Categórica y contundente adhesión popular en los referéndums de adhesión a Rusia

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Segnalazione di Diego Pappalardo, amico da anni del nostro gruppo in America Latina

Hoy, martes 27 de septiembre de 2022, concluyeron de un modo exitoso y con un despliegue impecable del dispositivo de seguridad, los referéndums de adhesión en las Repúblicas Populares de Donetsk y Lugansk, como así también en las regiones de Zaporiyia y Jersón.
Los indicadores numéricos y sociológicos hablan a las claras de que el proceso electoral fue acompañado de una alta participación ciudadana y de un ambiente alegre y esperanzador.
Cifras electorales del SÍ por la integración con Rusia:

-República Popular de Donetsk 99,23%
-República Popular de Lugansk 98,42%
-Región de Zaporiyia 93,11%
-Región de Jersón 87.05%

Desde el lugar de los hechos, nuestro compañero, Enrique Refoyo, que integra una de las unidades extranjeras calificadas para  observar la transparencia de los referéndums, nos expresó “En líneas generales, hemos tenido días apasionantes. El desarrollo de los referéndums no estuvo exento de combates, de intentos de sabotaje y de propósitos terroristas, en línea con lo que  Kiev practicó durante los meses anteriores. Y el resultado fue lo que se esperaba. En concreto, las fuerzas de seguridad de Rusia estuvieron atentas y alertas, paliando y desarticulando, en la medida de lo posible, todas esas acciones hostiles”
Consultado sobre la recepción que los referéndums tuvieron en la gente de las regiones de Rusia y, especialmente, en Moscú, Refoyo precisó que la “mayoría de la gente estaba deseosa de que se diera el sí y de que los pueblos y los territorios liberados entrasen a formar parte de Rusia para que haya, en común, un futuro en paz”. Respecto a la valoración de la paz y la carrera por conseguirla, agregó “Porque la paz es el bien más preciado de toda la gente, especialmente, de las repúblicas populares de Donetsk y Luganks, las que han sufrido, en estos ocho años, la guerra civil  impuesta por Kiev, con las expulsiones de sus hogares, los vejámenes  constantes  y la muerte de todas aquellas personas ucranianas que, para Kiev, pertenecerían al ‘mundo ruso’ ya que no representarían el estándar de ciudadano fomentado por Poroshenko y Zelensky.
En definitiva, lo que tenemos aquí, pues, es el resultado de ese odio y esa persecución genocidas contra una parte de sus propios ciudadanos.
La consecuencia es que la población huye de un país que le ataca para integrar el país que siente que es su casa grande, Rusia”.
Terminando su reporte, el Maestro Refoyo informa que la gente de Donetsk, Lugansk, Zaporiyia y Jersón está muy alegre pero que también tiene una cierta incertidumbre, aunque se mantiene confiada en la Patria Grande.
Estos resultados finales manifiestan, inapelablemente, una voluntad genuina, popular y democrática, por parte de las mayorías de esos pueblos de unirse en un todo civilizatorio y geopolítico a la Federación rusa presidida por Vladímir Putin.

Fonte: https://vocesdelperiodista.mx/destacadas/categorica-y-contundente-adhesion-popular-en-los-referendums-de-adhesion-a-rusia/

 

Referendum su cannabis ed eutanasia bocciati dalla Consulta: ecco i quesiti approvati

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Le motivazioni del presidente Amato: “Si faceva riferimento alle droghe pesanti”. Via libera a 5 consultazioni sulla giustizia. Eutanasia, perché il no della Corte 

Roma, 16 febbraio 2022 – La Corte Costituzionale ha bocciato oggi il referendum sulla cannabis, dichiarando inammissibile il quesito che aveva come obiettivo cancellare il reato di coltivazione di questa sostanza, sopprimendo le pene detentive, da due a sei anni. Lo ha comunicato oggi il presidente Giuliano Amato. Respinto anche il quesito sulla responsabilità diretta dei magistrati. Due bocciature che si uniscono a quella di ieri sul tema dell’eutanasia.

PER APPROFONDIRE:

Referendum giustizia, le toghe si sentono assediate. “A rischio la nostra indipendenza”

La Consulta ha promosso invece gli altri 5 quesiti in esame, tutti relativi alla giustizia. Quesiti che gli italiani saranno chiamati a votare tra aprile e giugno, forse con le amministrative: riguardano l’abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità, la limitazione delle misure cautelari, la separazione delle funzioni dei magistrati, l’eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del Csm, il voto degli avvocati nei Consigli giudiziari in caso di deliberazioni sulla valutazione professionale dei magistrati.

Cannabis, dove e come è legale in Italia, Europa e nel mondo

Sommario:

No al quesito sulla cannabis

Giuliano Amato in conferenza stampa ha spiegato così la bocciatura del referendum sulla coltivazione domestica della canapa. “Il referendum non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze che includono papaverococa, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali”. Giustizia, cosa ha approvato la Corte

In merito ai referendum sulla giustizia, promossi da Lega, radicali e nove consigli regionali, la Corte costituzionale ha ritenuto ammissibili i quesiti referendari sull’abrogazione delle disposizioni in materia di valutazione dei magistratiincandidabilità, limitazione delle misure cautelari, sulla separazione delle funzioni dei magistrati, sull’eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del Csm e sulla valutazione dei magistrati. I suddetti quesiti sono stati ritenuti ammissibili perché le rispettive richieste non rientrano in alcuna delle ipotesi per le quali l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario.

CONTINUA SU:  https://www.quotidiano.net/cronaca/referendum-giustizia-cannabis-1.7370155?utm_source=Quotidiano_Net&utm_campaign=25719bd9f5-NL-Qnet&utm_medium=email&utm_term=0_ce4b8c31c3-25719bd9f5-360231198

Green pass, in Svizzera decidono i cittadini: domenica il referendum

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di Alessandro Della Guglia

Roma, 24 nov – Mentre in Italia il governo sta per varare il super green pass, con luoghi ricreativi di conseguenza off limits per i non vaccinati, in Svizzera domenica saranno i cittadini a votare sul certificato verde. Un referendum apposito dunque, con il popolo elvetico chiamato alle urne per pronunciarsi sulle diverse modifiche proposte dall’esecutivo ai provvedimenti anti Covid, tra cui appunto il lasciapassare.

Svizzera, nuovo referendum contro il green pass

La Svizzera è primo Paese al mondo in cui tramite referendum i cittadini potranno pronunciarsi sul green pass, ma non è la prima volta che gli elvetici votano sulle misure restrittive adottate dal governo durante la pandemia. Già il 13 giugno scorso il green pass venne sottoposto a voto popolare e accettato da oltre il 60% dei cittadini. Il primo referendum si è insomma rivelato un boomerang per i promotori, anche se in questo caso i comitati del No contestano la base legale del certificato verde e auspicano in un risultato diverso. Sostengono cioè che il green pass non sia contemplabile in base alla legge svizzera, in quanto palese discriminazione nei confronti di ha scelto di non vaccinarsi. Oltre a presentare un preoccupante tracciamento dei contatti che garantisce alle autorità “una sorveglianza di massa”.

“Preferibili i test”

In prima linea sul fronte del No al green pass, c’è ad esempio Piero Marchesi, deputato ticinese dell’Udc: “Diciamo no a chi vuole imporre la disciplina sanitaria al Paese. Il Covid è la scusa per non affrontare i problemi reali”, ha dichiarato Marchesi in un’intervista rilasciata a La Verità. “Il Covid pass non è una misura sanitaria ma disciplinare, che categorizza i vaccinati e i non vaccinati. Si opti piuttosto per i test, che garantisco davvero che la persona non è infetta e non contagia, quello che invece non può fare il Covid pass”, sostiene il deputato ticinese.

In Svizzera al momento il green pass è obbligatorio per accedere a bar, ristoranti, strutture culturali e manifestazioni al chiuso. Il governo, comunque vada il referendum, non sembra puntare a un “super pass” sulla falsa riga di quanto sta accadendo in Italia. Il tasso di vaccinazione è inoltre nettamente inferiore a quello italiano: 65% della popolazione.

Alessandro Della Guglia

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/green-pass-svizzera-decidono-cittadini-domenica-referendum-215776/

REFERENDUM EUTANASIA, OVVERO LA ‘VITA COMPLETATA’ QUALE REGOLA PER DARSI LA MORTE

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Segnalazione del Centro Studi Livatino

di Mauro Ronco

L’ondata culturale per il riconoscimento giuridico dell’aiuto al suicidio e della morte inflitta deliberatamente con il consenso della vittima (la c.d. eutanasia) è l’effetto di una cultura anti-solidaristica, in cui san Giovanni Paolo II ha visto quasi l’espressione di una vera «cultura di morte»[1]. Se costituisce oggetto di un obbligo morale contrastare la richiesta di erodere la tutela giuridica della vita, non meno importante è comprendere sul piano intellettuale i fattori causali che rendono il corpo sociale disponibile a dare l’assenso a riforme che abbattono gli steccati giuridici a protezione della vita. L’adesione di una consistente porzione della nostra società alla proposta referendaria di abrogare le norme di legge a tutela della vita deve condurre a una riflessione profonda. Il problema, prima che morale e giuridico, è antropologico.

1. La cifra della solitudine nelle vicende eutanasiche. Ilprocesso verso la legalizzazione dell’uccisione su richiesta ha avuto per motore, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, il tema della sofferenza del malato per una patologia incurabile che cagiona forti sofferenze fisiche e psichiche. Questa situazione è stata presentata come il motivo principale della richiesta di essere uccisi. L’inclinazione primaria della persona umana di permanere nell’esistenza, che è rivelata da tutte le potenze del suo essere, è stata talmente logorata dalla malattia e dalla sofferenza, che il desiderio di non più soffrire finisce di prevalere sull’inclinazione naturale.

Il carattere drammatico di questa condizione della vita umana è comprensibile, sicché non può non destare sentimenti di autentica compassione la visione e la conoscenza del fatto che uomini e donne patiscono dolori e sofferenze a causa della malattia. A questa condizione triste di vita non è possibile offrire veri rimedi; tuttavia, la società non deve rimanere indifferente al dolore e alla sofferenza altrui. La medicina ha sempre più progredito nella somministrazione delle terapie che mitigano il dolore con l’uso efficace degli analgesici, al punto che le attuali cure palliative sono oggi patrimonio della medicina e del diritto. La loro promozione per la diffusione in tutte le strutture sanitarie e curative è obbligatoria per la L. 15 marzo 2010, n. 38 (Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore). La sofferenza psicologica può essere – rectius, deve essere – mitigata dall’accompagnamento del malato, nel rispetto della sua essenziale dignità, da parte dei medici e degli addetti alle cure, nonché da parte dei familiari, dei conviventi e degli amici.

I fattori più acerbi di dolore sono infatti il sentimento di abbandono e la condizione di solitudine in cui il malato può venire a trovarsi. La sensazione dell’inutilità; la percezione di essere stato scartato dagli altri e di essere per gli altri soltanto un peso che si sopporta con fastidio e fatica costituiscono per la persona gravemente ammalata la ferita più grande.

Se l’ordinamento offre alle persone vulnerabili la facoltà di farsi uccidere da un medico in modo indolore, il sentimento dell’inutilità si accresce; il desiderio secondo natura di permanere nell’esistenza viene vissuto come una colpa dalla persona fragile, come se tale desiderio fosse frutto di un ingiusto egoismo che sottrae risorse agli altri, ai familiari e all’intera società.

La previsione come lecita e praticabile dell’uccisione su richiesta o dell’aiuto al suicidio recide in modo tragico il rapporto tra l’io e gli altri. Vuol significare: tu sei tutto a te stesso e per te stesso; la tua dignità sta nello stare solo di fronte alla vita o alla morte. Decidi tu per te stesso; noi, per rispetto a te, siamo indifferenti alle tue scelte.

La medaglia dell’autonomia presenta due facce: da un lato, la libertà assoluta; dall’altro, la solitudine e l’abbandono. Si dirà: non è detto che ciò accada. Certamente. Potranno trovarsi persone che non abbandonano il malato. Tuttavia: è il diritto che lo abbandona. Si dirà: il diritto non può imporre la solidarietà. Ma il diritto non deve favorire la solitudine e l’abbandono, erigendo normativamente un simbolo che significa: alla società non importa che tu viva o che tu muoia. La cifra dell’uccisione su richiesta è la solitudine.

2. Verso l’accettazione della teorica del ‘completed life’? La solitudine non riguarda soltanto le persone malate, bensì tutti coloro che si sentono gettati nel mondo senza poter riconoscere un fine per sé, né in vita né al di là della vita terrena.

E’ noto che in Olanda la liberalizzazione dell’uccidere, formatasi per via giurisprudenziale fin dal 1991, è divenuta legge nel 2001 (l. 12 aprile 2001, n. 137). I requisiti dell’uccisione legale sono la richiesta volontaria e la sofferenza insopportabile e senza prospettiva di miglioramento del richiedente. L’area dell’eutanasia legale si è allargata anche agli adolescenti pervenuti all’età di dodici anni, che difficilmente sono in grado di assumere decisioni mature sulla propria morte e, infine, ai neonati fino al compimento del primo anno di età, dei quali, secondo la relazione ministeriale della l. 11 dicembre 2015 (New Regulation on late-term Abortions and Terminations of Lives of Neonates), è ammissibile l’uccisione anche quando, pur non dipendendo la loro sopravvivenza da un trattamento medico intensivo, sia formulabile un giudizio circa le serie difficoltà che incontreranno nella vita futura nell’affrontare la sofferenza.

In Olanda è ora animata la discussione sull’opportunità di compiere un passo ulteriore sulla via eutanasica, rendendo legale l’uccisione o l’aiuto a uccidersi quando la persona dichiara al sanitario che per lui la vita si è completata (teoria del ‘Completed life’).

Nel 2014 il Governo dei Paesi Bassi ha incaricato un Comitato di esperti di fornire un parere in vista di riconoscere l’aiuto al suicidio e l’uccisione su richiesta per coloro che ritengono la loro vita completata e il cui desiderio non potrebbe essere esaudito alla stregua della legge del 2001. Il Comitato, rilevato che il problema non sussiste per coloro che, ritenuto di aver completato il ciclo di vita, sono affetti da sofferenze che presentano anche una dimensione medica – i quali possono già ricorrere oggi senza ostacolo all’uccisione – ha proposto, tra le altre ipotesi, di ricondurre la fattispecie di ‘Completed Life’ sotto lo spettro applicativo della legge che esclude la punibilità.

Nel gennaio 2020 i risultati di una ricerca sociologica sono stati presentati in un’ampia relazione al ministero olandese per la salute, il benessere e lo sport[2]. Lo scopo era quello di esplorare in modo più dettagliato le dimensioni, le caratteristiche e le circostanze degli anziani desiderosi di morire, pur senza malattie gravi. Più di 21.000 adulti di età superiore ai 55 anni hanno completato un questionario completo, e i ricercatori hanno condotto interviste approfondite con decine di persone anziane.

Da questa indagine, i ricercatori hanno stimato che lo 0,18% di tutte le persone di età di 55 anni e oltre desidererebbero terminare la loro vita anche in assenza di malattia grave. La percentuale equivale a poco più di 10.000 persone. I ricercatori hanno anche scoperto che poco più di un terzo di questo gruppo vorrebbe ricevere un aiuto per morire, mentre due terzi preferirebbe terminare la propria vita da soli. Nonostante la grave problematicità della questione, il partito progressista socioliberale Democraten 66 (D66) ha annunciato che avrebbe presentato una proposta per una nuova legge nel 2021.

Iniziative private, peraltro, non ostacolate dall’Autorità giudiziaria, sono all’opera per incentivare la richiesta di morte assicurando all’interessato un procedimento terminativo senza dolore. Lo psichiatra e psicoterapeuta olandese Boudewijn Chabot, dopo aver contribuito, nel periodo antecedente al 1991, all’approvazione della legge eutanasica provvedendo egli stesso a uccidere impunemente i richiedenti la morte, si è dedicato negli ultimi venti anni alla descrizione teorica e alla realizzazione operativa del ‘sogno’ di affrettare la morte degli individui insegnando a loro stessi a uccidersi senza dolore – e senza il controllo medico – con il metodo detto del Voluntary Refusal of Food and Fluid (VRFF), corredato dal sostegno di qualche farmaco a scopo palliativo. L’itinerario proposto è di un morire ‘dignificato’ dalla piena espressione della libertà individuale, facendo prevalere sul ‘fato’ e sulla malattia la ‘dignità’ della persona umana[3].

3. La cifra antropologica del ‘completed life’. La proposta di estendere la proposta eutanasica ai casi di ‘completed life’ è emblematica della cifra antropologica della cultura di morte, basata nella solitudine dell’io che ha smarrito ogni tipo di relazione, con i familiari e con gli amici innanzitutto, e poi con l’intera società. La radice di questo smarrimento è il venir meno dell’idea relativa alla sacralità della vita, che costituisce il vincolo primordiale dell’esistere dell’uomo con l’essere che è il fondamento metafisico dell’esistenza; in definitiva, il venir meno della consapevolezza di essere creatura, cioè un quid unisussistente creato da Dio.

Già si è accennato: l’altra faccia dell’autonomia autoreferenziale, da cui dovrebbe scaturire, secondo gli eutanasisti, la decisione per la morte, è il naufragio del soggetto individuale nella completa solitudine. Ma – insegna San Paolo -: “in effetti nessuno di noi vive per se stesso, né muore per se stesso. Se viviamo, viviamo per il Signore, se moriamo, moriamo per il Signore” (Rom, 14, 7-8). Chi vive per se stesso, recidendo i rapporti con Dio e con gli altri, si avvia a un destino di solitudine e questa è la condizione in cui si alimentano il tedio per la vita, la disperazione e, alla fine, anche il rifiuto del legame ontologico di se stessi con la vita.

4. Esistenza e società secolarizzate sono all’origine del rifiuto della vita. Che il fondamento giuridico della legalizzazione dell’uccidere su richiesta e dell’aiutare a suicidarsi stia nella secolarizzazione dell’esistenza, che segue alla deriva della secolarizzazione del diritto e della società, risulta evidente tanto dai dati empirici tratti dalla condizione secolarizzata della società olandese, quanto dalla giustificazione ideologica che gli eutanasisti forniscono a sostegno della legalizzazione.

Il tema è stato razionalizzato in modo compiuto da Norbert Hoester, filosofo del diritto penale di area linguistica germanica, per il quale non sussiste alcun diritto alla vita in coloro che non sono in grado di manifestare un interesse attuale a proseguire l’esistenza. Egli ha elaborato la teoria dell’interesse come base del diritto alla vita in relazione all’aborto, dapprima in alcuni articoli e successivamente nello scritto Abtreibung im säkularen Staat del 1991[4]. Ha successivamente sviluppato il tema del diritto alla vita con riferimento ai soggetti nei primi mesi di vita nel 1995[5] e, con riferimento a ogni persona, nello scritto Sterbehilfe im säkularen Staat del 1998[6].

L’idea della tutela della vita prenatale poggerebbe esclusivamente sul dogma della creazione divina dell’uomo; pertanto, non avrebbe diritto di cittadinanza nello Stato secolare. I soggetti ancora non nati non posseggono un interesse proprio alla prosecuzione della vita. L’idea cardine del diritto nello Stato secolare sarebbe quella di interesse; il criterio di esistenza dell’interesse è la sua azionabilità. Ove non v’è interesse azionabile, in modo diretto o indiretto, lì non vi sarebbe diritto. Lo Stato secolare, come mero regolatore degli interessi azionabili, in tanto si potrebbe determinare alla protezione di un bene in quanto vi sia un soggetto che rivendichi la tutela di quel bene come interesse proprio. Lo Stato secolare, fondando il diritto esclusivamente sul substrato degli interessi azionabili, è costretto dalla sua logica interna a togliere ogni fondamento oggettivo al diritto e a riconoscere come giusto o ingiusto soltanto ciò che trova sostegno o contrasto nell’interesse attuale di coloro che sono ritenuti partecipi del patto sociale stipulato per la convenienza di tutti.

Gli stessi principi sono affermati nell’ambito della corrente etico-antropologica rappresentata dall’influente bioeticista australiano-americano Peter Singer, sul rilievo che non ogni essere umano è persona e che soltanto la persona ha dei diritti. Egli cancella infatti ogni differenza tra l’uomo e l’animale superiore assumendo che la scoperta di Darwin circa le nostre origini e il declino della “credibilità della narrazione della nostra creazione divina secondo l’immagine di Dio[7] ha sovvertito la tradizionale concezione dell’uomo.

La conclusione di Singer non riguarda soltanto gli infanti attinti da disabilità intellettive irreversibili, che non sarebbero mai capaci di divenire esseri razionali e autocoscienti, bensì riguarda tutti i bambini fino a un certo limite di età. Nessuno infatti può rivendicare il diritto alla vita se non è in grado di concepire se stesso come un’entità distinta che esiste nel tempo. Con ciò Singer perviene al punto nevralgico della sua teoria: il diritto alla vita spetta soltanto a chi è capace attualmente di desiderare di vivere. Chi non può esternare questo desiderio non ha il diritto alla vita. Non hanno il diritto in questione tutti i bambini fino al termine del terzo mese di vita e tutti coloro che si trovano in stato mentale tale da non poter esprimere questo desiderio. La ragione per cui non li si uccide è di carattere utilitaristico. La diversa pregnanza delle ragioni utilitaristiche vale poi per estendere o restringere l’opportunità dell’uccisione di cui Singer discetta a lungo nei suoi scritti.

5. Conclusione. Se il problema è antropologico, come si è cercato sia pur brevemente di dimostrare, allora il contrasto alla legalizzazione dell’uccidere deve essere riscoperto e rivissuto nella corretta comprensione della persona umana come ente creato per un fine naturale e soprannaturale. L’idea esistenzialistica e materialistica che l’uomo si un oggetto gettato nel mondo senza un perché e senza un destino è l’origine remota, anche se forse non consapevole in molti che la accettano, di ogni proposta eutanasica. La riscoperta del bene che è il fine della vita farà germogliare nuovamente quei legami di solidarietà tra gli uomini e le donne che sembrano oggi desolatamente in via di sparizione. Le proposte eutanasiche appariranno allora come destituite di senso. La ferita che esse vogliono introdurre nel più intimo dell’esistenza dell’uomo verrà allora risanata. L’opposizione alla deriva eutanasica troverà nuova linfa ed energia.

Mauro Ronco


[1]  Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 25 marzo 1995, 12.

[2] Van Wijngaarden et al., Perspectivien op de Doodswens bij Voltooid Leven: De Mens en de Cijfers, 2020. I risultati della ricerca, che è esposta in lingua olandese, sono esaminati da Sjaak van der Geest, Prya Satalkar, Thinking about ‘Completed Life’ Euthanasia in the Netherlads from the Generativity Perspective: A Reflexive Exploration, in Anthropology Aging, 2021,vol. 42, No. 1, 128-139.

[3] V., in particolare, B. Chabot, Dying gone astray, Nijmegen, 1996; Id., Taking Control of your Death by Stopping Eating and Drinking, Amsterdam, 2014.

[4] N. Hoerster, Die unbegründete Unverfügbarkeit ungeborenen menschlichen Lebens, in Juristen Zeitung, 1991, 503-505; Id., Haben Föten ein Lebensinteresse?, in Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie, 1991, 385-395; Id., Abtreibung im säkularen Staat. Argumente gegen den § 218Frankfurt am Main, 1991.

[5] N. Hoerster, Neugeborene und das Recht auf Leben, Frankfurt am Main, 1995.

[6] Hoerster, Sterbehilfe im säkularen Staat, cit.

[7] Singer, Practical Ethics, 3° ed., Cambridge, 2011 (1° ed. 1980), 64.

Fonte: https://centrostudilivatino.us18.list-manage.com/track/click?u=36e8ea8c047712ff9e9784adb&id=eda80ead8c&e=d50c1e7a20