E se la critica alla post-modernità mettesse allo stesso tavolo progressisti e conservatori?

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/10/24/e-se-la-critica-alla-post-modernita-mettesse-allo-stesso-tavolo-progressisti-e-conservatori/

PROVIAMO AD ACCANTONARE PROGRESSISMO E CONSERVATORISMO, LIMITANDOCI AD UN SENSATO, RAGIONEVOLE ANTI-POSTMODERNISMO: POTREBBE ESSERE UTILE?

Una cascata d’odio preventivo si è scaricata su Giorgia Meloni e sul nuovo governo di centrodestra. Non ho ricordi di assistere ad una tale violenza verbale, soprattutto da parte delle femministe e delle sinistre globaliste, che si ammantano di una supposta superiorità intellettuale e morale, degli ideologi dell’uguaglianza, della fratellanza, della libertà assoluta e della tolleranza universale. E’ davvero meschino l’attacco personale e familiare, per ottenere vantaggi in termini di visibilità o followers. Un gran boomerang questo travaso di bile arcobalen(g)o, se si esce dai salotti e dalle redazioni dei quotidiani, ove, invece, giornalisti d’esperienza, come ad esempio Gad Lerner, non sono caduti in questi metodi grossolani, da pescivendoli/e frustrati.

Le sinistre sono terrorizzate davvero del ritorno del Fascismo nel centenario della Marcia su Roma che si celebrerà la prossima settimana (28 ottobre 1922 – 28 ottobre 2022)? No. E’ tutta una messa in scena per aggiungere all’odio la paura di una destra autoritaria. Fa parte del loro metodo comunicativo di sempre. Lo stesso che ha fatto passare per decenni la Resistenza partigiana per la componente maggioritaria che ha liberato il Paese dai nazisti, mentre fu solo un modesto supporto alle truppe regolari Alleate. E meno male che la sua componente maggioritaria, ovvero quella social-comunista non è riuscita a prevalere, altrimenti a Palazzo Chigi sarebbe stata issata la bandiera di Stalin fino al crollo del muro di Berlino…

Anche a sinistra ci sono persone intelligenti, che non si fanno annoverare tra questi personaggi lugubri e invasati, che non temono alcun fascismo e lo dicono espressamente. Penso a Massimo Cacciari, ma anche al direttore de Il Fatto. quotidiano, Antonio Padellaro. Non esiste alcuna possibilità di rinascita, per prima cosa perché manca un duce, col carisma e la capacità di aggregare tutto ciò che non sia Sovversione sinistra.

In secondo luogo perché la crisi economica non è simile a quella del primo dopoguerra e le contingenze internazionali soffocherebbero sul nascere ogni minimo tentativo in tal senso. Lo spauracchio del fascismo si risolverà, invece, con un momento di pubblico dibattito storico-politico fuori dal coro del Pensiero unico, qualche Messa di suffragio e con tante iniziative conviviali tra qualche cimelio. Nulla da temere, per chi ha ancora buon senso.

Il mainstream istituzionale chiede, ancora, al premier Meloni di sconfessare il Ventennio, con una bolsa retorica anacronistica e con cerimonie che interessano solo a quattro gatti e a Paolo Berizzi. Giorgia Meloni, per evitare di essere bloccata per settimana dalle polemiche per questi inutili riti, li compirà, così da poter dare risposte concrete alle priorità dei nostri connazionali.

Ci sono quattro cose da fare subito, accantonando i bottiglioni di lambrusco con l’etichetta del Duce: 1) aiuti a famiglie e imprese per le bollette; 2) ripartire con le trivellazioni in mare; 3) cancellare il reddito di cittadinanza come è concepito adesso; 4) abrogazione degli assurdi e dannosi obblighi vaccinali per medici e infermieri, al fine di farli tornare subito in corsia. Credo che per capire quale sia l’imprinting generale dell’azione governativa, sarebbe indispensabile leggere e studiare, prima Tolkien e poi Alain De Benoist.

Entrambi gli autori, il primo soprattutto sul piano spirituale, fortemente cristiano, il secondo su quello più specificatamente ideale e politico, insegnano come si possa essere aperti al progresso senza essere egualitari, conservatori senza soccombere a un economismo volgare e un tradizionalista senza essere ottuso. Così si esprimerebbe il giornalista e intellettuale americano Keith Preston, che non è annoverabile tra le persone in linea con noi.

L’attacco diretto è al concetto di democrazia moderna, che fa riferimento a “Democrazia: il Dio che ha fallito” (2007) di Hans Hermann Hoppe. De Benoist e Carl Schmitt vedono nel liberalismo il principale problema, superando anche le giuste critiche da monarchico cattolico e conservatore come Hoppe. L’apertura che Alain De Benoist fa alle nozioni di “democrazia partecipativa” o “democrazia diretta”, avanzate da alcuni filoni di sinistra, potrebbero alimentare il dibattito in un’ ottica multipolare del mondo.

Pertanto, ha perfettamente ragione De Benoist, quando scrive che “la tendenza attuale…consiste nel convertire ogni sorta di richieste, desideri o interessi in ‘diritti’. Gli individui, nel caso estremo, avrebbero il “diritto” di vedere soddisfatta qualsiasi domanda, per il solo fatto di poterla formulare. Oggi, rivendicare diritti è solo un modo per cercare di massimizzare i propri interessi“. Si potrebbe partire da questi due assunti per cercare una sintesi e non demonizzare l’avversario come prassi ideologico-culturale. Per dirla con Gilbert K. Chesterton (1874-1936), proviamo ad accantonare progressismo e conservatorismo, limitandoci ad un sensato, ragionevole anti-postmodernismo. Potrebbe essere utile a tutti.

Conservatori di tutto il mondo unitevi

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Nel consueto editoriale del lunedì su InFormazione Cattolica (domani), il nostro Matteo Castagna replicherà all’ intelligente appello di Marcello Veneziani, che dimostra di essere l’intellettuale di riferimento di un’area un po’ troppo orfana di pensatori coraggiosi e realisti.

di Marcello Veneziani

E se il mondo avesse bisogno di un grande contraltare conservatore? Tu ti aspetti un’idea del genere dal conservatore spettinato Boris Johnson. E invece arriva da Vladimir Putin, autocrate ex-Kgb, intervenuto nei giorni scorsi al 18° incontro annuale del Club Internazionale di Discussione a Valdai. Il tema era “La Rivoluzione globale nel 21° secolo: l’individuo, i valori e lo Stato”. Dal suo ampio discorso abbiamo tratto una specie di manifesto dei conservatori, che sintetizziamo con le sue parole in dodici punti.

1) Solo gli Stati sovrani possono rispondere efficacemente alle sfide dei tempi e alle esigenze dei cittadini.

2) È più facile distruggere che creare, come tutti sappiamo. Noi in Russia lo sappiamo molto bene, purtroppo, per la nostra esperienza che abbiamo avuto diverse volte.

3) Le rivoluzioni non sono un modo per risolvere una crisi ma un modo per aggravarla. Nessuna rivoluzione valeva il danno che ha fatto al potenziale umano.

4) L’importanza di un solido sostegno nella sfera della morale, dell’etica e dei valori sta aumentando drammaticamente nel fragile mondo moderno. L’intreccio reciproco delle nazioni li arricchisce sicuramente, dando uno sguardo nuovo alle proprie tradizioni. Ma il processo deve essere organico e non può mai essere rapido. Qualsiasi tentativo di imporre agli altri i propri valori complica ulteriormente una situazione drammatica e può produrre reazioni ed esiti opposti rispetto a quelli previsti.

5) In Occidente c’è chi crede a un’eliminazione aggressiva di intere pagine dalla propria Storia, una “discriminazione al contrario” contro la maggioranza nell’interesse di una minoranza e la richiesta di rinunciare alle nozioni tradizionali di madre, padre, famiglia e persino di genere. La Russia ci è già passata. Dopo la rivoluzione del 1917, i bolscevichi, facendo affidamento sui dogmi di Marx ed Engels, dissero anche che avrebbero cambiato modi e costumi esistenti e non solo quelli politici ed economici, ma la stessa nozione di moralità umana e i fondamenti di una società sana.

6) La distruzione di valori secolari, religione e relazioni tra le persone, fino al rifiuto totale della famiglia (abbiamo avuto anche quello nell’Urss); tutto questo è stato proclamato progresso. A proposito, i bolscevichi erano assolutamente intolleranti verso opinioni diverse dalle loro.

7) In alcuni paesi occidentali la lotta per l’uguaglianza e contro la discriminazione si è trasformata in dogmatismo aggressivo al limite dell’assurdo, quando le opere dei grandi autori del passato – come Shakespeare – non vengono più insegnate nelle scuole o nelle università, perché le loro idee sono ritenute arretrate. I classici sono dichiarati arretrati e ignoranti dell’importanza del genere o della razza. A Hollywood vengono distribuiti promemoria sulla corretta narrazione e su quanti personaggi di che colore o genere dovrebbero essere in un film. Questo è anche peggio del dipartimento agit prop del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.

8) Contrastare gli atti di razzismo è una causa necessaria e nobile, ma la nuova “cancel culture” l’ha trasformata in “discriminazione al contrario”, cioè razzismo inverso. L’enfasi ossessiva sulla razza sta ulteriormente dividendo le persone, generando fanatismo.

9) Chiunque osi dire che gli uomini e le donne esistono davvero, il che è un fatto biologico, rischia di essere ostracizzato. “Genitore numero uno” e “Genitore numero due”, “Genitore alla nascita” invece di “madre” e “latte umano” che sostituisce “latte materno” perché potrebbe turbare le persone che non sono sicure del proprio genere. Negli anni ’20, anche i cosiddetti Kulturtraeger sovietici hanno inventato un nuovo linguaggio credendo di creare una nuova coscienza e di cambiare i valori in quel modo.

10) È mostruoso insegnare ai bambini fin da piccoli che un maschio può facilmente diventare una femmina e viceversa. I docenti impongono loro una scelta, escludendo i genitori dal processo e costringendo il bambino a prendere decisioni che possono sconvolgere la loro intera vita. Non si preoccupano nemmeno di consultarsi con gli psicologi infantili: un bambino è in grado di prendere una decisione di questo tipo? Chiamando le cose col loro nome, questo rasenta un crimine contro l’umanità e viene fatto in nome e sotto la bandiera del progresso.

11) Noi saremo guidati da un sano conservatorismo. Un approccio conservatore ma non un tradizionalismo ignorante, una paura del cambiamento o un gioco restrittivo, tanto meno un ritiro nel nostro guscio. Si tratta principalmente di fare affidamento su una tradizione collaudata nel tempo, la conservazione e la crescita della popolazione, una valutazione realistica di sé e degli altri, un preciso allineamento delle priorità e un fondamentale rifiuto dell’estremismo come metodo.

12) Il conservatorismo moderato è la linea di condotta più ragionevole. A un certo punto si cambierà inevitabilmente, ma finora non nuocere – il principio guida in medicina – sembra essere il più razionale. Viceversa si possono distruggere non solo le basi materiali ma anche le fondamenta spirituali dell’esistenza umana, lasciando dietro di sé un relitto morale in cui per molto tempo nulla può essere costruito per sostituirlo. Le nostre opinioni conservatrici configurano un conservatorismo ottimista. Crediamo che sia possibile uno sviluppo stabile e positivo. Tutto dipende principalmente dai nostri sforzi. Siamo pronti a lavorare con i nostri partner su comuni cause nobili.

Piaccia o meno, Putin esprime l’antitesi al progressismo radical statunitense e al totalitarismo capital-comunista cinese e dà una lezione di civiltà all’Europa.

MV, Panorama (n.48)

Il progressismo permissivo e intollerante

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di Marcello Veneziani

Fonte: Marcello Veneziani

Ci voleva la copertina dell’Economist sul pericolo della “sinistra illiberale” per svegliare la sinistra italiana dal suo sonno dogmatico e presuntuoso. Per anni abbiamo sottolineato la svolta liberal della sinistra venuta dal comunismo e dal socialismo, che coincideva con la deriva neoborghese e neocapitalistica. Ma da qualche tempo qualcosa sta avvenendo ai confini di questa sinistra liberal: per dirla nello stesso linguaggio anglo-americano, si sta accentuando l’aspetto radical e stanno riprendendo corpo obblighi e divieti, censure e rimozioni, gravi restrizioni degli spazi di libertà. La sinistra appare sempre più una casa d’intolleranza, tra totem e tabù, interdetti e intoccabili.
Da un verso la sinistra marcia al fianco della società neoborghese e neocapitalistica, elogia la globalizzazione, si colloca nella Ztl e nell’establishment, è guardia rossa del potere economico, burocratico, giudiziario, mediatico e intellettuale. E ingaggia in questo ambito le campagne per una società permissiva, sempre più individualista e globale. Ma dall’altra parte risale l’anima radical e alle battaglie di liberismo e liberazione si affiancano battaglie correttive e punitive per far rientrare la società nei canoni rigidi del politically correct, della cancel culture, del pensiero uniforme. Lo spettacolo di questa schizofrenia e di questa conversione a U della sinistra, liberal nella sfera privata e radical nella sfera pubblica, permissiva e intollerante, è sotto gli occhi di tutti e non riguarda solo la sinistra italiana e la leadership di Letta.
È un processo diffuso che oggi suscita al suo interno alcune crisi di rigetto. Da una parte il dissenso di alcuni intellettuali e filosofi “di sinistra” nei confronti del regime di restrizioni sanitarie imposto per la pandemia, con i casi più vistosi di Agamben, Cacciari, Barbero; e dall’altra il disagio di intellettuali e osservatori di sinistra nei confronti di quel filone demenziale, intollerante e puritano della cancel culture, dilagato dagli Stati Uniti in Europa – da Noam Chomsky a Federico Rampini – su quell’onda giacobina di censure e distruzioni, omertà e isterismi gender, che si è abbattuta sulla storia, la tradizione e la cultura dell’occidente e nei rapporti sociali e sessuali. Ci sono due modi per stuprare la cultura e la storia: attualizzarla con la forza o cancellarla, negarla. Entrambi i modi oggi sono oggi frequenti, pervasivi, se non dominanti.
Al tema della libertà è stato dedicato il Festival di Filosofia a Modena ed è inutile ed anche noioso notare che la passerella è stata riservata alla stessa compagnia di giro, senza voci dissonanti se non sono dentro quell’alveo di pensiero; e in più con l’autocompiacimento che il Festival ha onorato le quote rosa. Due criteri che già rendono grottesco e incoerente il tema a cui era dedicato: libertà ma solo fino a un certo punto, libertà sotto vigilanza, senza dissenso e con l’ossequio alla retorica gender.
Ma qual è il rapporto tra la cultura progressista e la libertà? Gli studiosi della libertà degli anni passati, da Isaiah Berlin a Ralf Dahrendorf a Norberto Bobbio distinguevano tra libertà da e libertà di, ovvero tra libertà negativa, come non impedimento, che è propria del liberalismo, e libertà positiva che è invece correlata all’emancipazione, alla giustizia sociale e all’uguaglianza. Grandeggia solitaria la posizione discesa da Nietzsche che si poneva un tema ulteriore: libertà per cosa? Ovvero la libertà, la sua qualità, la sua dignità, si misura dall’uso che se ne fa e dal modo in cui si vive. Il sottinteso è che la libertà non sia la stessa per tutti, ma si debbano riconoscere gradi diversi, differenze e non possa concludersi nell’uguaglianza e nell’omologazione.
Storicamente, l’idea di libertà a sinistra, nel mondo progressista, antifascista e marxista, ha coinciso con l’idea di liberazione. Liberazione di popoli e individui dal giogo della tradizione, dalle gerarchie sociali e di classe, dai regimi autoritari, repressivi o anche borghesi, o come un tempo si diceva “di democrazia formale”. Nella sinistra classica, la libertà individuale era subordinata alla liberazione delle masse, il collettivo prevaleva sul personale, la classe sul singolo.
E oggi? Oggi vige quella schizofrenia che notavamo prima: ovvero la liberazione individuale rispetto alla natura, al sesso, alla tradizione, alla sfera privata, fa il paio con la coazione sociale sui giudizi storici, politici, ideologici, sanitari. Qui vige la camicia di Nesso, il letto di Procuste, insomma un regime di restrizione e d’intolleranza.
Le politiche economiche a sinistra riflettono l’oscillazione tra quei due poli: da un verso c’è infatti la conversione della sinistra al libero mercato, al privato, al capitale ma dall’altra permane l’idea punitiva di colpire, tassare le fonti di ricchezza, le attività imprenditoriali, la libera iniziativa, i patrimoni, le case. Un capitalismo ibrido e contraddittorio, con pericolose intermittenze. Non si conoscono allo stato attuale esperimenti politici significativi ben riusciti sotto questo punto di vista. E non si conoscono regimi progressisti di coazione & liberazione che abbiano vero e largo consenso popolare.
A tutto questo si aggiunge l’uso intollerante dell’antifascismo per censurare ogni avversario, tenerlo sotto schiaffo, in cui si manifesta il paradosso della deriva illibertaria nel nome della stessa libertà: un abuso che riporta artificialmente in vita esperienze storicamente defunte da svariati decenni, allo scopo di squalificare gli avversari; serve a colpire la libertà d’opinione e la diversità di giudizio storico e a sottomettere la verità e la realtà al moralismo e al bigottismo ideologico. Insomma, la sinistra oggi dimostra che si può essere permissivi e intolleranti, marciare per la liberazione e poi essere nemici della libertà. È il bipensiero orwelliano o la doppia verità, anticamera dei nuovi totalitarismi.

Follia! Ora serve una “X” per definire il proprio sesso…

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del Movimento Politico Fortezza Europa

Dai laboratori dei malati di progressismo nasce l’identità sessuale X.

Una incognita matematica, una possibilità di gioco alle scommesse sportive, un segno grafico indefinito che trova la sua ragion d’essere solo se tracciato su una delle varie alternative proposte verrebbe ora a indicare una dubbia e fumosa identità di genere. Ecco, dunque, sdoganato l’individuo unisex, perfetto cittadino del globo dell’irrilevanza, complementare all’appiattamento verso il basso verso cui piomba inesorabilmente la società odierna.

Un individuo che non deve essere né uomo, né donna, per poter essere contemporaneamente entrambi, tutto e niente, uno zero che annulla, un pareggio a reti bianche, la firma del signor nessuno. Continua a leggere