Se il mondo va al contrario, è “colpa” del gen. Vannacci
L’EDITORIALE
di Matteo Castagna
Se il mondo va al contrario è “colpa” del gen. Vannacci, punito perché lo vorrebbe raddrizzato
L’EDITORIALE
di Matteo Castagna
Se il mondo va al contrario è “colpa” del gen. Vannacci, punito perché lo vorrebbe raddrizzato
EDITORIALE DEL LUNEDI per https://www.informazionecattolica.it/2021/11/22/un-grande-movimento-conservatore-da-contrapporre-al-globalismo-progressista/
di Matteo Castagna
L’APPELLO DI MARCELLO VENEZIANI ALL’UNITÀ DELLA “MAGGIORANZA SILENZIOSA” IN UN GRANDE MOVIMENTO CONSERVATORE
L’astensionismo come diffidenza o addirittura repulsione verso la politica, da parte di molte persone, costituisce il grande partito di massa di tutti i periodi decadenti. L’Italia non fa eccezione. Persino nei sondaggi vediamo ridursi drasticamente la disponibilità a rispondere, tanto la gente è stufa.
Alle ultime elezioni amministrative, si è presentata alle urne la metà degli aventi diritto. Il nostro è, fondamentalmente, un Paese conservatore, ove oggi la maggioranza fatica a trovare chi lo rappresenti. Il grillismo, col suo abbondante ed ipocrita decennio di antipolitica ha implementato, in maniera decisiva, questa tendenza alla disaffezione verso la cosa pubblica.
L’appello all’unità in un grande movimento conservatore, proposto da Marcello Veneziani in una recente intervista a Destra.it, ove l’orizzonte valoriale sia sempre chiaro e ben definito, ancorato nella tradizione e nell’identità classico-cristiana dell’Europa, nella difesa e nella riappropriazione del diritto naturale e negli intenti comuni su principi morali, non in contrasto con la Dottrina sociale della Chiesa, è da guardare con grande interesse. Soprattutto perché, sul fronte progressista e globalista, si stanno muovendo in nome del mero diritto positivo per un transumanesimo sistemico cui va assolutamente contrapposto un forte blocco che non sia mai subalterno né culturalmente, né idealmente, né politicamente e neppure economicamente. Altrimenti, vinceranno sempre loro.
Oggi si tende a confondere “politica” con “partitica” o “parlamentarismo”. La metafisica classica greca (Socrate, Platone, Aristotele), la filosofia morale e il diritto romano (Cicerone e Seneca) vengono perfezionati dalla patristica (da S. Agostino a S. Bernardo di Chiaravalle), dalla metafisica dell’essere scolastica e particolarmente tomistica (da S. Tommaso d’Aquino a Cornelio Fabro) e dal Diritto Pubblico Ecclesiastico (da Papa Gelasio I a Pio XII) costituiscono la “filosofia perenne” che definisce le radici dell’Europa come greco-romane e, poi, cattolico-romane.
Da essa traiamo la linfa vitale per depurarci degli errori della modernità e della post-modernità. Il vero inquinamento, quello da combattere con una vera politica green, è il veleno del “politicamente corretto”, che fa risalire tutto alla Rivoluzione francese, a Machiavelli, al luteranesimo, all’umanesimo ed al rinascimento.
Il catto-liberalismo ed il modernismo-democristiano ci presentano un’ immagine deformata della Dottrina politica cattolico-romana. “La Civiltà Cristiana è esistita. Non occorre inventarla, ma bisogna instaurarla e continuamente restaurarla contro gli assalti dell’utopia malsana” (San Pio X, Notre charge apostolique, 25/12/1910).
Quando Veneziani parla di un ritorno alle origini, vuol dire che non dobbiamo essere passatisti, ma imparando dal nostro glorioso passato, pensare il presente e guardare al futuro in linea di continuità. Per cui, l’uomo deve vivere coi piedi per terra, con la mente e il cuore rivolti al Cielo e con l’azione a fianco dei propri simili, ovvero la “comunità di destino”, di cui parla Gustave Thibon, in Diagnosi (1940).
Per S. Tommaso d’Aquino la politica o “morale sociale” è la scienza di ciò che l’uomo, come animale socievole, deve fare, orientandosi verso un determinato fine (De Regimine Principum, lib. I, cap. 1 e In Ethicorum, lib. I, lect. 1, n.3) che è il benessere comune materiale subordinato al fine ultimo spirituale.
Per S. Tommaso la Politica è la parte sociale della filosofia morale. La filosofia politica è una scienza pratica, che dà i principi per agire al cittadino che vive in una Società e che deve operare da uomo sociale. In breve, essa è riflessione razionale, seguita da azione concreta, sulla e nella vita sociale. La morale sociale o politica si fonda sulla metafisica, che ci fa conoscere: a) la vera natura dell’uomo, creatura immortale, e quindi il Fine ultimo al quale è destinato, che è Dio, per rapporto al quale gli atti umani sono moralmente buoni o cattivi, secondo che vi conducano o no (Summa contra Gentiles, lib. III, cap. 25); b) l’esistenza di un Dio personale e trascendente il mondo, maestro. legislatore e giudice dell’umanità, autore della legge morale, naturale e rivelata, oggettiva ed obbligatoria per tutti. (liberamente tratto da “La Sintesi del Tomismo”, Ed. Effedieffe, 2017).
Leggendo l’Etica Nicomachea (I, 1106b 36; ivi, I, 1099a, ivi, II, 1107a22-23; ivi, X, 1174a2-8) comprendiamo che da Aristotele in poi si parla di di politica come di una scienza architettonica, che regge, coordina e dirige tutte le altre scienze pratiche, quali il diritto, l’economia, la medicina, l’edilizia, ecc., che essa applica per regolamentare l’effettiva convivenza della comunità. Per Aristotele il fine dell’uomo è nella felicità che non consiste nei piaceri dei sensi, “che rendono l’uomo simile alle bestie” (G. Reale, Introduzione a Aristotele, cit., p. 129), né nell’onore fine a se stesso, né nell’accumulo di ricchezze ma nella vita virtuosa che il Cristianesimo ha portato a compimento con il rispetto dei Comandamenti e dei precetti della Chiesa Cattolica, che è Una, Santa, Apostolica e Romana.
La Regalità Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo è la sublimazione del ritorno alla Civitas Christiana, che è l’unica risposta metafisica e pratica alle crisi contemporanee.
QUINTA COLONNA
di Marcello Veneziani
Oggi all’Ambasciata russa a Roma verrà ricordato il bicentenario della nascita di Fedor Dostoevskij, il testimone più acuto dell’epoca che ha perso Dio senza guadagnare umanità. Dostoevskij è ricordato per i suoi capolavori letterari, per alcune vicende biografiche come la condanna a morte e la grazia in extremis e per alcuni suoi pensieri che ancora balbettiamo nei nostri giorni: da “La bellezza salverà il mondo” a “Se non c’è Dio tutto è permesso”, al terribile aut aut: “Tra Cristo e la Verità scelgo Cristo”. Un’alternativa impossibile per un credente, giacché in Cristo s’incarna la Verità e dunque coincidono; se scegli l’Uno alla fine ti ritrovi l’altra, e viceversa. La stessa cosa si può dire a contrario per un vero miscredente perché nega Cristo ma anche ogni Verità assoluta.
Vorrei soffermarmi sulla sua implacabile diagnosi del nostro tempo e sulla sua polemica con i progressisti umanitari; partendo non dalla Russia ma dall’Italia. Dostoevskij ha parole di fuoco sull’Italia da poco unita sotto il regno dei Savoia: “L’Italia, un piccolo regno unito di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valori universali, cedendola al più logoro principio borghese – la trentesima ripetizione di questo principio dal tempo della prima rivoluzione francese ‒ un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di un volta) e per di più pieno di debiti non pagati…” Queste pagine sembrano scritte da un borbonico o da un asburgico e invece sono i pensieri di Dostoevskij nel Diario di uno scrittore del 1877. Non c’è però disprezzo verso l’Italia, anzi c’è il confronto tra la grandezza universale e spirituale dell’Italia grande e la piccineria borghese dell’Italietta unita.
Infatti lo scrittore proseguiva: “Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo; l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano di essere i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale”. Questa visione di Dostoevskij, che evoca il de Monarchia di Dante e il Sacro Romano Impero, si estendeva poi all’Europa, di cui criticava la subordinazione alla borsa e al credito internazionale. Pagine profetiche a giudicare dai nostri giorni.
Dostoevskij indagò sull’uomo del sottosuolo a cui dedicò le celebri Memorie. Quel cupo senso di oppressione, quella mancanza di cielo come asfissia, quella vicinanza agli inferi; un senso della terra concepito a rovescio, non legame concreto col suolo su cui siamo piantati e camminiamo, ma un carcere e un soffitto incombente sulle nostre teste che impedisce la libertà, costringe all’introspezione e toglie il respiro. L’uomo del sottosuolo di Dostoevskij non si redime con la rivoluzione, abbattendo il sovrano o il potere; perché l’alienazione più vera sorge dalla separazione dell’anima dalla vita, dell’eternità dal tempo. Dostoevskij critica l’utopia rivoluzionaria e cosmopolita che procede “verso il regno astratto di un’umanità universale che non è mai esistita in nessun luogo, e così facendo taglia ogni legame col popolo”. È una critica ante litteram al bolscevismo, una critica che diventò profezia per il ‘900. Questa gente “sostanzialmente astratta” scrive in una lettera a Griscenko, esprime “uno sconfinato amore per l’umanità, ma solo se considerata in generale. Ma poi, se l’umanità s’incarna in un uomo concreto, in una persona, allora essi non sono capaci di tollerarla” anzi provano avversione. Analoghi pensieri aveva espresso Giacomo Leopardi sul cosmopolitismo.
In un’altra lettera a Strachov, Fedor fustigava il sogno rousseauiano e illuminista “di rifare daccapo il mondo sulla ragione” o sull’idea di una natura astratta, fino a tagliare le teste, perché è la cosa più facile, non potendo cambiarle. L’amore per l’umanità, scrive Dostoevskij, è inconcepibile senza la simultanea fede nell’immortalità dell’anima. Senza quella prospettiva i legami con la terra si spezzano e la perdita di una vita ulteriore porta al suicidio o al delitto: “perché dovrei astenermi dallo sgozzare il prossimo, dal rubare, o dal rifugiarmi nel mio guscio?” scrive a Ozmidov.
Tesi che lo scrittore ribadì anche al Congresso della Pace di Ginevra, indetto sotto l’egida massonica e socialista (vi partecipò anche Garibaldi). Dure le sue critiche al socialismo che recide tutti i legami e sostituisce la carità con la violenza; ma aspre pure le sue critiche all’usura, con punte antisemite, al potere economico e ai circoli finanziari; alla “barbarie del comfort” e alle elites atee e cosmopolite, “tutti questi liberalucci e progressisti”.
A queste figurazioni del nichilismo Dostoevskij oppone l’idea di un risveglio religioso, nazionale e popolare, un vero e proprio risorgimento dell’anima russa. “Come l’oro si forgia col fuoco”, così non può esserci resurrezione senza croce e senza dolore. Quella terribile visione fa di Dostoevskij un profeta tragico, apocalittico, lontano dall’umanità presente e pure vicino alla ragione più profonda della sua crisi. Di Dio a Fedor restò la sete, il tormento e l’inquietudine. Così si ritrovò riverso per terra, come dopo una delle sue crisi epilettiche, ad aspettare invano la Sua visita e la visione mistica. Profetico Fedor, tra l’attesa di Dio e la visione del nulla. La religione in Dostoevskij costeggia l’abisso, la sua fede è un urlo nero che non smette di scuoterci. Come Dante anche lui attraversò l’Inferno per risalire fino a Dio. Dantoevskij.
MV, La Verità (10 novembre 2021)
di Valerio Benedetti
Berlino, 27 set – Sono stati 16 lunghi anni di monarchia assoluta. Ora, però, Angela Merkel ha dovuto abdicare. E dietro di sé lascia solo macerie. Il suo partito, infatti, ha registrato il peggior risultato di sempre dal 1949. Se già quattro anni fa l’Unione (Cdu/Csu) aveva perso milioni di voti, a questa tornata elettorale i conservatori accusano una perdita ulteriore dell’8,9% delle preferenze. Una catastrofe senza precedenti, che è figlia anche e soprattutto della politica di Frau Merkel.
C’è poco da fare. La Merkel ha partecipato in prima persona alla campagna elettorale al fianco di Armin Laschet, segretario della Cdu e candidato alla cancelleria per l’Unione. Pertanto, è da addebitare anche a lei il flop dei conservatori. Ma il punto è proprio questo: è ancora possibile parlare di «conservatori»? Sì perché la Cdu, dopo 16 anni di monarchia merkeliana, tutto sembra fuorché un partito di centrodestra. Semmai, sembra una forza di centrosinistra. E la responsabilità di questa metamorfosi, appunto, ricade tutta sulle spalle di Angela.
Parliamoci chiaro: se c’è una qualità indiscussa della Merkel è proprio quella di aver saputo «ammazzare» i proprio alleati di governo, rafforzando così la sua supremazia. Prima è toccato ai liberali (Fdp) e poi ai socialdemocratici (Spd) che, dopo quattro anni di condivisione del potere, hanno tutti accusato perdite consistenti di elettori (nel 2013 i liberali non riuscirono neanche a entrare in parlamento). Per far questo, però, la Merkel ha dovuto sacrificare buona parte del Dna della Cdu: per portare avanti la sua agenda economica neoliberale, Angela ha ceduto su temi sensibili come l’immigrazione, i capricci Lgbt, l’ambientalismo gretino ecc., mandando su tutte le furie parte dell’elettorato di riferimento. Che poi ha votato in buona parte i sovranisti dell’Afd, oppure ha preferito rifugiarsi nell’astensionismo. Chi invece voleva immigrazione, capricci Lgbt e ambientalismo gretino ha preferito semplicemente votare l’originale (Spd e verdi) anziché la brutta copia (Cdu).
A sancire la fine della luna di miele tra la taumaturga Merkel e il suo elettorato sono state in particolare due decisioni della «cancelliera»: quello che in Germania chiamano il «salvataggio dell’euro» (cioè l’affossamento della Grecia per salvare le banche tedesche e francesi) e l’apertura scriteriata dei confini nel 2015 per accogliere più di un milione di (presunti) profughi. E così l’Unione è passata dal risultato bulgaro del 2013 (41,5%) alla catastrofe attuale (24,1%). Ora Laschet tenterà in tutti i modi di diventare cancelliere grazie a un accordo con verdi e liberali (la cosiddetta coalizione Giamaica). Il colpaccio potrebbe addirittura riuscirgli. Ma stavolta il potere contrattuale dell’Unione sarà notevolmente più basso, rischiando di logorare ancor di più quel che rimane del partito dei conservatori. O meglio, quel che ha lasciato Angela Merkel: macerie.
L’EDITORIALE DEL LUNEDI su Informazione Cattolica (Rubrica settimanale del nostro responsabile nazionale Matteo Castagna)
di Matteo Castagna
LE IDEE ECOLOGISTE DI GRETA TINTIN ELEONORA ERNMAN THUNBERG, RELATIVE AI CAMBIAMENTI CLIMATICI, AFFONDANO LE RADICI NEL COSIDDETTO PANTEISMO
La figura di Greta Tintin Eleonora Ernman Thunberg sembrerebbe un po’ appannata, certamente in ombra, almeno da quando è iniziata la pandemia. Le sue idee ecologiste, relative ai cambiamenti climatici, affondano le radici nel cosiddetto panteismo.
Il sistema progressista o liberal si è servito di una bambina svedese, con la sindrome di Asperger, per impietosire il mondo e colpirlo nel suo più irrazionale sentimentalismo così da far passare l’ “ideologia green”, che è solo un modo più elegante e mediaticamente carino rispetto al più brutale “panteismo pagano”, che i Verdi non sono mai riusciti a far passare, nonostante decenni di propaganda.
In realtà, il messaggio ecologista di Greta non necessita più di lei, perché grazie a chi se n’è servito, è divenuto un nuovo dogma della post-modernità, che fa parte della rimodulazione dell’economia, della politica, della società e della religione che sarà la conseguenza più evidente del periodo che seguirà il Covid. Se ne parla poco, perché tutto ciò che è “green” viene venduto e percepito da tutti come una cosa buona, a prescindere.
L’uomo d’oggi, perso nel suo assurdo nichilismo, non vede differenze di rilievo tra il disquisire della vita sessuale delle foche e della liceità dell’utilizzo delle staminali umane per produrre farmaci sperimentali. Alle volte, sembrerebbe addolorato fino al pianto per la morte di un cane ed indifferente di fronte alla difesa dell’aborto volontario come diritto umano. Anzi, chi si adopera di fronte alla presunta estinzione del panda viene considerato un eroe, mentre chi lotta perché l’utero in affitto sia riconosciuto come una indegna mercificazione dei bambini è preso per Conan il barbaro.
Sono riusciti nell’intento di impossessarsi della tematica ecologica, trasformandola in ideologia panteista, che identifica Dio nel mondo, a coronamento dell’ illuminismo filosofico e del socialismo politico che identificano Dio nell’uomo. Con la conseguenza che Dio sarebbe nel “tutto” e nel “niente”, annullando, così, ogni riferimento metafisico proprio della nostra identità classico-cristiana.
In realtà, sganciando la tematica relativa al creato dall’ideologia globalista, scopriamo che esiste un vero amore per animali e piante, che è insito nella cultura tramandata da Aristotele e da San Tommaso d’Aquino, che permea la nostra identità e non ha nulla a che vedere con le questioni new age che ci vengono continuamente propinate. Parliamo del dominio che l’uomo ha per natura sugli animali e sulle altre cose prive di ragione. Continua a leggere
di Matteo Castagna (pubblicato su Informazione Cattolica di oggi)
I globalisti, ovvero le sinistre hanno brindato alla vittoria delle elezioni regionali. Eppure, se si vanno a vedere i numeri non sembrerebbe che per i partiti che si riconoscono nel “deep State” la situazione sia propriamente quella prospettata da Di Maio e Zingaretti. Il fronte sovranista, infatti, governa 14 Regioni su 20 e centinaia di comuni, confermandosi largamente maggioritario nel Paese.
Fa tenerezza vedere i grillini esaltarsi della vittoria del “sì” al referendum costituzionale quando il consenso è stato, per loro, impietoso, relegandoli ad avere, quasi sostanzialmente, una rappresentanza parlamentare che, però, risale alle elezioni del 2018.
Mario Mieli, sul Corriere della Sera, ha osservato che la destra in Italia è viva e vegeta nonché che dispone del partito di maggioranza relativa e di un leader che, piaccia o non piaccia, è l’artefice principale di questa fiducia da parte degli italiani. Non possiamo nascondere che vi siano dei problemi, che non vanno osservati ma affrontati. Un grande partito, con degli alleati, deve sapersi assumere l’onere e l’onore dell’esercizio del potere di decidere cosa va e cosa non va, nonché quali persone siano le migliori a dover interpretare il prossimo futuro, sapendo che si vince in squadra.
Un cambio di passo in senso pragmatico verso l’Europa è auspicabile, come auspicato da Giancarlo Giorgetti, laddove questo non significhi mandare a finire in quel che fu Fiuggi per Fini un sovranismo ancora in fase embrionale. Significa, semmai, due cose: andare a definire almeno nei suoi tratti fondamentali, questo benedetto sovranismo e renderlo credibile a governare il Paese, soprattutto attraverso una classe dirigente preparata, nel rispetto delle diverse anime e identità. A Salvini l’arduo compito di fare la sintesi, non certo di farsi da parte, come qualche sprovveduto o rosicone desidererebbe, facendo il gioco, più o meno consapevole, dei globalisti. Sarebbe auspicabile che si comprendesse che il fondamento su cui costruire trova solidità autentica e duratura solo attorno a principi fondamentali e addirittura, ancestrali, post-ideologici che in Occidente, ed in particolare in italia vedono nella cristianità la base di partenza. E’ proprio perché “non possiamo non dirci cristiani” che questa frase è stata fatta propria anche da autorevoli atei ed è la base da riconoscere anche e soprattutto da parte di chi non è cattolico, ma intellettualmente e culturalmente onesto. Le nostre radici classico-cristiane non sono contestabili. Basta guardarsi attorno per capire che sono, oggettivamente, la nostra primaria Identità. Partire da qui sarebbe importante per un processo fondativo da costruire tra uomini e donne che sono certamente peccatori, ma non per forza debbono essere impenitenti. Continua a leggere
Insolitamente, nelle stanze vaticane si parla di “successione”, si fanno strani discorsi, congetture, pare di essere arrivati ad un capolinea. Qualcuno, tra coloro che mormorano ai e tra i potenti prevede un mese di settembre molto caldo Oltretevere, e forse ne avvertiamo le avvisaglie…(n.d.r.)
di Francesco Boezi
In Vaticano ragionano sul futuro della Chiesa. Già da adesso può iniziare la partita per il dopo Bergoglio
Parlare del prossimo Papa con Jorge Mario Bergoglio ancora regnante può essere percepito come un esercizio privo di senso, ma di questi tempi alcune case editrici stanno pubblicando alcuni libri che trattano proprio del “Next Pope”, del consacrato che sarà chiamato a regnare sul soglio di Pietro.
“Perché?”, ci si potrebbe chiedere. Le ragioni possono essere soprattutto due: c’è chi evidenzia che i cardinali non si conoscano tra di loro e quindi abbiano bisogno in anticipo dei profili degli altri porporati per scegliere in futuro, ma c’è anche chi pensa che papa Francesco possa persino dimettersi. Joseph Ratzinger ha aperto una breccia nella storia.
Benedetto XVI ha creato una figura nuova, il pontefice emerito. E nessuno, a ben vedere, può dare per scontato che Joseph Ratzinger rimanga l’unico papa ad optare per quella scelta dopo la rinuncia del 2013.
Quando abbiamo intervistato il vaticanista del National Catholic Register per Inside Over, Edward Pentin ci ha detto che la scelta di lavorare alla sua ultima fatica, “The Next Pope” appunto, è dipesa pure dal fatto che “Ii un conclave, di solito, non è solo il pubblico ad avere poca o nessuna conoscenza del futuro Papa. Forse, sorprendentemente, nemmeno i cardinali che stanno votando per lui. Nell’ultimo conclave del 2013, un cardinale ha dichiarato in modo memorabile di aver trovato confuse le informazioni ricevute e altri si sono lamentati della mancanza di informazioni su chi votavano”. Questa è una delle spiegazioni che riguardano la ratio di una delle pubblicazioni comparse sul prossimo vescovo di Roma. Continua a leggere
di Matteo Orlando per Agerecontra.it
I parrocchiani della Chiesa di San Francesco d’Assisi a Portland, in Oregon, hanno protestato in maniera clamorosa contro il loro parroco accusandolo di volere “distruggere la parrocchia”. Così hanno urlato contro il sacerdote d’origine africana che celebrava la Messa Novus Ordo, hanno sbattuto alcuni tamburelli e suonato altri strumenti per disturbare la sua celebrazione.
Qual è stata la colpa del sacerdote? Volere allineare maggiormente la celebrazione a quanto previsto dai libri liturgici.
Padre George Kuforiji, originario della Nigeria, ha avuto il coraggio di vietare il “linguaggio inclusivo” che prima del suo arrivo veniva proposto nei testi usati nella parrocchia (i suoi predecessori erano arrivati a non fare riferimento a Dio e ai suoi attributi quando risultavano dei termini maschili…). Inoltre padre Kuforiji ha rimosso un panno guatemalteco, tessuto a mano, che era stato usato sull’altare, sostituendolo con un panno bianco per altare per come prescritto dalla Chiesa cattolica. Continua a leggere
L’incontro pubblico è organizzato nella prestigiosa cornice di Castelvecchio a Verona dall’On. Vito Comencini (Lega). Successivamente sarà realizzato un video con intervista, che sarà caricato su Youtube. Inoltre, sabato 15 Settembre all’interno dei TGFlash di TeleNuovo delle 20.30, 23,00 e 01,30 con repliche Domenica 16 Settembre alle 06,15, 07,30 e 08,30 saranno mandati in onda degli spot montati dall’emittente stessa. Lunedì 1 Ottobre alle 17.20 circa, Matteo Castagna sarà ospite della trasmissione di TeleArena “A casa tua” per parlare del libro. Per comprarlo scrivere a christusrex@libero.it lasciando i vostri dati e vi sarà spedito a 17,00 euro comprese le spese di spedizione.
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