendere omaggio. Tuttavia, il perdurare del conflitto e l’accrescersi ininterrotto delle rovine morali e materiali che inesorabilmente lo accompagnano, Ci inducono a rinnovarvi, venerabili fratelli, con accresciuta insistenza il Nostro invito, nella speranza che esso venga accolto non solo da voi, ma anche da tutto il mondo cristiano. 
Come dichiarammo il 2 giugno scorso ai membri del sacro collegio dei cardinali, mettendoli a parte delle Nostre ansietà per la Palestina, Noi non crediamo che il mondo cristiano potrebbe contemplare indifferente o in una sterile indignazione quella terra sacra, alla quale ognuno si accostava col più profondo rispetto per baciarla col più ardente amore, calpestata ancora da truppe in guerra e colpita da bombardamenti aerei; non crediamo che esso potrebbe lasciar consumare la devastazione dei luoghi santi, sconvolgere il sepolcro di Gesù Cristo. Siamo pieni di fiducia che le fervide suppliche che si innalzano a Dio onnipotente e misericordioso dai cristiani sparsi nel vasto mondo, insieme con le aspirazioni di tanti nobili cuori ardentemente solleciti del vero e del bene, possano rendere meno arduo agli uomini che reggono i destini dei popoli il compito di far sì che la giustizia e la pace in Palestina divengano una benefica realtà e, con l’efficace cooperazione di tutti gli interessati, si crei un ordine che garantisca a ciascuna delle parti al presente in conflitto, la sicurezza dell’esistenza e insieme condizioni fisiche e morali di vita capaci di fondare normalmente uno stato di benessere spirituale e materiale. 
Siamo pieni di fiducia che queste suppliche e queste aspirazioni indice del valore che ai luoghi santi annette così gran parte della famiglia umana, rafforzino negli alti consessi, nei quali si discutono i problemi della pace, la persuasione dell’opportunità di dare a Gerusalemme e dintorni, ove si trovano tanti e così preziosi ricordi della vita e della morte del Salvatore, un carattere internazionale che, nelle presenti circostanze, sembra meglio garantire la tutela dei santuari. Così pure occorrerà assicurare con garanzie internazionali sia il libero accesso ai luoghi santi disseminati nella Palestina, sia la libertà di culto e il rispetto dei costumi e delle tradizioni religiose. 
E possa così sorgere presto il giorno in cui gli uomini abbiano di nuovo la possibilità di accorrere in pio pellegrinaggio ai luoghi santi per ritrovare svelato in quei monumenti viventi dell’Amore, che si sublima nel sacrificio della vita per i fratelli, il grande segreto della pacifica convivenza umana. Con questa fiducia, Noi impartiamo di cuore a voi, venerabili fratelli, ai vostri fedeli e a tutti coloro che accoglieranno con animo volonteroso questo Nostro appello, in auspicio dei divini favori e come pegno della Nostra benevolenza, l’apostolica benedizione. 
Castel Gandolfo, presso Roma, 24 ottobre 1948, anno X del Nostro pontificato. 
 
PIO PP. XII 
 

Economia, diritto e politica sono senza Dio. I cattolici ne hanno di lavoro da fare!

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G.K. Chesterton: “E’ facile, a volte, donare il proprio sangue alla Patria, e ancor più facile donarle del denaro. Talvolta, è più difficile donarle la verità”

di Matteo Castagna

Le radici cristiane comuni all’Occidente vedono il cuore pulsante nel periodo della Pasqua, ove l’identità dei popoli si esprime nella pienezza del sacrificio perfetto del Messia, redentore dell’umanità, che ha sconfitto la morte, risorgendo a quella vita nuova che siamo chiamati a condurre qui in Terra per poter godere dell’eterna gloria celeste.

Cristo è Colui, che, debellate le tenebre di morte, risplende come astro sereno sopra l’intera umanità: «Ille, qui regressus ab in feris, humano generi serenus illuxit» (Preconio Pasquale).

Dispensatrice perenne di luce è la Pasqua cristiana, fin da quell’alba fortunata, vaticinata ed attesa per lunghi secoli, che vide la notte della passione tramutarsi in giorno rifulgente di letizia, allorché Cristo, distrutti i vincoli di morte, balzò, quale Re vittorioso, dal sepolcro a novella e gloriosa vita, affrancando la umana progenie dalle tenebre degli errori e dai ceppi del peccato.

Da quel giorno di gloria per Cristo, di liberazione per gli uomini, non è più cessato l’accorrere delle anime e dei popoli verso Colui, che, risorgendo, ha confermato col divino sigillo la verità della sua parola: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv. 8, 12).

Da ogni plaga a Lui convergono, assetati e fiduciosi, tutti coloro che amano e credono nella luce; coloro che sentono gravare sui loro spiriti l’angoscia del dubbio e dell’incertezza; coloro che sono stanchi dell’eterno vagare tra opposte dottrine, gli smarriti nelle vane ombre del secolo, i mortificati dalle colpe proprie ed altrui.

Ciò significa che l’uomo soltanto per Cristo ed in Cristo conseguirà la sua personale perfezione; per Lui le sue opere saranno vitali, i rapporti coi propri simili e con le cose, ordinati, le sue degne aspirazioni appagate; in una parola, per Cristo e da Cristo l’uomo avrà pienezza e perfezione di vita, ancor prima che sorgano sugli eterni orizzonti un nuovo cielo e una nuova terra (cfr. Apoc. 2I, I).

Al contrario, se interne tragedie dilacerano gli spiriti, se lo scetticismo ed il vuoto inaridiscono tanti cuori, se la menzogna diventa arma di lotta, se l’odio divampa tra le classi ed i popoli, se guerre e rivolte si succedono da un meridiano all’altro, se si perpetrano crimini, si opprimono deboli, si incatenano innocenti, se le leggi non bastano, se le vie della pace sono impervie, se, in una parola, questa nostra valle è ancora solcata da fiumi di lacrime, nonostante le meraviglie attuate dall’uomo moderno, sapiente e civile; è segno che qualche cosa è sottratta alla luce rischiaratrice e fecondatrice di Dio.

Il fulgore della Risurrezione sia dunque un invito agli uomini di restituire alla luce vitale di Cristo, di conformare agli insegnamenti e disegni di Lui il mondo e tutto ciò che esso abbraccia; anime e corpi, popoli e civiltà, le sue strutture, le sue leggi, i suoi progetti.

Chi se non Cristo può raccogliere e fondere in un sol palpito di fraternità uomini così diversi per stirpe, per lingua, per costumi, quali siete tutti voi, che Ci ascoltate, mentre vi parliamo in Suo nome e per Sua autorità? Continua a leggere

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