Moody’s avverte: Italia a rischio declassamento del rating

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Segnalazione Wall Street Italia

di Mariangela Tessa

Si addensano le nubi sull’economia italiana su cui ora pesa anche sul rischio di una bocciatura sul credito sovrano da parte di Moody’s. Lo ha preannunciato ieri l’agenzia di rating, spiegando che un probabile declassamento avverràin presenza di un significativo indebolimento delle prospettive di crescita, ma anche per la mancata attuazione delle riforme, comprese quelle delineate nel   Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) del paese. Un altro fattore di declassamento sarebbe un aumento significativo del debito pubblico italiano.

Venerdì scorso Moody’s non ha aggiornato il rating italiano, che è quindi restato a “Baa3”, con outlook negativo. Nonostante la revisione fosse in programma per quel giorno, 30 settembre, diversi analisti avevano previsto l’eventualità che Moody’s scegliesse di non cambiare il rating sull’Italia e prendesse tempo per osservare gli sviluppi politici e la formazione del nuovo Governo.

I rischi al ribasso per Moody’s

Tra i rischi al ribasso citati dall‘agenzia di rating, spicca quello relativo al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). “Se la coalizione di destra che ha vinto le recenti elezioni dovesse tentare di rinegoziare alcuni aspetti del PNRR, ciò probabilmente ritarderà la sua attuazione, esercitando una pressione al ribasso sulla spesa per investimenti in un momento in cui l’inflazione elevata e i rischi per l’approvvigionamento energetico stanno già pesando sull’attività economica”.

Avrebbero un impatto negativo sui rating anche “segnali sull’avvio di una crescita significativa del debito sia a causa di prospettive di crescita sostanzialmente più deboli, sia a causa di un aumento del costo degli interessi o di un concreto allentamento fiscale”.  Inoltre, “politiche fiscali e/o economiche che avessero causato un indebolimento del sentiment del mercato e l’aumento del livello del debito nel medio termine porterebbero anch’esse a pressioni al ribasso dei rating”.

Moody’s sottolinea di ritenere improbabile un miglioramento del rating nel prossimo futuro, ma potrebbe alzare l’outlook “se le istituzioni italiane, le prospettive di crescita e la traiettoria del debito si dimostrassero resistenti ai rischi derivanti dall’incertezza politica, dalla sicurezza energetica e dall’aumento dei costi di finanziamento”.

La dimostrazione che il prossimo governo è impegnato all’attuazione delle riforme strutturali a sostegno della crescita, comprese quelle delineate nel PNRR del paese, porterebbero verosimilmente a una stabilizzazione dell’outlook se accompagnata da un piano credibile di consolidamento fiscale di medio termine che impedisse un aumento significativo del debito”.

 

La storia del gas e dei rubli spiegata facile. Cosa rischia l’Italia

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Putin vuole che i “Paesi ostili” paghino il gas con la valuta russa. Cosa prevede davvero il decreto firmato dallo zar

di Giuseppe De Lorenzo

Vladimir Putin non molla l’ossoEsige che i “Paesi ostili” paghino i contratti di fornitura del gas utilizzando la valuta russa, il rublo. Ma cosa significa questo? Perché lo zar ha dato tale disposizione? E cosa potrebbe succedere a noi, alle nostre imprese e, il prossimo inverno, ai nostri termosifoni? Vi spieghiamo in modo facile, comprensibile e schematico questa specie di guerra nella guerra.

Il conto in Gazprombank

Anzitutto, non è proprio esatto dire che Putin chiede che il gas sia pagato in rubli. I “Paesi ostili” (tra cui l’Italia) potranno pagare ancora in dollari o in euro, a patto che aprano un conto presso Gazprombank, la banca della società governativa erogatrice del metano, che è appunto Gazprom. La quale, proprio affinché fossero comunque assicurate le consegne del combustibile all’Europa, non è stata isolata dai circuiti internazionali tramite le sanzioni. Sarebbe Gazprombank a occuparsi della conversione della valuta, attraverso la Banca centrale russa.

Dal Lussemburgo a Mosca

Come mai Putin vuole che gli Stati Ue aprano un conto in Gazprombank? In primo luogo, bisogna segnalare che gli acquirenti di gas hanno già un deposito situato in una filiale del Lussemburgo. La pietra dello scandalo, dunque, non sono i “conti speciali” invocati da Putin. Il problema è che lo zar pretende che i flussi si spostino verso la sede moscovita di Gazprombank. Per quale motivo?

Aggirare le sanzioni

Il punto è che una banca situata nel Lussemburgo potrebbe essere colpita e isolata da future sanzioni, in caso di prolungamento o inasprimento del conflitto. Per aggirare questo pericolo, dunque, Putin preferisce che il denaro transiti verso la madrepatria e che la partita della conversione sia gestita da Gazprombank con la Banca centrale russa, le cui riserve interne, a differenza di quelle depositate in altre banche centrali estere, inclusa Bankitalia, non possono essere congelate. Insomma, a conti fatti, l’ultimatum dello zar, che minaccia di chiudere già oggi i rubinetti del gas, per noi europei rappresenterebbe più uno smacco politico che una difficoltà tecnica. In realtà, potremmo continuare a versare le somme richieste in euro. E allora? Cosa faranno gli Stati clienti della Russia?

Il no degli europei

Francia e Germania hanno già comunicato che non si piegheranno al diktat di Putin. Paolo Gentiloni, commissario Ue all’Economia, per conto di Bruxelles ha confermato la volontà di non cedere. Linea dura pure da Roma, con Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, il quale assicura che, per il momento, le scorte sono sufficienti e non saranno necessari razionamenti. E trascorso il “momento”?

L’Italia e l’import russo

Ecco, qui casca l’asino: l’Italia rischia tantissimo. Noi importiamo dalla Russia il 40% del nostro fabbisogno di gas, che nel 2021 è stato di 73 miliardi di metri cubi. Sostituire quella quota entro l’inverno è praticamente impossibile, sia aumentando a tempi record la quantità di gas estratto in Adriatico, sia ottenendo più gas dagli altri Paesi fornitori, sia ricevendo lo shale gas americano, che comunque costa circa il 30% in più del gas russo, al netto degli aumenti dell’ultimo periodo. In questo caso, per di più, c’è l’intoppo della rigassificazione, visto che gli impianti funzionanti non bastano e che per realizzarne altri e metterli a regime servono fino a 4 anni (oltre a vari miliardi di euro d’investimenti). E le piattaforme inattive in mare? Pure quelle, non si possono far lavorare a pieno ritmo in un giorno: potrebbero occorrere mesi.

Il problema delle scorte estive
Il problema non si presenterà solo con i primi freddi. Già adesso, infatti, è partita la stagione dei cosiddetti stoccaggi: di solito, in questo periodo, in Italia si accumula gas, acquistato a prezzi inferiori rispetto a quelli invernali, per poi erogarlo alla bisogna. Il guaio, tuttavia, è che agli operatori del settore, con il vertiginoso incremento dei prezzi, non conviene comprare ora: il gas, paradossalmente, costa più oggi che lo scorso inverno. Esistono alcune soluzioni (tra cui l’aumento delle bollette estive), ma il governo finora non ne ha attuata nessuna. Ammesso, ovviamente che la Russia non rifiuti in toto di venderci il metano.
Il piano d’emergenza tedesco

Dunque? La Germania ha già attivato un piano d’emergenza in caso di stop alle forniture russe. Essenzialmente, si tratta di calibrare un programma di razionamenti per evitare di arrivare a limitazioni coatte e caotiche dei consumi e ripercussioni sulle famiglie.

L’ombra dei razionamenti

E l’Italia? Noi siamo in stato di pre allerta da febbraio. Però non è chiaro chi, eventualmente, dovrebbe restare al freddo per primo: si tratta di individuare settori essenziali, dalle imprese agli ospedali, ma pure di fare in modo che i cittadini non congelino nelle loro case. Prepariamoci al peggio.

Giuseppe De Lorenzo, 1 aprile 2022

Fonte: https://www.nicolaporro.it/la-storia-del-gas-e-dei-rubli-spiegata-facile-cosa-rischia-litalia/

 

L’immigrazione incontrollata e il rischio di una guerra civile in Europa

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Segnalazione di Corrispondenza Romana

di Lupo Glori

«La guerra civile sta arrivando in Europa». A scriverlo è il giornalista britannico James Delingpole in un articolo (https://www.breitbart.com/big-government/2018/09/16/delingpole-civil-war-is-coming-to-europe-warns-german-politician/) pubblicato sul portale di news statunitense breitbart.com, in cui l’autore riporta le parole testuali a lui riferite, come si dice in gergo giornalistico, “off-the-record”, da un politico tedesco che ha chiesto di rimanere anonimo.

Delingpole precisa tuttavia come quanto a lui confidato a microfoni spenti dal suo misterioso interlocutore rappresenti in realtà il pensiero di tantissimi cittadini tedeschi, sempre più preoccupati dalla sconsiderata politica di accoglienza della loro cancelliera Angela Merkel, che negli ultimi tempi ha aperto le porte del paese a circa tre milioni di immigrati, la maggior parte dei quali maschi in età da combattimento provenienti da paesi musulmani.

Secondo il giornalista inglese, che ha potuto constatare tutto ciò di persona, avendo recentemente trascorso in Germania due settimane, nelle quali ha potuto osservare e respirare da vicino l’attuale atmosfera tedesca in fatto di immigrazione, vi è una sorta di volontaria, quanto suicida, cecità della maggior parte della popolazione tedesca di fronte all’esistenza di un macroscopico problema di integrazione con gli immigrati musulmani. Continua a leggere

Misteriosa morte di un giornalista che investigava sui finanziamenti di Soros ai gruppi antifa in Europa

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Risultati immagini per Misteriosa morte di un giornalista che investigava sui finanziamenti di Soros ai gruppi antifa in Europa

Sembra ormai sulla via dell’archiviazione la morte del giornalista investigativo Bechir Rabani, che si era infiltrato nei gruppi violenti di sinistra come gli antifa ed era  stato trovato morto nel dicembre 2017, poco dopo aver presentato delle denunce sui finaziamenti occulti del finanziere globalista George Soros a queste organizzazioni.

Bechir Rabani, 33 anni, di origine palestinese, con passaporto svedese, era un giornalista indipendente e blogger molto conosciuto in Svezia per le sue inchieste e per le sue rivelazioni circa le collusioni fra i settori dell’alta finanza e le organizzazioni pro immigrazione che operano in Europa. Alcune delle sue inchieste avevano suscitato reazioni ed attacchi dagli ambienti della sinistra mondialista e dai media ufficiali che lo accusavano di “complottismo”.

I sui amici avevano scritto di lui “”Bechir era un combattente caparbio che ha sperato nella giustizia e che senza esitazione ha difeso tutti quelli che non potevano o non osavano. Ricorderemo Bechir per la sua energia, la sua forza trainante e non da ultimo per il suo lavoro”. Continua a leggere