Ma quanto piace la razza agli antirazzisti

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di Adriano Scianca

Dal caso di Amanda Gorman alle censure sui Simpson: il politicamente corretto si vuole cosmopolita, ma chissà perché finisce per parlare solo del colore della pelle

Uno dei paradossi della storia dell’Occidente è che, dal 1945 a oggi, in esso non si è mai parlato tanto di razza quanto se ne discute nell’epoca dell’antirazzismo al potere. Non si è mai classificato il reale in base a criteri razziali tanto quanto sta avvenendo nella tarda postmodernità che stiamo attraversando. Non male, per una categoria – la razza, appunto – che «non esiste».

La storia, già molto nota, della poetessa nera americana Amanda Gorman, spiega bene l’isteria in corso. Dopo aver letto la poesia The Hill We Climb alla cerimonia di insediamento di Joe Biden, la scrittrice è diventata famosa in tutto il mondo, generando richieste di traduzione un po’ ovunque nel globo. Nei Paesi Bassi e in Spagna, tuttavia, i traduttori scelti originariamente sono poi stati sostituiti (nel primo caso per un ritiro spontaneo, nel secondo su decisione della casa editrice) dopo un dibattito relativo a – pensate un po’ – il colore della pelle di questi ultimi. Ebbene sì: nel 2021 un bianco non può tradurre un nero. A farne le spese è stata la ventinovenne olandese, bianchissima e biondissima, benché gender fluidMarieke Lucas Rijneveld, che nel 2020 ha vinto l’International booker prize con il romanzo Il disagio della sera.

Bianchi discriminati: questione di «razza»?

La scelta, tuttavia, non sembra essere piaciuta all’ormai leggendario «popolo del Web», che sui social ha cominciato a chiedere una traduttrice di analoga pigmentazione. Non solo: il giornalista Janice Deul, in un commento sul quotidiano olandese Volkskrant, ha scritto: «Senza nulla togliere alle qualità di Rijneveld, perché non scegliere una scrittrice che è – proprio come Gorman – famosa, giovane, donna e impenitentemente nera?». Alla fine la Rijneveld ha annunciato la marcia indietro: «Sono scioccata dal clamore causato dal mio coinvolgimento nella divulgazione del messaggio di Amanda Gorman e capisco le persone che si sono sentite ferite dalla scelta dell’editore Meulenhoff», ha scritto su Twitter, peraltro implicitamente avallando l’assurda logica censoria. Stessa cosa è accaduta in Spagna, ma in modo meno consensuale…

L’avventura di un povero cristiano

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Risultati immagini per Fontamaradi Roberto PECCHIOLI

L’avventura di un povero cristiano fu l’ultima opera letteraria di Ignazio Silone, l’autore di Fontamara. Uscita con grande successo nel fatidico 1968, racconta i convulsi mesi romani e napoletani di Pietro di Morrone, il monaco asceso al papato nel 1294 con il nome di Celestino V dopo lotte intestine di una chiesa corrotta, tornato dopo pochi mesi al suo eremo tra le montagne della Maiella a seguito dell’abdicazione che Dante chiamò “il gran rifiuto”. Silone intese rappresentare nel suo conterraneo abruzzese l’opposizione tra il singolo e la Chiesa, più ancora la divaricazione irriducibile tra l’uomo onesto e il potere.

Avventura quotidiana di poveri cristiani è diventata seguire i percorsi del cattolicesimo in disarmo. Credevamo che nulla potesse più stupirci di quanto esce dalla bocca di esponenti della gerarchia, ma ci sbagliavamo. Nelle ultime settimane hanno suscitato nuovo turbamento e rinnovato sconcerto due episodi significativi. Il primo è la telefonata tra Gianni Vattimo, filosofo marxista, conclamato omosessuale, alfiere del nichilismo postmoderno nell’insidiosa forma del cosiddetto pensiero debole, e l’inquilino di Santa Marta Jorge Mario Bergoglio. Tra i due, il cui approccio è stato forse favorito dalla comune condizione di coscritti della classe 1936, il più concreto è stato il pensatore torinese, il quale, stando alle ricostruzioni, avrebbe proposto al successore (o meglio, all’impostore, n.d.r.) di Pietro di mettersi a capo di una sorta di internazionale contro lo strapotere del denaro. Vasto programma, lodevole e largamente condivisibile, ma certamente distante dalla missione religiosa. Continua a leggere