Del Debbio e Giordano finiscono in castigo. Ecco come la tv silenzia le voci contro il green pass

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A Mario Giordano e Paolo Del Debbio va la nostra incondizionata solidarietà. Siamo persone che seguono i vostri programmi con interesse. Non è necessario esser sempre d’accordo con i contenuti, ma le domande e i ragionamenti che avete condotto in questi mesi sull’applicazione del green pass e sui vaccini sono, a nostro avviso, il minimo sindacale per chi ha un cervello che non serva solo a sostenere gli occhiali. Questa censura è, a nostro avviso, incredibile perché pietra tombale sulla libertà d’informazione. Finché c’è chi sogna modelli comunicativi che restringano la democrazia, chi è fuori dal coro è destinato al bavaglio. E’ questa l’Italia nata dalla Resistenza? Sentiti alcuni “toni rossi” particolarmente entusiasti per controlli e restrizioni, non c’è da stare allegri…(N.d.R.)  

A proposito, questo pezzo è sul sito di Gianluigi Paragone. Ci è parso scritto bene, in linea col nostro pensiero. Ma non siamo “no vax” né seguaci di Paragone. In Italia è sempre bene specificare per evitare fraintendimenti di menti un pochino disturbate che, poi, fanno danni…(N.d.R.)

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Mario Giordano e Paolo Del Debbio in ‘castigo’ per cinquanta giorni. Sia Fuori dal coro e Dritto e rovescio andranno infatti in paura rispettivamente il 7 e il 9 dicembre per rientrare solo il 25 e 27 gennaio 2022. In sostanza è un mese e mezzo di stop che sappiamo bene come in tv corrisponda più o meno a due secoli e che corrisponde ‘casualmente’ con l’entrata in vigore del ‘super green pass’ e con quella che, in teoria, dovrebbe essere la fine della validità del certificato verde. Non solo: né Giordano né Del Debbio potranno, questo modo, commentare le fasi propedeutiche all’elezione del nuovo presidente della Repubblica.

Piazzapulita, al contrario, saluterà il pubblico il 16 dicembre ma tornerà onda in onda, con molta probabilità, il 13 gennaio (stando a quanto riferisce TvBlog). Stesso calendario varrà per Cartabianca e Di MartedìQuarta Repubblica di Nicola Porro si congederà il 6 dicembre, e il 10 gennaio sarà di nuovo operativo.

Controcorrente terminerà il 19 dicembre per riprendere il 9 gennaio, con Veronica Gentili. Prima ancora riapparirà in schermo Gianluigi Nuzzi con Quarto Grado (17 dicembre – 7 gennaio). Zona Bianca di Giuseppe Brindisi, invece, non conoscerà soste: dall’aprile scorso, non ha saltato neanche una settimana, e intende mantenere questo record. Restano comunque da capire le cause dei due esclusi eccellenti: certo è che visto il periodo ‘prescelto’ per la pausa a pensar male si fa peccato, ma raramente ci si sbaglia …

Fonte: https://www.ilparagone.it/attualita/del-debbio-e-giordano-finiscono-in-castigo-ecco-come-la-tv-silenzia-le-voci-contro-il-green-pass/

Draghi e Lamorgese spietati solo con i no pass

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di Max Del Papa

Draghi ha mandato a reprimere una protesta già sconfitta, quella dei portuali di Trieste. Ha mandato la forza pubblica con gli idranti e Mattarella ha rilasciato la sua improvvida dichiarazione sui disordini inaccettabili. Quali? La Cgil contro i lavoratori, i sindacalisti carrieristi saranno contenti: volevano la repressione e l’hanno avuta, la repressione di chi non ce la fa e non capisce perché la sua vita sia diventata un inferno. Non servivano gli idranti a Trieste, sono stati quella che il questore Pascalino negli anni di piombo definiva “operazione di parata”: mostrare i muscoli, far vedere che l’Italia quanto a durezza non scherza, che i tempi sono cambiati, adesso c’è il superburocrate della Bce che del dissenso ha un’idea chiarissima e i sindacati sono d’accordo, i partiti pure: nessuno ha manifestato solidarietà ai portuali e ai cittadini triestini, che si arrangiassero, non ci provassero più e tutti gli altri prendano nota. Armata Brancaleone quella dei portuali, portavoce stordito quel Puzzer, siamo d’accordo, ma proprio per questo non era il caso di schierare la forza bruta come piace a Prodi il quale dice quello che la dittatura cinese vuol sentire.

Draghi e Lamorgese scortano i rave party, i violenti ufficialmente impediti alle manifestazioni pubbliche come Castellino di Forza Nuova, non si azzardano a toccare i centri sociali che sono focolai di sovversione, ma sui no greenpass sono spietati, applicano il monopolio della violenza teorizzato da Max Weber. Dopo gli idranti, che cosa? Questo regime, ormai è chiaro, lo scontro sociale lo cerca e gli va bene anche il caduto in piazza. Secondo antica consuetudine dello Stato italiano. Non ha tutti i torti Giorgia Meloni a evocare la strategia della tensione, i prodromi ci sono tutti. Ma allora che aspetta l’unica opposizione a farsi sentire?

La differenza rispetto agli anni di piombo è questa, che allora c’erano forze contrapposte, infine saldatasi nella fermezza sulla pelle di Aldo Moro; oggi sono tutti dentro o a lato e non c’è nessuno che sappia o voglia davvero rappresentare la protesta civile, coagularla in un senso politico. Tutti pro vaccini e greenpass a oltranza, come annuncia Draghi: “Fino a che servirà”. Cioè fino a quando parrà a lui. Che manca ancora per concludere che la democrazia in Italia è ampiamente sospesa? Gli Arlecchini di regime insinuano che il lasciapassare “potrebbe” venire ritirato a Natale, omettendo di aggiungere che potrebbe avvenire in concomitanza con nuovi coprifuoco. Ma vogliamo vedere il presente che ci avvolge? Gas + 30%, luce + 40%, benzine + 30%, gas e metano + 30/50%, alimenti + 30/50%; una famiglia su 4 sotto la soglia di povertà, cioè impossibilitata a far quadrare il mese; ci si cura di meno, ci si nutre con alimenti meno sani; nel 2020 oltre trecentomila attività saltate, nel 2021 l’inizio della frana sociale. A fronte di tanto sfacelo, non sei autorizzato a protestare. Se ti azzardi, Draghi ti manda gli idranti e i manganelli e lo fa volendo dare un preciso segnale: il Paese è schiacciato, grecizzato, la UE e la Cina ne dispongano come meglio credono. Ma la Corte dei Conti europea ha appena ammesso che i primi 130 miliardi della transizione verde si sono rivelati inutili, cioè sono andati bruciati. La risposta di Bruxelles è stata esemplare: avanti così, nel 2030 i miliardi da bruciare saranno 1000. Intanto i soldi del recovery, che sono soldi nostri concessi a debito, arrivano col contagocce e a condizioni umilianti che investono sia le riforme strutturali che le forme di regime.

Ma avanti così e per chi non ce la fa c’è la tassazione punitiva, il controllo totale e la polizia in assetto di guerra. Con la claque dei servi e dei provocatori che si esalta, disumanizza chi non si adegua, gode nel “tirare fuori” il greenpass. Ma cosa è questo esibizionismo da feticisti del regime, che cosa ha a che fare con l’informazione? Draghi confida nella propaganda e finirà male come tutti quelli che spezzano la corda a forza di tirarla. Ma per il Paese non andrà meglio. Non va meglio già ora. La stampa mondiale è allarmata per la situazione italiana, una situazione repressiva che non si era mai vista neppure nella fase terroristica. Presto non si potrà più dire, ma siamo allo Stato concentrazionario. Il dissenso schiacciato, le punizioni esemplari, il conformismo fanatizzato, gli artisti e i personaggi pubblici normalizzati, i diritti fondamentali cancellati. La democrazia strozzata.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/draghi-e-lamorgese-spietati-solo-con-i-no-pass/

Una recensione di Marcello Veneziani

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Segnaliamo un articolo di Marcello Veneziani sui rapporti tra massoneria e politica italiana, in particolare col fascismo. Sullo stesso argomento segnaliamo un video di don Ricossa sul tema: ”I Fasci di Combattimento: per quale combattimento?” (seminario di studi alla XIV giornata per la regalità sociale di Cristo, Modena, 12.10.2019): https://youtu.be/S8zQfGvC5V8
 
All’armi siam fascisti, anzi massoni
di Marcello Veneziani
 
In una giornata d’autunno di cent’anni fa un gruppo di giovanotti in abiti borghesi posa davanti al Teatro Augusteo di Roma dove sta nascendo il Partito Nazionale Fascista. Tra loro il ventiseienne Dino Grandi, unico col cappello in testa, il ventiquattrenne Italo Balbo, con la sigaretta in bocca e un bastone, i ventiseienni Giuseppe Bottai e Ulisse Igliori, e il più giovane di tutti, il ventitreenne Curzio Malaparte. Nella foto che segue ci sono i quadrumviri della Marcia su Roma: Michele Bianchi, Cesare Maria De Vecchi, Emilio De Bono, lo stesso Balbo, e i due vicesegretari del Pnf, Attilio Teruzzi e Achille Starace.
Cos’hanno in comune questi signori? Sono fascisti, direte voi, anzi sono il fascismo, Duce a parte. Si, ma non solo: tutti i camerati appena citati risultano affiliati alla Massoneria. Tutti. Di alcuni di loro era noto, di altri no. E sono la quasi totalità della nomenklatura fascista. Non è presente nelle foto ma è presente in spirito e in loggia anche il fascista intransigente per antonomasia, Roberto Farinacci, massone pure lui. E’ impressionante scorrere gli elenchi e le relative qualifiche massoniche nel libro appena uscito di Luca Irwin Fragale La Massoneria nel Parlamento. Primo novecento e Fascismo, edito da Morlacchi University Press.
All’alba del governo Mussolini erano ben 267 i parlamentari affiliati alla Massoneria: una loggia più che un emiciclo. Massoni di riti diversi furono altri nomi importanti nella storia del fascismo: il sindacalista Edmondo Rossoni, il gran ministro Araldo di Crollalanza, il gran giurista Alfredo De Marsico; e Peppino Caradonna, Bernardo Barbiellini Amidei, Aldo Finzi, Balbino Giuliano e Costanzo Ciano, padre di Galeazzo, Alberto Beneduce, il futuro patron dell’Iri e Giacomo Acerbo, autore della legge elettorale che porta il suo nome; Ezio Maria Gray, che sarà poi esponente dell’ Msi, Armando Casalini e tanti altri.
Di massoni ce ne sono anche dalla parte opposta: dal leader dell’opposizione aventiniana Giovanni Amendola al comunista e disertore Francesco Misiano, dal socialista Ivanoe Bonomi al compagno Arturo Labriola, dal futuro partigiano Emilio Canevari al democratico sociale Andrea Finocchiaro Aprile, dal demoliberale Luigi Luzzatti al socialista Corso Bovio, da Pietro Mancini (padre di Giacomo) a Mario Berlinguer, della nota famiglia. E personalità come Vittorio Emanuele Orlando, l’economista Maffeo Pantaleoni, gli scrittori Paolo Orano e Sem Benelli, tanti sindacalisti rivoluzionari. Un elenco infinito. Senza dire dei massoni “esoterici”.
Considerando che quasi tutte le personalità significative del fascismo appartenevano o transitarono per la Massoneria, non si può nemmeno parlare d’infiltrazione, almeno nei primi anni del regime fascista e nel tempo che lo precede. Oltre i casi personali e famigliari, le relazioni e gli opportunismi di carriera o le infiltrazioni strategiche del potere massonico nelle istituzioni e nei partiti, anche più avversi, c’era pure un movente politico e ideale.
I Massoni erano da un verso risorgimentali (Garibaldi, si sa, era un Gran Maestro e la Massoneria ebbe un ruolo decisivo nel processo unitario) e dall’altro erano nemici del Trono e dell’Altare, della Tradizione cattolica, degli Imperi centrali. Il grande evento storico che li unì fu la Prima Guerra Mondiale che da un verso si poneva in Italia come il compimento del Risorgimento e dall’altro verso nasceva contro l’Ancien Regime, le potenze restauratrici del Congresso di Vienna. La Massoneria, già legata al mondo internazionale, liberale e radicale, aprì al nazionalismo e ai sindacalisti rivoluzionari. Anche una parte dei socialisti si convertì all’interventismo: tra loro spicca il compagno Benito Mussolini. Che diventò interventista intervenuto; abbandonò la direzione de l’Avanti! e fondò il Popolo d’Italia. Lo fece con l’aiuto di Filippo Naldi, massone e amico di massoni che sostennero l’impresa. Dal punto di vista ideologico, precursore della svolta interventista mussoliniana fu il compagno avvocato e docente Giuseppe Rensi, filosofo e massone. L’interventismo e la guerra coagularono energie giovanili e anche intellettuali di prim’ordine. Lo stesso D’Annunzio, in odore di massoneria, scrisse col sindacalista e massone Alceste De Ambris la Carta del Carnaro per Fiume e ammise: “Senza l’appoggio incondizionato della massoneria, l’impresa di Ronchi non avrebbe potuto raggiungere il suo obbiettivo”.
Mussolini si avvalse del sostegno massonico ma quando fu al potere se ne volle liberare, anche per le ingerenze franco-inglesi. Vi risparmio la storia raccontata in dettaglio da storici di diverso orientamento, da Gianni Vannoni ad Aldo G.Mola. La svolta fu il delitto Matteotti, con la longa manus della Massoneria nella vicenda. Venne la legge per sciogliere la Massoneria che da allora diventò nemica giurata del fascismo. E vennero gli attentati a Mussolini, ben quattro in pochi mesi. Il primo fu di un deputato socialista e massone, Tito Zaniboni nell’anniversario della Vittoria, il 4 novembre del 1925. Zaniboni finì in carcere e uscirà solo nel ’43. La fece franca invece il confratello generale Luigi Capello, nascosto dai fratelli massoni. Il Concordato con la Chiesa allargò la rottura con la Massoneria.
Alla seduta del Gran Consiglio il fatidico 25 luglio del ’43, otto massoni votarono contro Mussolini; due confratelli furono invece dalla sua parte, Farinacci e Buffarini Guidi. Poi ci fu il governo Badoglio, con tanti massoni. Insomma, la massoneria è alle origini del fascismo e della sua caduta, del regime e dell’opposizione. La storia non si può scrivere in bianco e nero, ha tante sfumature di grigio.
 
 

Il regime della sorveglianza

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Fonte: Marcello Veneziani

Dunque, ricapitoliamo. Non è consentito avere un’opinione difforme in tema di covid e di pandemia, di chiusure e di vaccini rispetto a quelle somministrate dai vettori ufficiali; l’accusa di negazionismo o di no vax, di contravvenire alle regole dei social, della vita pubblica, dell’ordinamento è dietro l’angolo. È poi vietato avere giudizi difformi sulle coppie omosessuali, sulle maternità surrogate, le adozioni gay e in generale sui rapporti omo-trans-lesbiche; chi ha idee diverse, o semplicemente continua a difendere le differenze naturali, la famiglia, la nascita secondo natura e la vita secondo tradizione, entra in una sfera d’interdizione che passa dalla riprovazione al veto. Forti proibizioni sono introdotte da leggi, moniti e censure sui social. In tema di femminismo, diritti delle donne o riguardanti caratteristiche fisiche, etniche, lessicali si innescano processi sommari, a colpi di MeToo, catcalling e affini, che generano separazione e diffidenza tra uomini e donne. È vietato poi chiamare clandestini i migranti irregolari; i rom col nome tradizionale di zingari, i neri con l’appellativo antico di negri, senza alcuna connotazione dispregiativa; per ogni disabilità non vanno usati i termini adoperati da sempre, ma solo diversamente abili. E’ vietato nutrire un’opinione diversa da quella istituzionale in tema di fascismo e antifascismo, di razzismo e di nazismo, di storia e di massacri.

Oltre i divieti ci sono poi le cancellazioni del passato, in termini di amnesia collettiva della memoria storica e rimozione di tanti orrori, autori, imprese, personaggi, storie e pensieri non allineati. Tutto ciò che attiene alla nostra civiltà, tradizione e retaggio va deprecato o va accantonato per non urtare la sensibilità di chi non vi appartiene; bisogna sempre assumere il punto di vista a noi più estraneo e più remoto. Prima gli stranieri, per rovesciare un noto slogan politico fondato sulla preferenza nazionale.

In questa poderosa restrizione di pratiche, linguaggi e opinioni, la libertà consentita è un corridoio stretto e corto che si può percorrere all’interno delle opinioni lecite, in un perimetro assai angusto; appena superi il “range” consentito, coi limiti imposti alle divergenze, scatta la censura, la riprovazione, la denuncia, la condanna o l’isolamento, il cordone sanitario, la morte civile. Continua a leggere

Manifesto dei Migranti Interni

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Questo appello è rivolto a quanti sono nauseati dalla dominazione politica e governativa, intellettuale e ideologica, sanitaria e giudiziaria del nostro Paese e vogliono marinare il regime, come un tempo si diceva marinare la scuola.

É un manifesto dedicato a quanti sono insofferenti del potere vigente e dei palloni gonfiati che lo occupano e al loro abuso dell’emergenza; disgustati dalla mafia governativa, giudiziaria e ideologica che ci sovrasta e dall’omertà delle massime istituzioni; soffocati dall’asfissiante cappa di conformismo politically correct e dalla demagogia umanitaria, in aperto dissenso con le leggi che stabiliscono reati d’opinione a tutela di alcune categorie privilegiate; ma al tempo stesso l’appello è rivolto a quanti sono insoddisfatti dall’evanescente pochezza delle opposizioni e dalla loro inefficacia. Come sfuggire alla morsa velenosa del regime di sorveglianza in cui stiamo scivolando?

Nell’attesa sfiduciosa di una svolta, di un salutare cambiamento, ecco una exit strategy, una via di fuga da perseguire seduta stante, senza mobilitazione di piazza né movimenti politici: la chiamiamo migrazione interna o interiore, emigrazione mentale e sentimentale. Scelta singola, individuale o di gruppo, anche se può diventare una tendenza diffusa. Migrare stando a casa o nei paraggi o in un luogo del cuore a cui siamo legati. Ovvero, il contrario dei flussi migratori che hanno perso l’aspetto storico dell’emigrazione e somigliano all’esodo biblico delle migrazioni di popoli.

La migrazione interna non è una fuga dalla terra natia ma all’opposto, il rifugio nei luoghi natii per ripararsi dalla dominazione presente. Nessun barcone, nessun viaggio clandestino, nessuna Ong e nessuna richiesta di asilo ma lo sdegnoso rifiuto della dominazione sotto cui viviamo, per ripararsi ai margini della città e dello Stato; in campagna, in fattoria, nel paesino d’origine o d’elezione, nelle località di mare o di montagna. Scottati e incoraggiati dal lungo lockdown dei mesi scorsi, desiderosi di sottrarsi a nuovi arresti domiciliari in città, ventilati dall’emergenza, impossibilitati dalle proibizioni sanitarie a partire per mete lontane o destinazioni esotiche, l’unica soluzione è la migrazione interna, restando a casa o nella seconda casa, o trasferendosi nel casale abbandonato, dove siano più lontani i clamori molesti del giorno. È il modo per sfuggire al dispotismo dell’emergenza come alla globalizzazione onnipervasiva. Continua a leggere

Il dogma dell’odio

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di Peppino Zola

Fonte: Tempi

Caro direttore, ogni regime dittatoriale crea uno slogan per rendere appetibile al popolo la privazione della libertà; per rendere accettabile lo Stato totalitario. Stalin proclamava l’ideale del “Nuovo Uomo Sovietico”, mentre programmava i gulag e determinava la morte di qualche milione di russi. Hitler diceva esplicitamente che “dobbiamo essere crudeli, dobbiamo esserlo con la coscienza pulita” e con questa coscienza massacrò milioni di ebrei e diede iniziò alla tragedia di una guerra mondiale. Mussolini faceva scrivere sui muri di tutta Italia il motto “Credere, Obbedire, Combattere”, per convincere gli italiani che valeva la pena perdere la libertà. Pol Pot (troppo frettolosamente dimenticato tra i feroci dittatori del secolo breve) affermava che “la nostra ambizione è di edificare una società in cui la felicità, la prosperità e l’uguaglianza prevalga per tutti” e per soddisfare questa ambizione fece uccidere 3 milioni di cambogiani dal 1975 al 1979.

Anche coloro che si stanno preparando a diventare prossimamente i dittatori totalitari del “pensiero unico” hanno trovato una parola magica, con la quale cercano quotidianamente di porre a tacere ogni libera espressione di pensiero. Si tratta della parola “odio”, con la quale pongono il veto di parola a chiunque voglia legittimamente esporre un pensiero diverso dal loro. Se si sollevano obiezioni circa una certa conduzione dell’Ue, subito scatta l’accusa di “odiare” l’Europa; se si pongono domande circa il drammatico problema dell’attuale migrazione mondiale, scatta l’accusa di “odiare” i migranti; se si vuole ribadire, con tutta la delicatezza del caso, la dottrina cattolica circa l’esperienza sessuale, scatta immediatamente l’orrenda accusa di essere omofobi. Insomma, come mi ha insegnato l’amico Robi Ronza, è stato messo in atto questo meccanismo: se io penso una cosa diversa da te vuol dire che ti odio e questo sta diventando un dogma. È fin troppo facile capire che questo meccanismo uccide in partenza ogni libertà di pensiero e, con essa, ogni possibilità di vero dialogo. Se affermo legittimamente un pensiero diverso dal tuo, sono squalificato in partenza, con un cartellino rosso preventivo. È la morte della libertà e la parola “odio” è il becchino che sotterra il bene più prezioso dato da Dio all’uomo. I nuovi Mussolini scriveranno su tutti i muri d’Italia la parola “odio”, cercando di farci tacere, ma noi non taceremo. Continua a leggere

Cristiani in piazza in Vietnam contro il regime comunista

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Cattolici in piazza in Vietnam, a Binh Thuan, ad Hà Tinh e Vinh, ad esempio, con rosari, bandiere vaticane e striscioni, per protestare contro la concessione di terre ai comunisti cinesi e contro la legge liberticida sulla sicurezza informatica, autentica censura ad Internet: chi si colleghi ai siti cattolici rischia il processo.Già le forze dell’ordine hanno effettuato migliaia di arresti tra i manifestanti in tutto il Paese, il regime ha già minacciato una dura repressione. Il che non ha intimorito la Chiesa: il Vescovo emerito di Kontum, mons. Michael Hoàng Duc Oanh, ha chiesto anche per iscritto al presidente Tran Dai Quang di rispettare la volontà ed i diritti del popolo, di rilasciare quanti siano stati fermati, nonché di mantenere così la pace sociale.

Il Vescovo emerito ha anche criticato i sacerdoti membri dell’Assemblea nazionale, del tutto irreggimentati e per questo espressisi a favore della nuova normativa sul web: «Tradiscono la nostra fede ed il nostro Paese», ha detto il Vescovo. Continua a leggere

Silenzio dei media italiani su Tienanmen: il regime cinese ha vinto

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Corriere, Repubblica e gli altri si sono dimenticati del 29esimo anniversario del massacro in Cina, ma ci hanno parlato dello sciopero contro i robot a Las Vegas, la difesa delle sbronze universitarie da parte del premio Nobel Malala, una nuova bevanda del Giappone, ecc.
di Leone Grotti

(LETTURA AUTOMATICA)

Più di 115 mila persone in piazza per ricordare uno dei più grandi massacri della storia contemporanea ordinati da un regime totalitario contro il suo stesso popolo. È successo a Hong Kong, dove una miriade di giovani e anziani per il 29mo anno consecutivo hanno acceso una candela a Victoria Park per «resistere all’autoritarismo» e condannare il partito comunista cinese, che il 4 giugno 1989 ordinò all’Esercito di liberazione del popolo di massacrare gli studenti riuniti pacificamente in Piazza Tienanmen a Pechino.

NEANCHE UNA RIGA SUI GIORNALI ITALIANI
È un evento. In un mondo dove si accusano i giovani di essere menefreghisti, preoccupati solo dell’istante e privi di memoria storica, a decine di migliaia scendono coraggiosamente in piazza (Hong Kong non è certo libera dall’influenza della Cina continentale) per denunciare uno dei più grandi orrori della storia, frutto di uno dei regimi più sanguinari della storia, e… nessuno ne parla. Sfogliando le pagine dei principali quotidiani italiani si scopre infatti che nessuno oggi ha dedicato neanche una riga all’evento.
Peggio. Corriere della Sera, Repubblica, Stampa, Foglio, Giornale, Libero, Sole 24 Ore, Fatto Quotidiano: nessuno ha trovato spazio – neanche una breve, neanche un box, neanche una foto, neanche una riga – per ricordare il 29esimo anniversario del massacro. Nelle edizioni del 3-4-5 giugno i principali quotidiani italiani hanno dedicato articoli agli argomenti più disparati: lo sciopero contro i robot a Las Vegas, la difesa delle sbronze universitarie da parte del premio Nobel Malala, le critiche all’ex portavoce di Blair perché non faceva i mestieri di casa, il successo delle tribù Ogiek del Kenya e quello della nuova bevanda alcolica del Giappone. Ma sui tragici fatti di Piazza Tienanmen neanche una parola. Continua a leggere