Di fronte alla catastrofe?

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di Luciano Lago

L’impressione lasciata dagli avvenimenti relativi alla caduta del missile in territorio polacco è ancora alta, si è sfiorata la guerra tra la NATO e la Russia ma la paura di una guerra nucleare è divenuta concreta. Dai commenti dei media mainstream non si capisce se fosse la paura di fronte alla realtà di una guerra nucleare davanti ai propri occhi o per il contrario se questi commentatori erano entusiasmati per il fatto che la NATO adesso avrebbe avuto le mani libere per distruggere la Russia, visto che affermavano convinti che la NATO sarebbe invincibile.

Intanto ieri Putin ha legalizzato formalmente il fatto che i volontari internazionali possano integrarsi all’Esercito russo e si deduce per sicuro che volontari provenienti dall’Iran o dalla Repubblica della Corea del nord arriveranno ad integrarsi alla battaglia contro i seguaci di Stephan Bandera e i loro patron occidentali. Dei volontari della Corea del Nord si era già molto parlato per i treni avvistati in transito da quel paese verso la Russia. Nessuno sa quale fosse il carico.

Così risulta che il presidente Vladimir Putin ha firmato il decreto che modifica il procedimento per reclutare cittadini stranieri che potranno servire nell’Esercito russo. Il documento modifica il regolamento approvato nel 1999 sul servizio militare e, in accordo con questo, da adesso in poi i cittadini stranieri potranno servire nell’esercito russo,media mainstream sotto contratto, al pari dei cittadini della Federazione Russa.

Inoltre nell’attacco russo dell’altro ieri, attuato con più di cento missili, si è saputo che lo stato Maggiore delle forze ucraine è stato distrutto a Kiev. Questo indica che la guerra è entrata in una nuova fase.

Secondo i rapporti, come risultato dell’attacco uno dei missili ha colpito l’obiettivo a Kiev, lo Stato Maggiore delle forze armate dell’Ucraina è stato distrutto, nonostante i missili antiaerei lanciati, quando nessuno dei missili antiaerei ucraini ha intercettato l’obiettivo e questo a dimostrazione della bassa efficienza del sistema di difesa antiaereo ucraino. Al momento si sa che, come risultato dell’attacco, l’edificio è stato parzialmente distrutto e sembra che questo sia avvenuto mentre era in corso una riunione a cui partecipavano ufficiali di alto rango delle forze straniere che sono coinvolte nelle operazioni in Ucraina.

Il comando della Forze Armate ucraine ancora non si è pronunciato ma questo è uno dei pochi attacchi diretti alla sede centrale del comando. I residenti locali parlano di un fumo nero che si è levato dall’edificio e dall’area dove si è verificata l’esplosione ma nulla si sa sul numero delle vittime.

Tutto è molto confuso in questo momento nei paesi alleati della UE e nelle reazioni scomposte degli USA e della NATO. Sopratutto si nota che c’è una grande preoccupazione che gli USA se ne vengano fuori con una uscita precipitosa e le dichiarazioni rilasciate in proposito sono molto sconcertanti.

In occasione della caduta del missile in Polonia si è visto che Biden non ha risparmiato tempo per smentire che il missile fosse russo e che tutto indicava che la Russia non era la responsabile. Cosa questa che ha rappresentato un secchio di acqua fredda sulle aspettative ucraine di coinvolgere direttamente la NATO nel conflitto con il sostenere che il missile fosse russo. Gli USA conoscono perfettamente la traiettoria del missile e questo mette in dubbio che possa essere stato un errore della contraerea ucraina, visto che gli obiettivi dell’attacco russo erano tutti a oltre 30/40 Km. dal confine polacco.

Potrebbe essere stata questa una provocazione ucraina per ottenere il coinvolgimento diretto della NATO nel conflitto? Il dubbio rimane dalle frettolose accuse lanciate subito da Zelensky e compagnia cantante.

Le notizie che arrivano sono indicative di un qualche cosa che sta avvenendo in questo momento. Il capo del Dipartimento di Sicurezza interna USA, Alejandro Mayorkas, ha dichiarato che se si verifica una esplosione nucleare in Europa questa non avrà conseguenza negativa per la salute degli americani e le minacce radiologiche sono basse; che voleva dire? Inoltre lo stesso ha detto che, mentre gli USA hanno espresso la loro preoccupazione per il fatto che la Russia sta facendo tintinnare le sciabole …non ci sono indizi che una esplosione nucleare in Europa possa avere conseguenze dirette sulla salute negli Stati Uniti, come dichiarato nella sua udienza davanti al comitato del Congresso.

Il presidente Putin ha detto in precedenza che l’Occidente ha lanciato un ricatto nucleare e i rappresentanti della NATO stanno parlando della possibilità di usare armi di distruzione massiva contro la Russia.

Anche l’ammiraglio ritirato Mike Mullen si è pronunciato su questo dicendo che il momento è molto pericoloso e tutto indica che potrebbe verificarsi uno scontro diretto fra Russia e USA. Il conflitto in Ucriana potrebbe produrre una escalation verso una conflagrazione nucleare.

Bisogna far terminare il conflitto senza l’uso di armi nucleari e, se appariranno tali armi, saremo molti vicini ad una guerra nucleare, ha detto l’ammiraglio con molta saggezza. Bisogna riprendere quindi un processo di negoziato per evitare questo rischio.Putin, NATO,

Da notare che Zelensky a minacciato ripetutamente la Russia di un bombardamento nucleare preventivo, anche se più tardi il suo segretario ha voluto rettificare le dichiarazioni (censurate dai media occidentali) per diminuire il significato di queste affermazioni. La natura psicopatica del personaggio sta diventando sempre più evidente e viene nascosta all’opinione pubblica dei paesi occidentali che lo stanno finanziando.

Tutto darebbe l’impressione in apparenza che gli USA non vogliano far precipitare la situazione in un conflitto nucleare.

Il rappresentante russo Dimitry Peskov ha rimarcato che Zelensky con la sua retorica ha chiesto l’inizio di una guerra mondiale. Lo stesso ha raccomandato ai paesi occidentali di prestare attenzione alle dichiarazioni improvvide di questo personaggio e ha ricordato che, in caso di tale conflitto, le conseguenze sarebbero mostruose per tutti.

Anche il ministro Lavrov ha ricordato che i rischi crescenti dell’uso di armi di distruzione di massa sono sempre più forti per effetto delle dichiarazioni del presidente ucraino. Tutti dovrebbero essere messi di fronte alle proprie responsabilità prima di fare dichiarazioni affrettate e prive di riscontro, come accaduto in occasione della notizia del missile in Polonia.

Prevarrà la prudenza fra i leader occidentali? Questo si vedrà a breve scadenza ma le dichiarazioni dei leader occidentali sono molto contraddittorie.

Foto: Idee&Azione https://www.ideeazione.com/di-fronte-alla-catastrofe/

19 novembre 2022

LA RITIRATA DA KHERSON

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La propaganda non ci piace. Apprezziamo molto di più l’approfondimento della realtà, laddove possibile (n.d.r.)

di Daniele Perra

Già nel 2016, in occasione del discorso annuale all’Assemblea Generale della Federazione russa, Vladimir Putin, pur ammettendo che il Paese avrebbe attraversato momenti particolarmente difficili, riaffermò che attraverso la sua innata “passionarnost” esso sarebbe comunque riuscito a rinforzare il proprio spirito ed a sconfiggere i tentativi di sfaldamento perpetrati dall’esterno.

Qui il messaggio putiniano, oltre alle categorie della teoria energetico-passionaria di Lev N. Gumilëv, incontrava un’altra particolare scuola di pensiero della Russia contemporanea: quella dei “tempi critici”, riconducibile alla figura dello storico Aleksandr Yanov. Tale corrente (che ha conosciuto una discreta fortuna a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso) si fonda sull’idea che l’autarchia russa verrà ricostruita grazie a spinte “neostaliniane” dopo, appunto, l’istante del “tempo critico”[1].

Questa breve introduzione potrà aiutare il lettore a comprendere che gli eventi di questi giorni vanno inseriti all’interno di un quadro di riforma e cambiamento che non riguardano la sola Russia, ma il mondo nella sua totalità. Questi aspetti esulano dal mero dato bellico del conflitto, oggetto di speculazioni (spesso fini a se stesse) che mai tengono in considerazione la sostanziale differenza tra le categorie polemologiche “occidentali” ed “orientali”: ovvero, tra chi ritiene che solo l’azione è sempre efficace e chi lascia accadere gli eventi. Questa seconda opzione, nello specifico, appartiene a coloro che scelgono di “agire senza agire” anche in condizione di “guerra calda”: dunque, di vincere non solo in virtù della disposizione degli eserciti sul campo, ma attraverso l’attenta valutazione del potenziale della situazione sotto molteplici punti di vista (Kutuzov contro Napoleone, ad esempio).

Di fatto, gli esperti in “giornalismo geopolitico” e gli stessi “analisti militari” (sempre attenti ed abili nel muovere pedine e bandiere sulle cartine geografiche) spesso e volentieri utilizzano con estrema facilità le espressioni “vittoria strategica”, “vittoria tattica”, “successo geopolitico” e così via. Questi, nella maggior parte dei casi ignari delle più basilari nozioni di teoria geopolitica e desiderosi di voler stabilire vincitori e perdenti (con la fretta che caratterizza più la ricerca di visualizzazioni che l’analisi reale), riducono la stessa geopolitica al mero dato bellico, ignorando completamente storia, geografia, così come eventuali prospettive e scenari di medio e lungo periodo.

Tale tendenza, tuttavia, non è di per sé una novità. Sul finire del 1942, Adolf Hitler dichiarava: “Non c’è rapporto dal fronte che non mi confermi che le riserve umane sono ormai insufficienti. I Russi sono indeboliti, hanno perso troppo sangue […] Ma poi come sono male addestrati gli ufficiali russi. Con ufficiali simili non si può organizzare un’offensiva […] Prima o poi il russo si fermerà. Con le gomme a terra”[2]. Meno di tre anni dopo, i Russi erano a Berlino.

Detto ciò, la valutazione dell’attuale situazione di conflitto in Ucraina, a fronte del nuovo ritiro russo da Kherson (ormai indifendibile), non può prescindere dal cercare di trovare risposta ad alcune domande. La prima: può Kiev vincere questa guerra? La risposta è no. Perché? I vertici di governo ucraini continuano a parlare di ritorno ai confini del 1991, ovvero ai confini di quella che Vladimir Putin ha definito “l’Ucraina di Vladimir Lenin” con l’aggiunta della Crimea (letteralmente regalata dall’ucraino Krusciov a Kiev nel 1954 in occasione del 300° anniversario dell’accordo tra lo Zar Alessio I e l’Atamano cosacco Bogdan il Nero). A questo proposito, Putin ha affermato: “L’Ucraina sovietica è frutto della politica dei bolscevichi e può essere a buona ragione definita l’Ucraina di Vladimir Lenin. Lui ne fu creatore e architetto. Ciò è confermato in modo completo ed esaustivo dai documenti d’archivio, comprese le dure istruzioni di Lenin riguardo al Donbass che venne aggregato a forza all’Ucraina. E ora, in Ucraina, la ‘riconoscente progenie’ abbatte i monumenti di Lenin. La chiamano decomunistizzazione”[3]. E ancora: “Se si discute del destino storico della Russia e dei suoi popoli, dunque, i principi di Lenin sullo sviluppo dello Stato non furono solo un errore: furono peggio di un errore”[4].

Questa critica putiniana all’operato bolscevico deriva dal fatto che gli stessi bolscevichi della prima ora (avendo un’idea piuttosto negativa della statualità), oltre ad utilizzare il popolo russo come materiale per i loro esperimenti sociali, sono stati assai generosi nel disegnare i confini delle repubbliche inserite all’interno dell’Unione. Di fatto la loro “politica di localizzazione” è stata accompagnata anche da una forma di “disomogeneizzazione” che prevedeva l’affiancamento di almeno un gruppo minoritario all’etnia dominante all’interno del disegno di ciascuna repubblica, in comunione fraterna con il territorio limitrofo di un’altra repubblica. Ciò, nei piani bolscevichi, avrebbe dovuto evitare l’assunzione da parte del gruppo etnico maggioritario di un potere e di una coesione regionale tali da avanzare eccessive richieste di autonomia. Allo stesso tempo, tale processo investiva il potere centrale del ruolo di protettore delle minoranze e di arbitro in qualsiasi tipo di controversia.

Con il crollo dell’URSS si sono verificati due tipi di problemi: a) le comunità russe oltreconfine hanno rappresentato una sorta di quinta colonna di Mosca per esercitare forme di potere morbido, ma sono anche state oggetto di forme più o meno aggressive di discriminazione (questo, oltre che in Ucraina, si rende sempre più evidente nelle Repubbliche baltiche); b) il processo di scomposizione dell’Unione ha seguito le vecchie linee di frontiera stabilite dai bolscevichi.

Ora, un eventuale ritorno ai confini ucraini del 1991 genera a sua volta altri due problemi: a) una potenziale crisi umanitaria che coinvolgerebbe milioni di russofoni del Donbass sottoposti ad oltre otto anni di incessante discriminazione (basti pensare alla celebre affermazione dell’ex Presidente Petro Poroshenko “i nostri figli andranno all’asilo nido, i loro vivranno nei rifugi”)[5]; b) l’annessione della Crimea alla Russia rimane non negoziabile per Mosca (ed a questo punto anche il collegamento terrestre fra la stessa Crimea ed il Donbass, che consente il totale controllo sul Mar d’Azov). La sovranità sulla Crimea e sul Mar d’Azov, infatti, consente a Mosca il pieno dominio del cosiddetto “sistema dei cinque mari”: una rete idroviaria ideata da Stalin che, attraverso fiumi (Don e Volga) e canali artificiali, connette le principali città interne della Russia occidentale con i mari del nord (Mar Baltico e Mar Bianco) e con quelli del sud (Mar Nero, Mar Caspio, Mare d’Azov). Non solo, il controllo sulla Crimea è fondamentale per la presenza della base navale di Sebastopoli, che riveste un’importanza cruciale per la proiezione di influenza russa nel Mar Nero (anche in termini di protezione delle infrastrutture per il trasporto del gas tra il territorio russo e quello turco).

Dunque, ogni tentativo ucraino di “riconquista” della Crimea potrebbe realmente incrementare in modo esponenziale la spirale bellica e spingere Mosca all’utilizzo di strumenti finora rimasti in disparte. Questo gli strateghi della NATO (che dirigono l’iniziativa ucraina) e del Pentagono lo sanno perfettamente. Non a caso, lo scopo della reiterata offensiva (nonostante un volume di perdite estremamente alto), più che il ritorno della regione sotto la diretta sovranità di Kiev, ha l’obiettivo di creare le condizioni per una destabilizzazione permanente della penisola e dell’area ad essa circostante. Ciò ad ulteriore dimostrazione del fatto che (soprattutto) a Washington sanno altrettanto perfettamente che una “vittoria totale” di Kiev rimane una prospettiva di assai difficile attuazione (nonostante l’ingente immissione di materiale bellico e mercenari sul suolo ucraino) in un momento in cui un fronte più corto e nuove forze consentono a Mosca di difendere meglio le proprie posizioni.

Inoltre, a prescindere dal computo dei chilometri quadrati di territorio abbandonato riconquistati da Kiev, l’Ucraina, a differenza di una Russia che continuerà a reggersi sulle proprie gambe, uscirà dal conflitto disastrata sul piano socio-economico e totalmente dipendente dai fondi europei per la sua ricostruzione. Come avvenuto nei Balcani, gli Stati Uniti, isolazionisti a seconda della convenienza del momento, dopo aver giocato un ruolo di primo piano nel favorire la distruzione del Paese, si tireranno indietro nell’istante in cui si dovrà investire per la ricostruzione.

Questo impone un altro quesito: quali prospettive per l’Europa? Se una “vittoria totale” dell’Ucraina è impossibile ed impensabile, la posizione dell’Europa continua a peggiorare. Nello specifico, l’efficace penetrazione nel Sahel (soprattutto a spese della Francia) consentirà alla Russia di poter utilizzare una nuova arma di ricatto (oltre a quella del gas) nei confronti dell’UE: quella del controllo dei flussi migratori come parte di un più articolato piano di “accerchiamento geopolitico” della NATO (ad evidente dimostrazione del carattere globale di un conflitto che non può assolutamente essere ridotto agli eventi bellici ucraini). Gli effetti congiunti della crisi energetica, del confronto bellico in Ucraina e della degermanizzazione dell’UE voluta da Washington, inoltre, pongono seri debbi sulla tenuta di un continente divenuto rapidamente ostaggio dell’ala oltranzista dell’atlantismo, ben rappresentata da una Polonia (iperarmata e religiosamente radicalizzata) che sogna di rivestire (nuovamente) il ruolo di antemurale contro la “barbarie russa”.


NOTE

[1]Si veda A. Yanov, The Russian challenge and the year 2000, Blackwell Publisher 1987.

[2]Contenuto in A. Speer, Memorie del Terzo Reich, Mondadori, Milano 2021, p. 374.

[3]Contenuto in P. Callegari, Contro “l’impero delle menzogne”. L’Operazione Militare Speciale in Ucraina e la fine della globalizzazione nei discorsi di Vladimir Putin, Edizioni di Ar, Padova 2022, p. 63.

[4]Ibidem, p. 62.

[5]Si veda il documentario del 2016 di Anne-Laure Bonnel Donbass (www.youtube.com).

Fonte: https://www.eurasia-rivista.com/la-ritirata-da-kherson/

ALCUNI PARLAMENTARI EUROPEI HANNO CHIESTO LA REVOCA DELLE SANZIONI CONTRO LA RUSSIA

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Parlamentari provenienti da Germania, Polonia, Slovacchia e Belgio in un incontro a Berlino hanno chiesto la revoca delle sanzioni contro la Russia, pubblicando un documento programmatico intitolato “Salvare il futuro dell’Europa”, per riportare l’Europa “alla vita normale”. Lo riporta Rzeczpospolita

Steffen Kotre, un parlamentare dell’Alternativa per la Germania di destra, ha dichiarato lunedì 26 settembre in una conferenza stampa al Bundestag tedesco che una profonda crisi energetica è causata da una politica sconsiderata.
Secondo lui, la colpa dell’aumento dei prezzi del gas e dell’elettricità in tutta Europa spetta esclusivamente ai governi dell’UE.

Le forniture di energia all’Europa sono artificialmente limitate, devono essere nuovamente aumentate, come? Mettendo fine alle sanzioni contro la Russia, ad esempio”, ha sottolineato Kotré.

Steffen Kotre, responsabile per le questioni energetiche nel suo partito, è stato uno degli organizzatori lunedì 26 settembre, a Berlino, di un incontro a cui sono stati invitati i suoi politici europei che la pensano allo stesso modo.
In particolare, il leader della Respublika slovacca, Milan Urik, deputato del partito di interesse fiammingo belga, Recchino Van Lommel, e Grzegorz Braun, deputato del Sejm polacco, hanno visitato la capitale tedesca.

Il deputato polacco Braun, in particolare, ha parlato della necessità di tornare a una “vita normale e ordinaria” in Europa. I partecipanti all’incontro di Berlino hanno pubblicato un documento politico “Salvare il futuro dell’Europa”, che, tra le altre cose, chiede la revoca delle sanzioni contro la Russia.

Secondo gli autori del documento, l’Europa è governata da politici che da tempo non sono riusciti a rappresentare gli interessi degli europei, limitando i loro diritti fondamentali e cercando di “inondare” il continente di persone culturalmente estranee.

Fonte: News Front

Traduzione: Luciano Lago

Ora è il momento di sedersi, rilassarsi e guardare il declino dell’Occidente

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di Pepe Escobar

Fonte: L’Antidiplomatico

A Davos e oltre, la narrativa ottimista della NATO suona come un disco rotto, mentre sul campo la Russia sta accumulando vittorie che potrebbero far crollare l’ordine atlantico.
Tre mesi dopo l’inizio dell’Operazione Z della Russia in Ucraina, la battaglia dell’Occidente (12%) contro il Resto del mondo (88%) continua a creare metastasi.
Eppure, la narrazione – stranamente – rimane la stessa.
Lunedì, da Davos, il presidente esecutivo del World Economic Forum Klaus Schwab ha presentato il comico e presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nell’ultima tappa del suo tour di sollecitazione di invio delle armi, con un caloroso tributo. Herr Schwab ha sottolineato che un attore che impersona un presidente che difende i neonazisti è sostenuto da “tutta l’Europa e l’ordine internazionale”.
Intende, ovviamente, tutti tranne l’88 per cento del pianeta che aderisce allo Stato di diritto – invece del falso costrutto l’Occidente chiama un “ordine internazionale basato su regole”.
Tornata nel mondo reale, la Russia ha lentamente ma inesorabilmente riscritto l’Arte della Guerra Ibrida. Eppure, all’interno del carnevale delle psyops della NATO, dell’aggressiva infiltrazione cognitiva e della sbalorditiva ondata adulatoria dei media, si sta dando molto risalto al nuovo pacchetto di “aiuti” statunitensi da 40 miliardi di dollari all’Ucraina, ritenuto in grado di diventare un punto di svolta nella guerra.
Questa narrativa “rivoluzionaria” viene per gentile concessione delle stesse persone che hanno bruciato trilioni di dollari per proteggere l’Afghanistan e l’Iraq. E abbiamo visto come è andata a finire.
L’Ucraina è il Santo Graal della corruzione internazionale. Quei 40 miliardi di dollari possono cambiare le regole del gioco solo per due classi di persone: in primo luogo, il complesso militare-industriale degli Stati Uniti e, in secondo luogo, un gruppo di oligarchi ucraini e ONG neo colonialisti, che metteranno alle strette il mercato nero delle armi e degli aiuti umanitari , e poi riciclare i profitti nelle Isole Cayman.
Una rapida ripartizione dei 40 miliardi di dollari rivela che 8,7 miliardi di dollari andranno a ricostituire le scorte di armi statunitensi (quindi non andranno affatto in Ucraina); 3,9 miliardi di dollari per USEUCOM (l'”ufficio” che detta le tattiche militari a Kiev); 5 miliardi di dollari per una “filiera alimentare globale” confusa e non specificata; 6 miliardi di dollari per armi reali e “addestramento” in Ucraina; 9 miliardi di dollari in “assistenza economica” (che scomparirà in tasche selezionate); e 0,9 miliardi di dollari per i rifugiati.
Le agenzie di rischio statunitensi hanno declassato Kiev a un cassonetto di entità che non rimborsano i prestiti; quindi, i grandi fondi di investimento americani stanno abbandonando l’Ucraina, lasciando l’Unione Europea (UE) e i suoi stati membri come l’unica opzione del paese.
Pochi di questi paesi, a parte entità russofobe come la Polonia, possono giustificare alle proprie popolazioni l’invio di enormi somme di aiuti diretti a uno stato fallito. Quindi spetterà alla macchina dell’UE con sede a Bruxelles fare quanto basta per mantenere l’Ucraina in coma economico, indipendente da qualsiasi input da parte degli Stati membri e delle istituzioni.
Questi “prestiti” dell’UE, per lo più sotto forma di spedizioni di armi, possono sempre essere rimborsati dalle esportazioni di grano di Kiev. Questo sta già accadendo su piccola scala attraverso il porto di Costanza in Romania, dove il grano ucraino arriva su chiatte sul Danubio e viene caricato ogni giorno su dozzine di navi mercantili. Oppure, tramite convogli di camion che viaggiano con il racket delle armi per il grano. Tuttavia, il grano ucraino continuerà a nutrire il ricco occidente, non gli ucraini impoveriti.
Inoltre, aspettatevi che quest’estate la NATO elabori un altro mostro psyop per difendere il suo diritto divino (non legale) di entrare nel Mar Nero con navi da guerra per scortare le navi ucraine che trasportano grano. I media pro-NATO lo mostreranno come l’Occidente che ha “salvato” dalla crisi alimentare globale, che sembra essere direttamente causata da pacchetti seriali e isterici di sanzioni occidentali.

La Polonia punta all’annessione morbida
La NATO sta infatti aumentando massicciamente il suo “sostegno” all’Ucraina attraverso il confine occidentale con la Polonia. Questo è in sintonia con i due obiettivi generali di Washington: primo, una “guerra lunga”, in stile insurrezione, proprio come l’Afghanistan negli anni ’80, con i jihadisti sostituiti da mercenari e neonazisti. In secondo luogo, le sanzioni strumentalizzate per “indebolire” la Russia, militarmente ed economicamente.
Altri obiettivi rimangono invariati, ma sono subordinati ai primi due: assicurarsi che i Democratici siano rieletti a medio termine (non succederà); irrigare il complesso industriale-militare con fondi che vengono riciclati come tangenti (già in atto); e mantenere l’egemonia del dollaro USA con tutti i mezzi (difficile: il mondo multipolare sta facendo il suo dovere ).
Un obiettivo chiave che viene raggiunto con sorprendente facilità è la distruzione dell’economia tedesca, e di conseguenza dell’UE, con una grande quantità di società sopravvissute che alla fine verranno svendute agli interessi americani.
Prendete, ad esempio, Milan Nedeljkovic, membro del consiglio di amministrazione della BMW, il quale spiega alla Reuters che “la nostra industria rappresenta circa il 37% del consumo di gas naturale in Germania”, che affonderà senza le forniture di gas russe.
Il piano di Washington è di mantenere la nuova “lunga guerra” a un livello non troppo incandescente – si pensi alla Siria negli anni 2010 – alimentata da file di mercenari e caratterizzata da periodiche escalation della NATO da parte di chiunque provenga dalla Polonia e dai nani baltici alla Germania.
La scorsa settimana, Josep Borrell, il pietoso eurocrate che si atteggiava ad Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha dato il via al gioco durante l’anteprima dell’imminente riunione del Consiglio Affari esteri dell’UE.
Borrell ha ammesso che “il conflitto sarà lungo” e “la priorità degli Stati membri dell’UE” in Ucraina “consiste nella fornitura di armi pesanti”.
Poi il presidente polacco Andrzej Duda ha incontrato Zelensky a Kiev. La sfilza di accordi firmati dai due indica che Varsavia intende trarre profitto dalla guerra per rafforzare la sua influenza politico-militare, economica e culturale nell’Ucraina occidentale. I cittadini polacchi potranno essere eletti negli organi del governo ucraino e anche aspirare a diventare giudici costituzionali .
In pratica, ciò significa che Kiev sta trasferendo la gestione dello stato fallito ucraino alla Polonia. Varsavia non dovrà nemmeno inviare truppe. Chiamatela annessione morbida.

Il rullo compressore in movimento
Così com’è, la situazione sul campo di battaglia può essere esaminata in questa mappa . Le comunicazioni intercettate dal comando ucraino rivelano il loro obiettivo di costruire una difesa a più livelli da Poltava attraverso Dnepropetrovsk, Zaporozhia, Krivoy Rog e Nikolaev, che sembra essere uno scudo per la già fortificata Odessa. Niente di tutto ciò garantisce il successo contro l’assalto russo in arrivo.
È sempre importante ricordare che l’operazione Z è iniziata il 24 febbraio con circa 150.000 combattenti, e sicuramente non le forze d’élite russe. Eppure, hanno liberato Mariupol e distrutto il battaglione d’élite neonazista Azov in soli cinquanta giorni, ripulendo una città di 400.000 persone con perdite minime.
Mentre combattevano una vera guerra sul campo – non quei bombardamenti indiscriminati americani dall’aria – in un paese enorme contro un grande esercito, che affronta molteplici sfide tecniche, finanziarie e logistiche, i russi sono anche riusciti a liberare Kherson, Zaporizhia e praticamente l’intera area dei “gemelli”, le repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk.
Il comandante delle forze di terra russe, il generale Aleksandr Dvornikov, ha turbo missili, artiglieria e attacchi aerei a un ritmo cinque volte più veloci rispetto alla prima fase dell’operazione Z, mentre gli ucraini, nel complesso, sono a corto o molto basso di carburante, munizioni per artiglieria, specialisti addestrati, droni e radar.
Ciò che i generali americani della poltrona e della TV semplicemente non riescono a comprendere è che nella visione russa di questa guerra – che l’esperto militare Andrei Martyanov definisce “un’operazione combinata di armi e polizia” – i due obiettivi principali sono la distruzione di tutte le risorse militari del nemico preservando la vita dei suoi stessi soldati.
Quindi, mentre perdere carri armati non è un grosso problema per Mosca, perdere vite lo è. E questo spiega quei massicci bombardamenti russi; ogni obiettivo militare deve essere definitivamente distrutto. I colpi di precisione sono fondamentali.
C’è un acceso dibattito tra gli esperti militari russi sul motivo per cui il Ministero della Difesa non punta a una rapida vittoria strategica. Avrebbero potuto ridurre l’Ucraina in macerie – in stile americano – in pochissimo tempo. Non succederà. I russi preferiscono avanzare lentamente e con sicurezza, in una sorta di rullo compressore. Avanzano solo dopo che i genieri hanno completamente sorvegliato il terreno; dopotutto ci sono mine ovunque.
Lo schema generale è inconfondibile, qualunque sia lo sbarramento di spin della NATO. Le perdite ucraine stanno diventando esponenziali: fino a 1.500 uccisi o feriti ogni giorno, ogni giorno. Se ci sono 50.000 ucraini nei vari calderoni del Donbass, se ne andranno entro la fine di giugno.
L’Ucraina deve aver perso fino a 20.000 soldati nella sola Mariupol e dintorni. Si tratta di una massiccia sconfitta militare, che ha ampiamente superato Debaltsevo nel 2015 e in precedenza Ilovaisk nel 2014. Le perdite vicino a Izyum potrebbero essere anche superiori a quelle di Mariupol. E ora arrivano le sconfitte all’angolo di Severodonetsk.
Stiamo parlando delle migliori forze ucraine. Non importa nemmeno che solo il 70 per cento delle armi occidentali inviate dalla NATO arrivi sul campo di battaglia: il problema principale è che i migliori soldati se ne vanno. Se ne vanno e non verranno rimpiazzati. I neonazisti Azov, la XXIVa brigata, la XXXVI brigata, varie brigate d’assalto aereo: hanno subito perdite superiori al 60% o sono state completamente demolite.
Quindi la domanda chiave, come hanno sottolineato diversi esperti militari russi, non è quando Kiev “perderà” come punto di non ritorno; è  quanti soldati Mosca è disposta a perdere per arrivare a questo punto.
L’intera difesa ucraina è basata sull’artiglieria. Quindi le battaglie chiave che ci attendono coinvolgono l’artiglieria a lungo raggio. Ci saranno problemi, perché gli Stati Uniti stanno per consegnare sistemi M270 MLRS con munizioni a guida di precisione, in grado di colpire bersagli a una distanza fino a 70 chilometri o più.
La Russia, però, ha un contraccolpo: il Piccolo Complesso Operativo-Tattico Hermes, che utilizza munizioni ad alta precisione, possibilità di guida laser e una portata di oltre 100 chilometri. E possono funzionare in combinazione con i sistemi di difesa aerea Pantsir già prodotti in serie.

La nave che affonda

L’Ucraina, entro i suoi attuali confini, è già un ricordo del passato. Georgy Muradov, rappresentante permanente della Crimea presso il presidente della Russia e vice primo ministro del governo di Crimea, è irremovibile: “L’Ucraina nella forma in cui era, credo, non rimarrà più. Questa è già l’ex Ucraina”.
Il Mar d’Azov è ormai diventato un “mare di uso comune” da parte della Russia e della Repubblica popolare di Donetsk (DPR), come confermato da Muradov.
Mariupol sarà ricostruita. La Russia ha avuto molta esperienza in questo settore sia a Grozny che in Crimea. Il corridoio terrestre Russia-Crimea è attivo. Quattro ospedali su cinque a Mariupol hanno già riaperto e sono tornati i mezzi pubblici, oltre a tre distributori di benzina.
L’imminente perdita di Severodonetsk e Lysichansk suonerà seri campanelli d’allarme a Washington e Bruxelles, perché rappresenterà l’inizio della fine dell’attuale regime a Kiev. E questo, per tutti gli scopi pratici – e al di là di tutta l’alta retorica del “l’ovest sta con te” – significa che i giocatori pesanti non saranno esattamente incoraggiati a scommettere su una nave che affonda.
Sul fronte delle sanzioni, Mosca sa esattamente cosa aspettarsi, come ha dettagliato il ministro dello Sviluppo economico Maxim Reshetnikov: “La Russia procede dal fatto che le sanzioni contro di essa sono una tendenza piuttosto a lungo termine, e dal fatto che il perno verso l’Asia, l’accelerazione del riorientamento verso i mercati orientali, verso i mercati asiatici è una direzione strategica per la Russia. Faremo ogni sforzo per integrarci nelle catene del valore proprio insieme ai paesi asiatici, insieme ai paesi arabi, insieme al Sud America”.
Negli sforzi per “intimidire la Russia”, i giocatori farebbero bene ad ascoltare il suono ipersonico di 50 missili all’avanguardia Sarmat pronti per il combattimento questo autunno, come spiegato dal capo di Roscosmos Dmitry Rogozin.

Gli incontri di questa settimana a Davos portano alla luce un altro allineamento che si sta formando nella battaglia mondiale unipolare contro multipolare. La Russia, le repubbliche gemelle, la Cecenia e alleati come la Bielorussia sono ora contrapposti ai “leader di Davos”, in altre parole, l’élite occidentale combinata, con poche eccezioni come il primo ministro ungherese Viktor Orban.
Zelensky starà bene. È protetto dalle forze speciali britanniche e americane . Secondo quanto riferito, la famiglia vive in una villa da 8 milioni di dollari in Israele. Possiede una villa da 34 milioni di dollari a Miami Beach e un’altra in Toscana. Gli ucraini medi sono stati mentiti, derubati e, in molti casi, assassinati dalla banda di Kiev che presiede: oligarchi, fanatici dei servizi di sicurezza (SBU), neonazisti. E gli ucraini rimasti (10 milioni sono già fuggiti) continueranno a essere trattati come sacrificabili.
Nel frattempo, il presidente russo Vladimir “il nuovo Hitler” Putin non ha assolutamente fretta di porre fine a questo dramma più grande della vita che sta rovinando e marcendo l’Occidente già in decomposizione fino al midollo. Perché dovrebbe? Ha provato di tutto, dal 2007, sul fronte del “perché non possiamo andare d’accordo”. Putin è stato totalmente respinto. Quindi ora è il momento di sedersi, rilassarsi e guardare il declino dell’Occidente.

La Polonia non è “stravolta” e “dilaniata” dal Covid. Ci sono appena stato!

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di Bruno Volpe

LE COSE SONO BEN DIVERSE DA COME LE DESCRIVONO I MEDIA ITALIANI. LO STESSO DISCORSO VALE PER L’UNGHERIA E LA REPUBBLICA CECA

Sono appena rientrato dalla bellissima Cracovia, benedetta terra polacca. Ritornato in Italia occorre rendere giustizia di tante cose.

giornaloni italiani e gli altri media ci descrivono quella bella nazione come stravolta e dilaniata dal Covid, afflitta e in preda ad una specie di isteria collettiva.

Basta andare sul posto ed accertarsi che le cose sono ben diverse da come le descrivono e tutto ciò che viene pubblicato in tema sui media italiani non risponde al vero.

Le false notizie riguardano anche l’Ungheria e la Repubblica Ceca, dove sono stato di recente. Una certa cautela esiste ed è naturale, ma di Covid, virus e vaccini si parla nei tg con misura e lo stretto necessario.

Insomma, il Covid non invade giornali e tv 24 ore al giorno. Nei locali pubblici si usa la mascherina, ma senza allarmismo. Si usa la mascherina nei mezzi pubblici che, al contrario del nostro Paese, sono puntuali, puliti e non affollati per la semplice ragione che circolano numerosi. Faccio un esempio: aspettavo un tram al Wawel, la palina elettronica lo segnalava in arrivo dopo 60 secondi. Il tram allo scoccare del tempo, è arrivato.

 

Veniamo al green pass. Sono stato in svariati bar, pasticcerie e ristoranti, locali di alto livello e prestigio nella Piazza del Mercato, la Rynek Glowny, incluso lo stellato Cyrano de Bergerac. Nessuno mi ha chiesto il green pass, anche se entrando in aeroporto è necessario.

In alcune discoteche ho assistito a scene di giovani che si divertivano e ballavano senza alcun problema e i mercatini del Natale nella Piazza Rynek Glowny si svolgevano normalmente, con tanto di pierogi, vin brulè, e arrosto di salsicce, concerti di canti natalizi e spettacoli teatrali.

Infine, ma non per importanza, mentre ero intento a sorseggiare un caffè, la scorsa domenica ho visto in una via del centro una processione religiosa con tanto di crocifisso, rosario, stendardi mariani e tanto fervore religioso.

Dunque, rispetto al nostro Paese, e ai paurosi italiani, le processioni pubbliche si tengono e svolgono regolarmente.

Signori, che nostalgia che ho di quella terra! Per la terra di San Giovanni Paolo II (e si vede). E quante calunnia su quella terra, figlie di informazioni manipolate.

 

 

 

Fonte: https://www.informazionecattolica.it/2021/12/17/la-polonia-non-e-stravolta-e-dilaniata-dal-covid-ci-sono-appena-stato/

La vita perde, se si perde la fede

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Segnalazione di Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Merita una riflessione la dura condanna espressa lo scorso 11 novembre dall’Europarlamento contro la sentenza con cui la Corte Costituzionale polacca un anno fa vietò l’aborto in caso di malformazioni fetali, limitandolo ai casi di stupro, incesto e grave rischio per la salute della madre.

Innanzi tutto, val la pena partire dai dati. Ed i dati parlano di 300 bambini salvati in un anno in Polonia, grazie a questo verdetto, dalla morte certa loro altrimenti inflitta dall’aborto. All’Europarlamento dispiace forse che questi piccoli, futuri cittadini europei, siano vivi? Altra valutazione: la sentenza a morte per questi bimbi sarebbe stata pronunciata solo in quanto malformati. Ma la Corte Costituzionale polacca ha stabilito ch’essi hanno i medesimi diritti di tutti gli altri, compreso quindi il diritto di nascere, il diritto alla vita. All’Europarlamento dispiace forse che non si applichino discriminazioni eugenetiche?

Secondo quanto riportato dall’agenzia InfoCatólica,la condanna dell’Europarlamento ancora una volta ha avuto il voto in massa anche degli esponenti del Partito Popolare europeo. Si può sapere cos’abbia ormai a che fare questo Ppe col proprio programma, con la propria carta dei valori, pubblicata online? Leggiamola. In essa si dice di voler puntare sulla «dignità umana». Stroncare la vita di creature indifese nel grembo materno corrisponde davvero alla tutela della loro «dignità umana»? In essa si dice di voler puntare sull’«uguaglianza». Votare un testo, in cui si chiede che vengano abortiti i bimbi malformati, corrisponde davvero a volerli considerare «uguali» agli altri? In essa si dice di voler riconoscere «i valori giudaico-cristiani come fondamento». Promuovere l’aborto corrisponde davvero a tali valori ed alla Dottrina della Chiesa? Ovviamente a tutte queste domande la risposta è «no». Ed allora v’è da chiedersi se sia onesto mentire con sé stessi e con gli elettori, mistificare la realtà, illudere chi vota di sostenere un gruppo in linea con la morale cristiana, ma, in realtà, di essa nemico. Una condotta imbarazzante, mortificante, vergognosa.

L’attacco alla vita è stato sferrato anche nello Stato del Vermont, negli Usa, dove una nuova legge, appena entrata in vigore, ha imposto che in tutte le scuole medie e superiori pubbliche vengano distribuiti i preservativi, forniti gratuitamente dalla multinazionale dell’aborto Planned Parenthood, a tutti gli studenti dai 12 anni in su, che ne facciano richiesta, anche contro il parere dei loro genitori. La normativa, firmata dal governatore Phil Scott, repubblicano pro-choice, definisce questo un «diritto» degli studenti, benché implichi, come tragico costo sociale, un inevitabile aumento del tasso abortivo presso la popolazione scolastica.

La persecuzione contro la vita si è ormai scatenata però anche in Spagna, dove il governo socialcomunista intende introdurre una riforma nel codice penale con l’art. 172 quater, che prevede il carcere da tre mesi ad un anno per quanti si riuniscano pacificamente davanti alle cliniche abortiste, organizzando veglie o momenti di preghiera. Le accuse nei loro confronti sono quelle di «atti persecutori», «molestie», nonché quella di ostacolare i «diritti sessuali e riproduttivi» delle donne. L’iter parlamentare del disegno di legge, che ha già affossato alla Camera due emendamenti presentati dai Popolari e da Vox, prosegue ora senza più ostacoli: «Questa iniziativa andrà avanti, chiunque si pari dinanzi ad essa», ha sentenziato perentoria la deputata socialista Laura Verja, dimostrando uno strano concetto di “democrazia”.

Ora, anche qui val la pena condurre una riflessione. La china anticristiana intrapresa dalla Spagna è iniziata al convergere di tre fattori. Il primo fattore riguarda la presa di potere da parte dei socialcomunisti, atei e secolarizzati, accelerata dalla contemporanea ignavia morale e politica dei Popolari. Il secondo fattore riguarda una presenza cattolica ridotta sempre più al lumicino in Spagna, tanto da aver toccato il proprio minimo storico assoluto, secondo quanto riportato nell’ultimo rapporto del Cis, il Centro di Indagini Sociologiche iberico. Ora i fedeli sono il 57,4% della popolazione ovvero ben l’1,8% in meno dell’anno scorso. I praticanti sarebbero però solo il 13,8%, quindi meno di quanti si proclamano atei, pari al 14,6%.

Quando mancano la fede e la fiducia nel futuro, le conseguenze sono pesanti. Non a caso, secondo l’Istituto nazionale di Statistica, sempre in Spagna si registra il più alto tasso di suicidi della storia – ed è questo il terzo fattore -: + 7,4% dall’inizio della pandemia (lo scorso agosto addirittura + 34% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente), in valore assoluto ben 3.941 casi, in media 11 al giorno. Tra questi, 2.930 sono gli uomini e 1.011 le donne. Ciò ha reso il suicidio negli uomini la prima causa di morte non dovuta a cause naturali, nelle donne e nei giovani la seconda. Su questi dati certamente ha inciso, dal punto di vista sanitario, la pandemia. Ma, trattandosi di un trend da tempo in crescita, questa non può essere l’unica risposta. La realtà è che in una società, in cui manchino fede, fiducia nel futuro, speranza e libertà, ai più fragili il suicidio può sembrare l’unica via di fuga possibile. È questo l’avvenire, che vogliamo per la nostra società, per noi e per i nostri figli?

I migranti al confine polacco e le scelte della Ue: due pesi e due misure?

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di Ferdinando Bergamaschi

Migranti al confine tra Bielorussia e Polonia: chi sono? Probabilmente iracheni e più in generale mediorientali. Ma soprattutto: è questa una migrazione spontanea o indotta? Tutto fa pensare che non vi sia nulla di naturale in questo fenomeno. Dai protagonisti che sono coinvolti in questa situazione, al tempismo degli eventi, alle implicazioni geopolitiche: tutto sembra rimandare a una lettura di una situazione forzata e forse pianificata. 

Partiamo dai fatti: martedì scorso la Polonia ha annunciato di aver arrestato oltre 50 migranti al confine con la Bielorussia, e precisamente vicino a Bialowieza. In  mattinata il ministro della Difesa polacco, Mariusz Baszczak, ha reso noto che erano stati fatti molti tentativi di violare il confine con la Bielorussia nella notte. E ha aggiunto di aver aumentato a 15.000 il numero dei soldati dell’esercito polacco alla frontiera. A pressare sul confine ci sono infatti centinaia di migranti. Uomini e donne che pagano dai 5.000 ai 15.000 dollari per giungere in Europa. E sono stati illusi dal governo di Minsk di poterlo fare.  

Il gioco della Bielorussia 

Secondo il Guardian, i migranti sarebbero stati attirati dalla Bielorussia, che avrebbe concesso il visto e offerto loro voli per raggiungere Minsk, la capitale del Paese, promettendo poi di portarli nell’Unione europea. Una volta raggiunto il confine, però, i migranti non sono riusciti a entrare in Polonia perché il Governo di Varsavia da giorni presidia con le sue truppe le frontiere con la Bielorussia. 

Per questo il presidente polacco Mateusz Morawiecki ha affermato che è necessario bloccare i voli dal Medio Oriente per la Bielorussia e concordare con la Ue nuove sanzioni contro il regime di Aleksandr Lukashenko. Il premier polacco, in conferenza stampa congiunta con il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha parlato di “terrorismo di Stato” da parte di Minsk. 

Due pese e due misure

In questo contesto Michel ha aperto alla possibilità di finanziare muri a protezione dei confini polacchi: “È legalmente possibile nell’ambito del quadro legale attuale, finanziare infrastrutture per la protezione dei confini dell’Ue”. E poi ha insistito proprio sul concetto che difendere i confini polacchi, così come quelli lituani significhi proteggere i confini della Ue. Una posizione che ha spiazzato molti, anche in virtù della forte polemica che lo scorso anno l’Unione Europea aveva portato avanti contro la linea di Donald Trump che voleva proseguire la costruzione del muro al confine col Messico.

In più, la solerzia con cui Bruxelles si è mossa per salvaguardare i confini orientali dell’Unione europea è quantomeno sospetta, guardando all’inerzia con la quale affronta il fenomeno migratorio ai suoi confini meridionali. Come se ci fossero due pesi e due misure: quando la rotta punta alla Germania, l’atteggiamento dell’Europa è ben diverso rispetto a quando punta all’Italia. 

Nuove sanzioni

Intanto l’asse tra Ue e Usa si è mosso prontamente. Al termine dell’incontro a Washington con il presidente americano Joe Biden, la presidente della Commissione Ue  Ursula von der Leyen ha affermato: “Estenderemo le nostre sanzioni contro la Bielorussia all’inizio della prossima settimana; e gli Stati Uniti prepareranno sanzioni che saranno in vigore da inizio dicembre”. Aggiungendo che “con il presidente americano guarderemo alla possibilità di sanzionare quelle compagnie aeree che facilitano il traffico di esseri umani verso Minsk e il confine tra Bielorussia e Ue”. 

Sanzioni di per sé ineccepibili, ma anche in questo caso non si può non notare una grande incongruenza. Infatti quando era Erdogan a minacciare di far entrare in Europa due milioni di profughi siriani, Bruxelles aveva concesso sei miliardi di euro al Governo turco per la gestione della situazione migratoria. 

Il ruolo di Mosca 

Molti analisti sostengono che dietro alla “guerra ibrida” di Lukashenko vi sia la Russia. La Bielorussia infatti è una stretta alleata di Mosca. E non è difficile immaginare che Vladimir Putin abbia tutto l’interesse ad indebolire e dividere l’Unione europea, che tra l’altro ha visto al suo interno uno scontro recente proprio con la Polonia per l’applicazione dei suoi dettami costituzionali rispetto alle norme dell’Unione. La stessa Ue ha poi sanzionato la Russia e recentemente è arrivata ai ferri corti con il Cremlino per l’aumento dei prezzi del gas. 

Mosca comunque ha respinto le accuse di chi, come il premier Morawiecki, ritiene ci sia il Cremlino dietro la crisi migratoria al confine con la Bielorussia. Il portavoce del Governo, Dmitry Peskov, ha affermato di considerare “del tutto irresponsabili e inaccettabili le dichiarazioni del primo ministro polacco secondo cui la Russia è responsabile di questa situazione”. Dal canto suo il presidente Putin ha rincarato la dose puntando il dito su Bruxelles: “Le organizzazioni criminali impegnate nel traffico di esseri umani hanno sede in Europa”, ha detto. “È dunque compito della Ue gestire il problema”. 

Comunque stiano le cose, Angela Merkel ha voluto telefonare al presidente russo. Nel colloquio la cancelliera tedesca gli ha chiesto di intervenire ed esercitare la sua influenza su Lukashenko, definendo “disumana e del tutto inaccettabile” la strumentalizzazione dei migranti a cui stiamo assistendo.

UE vs Polonia: l’oligarchia tecno-finanziaria contro i Popoli

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QUINTA COLONNA

di Antonio Catalano

Fonte: Antonio Catalano

L’Unione europea che accusa la Polonia di non essere uno stato di diritto è un vero ossimoro, visto che la prima non rispetta nessuna distinzione tra potere esecutivo e legislativo. La Commissione europea attacca Varsavia in difesa dei “valori” comuni, come se l’Ue fosse dotata di una Costituzione (bocciata dai francesi nel referendum del 2005) e non fosse soltanto un Trattato. Perché molto spesso gli europeisti tutto d’un pezzo fanno finta di dimenticare che l’Ue non è uno stato federale, ma è un semplice trattato economico tra stati europei (ma non è l’Europa!). Infatti, lo stesso Regolamento Ue 2020/2092 che si fonda sull’interesse finanziario dell’Unione è stato ritagliato su misura per vincolare i trasferimenti finanziari ai desiderata di Bruxelles.

La Commissione europea di Ursula von der Leyen sta facendo opera di “persuasione” per spingere perché si vada a una ulteriore erosione delle prerogative delle singole nazioni. Persuasione democratica per cui o si fa quel che dice l’Unione (che è la logica del Recovery) o ciccia. La Commissione europea non perde tempo: congela l’approvazione dei 36 miliardi del Recovery alla Polonia, sospende i pagamenti del bilancio ordinario, sospende il diritto al voto sull’opzione nucleare dello Stato “colpevole”.

Ma quale atto inaudito ha compiuto la Polonia di Morawiecki? Recentemente il Tribunale costituzionale di Varsavia ha definito non conformi alla Costituzione gli articoli 1 e 19 del Trattato sull’Ue, in soldoni la Polonia non può accettare la supremazia dei Trattati europei sulla propria Costituzione. Apriti cielo! Cosa si mettono in testa questi sovranisti polacchi? Già nel luglio di quest’anno la Corte europea aveva censurato la Sezione suprema disciplinare nazionale polacca, incaricata di indagare sugli errori dei magistrati, affermando che detta sezione non è imparziale e minaccia lo Stato di diritto e l’indipendenza delle doghe. Ma Morawiecki non ci sta a subire la pressione eurocratica: «È inaccettabile imporre la propria decisione ad altri senza alcuna base legale. Ed è tanto più inaccettabile usare il linguaggio del ricatto finanziario per questo scopo e parlare di sanzioni. Non accetto che la Polonia venga ricattata e minacciata dai politici europei».

La Polonia sta dimostrando di avere una tempra di ben altra consistenza degli italiani, che fanno a gara per dimostrare di essere disciplinati scolaretti, specialmente ora che le operazioni sono state affidate all’ ex governatore della Bce. In area global-progressista si sghignazza contro i sovranisti (o presunti tali), «questo grumo ideologico di nazionalismo securitario e xenofobo», come ebbe a dire due anni fa Massimo Giannini. Così che anche la progressista Treccani introduceva nel suo vocabolario una interessante distorsione semantica della parola sovranismo, “sovranismo psichico”, voce elaborata sulla base delle interpretazioni date da Roberto Ciccarelli sul “Manifesto” (il sovranismo «assume i tratti paranoici della caccia al capro espiatorio»). Il sovranismo come patologia psichiatrica quindi, «una nuova malattia, un fatto psichico», come suggellò il maitre a penser della psicanalisi progressista, Massimo Recalcati.

Quindi l’ex ministro piddino della Giustizia Andrea Orlando era ancora affetto da questa malattia psichica quando nel suo intervento alla Festa del FQ del 2016 si lasciò sopraffare dalla sincerità dichiarando che il “pareggio di bilancio” introdotto nella nostra Costituzione era in fondo il risultato di un golpe (notturno) della sua maggioranza? Una riforma «sostanzialmente passata sotto silenzio», per niente il frutto di un dibattito nel Paese. Parole testuali di Orlando: «Oggi noi stiamo vivendo un enorme conflitto tra democrazia ed economia. Oggi sostanzialmente i poteri sovranazionali sono in grado di bypassare completamente le democrazie nazionali. I fatti che si determinano a livello sovranazionale, i soggetti che si sono costituiti a livello sovranazionale, spesso non legittimati democraticamente, sono in grado di mettere le democrazie di fronte al fatto compiuto». La Bce più o meno disse: «O mettete questa clausola nella vostra Costituzione, o altrimenti chiudiamo i rubinetti e non ci sono gli stipendi alla fine del mese». Per poi dire che quella fu una delle scelte «di cui mi vergogno di più, mi vergogno di più di aver fatto».

Ora i suoi sodali di partito affettano scherno, sufficienza, arroganza, sorrisini arroganti (mi viene in mente la faccia beffarda di Matteo Ricci) quando dicono che o si è sovranisti o si sta nell’Europa. Volutamente ignorando, ancora una volta, che Ue e Europa sono due soggetti distinti. Tanto per capirci, nell’Europa ci sta anche la grande Russia. O no, cari traditori dei popoli?

Il caso Polonia, tra sovranismo e libertà d’azione: la spina dell’Est nel fianco della Ue

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LETTERE DEL LETTORE

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo che si trova anche su: https://www.ilmiogiornale.net/il-caso-polonia-tra-sovranismo-e-liberta-dazione-la-spina-dellest-nel-fianco-della-ue/

di Ferdinando Bergamaschi

La Polonia è uno dei 27 Stati membri dell’Unione europea. Insieme a Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia fa parte del Gruppo di Visegrád. Questo gruppo, come è noto, si è spesso scontrato con l’impostazione giuridica (e in un secondo momento anche finanziaria) dell’Unione europea.

L’ultimo caso riguarda la Polonia. La Corte suprema di Varsavia nei giorni scorsi ha infatti stabilito che alcune parti della legislazione dell’Unione Europea non sono compatibili con la Costituzione della Polonia. In questo modo, com’è evidente, si dice implicitamente che il diritto nazionale prevale su quello europeo. 

Così facendo, Varsavia pone le basi per un possibile scontro con Bruxelles. A questo proposito il giudizio della Corte polacca è chiaro: “Il tentativo della Corte europea di giustizia di essere coinvolta nei meccanismi legislativi polacchi viola le norme che rispettano la sovranità nell’ambito del processo di integrazione europea”. Ce n’è abbastanza perché molti osservatori parlino già di Polexit. 

Muri e dintorni

Quel che è certo è che la reazione dell’Unione europea non si è fatta attendere. È la stessa presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che risponde seccamente alla Polonia: “Useremo tutti i poteri che abbiamo in base ai trattati per assicurare il primato del diritto Ue su quelli nazionali incluse le disposizioni nazionali. È quello che gli Stati membri hanno sottoscritto, come membri dell’Unione europea”. 

In questo clima, che ha visto scendere in piazza anche i polacchi pro Bruxelles, si inserisce un’altra questione spinosa che riguarda ancora una volta direttamente Varsavia. Infatti il Governo guidato da Mateusz Jakub Morawiecki, insieme con altri 11 Paesi dell’Ue (molti dei quali già satelliti dell’impero sovietico più Danimarca, Grecia e Cipro), nelle scorse settimane ha inviato alla Commissione europea una lettera con la richiesta che Bruxelles finanzi la costruzione di muri anti-migranti.

Lapidaria è stata a questo riguardo la risposta da Bruxelles: fate come volete ma non con i soldi comuni. E su questa linea di difesa dei confini nazionali Varsavia, peraltro, ha deciso di prolungare lo stato d’emergenza alla frontiera con la Bielorussia mobilitando migliaia di militari per frenare il flusso di migranti messi (appositamente o meno) in fuga dal regime di Lukashenko. 

È evidente comunque che il nodo della questione è sempre lo stesso: quale sia la capacità dell’Unione europea di risolvere problemi che pur riguardando singoli Stati nazionali riguardano al tempo stesso il fondamento della sua stessa unità ed esistenza.

Est Europa in mezzo al guado

Da un certo punto di vista si può dire che l’imperialismo sovietico era più “nazionalista” di quanto non lo è stato l’imperialismo occidentale. Se infatti la feroce egemonia dell’Urss si basava sul concetto nazionalista della “grande madre patria russa”, l’egemonia o, per meglio dire, l’influenza occidentale era in gran parte fondata sul concetto, internazionalista per eccellenza, di dominio della finanza; e la finanza, per definizione, non ha né patria, né nazione, né terra d’origine. 

Per quanto, quindi, gli stati dell’Est Europa guardino giustamente con orrore alla passata dominazione sovietica, negli stessi è però rimasta una matrice nazionalista. Questo perché il regime stalinista e post-stalinista non era fondato sulla finanza bensì sulla burocrazia, la quale, rispetto alla finanza, quantomeno riconosce l’appartenenza ad una nazione.   

D’altra parte, però, l’Occidente liberaldemocratico, dopo la caduta del muro di Berlino, poteva garantire a quegli Stati una libertà d’azione per i singoli cittadini enormemente superiore rispetto a quella che garantiva la gabbia sovietica.

Ecco allora che quei popoli – e la Polonia ne è l’esempio più lampante – una volta venuta meno la cortina di ferro, si sono trovati in mezzo a due pulsioni: quella della rivendicazione della loro coscienza nazionale che l’Urss, malgrado tutto, non aveva soppiantato; e quella della libertà d’azione che sarebbe stata garantita prima dalla Nato e poi dall’Europa, e quindi dall’Occidente nel suo complesso.  

Così si spiega la ricerca di mediazione che questi Paesi anelano, tra identitarismo con le proprie radici (sovranismo) e libertà d’azione (occidentalismo): ma questa mediazione, crediamo, sarebbe proprio un sano ed equilibrato europeismo.

La Costituzione sopra la legge UE: la decisione della Corte Costituzionale di Varsavia definisce nuovi limiti legali per la UE

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Colpo di scena da Varsavia. La Corte Costituzionale polacca ha stabilito che la costituzione del paese ha la precedenza su alcune leggi dell’UE.

Lo sforzo della Corte di giustizia dell’Unione europea di interferire nel sistema giudiziario polacco viola il principio dello stato di diritto, il principio del primato della costituzione polacca nonché il principio del mantenimento della sovranità nel processo di integrazione europea ”, ha stabilito il tribunale. Questo porta lo scontro fra la Polonia e la commissione a un livello superiore, perché contesta l’applicabilità delle leggi di Bruxelles nel Paese, e dato che, per ora, la Commissione non ha una forza armata per applicarle, si rischia di arrivare a uno stallo.

Come riporta DW, la corte ha esaminato specificamente la compatibilità delle disposizioni dei trattati dell’UE, che vengono utilizzate dalla Commissione europea per giustificare l’opinione in merito allo stato di diritto negli Stati membri, con la costituzione polacca.

Una sentenza della Corte di giustizia europea di marzo ha affermato che l’UE può obbligare gli Stati membri a ignorare alcune disposizioni del diritto nazionale, compreso il diritto costituzionale. La Corte di giustizia europea afferma che la procedura recentemente implementata dalla Polonia per la nomina dei membri della sua Corte suprema costituisce una violazione del diritto dell’UE. La sentenza della Corte di giustizia europea potrebbe potenzialmente costringere la Polonia ad abrogare parti di una controversa riforma giudiziaria legata alla nomina dell’equivalente del CSM. Con la propria  decisione la Corte Costituzionale polacca viene a disapplicare, a sua volta, la decisione della Corte di Giustizia. Ricordiamo che il concetto di applicazione della “Rule of law”, fortemente voluto dal centro sinistra nel parlamento europeo, viene a imporre una serie di regole, teoricamente basate sul diritto europeo, che sono indigeste a paesi tradizionalisti come la Polonia,

Il partito di governo PiS ha accolto positivamente la decisione, che fornisce un ulteriore strumento a suo favore, e sicuramente lo utilizzerà a fini politici. “Il primato del diritto costituzionale su altre fonti di diritto deriva direttamente dalla Costituzione della Repubblica di Polonia”, ha scritto su Twitter il portavoce del governo PiS Piotr Muller dopo la decisione della corte. “Oggi (ancora una volta) questo è stato chiaramente confermato dalla Corte Costituzionale”.

Nello stesso tempo Varsavia è il maggio percettore di fondi europei dal 2004, percettore netto, mica come l’Italia che paga più di quanto riceva. Quindi la Commissione ha un forte strumento di pressione verso Varsavia. Nello stesso tempo però Berlino ha delocalizzato nel vicino una parte consistente delle proprie produzioni industriali più scomode e non può permettersi uno scontro economico permanente senza delle ricadute negativa. la Polonia è un importante membro della Nato che poi confida direttamente sull’aiuto di Washington nei confronti dei vicini russi e bielorussi. Si è aperta una partita molto complessa. La Commissione per ora si riserva di studiare la sentenza prima di reagire, ma reagirà, e il rischio è di giungere al Polexit, all’uscita della Polonia dalla UE

Ora un  semplice pensiero: alla fine Bruxelles può solo ricattare con i soldi Varsavia per contrastare questa sentenza. Però nei confronti dell’Italia, datore, netto, cosa potrebbe fare, nel caso di una sentenza sulla superiorità del diritto italiano su quello europeo? Niente, perché noi paghiamo più di quanto prendiamo…

Fonte: https://scenarieconomici.it/la-costituzione-sopra-la-legge-ue-la-decisione-della-corte-costituzionale-di-varsavia-definisce-nuovi-limiti-legali-per-la-ue/

 

 

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