Un anno di guerra in Ucraina: il bilancio dalla prima alla quarta fase (“trasformativa”)

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di Roberto Buffagni

Fonte: L’Antidiplomatico

In questo scritto ripercorro, con la massima brevità e chiarezza, il percorso e le dinamiche strategiche che hanno condotto alla presente quarta fase della guerra in Ucraina, una fase che ritengo trasformativa. Non inserisco note tranne una, relativa a un significativo studio della RAND Corp., pubblicato mentre elaboravo questo testo, a fine gennaio 2023. Chi desidera informarsi sulle mie analisi precedenti, e trovare la documentazione dei fatti e delle interpretazioni a cui qui mi riferisco, può visitare i siti italiaeilmondo.com e l’antidiplomatico.it, inserendo nella funzione di ricerca il mio nome e la parola “Ucraina”, e/o le altre parole chiave presenti nel testo.
Ringrazio sentitamente il generale Marco Bertolini, lo storico Giacomo Gabellini, e il responsabile del sito italiaeilmondo.com Giuseppe Germinario, che mi hanno usato la bontà di leggere in bozza questo testo e consigliarmi. Ovviamente è solo mia la responsabilità dei difetti e dei limiti dell’articolo.

Eziologia della guerra in Ucraina. Natura e scopi della guerra dai punti di vista russo e occidentale.
Sull’eziologia della guerra in Ucraina condivido l’interpretazione storica del prof. John Mearsheimer. È la conseguenza dell’espansione a Est della NATO, e della volontà statunitense di creare un bastione militare occidentale alla frontiera russa, integrando l’Ucraina nella NATO: una strategia che la Federazione russa ha dichiarato assolutamente inaccettabile sin dal Summit NATO di Bucarest 2008 in cui venne annunciata l’intenzione di integrare nell’Alleanza Atlantica Georgia e Ucraina.
Negli anni tra il 2008 e il 2022, gli USA integrano gradualmente l’Ucraina nella NATO, sebbene de facto e non de jure. Nel 2014 danno impulso alla destabilizzazione del governo in carica e all’insediamento di un governo ucraino a loro favorevole, e negli anni seguenti portano a livello di preparazione e armamento NATO le FFAA ucraine. Nel 2014 la Federazione russa si annette la Crimea, senza conflitto militare. Il 2021 vede una significativa accelerazione del processo di integrazione de facto dell’Ucraina nella NATO: importanti forniture di armamenti, grandi esercitazioni militari in comune, e nel novembre 2022 rinnovo della convenzione bilaterale USA – Ucraina che ribadisce la comune intenzione di integrare l’Ucraina nella NATO anche de jure.
Secondo questa interpretazione eziologica, dal punto di vista russo la guerra in Ucraina è una guerra preventiva in difesa di interessi vitali russi, e non una guerra imperialistica di annessione/conquista che, se coronata da successo, può preludere a ulteriori espansioni territoriali russe in Europa. Quest’ultima è invece la definizione della natura e degli scopi dell’intervento russo adottata dagli Stati occidentali.

Prima fase della guerra (dal 24 febbraio alla primavera 2022). Escalation militare russa: invasione dell’Ucraina. Escalation politica occidentale: rifiuto di ogni trattativa diplomatica.
Nel dicembre 2022 la Federazione russa, che nei mesi precedenti ha schierato alla frontiera ucraina un contingente militare pronto all’intervento, propone agli USA una soluzione diplomatica, nell’insolita forma di bozza di trattato resa pubblica. Le principali richieste russe sono, in sostanza: Ucraina neutrale e applicazione effettuale degli accordi di Minsk per la tutela delle popolazioni russofone del Donbass, dove dal 2014 è in corso una guerra civile appoggiata ufficiosamente dai governi ucraino e russo. Gli Stati Uniti non rispondono alla proposta in forma ritenuta soddisfacente dai russi (rinviano, traccheggiano, ricorrono alla “strategic ambiguity”).
Il 24 febbraio 2022 la Federazione russa interviene militarmente in Ucraina. Non è possibile sapere con certezza perché abbia scelto proprio questo momento. Forse – ma è solo una mia inferenza logica – perché in base alle informazioni in suo possesso, la Federazione russa ritiene che l’esercito ucraino stia per intervenire in forze contro le milizie del Donbass, schierando poi il grosso delle truppe nelle postazioni difensive fortificate ivi costruite nel corso degli anni, in modo da prevenire il possibile intervento militare russo e renderlo molto più difficile, costoso, incerto.
I russi intervengono con un contingente militare di circa 180-200.000 uomini, in condizioni di inferiorità numerica di 3:1 circa rispetto all’esercito ucraino, sebbene i manuali tattici prescrivano una proporzione inversa attaccanti/difensori (almeno 3:1 a favore dell’attaccante, per compensare il vantaggio della difesa). Sviluppano attacchi su cinque direttrici, sia al Sudest, sia al Nordovest dell’Ucraina. Gli attacchi nel Nordovest sono attacchi secondari, un’ampia manovra diversiva volta a fissare truppe ucraine a difesa di Kiev e degli altri centri interessati dalla manovra, per modellare il campo di battaglia nel Sudest, nel Donbass, dove si dirigono gli attacchi principali. Così interpretando la manovra russa aderisco all’articolata interpretazione che ne ha dato “Marinus”, probabilmente pseudonimo del Ten. Gen. (a riposo) Paul Van Riper, Corpo dei Marines, nello studio pubblicato sui numeri di giugno e agosto 2022 della “Marine Corps Gazette”, che ho tradotto in italiano, commentato e pubblicato sui siti citati in apertura.
Nel giro di tre-quattro settimane la manovra diversiva russa ha successo. A fine marzo, le truppe russe che hanno sviluppato gli attacchi secondari nel Nordovest si ritirano, mentre il grosso delle forze russe si schiera in quasi tutto il Donbass, infliggendo pesanti perdite anzitutto materiali all’esercito ucraino grazie alla netta superiorità nella potenza di fuoco d’artiglieria e missilistico. L’azione militare russa evita accuratamente di coinvolgere i civili, non tocca le infrastrutture a doppio uso civile e militare (es., la rete elettrica) e si configura insomma come “diplomazia armata”: i russi tentano di ottenere, con una moderata pressione militare, gli obiettivi che non hanno raggiunto con la pluriennale, crescente pressione diplomatica.
Fino alla fine di marzo 2022 pare che la “diplomazia armata” russa possa avere successo: tra il 24 febbraio e la fine di marzo si tengono sette incontri diplomatici tra Russia e Ucraina, e a fine marzo il presidente Zelensky dichiara ufficialmente a media russi indipendenti di essere pronto a trattare la neutralità dell’Ucraina e la soluzione del problema delle popolazioni russofone del Donbass.

Prima escalation politica occidentale
Ma il 7 aprile 2022 il Premier britannico Boris Johnson fa visita al presidente ucraino Zelensky, e dichiara ufficialmente che “L’Ucraina ha rovesciato i pronostici [“defied the odds”] e ha respinto le forze russe alle porte di Kiev, realizzando il più grande fatto d’armi del 21° secolo “. Da quel momento in poi, cessa ogni rapporto diplomatico tra Ucraina e Federazione russa.
L’interpretazione conforme la quale la piccola Ucraina ha sconfitto sul campo la grande Russia si fonda su una lettura delle prime settimane di guerra radicalmente diversa da quella che ho proposto più sopra. Secondo questa interpretazione, obiettivo russo sarebbe stato la presa di Kiev e il “regime change”, il rovesciamento del governo ucraino e la sua sostituzione con un governo fantoccio favorevole alla Russia, e gli attacchi nel Nordovest sarebbero attacchi principali falliti, non attacchi secondari nel quadro di un’ampia manovra diversiva. È una interpretazione possibile, che se rispondente al vero denuncia una grave inadeguatezza militare e politica della Federazione russa: impossibile raggiungere obiettivi tanto ambiziosi con un dispiegamento di forze così ridotto e una così bassa intensità del conflitto.
Su questa interpretazione dei fatti militari, errata o corretta, in buonafede o strumentale che sia, fanno leva le fazioni più oltranziste nel campo occidentale e nel governo ucraino. Si cristallizza in Occidente la certezza ufficiale che sia possibile infliggere una sconfitta militare decisiva alla Russia, e che sia dunque realistico proporsi obiettivi strategici massimalisti, quali il dissanguamento della Russia e la sua destabilizzazione politica per mezzo sia della pressione militare, sia delle sanzioni economiche, sia dell’attivazione delle forze centrifughe. Obiettivo finale, l’espulsione della Russia dal novero delle grandi potenze, l’insediamento di un governo favorevole all’Occidente, eventualmente la frammentazione politica della Federazione russa.
Questi obiettivi massimalisti vengono rivendicati ufficialmente il 24 aprile dai Segretari alla Difesa e di Stato USA. I paesi europei e NATO, tranne la Turchia e l’Ungheria, si allineano senza fiatare e votano con maggioranze parlamentari schiaccianti durissime sanzioni economiche alla Russia e l’invio di armi all’Ucraina. Le storicamente neutrali Svezia e Finlandia annunciano la loro intenzione di chiedere l’adesione alla NATO.

La “diplomazia armata” russa è fallita.
Seconda fase della guerra (primavera – metà estate 2022). Conquista russa del Donbass. La condizione di possibilità di una vittoria ucraina.
Prosegue con successo la conquista russa del Donbass, con scontri urbani molto violenti, casa per casa, a Mariupol e altrove. Le truppe russe impegnate sulla linea di contatto col nemico sono principalmente le milizie del Donbass, le formazioni di volontari ceceni, e il gruppo Wagner. Le formazioni dell’esercito regolare russo agiscono anzitutto (non solo) in appoggio, con l’artiglieria, i missili e il comando operativo. L’azione militare russa continua a non interessare le infrastrutture a doppio uso, militare e civile, dell’Ucraina.
Il rapporto tra le perdite ucraine e le perdite russe è nettamente sfavorevole agli ucraini, sia per la superiorità della potenza di fuoco russa, sia perché le operazioni militari ucraine sono fortemente influenzate dalla necessità di giustificare, presso i governi e le opinioni pubbliche occidentali, il colossale e quasi unanime sostegno politico e finanziario all’Ucraina, che ha gravi ricadute politico-economiche sui paesi europei, anzitutto la Germania che si vede esclusa dalla fornitura di energia russa a basso prezzo sulla quale basa le sue fortune economiche da decenni.
In sintesi gli ucraini sono costretti a “vendere” con i risultati sul campo, con una inflessibile resistenza e una costante aggressività, la sostenibilità politica dell’indispensabile appoggio occidentale: deve essere e restare plausibile la prospettiva di una futura vittoria militare dell’Ucraina sulla Russia.
Ovviamente la valorosa resistenza ucraina non va ascritta a ciò soltanto: per un’ampia quota della popolazione, il conflitto con la Russia è divenuto una guerra di liberazione nazionale, che si integra con una guerra civile e con una guerra per procura tra Russia e Stati Uniti d’America – NATO.

La condizione di possibilità di una vittoria militare ucraina
La condizione di possibilità una vittoria militare decisiva dell’Ucraina sulla Russia, però, si fonda su un presupposto.
È il presupposto che fa da principio ordinatore della strategia di deterrenza du faible au fort elaborata dal gen. Gallois in vista della creazione della force de frappe nucleare francese: rendere sfavorevole, per il fort (la potenza più forte), il rapporto costi/benefici della vittoria sul faible (la potenza più debole). Impiegando a fondo le sue maggiori risorse, la grande potenza nucleare che aggredisse la Francia potrebbe senz’altro distruggerla totalmente, ma l’attivazione della force de frappe nucleare del faible infliggerebbe comunque al fort danni politicamente inaccettabili.
In parole povere ma chiare: per vincere, la potenza più debole deve fare in modo che per la potenza più forte, il gioco della vittoria non valga la candela di una guerra a oltranza. L’Ucraina è il faible, la Russia il fort.
Anche con l’aiuto occidentale, le risorse strategiche ucraine (popolazione, potenza latente economica, potenza manifesta militare, truppe mobilitate e mobilitabili, profondità strategica) restano di interi ordini di grandezza inferiori alle risorse strategiche russe, perché la Russia ha 145 MLN di abitanti, può mobilitare un massimo di 25 MLN di uomini, ha enormi risorse naturali e la capacità di trasformarle, un’ampia base industriale militare, e una profondità strategica di 11 fusi orari. (“Profondità strategica” è lo spazio amico entro il quale un esercito attaccato e respinto può ripiegare, riorganizzarsi, passare al contrattacco, come fecero appunto i sovietici dopo la devastante serie di sfondamenti della Wehrmacht all’esordio dell’Operazione Barbarossa, quando i sovietici trasferirono oltre la catena degli Urali milioni di uomini e numerose industrie strategiche situate nella Russia europea, e fecero affluire verso il fronte i reparti militari di stanza in Oriente, integrandoli con i reparti sfuggiti agli accerchiamenti tedeschi).
Ripeto: una potenza nettamente più debole può vincere contro una potenza nettamente più forte solo se rende il rapporto costi/benefici della vittoria sfavorevole per la potenza nemica. È una vittoria a caro prezzo (guerra del Vietnam: caduti USA 58.000, caduti Vietnam 849.000 + 300-500.000 dispersi, stime governative) ma è una vittoria possibile.
È così che Vietnam e Afghanistan hanno vinto contro USA e URSS, che disponevano entrambe di risorse strategiche di gran lunga superiori. Se le due potenze maggiori avessero deciso di impegnare a fondo le loro risorse strategiche, Vietnam e Afghanistan non avrebbero potuto evitare una sconfitta totale. USA e URSS non lo hanno fatto perché lo hanno ritenuto politicamente insostenibile: perdite troppo elevate, impegno politico, economico e militare a lunga scadenza inaccettabile, crescente opposizione interna alla guerra, etc. In sintesi USA e URSS hanno deciso di perdere perché hanno valutato che per loro, il rapporto costi/benefici della sconfitta fosse più vantaggioso del rapporto costi/benefici della vittoria.

La posta in gioco per la Russia
Ma gli obiettivi strategici dichiarati ufficialmente dal governo USA e rilanciati da NATO e paesi europei sono obiettivi massimalisti: dissanguamento e permanente indebolimento della potenza economica e militare russa, destabilizzazione del governo, attivazione delle forze centrifughe interne alla Federazione russa, espulsione della Russia dal novero delle grandi potenze, possibile sua frammentazione politica. Particolarmente temibile, per la Russia che si è formata storicamente come impero multietnico, multinazionale, multireligioso, la possibilità di un’attivazione delle forze centrifughe etniche, religiose, nazionali, in uno scenario analogo allo jugoslavo degli anni Novanta.
Gli obiettivi dichiarati dall’Occidente configurano insomma una minaccia esistenziale per il governo, lo Stato, la società e le nazioni russe. I dirigenti russi dunque si persuadono che nella guerra ucraina sia in gioco la posta assoluta, sono disposti letteralmente a tutto per vincerla, e lo dicono ripetutamente in forma ufficiale. Saranno dunque disposti, anzi costretti a impiegare a fondo tutte le risorse strategiche russe per vincere la guerra: per vincere l’Ucraina, ed eventualmente, se si arrivasse a un conflitto diretto, anche la NATO.
Viene così a cadere la condizione di possibilità di una futura vittoria ucraina: che per la Russia il gioco della vittoria sull’Ucraina non valga la candela della guerra a oltranza. Per vincere la Russia, l’Ucraina e i suoi alleati occidentali devono ottenere la vittoria decisiva su una Federazione russa disposta o meglio obbligata ad impegnare a fondo, per tutto il tempo necessario, tutte le sue risorse strategiche: in sintesi, farla capitolare.
Al contempo gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali, impegnandosi pubblicamente a raggiungere obiettivi massimalistici, si chiudono lo spazio di manovra diplomatica e fanno salire fino al cielo la posta politica in gioco per le loro classi dirigenti, che rischiano di essere spazzate via da una sconfitta; malgrado che un esito sfavorevole della guerra non danneggi, in quanto tale, gli interessi vitali delle loro nazioni, nessuna delle quali rischia la destabilizzazione o peggio in seguito a una sconfitta ucraina.
L’unica nazione del campo occidentale che rischia tutto è l’Ucraina, che da una prosecuzione della guerra a oltranza e da una probabile sconfitta può attendersi solo terribili sciagure.

Terza fase della guerra (fine estate – autunno 2022). Successo della controffensiva ucraina. Escalation politica russa: annessione di quattro oblast del Donbass. Escalation militare russa: bombardamento degli obiettivi a doppio uso militare e civile. Guerra di manovra e guerra d’attrito.
Le forze russe si attestano nel Donbass, occupando quasi il 20% dell’intero territorio ucraino e schierandosi su un fronte di 1.500 km circa. Il dispositivo militare ucraino si riorganizza, amplia la mobilitazione richiamando i riservisti ed estendendo la coscrizione obbligatoria fino ai 60 anni, viene rifornito di nuovi armamenti occidentali (in larga misura equipaggiamenti ex – sovietici) in sostituzione di quelli distrutti nelle fasi precedenti del conflitto, viene innervato da un più vasto e intenso coinvolgimento di personale di comando NATO e da una più capillare strutturazione delle funzioni ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance), e nel settembre 2022 sferra una controffensiva in forze con direttrice principale su Kharkiv.
La controffensiva ucraina ha successo. I russi devono arretrare su tutto il fronte, ripiegando più o meno ordinatamente. Motivo: la coperta russa è troppo corta. I reparti russi hanno conquistato vasti territori che non sono in grado di tenere con l’esiguo numero di truppe impegnate nella “operazione militare speciale”. Essi dunque devono resistere ripiegando il più ordinatamente possibile, accorciare il fronte, ridurre i territori da difendere e fortificarli per attestarvisi, riconfigurare il dispositivo militare e rinforzarlo.
La Russia si adatta alla nuova realtà sul terreno. Viene nominato un comandante generale delle operazioni in Ucraina, il gen. Surovikin. Il governo propone alla Duma, che la vota all’unanimità, la mobilitazione parziale di 300.000 riservisti. Vengono mobilitate anche le industrie militari, che lavoreranno su tre turni di otto ore.

Escalation politica russa: annessione dei quattro oblast del Donbass
Il governo propone alla Duma, che nell’ottobre la vota all’unanimità, l’annessione di quattro oblast del Donbass: le regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson, previo plebiscito organizzato dalle autorità di occupazione russe.
È la più decisiva escalation politica di tutta la guerra, perché con essa la Russia si brucia le navi alle spalle e annuncia implicitamente la propria ferma volontà di impegnare a oltranza tutte le proprie risorse strategiche per ottenere la vittoria sull’Ucraina e sui suoi alleati. Per far recedere la Russia dall’annessione, riconsegnando all’Ucraina territori che per la Federazione russa sono formalmente divenuti territorio nazionale, l’Ucraina e i suoi alleati dovrebbero infliggere una sconfitta decisiva a tutta la Federazione russa, e farla capitolare.

Escalation militare russa. Bombardamento degli obiettivi a doppio uso militare e civile
Riconfigurato il dispositivo militare intorno all’unità di comando e consolidato il fronte, mentre si svolge tra varie difficoltà la mobilitazione dei riservisti (è la prima mobilitazione da ottant’anni e l’apparato amministrativo e logistico russo non è pronto; centinaia di migliaia di russi varcano le frontiere per evitare il richiamo) il comandante generale Surovikin decide l’escalation militare. Per la prima volta vengono interessati da una serie incessante di fitti bombardamenti missilistici gli obiettivi a doppio uso, civile e militare, in particolare la rete elettrica ucraina ma in generale le infrastrutture quali ferrovie, fabbriche, depositi di materiale militare e civile, etc. La Russia non prende di mira i civili, ma bersagliando le infrastrutture a doppio uso provoca gravi disagi alla popolazione, compromette il normale svolgimento della vita quotidiana, e ovviamente provoca “danni collaterali”, vittime civili colpite per errore dai suoi missili e dal fuoco contraereo ucraino.
Il gen. Surovikin prende anche la decisione, politicamente difficile e impopolare ma corretta, di abbandonare Kherson, importante centro testé formalmente annesso al territorio nazionale russo, e di far ripiegare le truppe che la occupano sulla sponda meridionale del fiume Dnepr. La decisione operativa consente di non sprecare forze per prevenire una controffensiva in un punto delicato, concentrando invece gli sforzi nel Donbass. Ne conseguiranno vantaggiosi risultati concreti sul campo di battaglia.

Guerra di manovra, guerra d’attrito. L’ esempio storico dell’Operazione Barbarossa
La “guerra di manovra”, in tedesco Bewegungskrieg, “guerra di movimento”, è l’opposto simmetrico della “guerra d’attrito”, Stellungskrieg, “guerra di posizione”. Ogni guerra combina, in percentuali diverse, manovra e attrito. La guerra d’attrito punta a logorare gradualmente le capacità di combattimento del nemico con l’applicazione prolungata e costante di una forza superiore; la guerra di manovra punta a distruggere rapidamente le capacità di combattimento del nemico trovando o creando, e sfruttando abilmente, lo Schwerpunkt, il punto decisivo vitale e debolmente difeso dello schieramento nemico, contro il quale sferrare un rapido, determinante attacco in forze.  Il vantaggio della manovra sull’attrito sembra ovvio: la manovra offre la possibilità di una vittoria rapida e decisiva, ma minaccia anche la possibilità di una sconfitta altrettanto rapida e decisiva, perché attaccare è sempre rischioso e il nemico può sempre dire la sua. Come sottolinea Clausewitz, non esiste la “scienza della vittoria”, e la logica che governa la guerra non è lineare ma paradossale, come illustra il detto romano “si vis pacem para bellum”. La guerra di manovra viene privilegiata degli eserciti che scontano un evidente svantaggio nella guerra d’attrito: eserciti meno numerosi, con capacità materiali o logistiche inferiori a quelle del nemico.
In questa fase il conflitto ucraino, che nelle due fasi precedenti ha visto una combinazione di manovra e attrito, si stabilizza in forma di guerra d’attrito, il tipo di conflitto dove pesa di più la disparità di risorse strategiche tra i contendenti. Nella guerra d’attrito, infatti, quel che più conta per la vittoria è la rispettiva capacità di generare durevolmente forze umane e materiali. È il campo in cui la Russia ha il maggior vantaggio relativo sull’Ucraina.
Accresce il vantaggio russo il fatto politico essenziale che l’Ucraina dipende in tutto e per tutto dall’appoggio occidentale, e che i dirigenti occidentali devono giustificare presso le opinioni pubbliche e l’elettorato il crescente costo politico-economico di questo appoggio. Dunque gli ucraini sono costretti dalla ragion politica a inviare costantemente truppe, anche insufficienti o impreparate, sulla linea di contatto con i russi, mantenendo vivo il conflitto, rinnovando in Occidente l’ammirazione per la loro capacità di resistenza, e alimentando la persuasione che la vittoria finale ucraina sia possibile.
Dal punto di vista militare, in realtà, agli ucraini converrebbe prendersi una pausa, riorganizzare le riserve, rinforzarle e addestrarle, e risparmiare uomini e mezzi in vista di controffensive future. Una potenza dotata di risorse strategiche nettamente inferiori al nemico, infatti, può sperare di vincerlo soltanto con un’abile, aggressiva e rapida, soprattutto rapida guerra di manovra: in una guerra d’attrito, il tempo lavora per la potenza con le maggiori risorse strategiche.
Furono queste considerazioni fondamentali a dettare la forma in cui si è sviluppata e ordinata la potenza militare prussiana prima e tedesca poi, ossia dei maestri di un’aggressiva e rapida guerra di manovra. Sia la Prussia sia la Germania, infatti, hanno dovuto fare i conti con la propria situazione geopolitica: esposizione su più fronti al centro d’Europa, frontiere indifese da ostacoli naturali, limitate risorse naturali e umane; e hanno tentato di risolvere la difficile equazione mettendo a punto un dispositivo militare altamente preparato a condurre con la massima aggressività e perizia rapide guerre di manovra. Esemplari dei successi dello stile germanico le magistrali Blitzkrieg contro Polonia e Francia nella IIGM.  Esemplare, però, anche il fallimento dell’Operazione Barbarossa. La Germania invade l’URSS, ottiene per sei mesi schiaccianti vittorie ma non riesce a provocare il collasso politico e sociale del nemico, e tocca il limite delle proprie capacità logistiche. L’URSS non capitola, si riorganizza, e comincia a generare forze umane e materiali in misura via via crescente e superiore rispetto alle forze che è in grado di generare la Germania.  Saranno necessari quattro anni di durissimo conflitto, ma il destino della Germania è segnato.
Si noti bene che al tempo dell’Operazione Barbarossa tutti gli Stati Maggiori del mondo, abbagliati dai precedenti, splendidi successi tedeschi, davano per scontata la vittoria della Wehrmacht. Essa però avrebbe potuto verificarsi soltanto se l’URSS fosse collassata in seguito ai primi mesi di devastanti sconfitte. L’Operazione Barbarossa è dunque stata un’azzardata scommessa strategica, in cui la vittoria finale dipendeva interamente dal crollo della coesione politica, militare e sociale del nemico. L’Alto Comando tedesco non ha invece tenuto nella dovuta considerazione sia le risorse strategiche attuali dell’URSS, sia, e soprattutto, la sua capacità di generare nuove forze, maggiori delle proprie, per tutto il tempo necessario a concludere vittoriosamente la guerra.
È lo stesso tipo di errore che hanno commesso gli Alti Comandi occidentali in questo conflitto ucraino.
Essi hanno gravemente sottovalutato le risorse attuali della Russia: da questo errore dell’intelligence militare i continui proclami che la Russia starebbe per terminare le sue scorte di missili, proietti d’artiglieria, etc., rivelatisi via via sempre più grotteschi e difformi dalla realtà; hanno gravemente sottovalutato la sua capacità di generare nuove forze umane e materiali nel breve, e nel medio-lungo periodo: di qui l’errata valutazione dell’impatto delle sanzioni economiche sulla Russia, a torto creduto rapidamente incapacitante; hanno gravemente sottovalutato la coesione politica e sociale della compagine russa, la sua volontà di combattere e di stringersi intorno alla bandiera: di qui gli annunci, via via più ridicoli, di un prossimo rovesciamento del governo russo in seguito al dissenso della popolazione e di decisivi settori della classe dirigente.
Quarta fase trasformativa della guerra (fine autunno 2022 – inverno 2022/23). Due fazioni nei centri direttivi statunitensi: escalation o de-escalation del conflitto? Tre fatti significativi. Stime delle perdite ucraine e russe. Previsioni. La doppia trappola strategica.
Ritengo trasformativa la presente fase della guerra perché soltanto in questa fase viene chiaramente in luce la sua natura di doppia trappola strategica.
Nella quarta fase della guerra si verificano tre fatti significativi.

Sabotaggio del Northstream 2
Nel novembre 2022 un sabotaggio subacqueo rende inutilizzabile il Northstream 2, il gasdotto costruito per trasportare il metano russo in Germania attraverso il Mar Baltico, senza passare per l’Ucraina. L’inchiesta entra subito in stallo, per l’impossibilità politica di individuarne gli autori: infatti la logica del cui prodest suggerisce che responsabili ultimi dell’attentato siano gli Stati Uniti. Probabilmente, l’operazione è frutto di una collaborazione tra Royal Navy britannica e forze speciali polacche. Motivo del sabotaggio: nella classe dirigente tedesca crescono le preoccupazioni per i disastrosi effetti a lunga scadenza (progressiva disindustrializzazione della Germania) della cessazione di forniture d’energia russa a buon mercato. Il sabotaggio del gasdotto è un vero e proprio atto di guerra contro la Germania, volto a intimidirla perché si allinei senza esitazioni alla strategia di contrapposizione frontale alla Russia decisa dagli USA. L’intimidazione ha successo. Intimidita la Germania, l’unico Stato europeo che non aderisca perinde ac cadaver alla linea statunitense è la piccola Ungheria; nella NATO, l’unico Stato con un elevato grado di autonomia politica è la Turchia.

Dichiarazioni pubbliche del gen. Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto USA
Nel novembre e di nuovo nel dicembre 2022 il gen. Mark Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto statunitense, rilascia irrituali dichiarazioni pubbliche, invitando all’apertura di una trattativa diplomatica con la Russia, e asserendo che “agli ucraini non si può chiedere di più”. Le dichiarazioni irrituali di Milley sono evidente indizio che nei centri decisionali statunitensi confliggono due grandi fazioni: una incentrata nell’establishment bipartisan che dirige la politica estera, favorevole alla prosecuzione a oltranza della guerra in Ucraina ed eventualmente a una sua escalation; e un’altra, incardinata nel Pentagono, favorevole a una de-escalation del conflitto. Il fatto che Milley comunichi pubblicamente le sue posizioni prova che nel dibattito interno all’Amministrazione USA la posizione del Pentagono è minoritaria e teme di restarlo, e che lo scontro tra le due posizioni è molto aspro.
A ulteriore riprova dell’esistenza di questi schieramenti interni alla direzione statunitense, il recentissimo studio pubblicato dalla RAND Corp., Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict[1], [in nota riferimento bibliografico e traduzione italiana dell’abstract] che analizza, dal punto di vista dell’interesse nazionale USA, i costi di un prolungamento della guerra ucraina, raccomanda la de-escalation, e la cauta instaurazione di un processo diplomatico che porti a una conclusione negoziata del conflitto. La RAND Corporation è un importante e prestigioso centro studi che sin dalla sua fondazione fornisce analisi e progetti soprattutto al Pentagono.

Riconfigurazione della struttura di comando russo, annuncio di riforma delle FFAA russe
Nel gennaio 2023, il governo russo riconfigura il comando militare delle operazioni in Ucraina, e annuncia una più generale riforma strutturale delle sue Forze Armate. Il militare russo più alto in grado, generale Gerasimov, Capo di Stato Maggiore delle FFAA russe, viene insignito del comando generale delle operazioni in Ucraina, mentre il gen. Surovikin riprende il suo precedente ruolo di Comandante delle Forze Aerospaziali. Il governo ristabilisce i distretti militari di Mosca e Leningrado, ordina la formazione di un nuovo gruppo d’armate in Carelia, alla frontiera finlandese, e la creazione di dodici nuove divisioni dell’esercito. Annuncia altresì che entro il 2026 aumenterà le dimensioni del suo dispositivo militare in servizio permanente effettivo, portandole a 1,5 MLN di uomini. Nel contempo, i massimi dirigenti russi iniziano a dichiarare pubblicamente che la guerra in corso in Ucraina è, in realtà, una guerra tra Russia e NATO. Queste inedite dichiarazioni pubbliche hanno anche – come sempre in guerra – una valenza propagandistica interna, ma interpretate alla luce delle riforme militari in corso suggeriscono con un elevato grado di plausibilità che i decisori russi si preparano per il caso peggiore, ossia per un intervento diretto delle forze occidentali nel conflitto ucraino.

Prosegue la guerra d’attrito. Stime delle perdite ucraine e russe
Nel frattempo, sul terreno ucraino la guerra d’attrito continua. Continuano gli attacchi missilistici alle infrastrutture ucraine a doppio uso, civile e militare. Il dispositivo militare russo si consolida sulle posizioni difensive occupate e rafforzate dopo il ripiegamento. Continua e si perfeziona l’addestramento dei riservisti richiamati, e la logistica si adegua gradualmente all’arrivo dei rinforzi e alla prosecuzione degli intensi, costanti attacchi missilistici. I reparti russi sferrano attacchi incrementali sulle linee difensive ucraine, con ridotto impiego di truppe e larghissima, prolungata preparazione d’artiglieria, per limitare il più possibile le proprie perdite. Gli ucraini, intrappolati dalla necessità politica di resistere sempre e comunque e appena possibile attaccare, per giustificare il sostegno occidentale, cordone ombelicale della prosecuzione della guerra, non sono in grado di contrattaccare in forze, ma resistono anche oltre i vantaggi militari della resistenza e subiscono gravissime perdite di uomini e di materiali.
È impossibile, finché dura la guerra, avere dati certi delle perdite. Mentre scrivo, a fine gennaio 2023, fonti occidentali quali Strategic Forecasting, un’importante agenzia di intelligence privata che abitualmente collabora con la CIA, parla di più di 300.000 morti ucraini, per un totale di perdite irrecuperabili intorno ai 400.000 uomini. Le più recenti valutazioni occidentali, non ufficiali, delle perdite irrecuperabili russe parlano di 20.000 morti e 30.000 tra dispersi e feriti gravi. Pur con tutte le necessarie cautele, è abbastanza verisimile che il rapporto tra perdite ucraine e perdite russe si situi tra 10:1 e 5:1. Nelle grandi battaglie della IIGM, il rapporto di perdite tra lo sconfitto e il vincitore fu intorno a 1,3 – 1,5: 1. L’esercito ucraino non sembra essere in grado di preparare, nel prossimo futuro, una controffensiva su grande scala: per l’elevatissimo numero di perdite, soprattutto di ufficiali e sottufficiali veterani; per la scarsità di materiale bellico, nonostante i rinnovati invii di armi occidentali; per la crescente disorganizzazione delle strutture di comando militare; per la crescente, progressiva degradazione delle condizioni economiche e sociali dell’intera Ucraina.

Scelte operative dell’Alto Comando russo. Previsioni.
In sintesi, nella quarta fase della guerra comincia a risultare chiaro che il dispositivo militare russo ha raggiunto, o è sul punto di raggiungere, le condizioni necessarie e sufficienti a imprimere al conflitto la direzione voluta dal suo comando militare e politico.
Ovviamente, solo l’Alto Comando russo sa, o saprà, quale sia questa direzione, ma attualmente esso pare in grado di:
proseguire la guerra d’attrito, applicando costantemente sul dispositivo militare ucraino, e sull’intera società ed economia ucraine, la sua forza superiore: così risparmiando la propria risorsa più preziosa, gli uomini. Gli uomini sono la risorsa russa più preziosa dal punto di vista politico, per evidenti ragioni rafforzate dall’approssimarsi delle elezioni presidenziali russe del 2024. Sono la risorsa più preziosa anche dal punto di vista militare, e in special modo lo sono i veterani, che devono addestrare e integrare nei reparti i riservisti richiamati, nessuno dei quali ha esperienza diretta di una guerra a così alta intensità (non ce l’ha nessuno al mondo tranne chi vi ha partecipato, nell’uno o nell’altro schieramento)
passare all’offensiva su grande scala, su una o più direttrici. Prevedibili obiettivi strategici, l’annientamento progressivo della capacità di combattere dell’esercito ucraino; la riconquista delle porzioni territoriali dei quattro oblast annessi alla Russia, e riprese dall’Ucraina in seguito al ripiegamento russo; l’occupazione e l’annessione alla Russia di Odessa e dell’intero territorio della Novorossiya, in modo da escludere l’Ucraina dall’accesso al mare.
Probabilmente, nelle valutazioni dell’Alto Comando russo sono presenti, e non in secondo piano, le previsioni sulla reazione occidentale all’una e all’altra decisione operativa russa. Proseguire la guerra d’attrito consente alle direzioni occidentali di rinviare le decisioni strategico-politiche su escalation o de-escalation, e probabilmente avvantaggia la fazione favorevole alla de-escalation, dandole il tempo di organizzarsi meglio, trovare alleati, diffondere pubblicamente i suoi argomenti. Passare all’offensiva le obbliga a scegliere in tempi brevi, brevissimi se l’offensiva ha presto un chiaro successo. La fazione statunitense favorevole alla de-escalation è tuttora minoritaria: la situazione sul campo la favorisce, ma le manca l’appoggio aperto di almeno uno tra i più importanti alleati europei.
A mio avviso, per la Russia è vantaggioso evitare un’accelerazione del conflitto, sia per i rischi di fallimento e i costi umani sempre associati alle azioni offensive su grande scala, sia per non servire una carta decisiva al “partito della guerra a oltranza” statunitense, che sull’onda dell’emozione potrebbe iniziare una diretta, formale implicazione di forze occidentali nella guerra; per esempio, il varo di una “coalizione dei volonterosi” come proposto nel novembre 2022 a dal gen. (a riposo) David Petraeus, ossia con truppe polacche, rumene, baltiche, etc. che intervengano sotto la propria bandiera, ma non in quanto membri della NATO, in seguito a una richiesta di aiuto militare del governo ucraino: un escamotage giuridico per evitare un aperto conflitto diretto NATO – Russia, che rischierebbe di interessare anche il territorio statunitense.
Quindi, se devo arrischiare una previsione, penso che la Russia continuerà ancora a lungo la guerra d’attrito.

Vittoria decisiva della sola Ucraina. Vittoria decisiva con intervento diretto occidentale. Possibilità e probabilità
In estrema sintesi, a un anno dall’inizio della guerra risulta chiaro che una decisiva vittoria militare ucraina sulla Russia è materialmente impossibile, per quanto possano proseguire, o anche aumentare, nelle forme attuali, gli aiuti occidentali. La situazione può cambiare solo con un diretto coinvolgimento di truppe occidentali.
Comincia però ad albeggiare il dubbio, anche nelle direzioni politico-militari occidentali, che un diretto coinvolgimento di truppe occidentali nella guerra non basti ad assicurare, o almeno a rendere altamente probabile, la vittoria decisiva sulla Russia. Dubbiosi sono soprattutto i militari: per questo la fazione statunitense favorevole alla de-escalation si incardina sul Pentagono. Motivi:
l’attuale dispositivo militare dell’intera NATO, Stati Uniti compresi, non è concepito e preparato per una guerra convenzionale ad alta intensità contro un nemico capace di condurla, come la Russia. Dalla fine della Guerra Fredda, tutte le nazioni NATO hanno fortemente ridotto i loro eserciti, dismesso gran parte delle strutture logistiche militari, indirizzato la struttura e l’addestramento delle loro FFAA, e la produzione delle loro industrie militari, a conflitti di breve durata contro nemici nettamente inferiori, in genere appartenenti al “Grande Sud del mondo”; una decisione tutto sommato ragionevole, finché la NATO non si è contrapposta alla Russia, che in effetti non la minacciava affatto.
La Russia, invece, ha strutturato le sue FFAA e la sua industria militare in vista di una guerra difensiva contro la NATO, come è nella tradizione storica di un paese che da sempre deve fronteggiare e respingere grandi invasioni del suo territorio. Sinora ha privilegiato la difesa di ultima istanza, la triade nucleare, ma come prova la guerra in Ucraina non ha abbandonato la preparazione convenzionale e la sta rafforzando. Essa ha inoltre guadagnato, in settori decisivi come la missilistica e la difesa contraerea, la superiorità relativa rispetto agli Stati Uniti. Per compensare lo svantaggio ci vogliono anni.
Un riarmo occidentale è molto arduo, il suo esito incerto, i tempi lunghi. I finanziamenti, anche massicci, non bastano: il denaro può comprare solo quel che già esiste, e quel che già esiste non basta. Per far esistere quello che manca, è necessario anzitutto determinare politicamente la strategia di sicurezza collettiva della NATO, un processo molto complicato e difficile anche per la frammentazione dei centri decisionali. Se il nemico principale della NATO è la Russia, è indispensabile, come minimo, e giusto per cominciare: costruire un alto numero di cacciabombardieri da impiegare in appoggio alla fanteria, e in grado di sopravvivere alle difese missilistiche russe; costruire le infrastrutture logistiche necessarie a un’ampia proiezione delle forze in caso di crisi, con la relativa pianificazione; varare un grande programma di difesa antiaerea integrata del territorio europeo; varare un vasto programma di reclutamento e addestramento truppe, in specie di ufficiali e sottufficiali. Al riguardo, è bene tenere presente che la rinuncia da parte di tutti i paesi NATO alla coscrizione obbligatoria ha provocato la perdita di ingenti riserve addestrate alle quali far ricorso in caso di necessità. In sostanza, in caso di una guerra che ci coinvolga, prenda tempi lunghi e sconti perdite rilevanti, mobilitazioni come quelle indette da Mosca e dall’Ucraina sono quasi impossibili, per i paesi dell’Europa Occidentale. Segue un lungo eccetera.
Ovviamente, un diretto coinvolgimento occidentale nella guerra impedirebbe agli Stati Uniti di concentrarsi sul contenimento della Cina, rinsalderebbe l’alleanza di quest’ultima con la Russia, esporrebbe gli USA a una possibile guerra su due fronti contro due grandi potenze nucleari, e aumenterebbe progressivamente il rischio che nel conflitto con la Russia facciano capolino le armi atomiche. Quanto più diretto e intenso il conflitto convenzionale tra due grandi potenze nucleari come Russia e USA, tanto più probabile che il contendente che si credesse esposto a una probabile sconfitta decisiva mediti seriamente di impiegare le armi nucleari.
Altrettanto ovviamente, in un conflitto diretto tra forze occidentali e Russia le perdite occidentali si conterebbero a decine di migliaia, un costo umano difficile da giustificare politicamente.

La doppia trappola strategica
Con l’allargamento a Est della NATO, e insistendo per includervi l’Ucraina, gli Stati Uniti hanno teso una trappola strategica alla Russia, costringendola a scegliere tra due alternative, entrambe molto pericolose nel medio-lungo periodo: accettare il divieto di avere una sfera d’influenza, e la minacciosa presenza di un bastione militare occidentale sulla soglia della Russia europea; oppure intervenire militarmente, assumendosi il grave rischio di un conflitto con la NATO, e compromettendo i propri rapporti politici ed economici con l’Europa. Questa è la prima ganascia della trappola strategica in cui la Russia è entrata ad occhi aperti, dopo aver tentato per quattordici anni di evitarla.
Gli Stati Uniti, però, hanno gravemente sottovalutato le capacità di resistenza e di reazione, militari, economiche, politiche e sociali della Federazione russa, e altrettanto sopravvalutato sia il prestigio deterrente della propria forza, sia le proprie attuali capacità e potenzialità militari ed economiche.  Si trovano dunque a dover scegliere tra due alternative, entrambe molto pericolose nel medio-lungo periodo.
La prima alternativa è la riduzione del danno, una de-escalation del conflitto ucraino che si risolve in una netta sconfitta politico-diplomatica, una pesante perdita di prestigio deterrente, la possibile apertura di faglie di crisi nel sistema di alleanze, e seri contraccolpi politici interni, es. una grave delegittimazione complessiva della classe dirigente.
La seconda alternativa è la fuga in avanti, una escalation a oltranza del conflitto, con l’eventuale – anzi probabile, perché necessario – coinvolgimento diretto di truppe occidentali; il rischio di una guerra convenzionale ad alta intensità per la quale gli USA e la NATO non sono preparati; il possibile futuro interessamento del territorio nazionale statunitense, e in prospettiva, la crescente possibilità di una degenerazione nucleare dello scontro.
Questa è la seconda ganascia della doppia trappola strategica, e ora si richiude sugli Stati Uniti che l’hanno tesa: ma vi sono entrati a occhi chiusi, e solo ora cominciano a vederla.
Ate, la dea che acceca, «da principio seduce l’uomo con amiche sembianze, ma poi lo trascina in reti donde speranza non c’è che mortale fugga e si salvi» (Eschilo, I persiani, 96-100)

[1] Charap, Samuel and Miranda Priebe, Avoiding a Long War: U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict. Santa Monica, CA: RAND Corporation, 2023. https://www.rand.org/pubs/perspectives/PEA2510-1.html

Guerra in Ucraina: quale è la posta in gioco culturale?

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QUINTA COLONNA

di Roberto Buffagni

Fonte: L’Antidiplomatico

Qual è la posta in gioco culturale (spirituale, ideale, ideologica) del conflitto in Ucraina? Semplificando al massimo, cerco di rispondere alla domanda.
Se la Russia vince – se la Russia ottiene gli obiettivi politici limitati per conseguire i quali sta conducendo, con mezzi limitati, una guerra limitata, “vestfaliana” – segna l’inizio della fine dell’ordine internazionale unipolare liberal-democratico a guida USA.
L’ordine internazionale unipolare liberal-democratico a guida USA s’è inaugurato con la disgregazione dell’URSS. Trent’anni fa, sconfitta l’URSS, gli USA restano l’unica grande potenza al mondo: non hanno più nemici che possano minacciarne la sicurezza.
Esso è un ordine internazionale che ha un contenuto ideologico, il liberal-progressismo. È un contenuto ideologico obbligatorio perché sconfitti i suoi avversari storico-ideali (ancien régime, fascismi, comunismo) il liberalismo si conforma al suo concetto, e si manifesta come universalismo politico.
Il liberalismo è universalista perché si fonda sui “diritti inalienabili dell’individuo”. Postula dunque che l’intera umanità è composta da individui, tutti eguali in quanto dotati dei medesimi “diritti inalienabili”. La relazione di interdipendenza tra l’individuo e gli altri individui, tra l’individuo e la comunità politica, tra l’individuo e la dimensione trascendente (Dio) viene omessa o, nel linguaggio lacaniano, forclusa: anche perché famiglia, comunità politica, Dio sono le ragioni e le bandiere del primo avversario storico del liberalismo classico, l’alleanza Trono-Altare ossia la Cristianità europea.
Questa omissione o forclusione conforma il liberalismo alla logica capitalistica, nella quale esistono solo individui: individui produttori e individui consumatori, che si legano astrattamente tra loro mediante lo scambio di merci, compresa la merce-lavoro.
Esempio uno: “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità” (Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, 1776).
Esempio due: “I rappresentanti del popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo.” (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 1789).
Privo di avversari ideologico-politici che possano limitarne la manifestazione nell’effettualità storica, l’universalismo politico liberale, contenuto ideologico dell’ordine internazionale unipolare a guida USA, procede ad ampliarsi secondo la sua logica, e a estendersi all’universale umanità.
Esso tende ad estendersi all’universale umanità, intesa come collezione di individui, mediante la logica capitalistica (globalismo economico) e mediante la politica estera statunitense (globalismo politico). Il centro direttivo USA ritiene che politica estera statunitense e logica capitalistica siano perfettamente compatibili e operino a conseguire lo stesso scopo strategico finale.
La logica strategica dell’ordine internazionale unipolare a guida USA è la graduale creazione, prima de facto, poi de jure, di un governo mondiale. Esso controllerà un insieme di Stati, che gradualmente adotteranno sia la logica capitalistica, sia il regime sociale liberal-democratico dei quali gli Stati Uniti rappresentano il metro campione. Gli Stati Uniti d’America sono il “benign hegemon” mondiale.
La stessa logica strategica sarebbe stata adottata anche dall’URSS, qualora essa avesse vinto la Guerra Fredda e si fossero disgregati gli USA: perché anche il comunismo, come il liberalismo, è un universalismo politico. Ovviamente, il contenuto ideologico di un ordine internazionale unipolare a guida URSS sarebbe stato il comunismo, e non il liberalismo: la somiglianza che qui rilevo è puramente formale, logica.
Il postulato ideologico dell’ordine unipolare liberal-progressista a guida USA è che tutti gli individui componenti l’intera umanità non possono non desiderare che siano affermati nell’effettualità i “diritti inalienabili” di cui sono virtualmente titolari, anche se, magari, ancora non ne sono consapevoli.
Perché questi “diritti inalienabili dell’individuo” si realizzino nell’effettualità storica può essere sufficiente l’adesione alla logica capitalistica del loro sistema economico. Il premio che essa riserba a chi vi aderisca è il benessere, la ricchezza, la modernizzazione scientifica e tecnologica, e il conseguente “empowerment” degli individui, che nel settore politico conduce all’instaurazione di una liberal-democrazia, il regime storicamente e logicamente più conforme alla logica capitalistica.
Le liberal-democrazie sono per definizione pacifiche. Tra liberal-democrazie non si danno guerre. La competizione tra liberal-democrazie si limita alla competizione economica, un importante fattore di sviluppo i cui effetti collaterali indesiderati si possono ridurre con opportuni interventi politico-amministrativi.
Da questi postulati ideologici discende la scelta statunitense di una politica di “engagement” con la Cina.
Secondo logica capitalistica (teoria dei costi comparati di Ricardo) è perfettamente razionale integrare l’economia cinese con l’economia americana. Lo sviluppo economico cinese è poi destinato a trasformare anche la Cina in una liberal-democrazia, dunque in un pacifico partner della liberal-democrazia USA.
Secondo la logica di potenza, invece, con la disgregazione dell’URSS cessa ogni interesse USA all’alleanza con la Cina, che il presidente Nixon stipulò negli anni Settanta in funzione antisovietica. La scelta di favorire lo sviluppo economico della Cina è una scelta autolesionista, un errore strategico di prima grandezza perché la potenza economica è “potenza latente” destinata a trasformarsi in “potenza manifesta” ossia potenza militare.
Gli eventi storici dimostrano che la logica di potenza sconfigge la logica capitalistica. La Cina, già demograficamente fortissima, si sviluppa economicamente, inizia a sviluppare potenza militare, diviene una grande potenza nucleare, non si trasforma in una liberal-democrazia, e si profila come concorrente alla pari degli Stati Uniti, che dal 2017 in poi la designano come avversario principale. Essa può infatti divenire, in un futuro prossimo, egemone regionale dell’Asia Settentrionale.
Risalita dallo sfacelo impostole dalla sconfitta dell’URSS e dal susseguente “periodo di torbidi” provocato dalla introduzione della logica capitalistica nella sua forma più violenta e predatoria, la Russia si ritrova, si dà una direzione politica coesa ed efficace, si stabilizza come grande potenza. La sua “potenza latente” economica è insufficiente, la demografia manchevole, ma la sua “potenza manifesta” militare, convenzionale e nucleare, basta a garantirne l’autonomia politica rispetto all’egemone mondiale statunitense. Essa però, ad oggi, non è in grado di divenire egemone regionale, né lo sarà in futuro a meno che non riesca ad invertire la sua curva demografica e a sviluppare a ritmi cinesi la sua “potenza latente”.
Questa è la situazione odierna: con il sorgere di due grandi potenze politicamente capaci di autonomia, l’ordine internazionale unipolare liberal-democratico a guida USA è oggettivamente finito.
Nei decenni precedenti, e specialmente a partire dagli anni Duemila, gli Stati Uniti procedono ad attuare il loro progetto di uniformazione del mondo (globalizzazione o mondializzazione economico-politica). Vi impiegano tanto la persuasione (“soft power”) quanto la forza militare (“hard power”), combinandole.
L’episodio paradigmatico della combinazione tra soft e hard power nel perseguimento del progetto di uniformazione del mondo è la seconda invasione dell’Irak (2003). Essa si propone l’obiettivo di sconfiggere con le armi lo Stato irakeno, definito una “dittatura”, e di “esportarvi la democrazia”. L’operazione “Desert Storm” è intesa come primo passo di un progetto più ambizioso, che deve estendersi mediante la stessa combinazione di soft e hard power all’Iran e alla Siria, ridisegnando l’intero Medio Oriente.
Il testo che meglio illustra la ratio del progetto è “Shock and Awe: Achieving Rapid Dominance”, di Harlan K. Ullman and James P. Wade[1], 1996.
In estrema sintesi, il progetto Shock and Awe combina una dottrina militare operativa con una dottrina psicologico-culturale. “Shock” significa “trauma”, “Awe” significa “timore reverenziale”, una parola che designa l’emozione travolgente che si prova di fronte alla manifestazione del sublime naturale (tifoni, terremoti, eruzioni vulcaniche) o del divino (apparizioni miracolose della potenza divina). Una buona benché libera traduzione potrebbe essere “Sidera e converti”.
Nel testo di Ullman e Wade infatti si argomenta che l’effetto psicologico sulla volontà del nemico di una tempesta di fuoco che lo soverchi e travolga come un’eruzione vulcanica o una manifestazione del Dio degli eserciti sortisca un effetto di vera e propria “siderazione”. La siderazione traumatica induce “awe”, timore reverenziale, e consente di convertire il nemico: convertirlo al modello di uomo e società portato da chi sa dispiegare tanta inarrivabile potenza (ovviamente la potenza è un attributo divino). Un modello – la liberal-democrazia – che d’altronde, garantendo i “diritti inalienabili dell’individuo”, è conforme a ciò che tutti gli uomini non possono non desiderare per sé, non appena siano liberati dai modelli oscurantisti cristallizzati negli Stati “dittatoriali”, non liberal-democratici. Nel testo si fa espresso riferimento all’esperienza del Giappone, convertito alla liberal-democrazia dopo una campagna di bombardamenti a tappeto terrificante, e suggellata dal lancio di due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
Il progetto del ridisegno del Medio Oriente si risolve in una catastrofe politica, o ovviamente in una catastrofe umana per l’Irak. L’Irak sconfitta sul campo precipita nel caos e nella guerra civile, ed entra nella zona di influenza iraniana.
Un ulteriore progetto di esportazione della democrazia mediante la combinazione di soft e hard power, l’invasione e occupazione dell’Afghanistan, dopo vent’anni finisce anch’esso in una catastrofe politica per gli Stati Uniti, umana per l’Afghanistan.
Il progetto di esportazione della democrazia in Siria si arresta a metà dell’opera per l’intervento russo che sostiene il governo di Bashar El – Assad, e termina con una sconfitta politica degli Stati Uniti, una catastrofe umana per la Siria.
L’unico progetto di esportazione della democrazia che si concluda con un successo politico americano è la frammentazione della Jugoslavia, con la creazione dello Stato del Kosovo, e l’integrazione nella NATO di Slovenia, Croazia e Montenegro. La catastrofe umana provocata dalla guerra civile jugoslava è terribile.
Tranne (forse, è discutibile) il caso jugoslavo, gli altri interventi di esportazione della democrazia USA non rispondono a interessi strategici americani. Secondo logica di potenza, gli Stati Uniti non avevano alcuna ragione di occupare l’Irak, sino ad allora cliente degli USA, o l’Afghanistan, che non poteva minacciare l’India o il Pakistan, o la Siria, che non poteva minacciare Israele e apparteneva invece, storicamente, alla sfera d’influenza russa. Si tratta di guerre puramente ideologiche, decise in quanto conformi a un progetto globale di riconfigurazione economica, politica, culturale dell’intero mondo. (Poi ovviamente nella dinamica della decisione pesano anche gli interessi economici e istituzionali di tutti i centri coinvolti).
Il fallimento catastrofico del progetto di riconfigurazione globale del mondo in un insieme di pacifiche liberal-democrazie capitalistiche guidate dal metro campione di tutte le liberal-democrazie capitalistiche, gli Stati Uniti d’America, e il sorgere delle due grandi potenze cinese e russa, impone una battuta d’arresto finale all’ordine internazionale unipolare liberal-democratico americano, e ne segna la fine nell’effettualità storica.
Inizia a sorgere l’ordine internazionale multipolare.
La guerra in Ucraina, che vede la vittoria militare della Russia e la sconfitta politica degli Stati Uniti, è la prima doglia del parto dell’ordine internazionale multipolare.
La guerra ucraina è tutta – dalle cause lontane, alla conduzione delle operazioni militari, all’esito politico – conforme alla pura logica di potenza. La Russia scende in campo per difendere un interesse vitale: negare a un’alleanza militare straniera la creazione di un bastione alle proprie frontiere. Essa conduce una guerra limitata per obiettivi politici limitati, una guerra “vestfaliana” che non si prefigge di convertire o uniformare a sé il nemico ma semplicemente di impedirgli di nuocere alla propria sicurezza. La Russia cerca la trattativa col nemico in parallelo alla conduzione delle operazioni militari, come da Westfalia al Vietnam si è sempre fatto.
La causa lontana della guerra in Ucraina è l’espansione a Est della NATO. Secondo logica di potenza, essa non è conforme all’interesse strategico degli Stati Uniti, perché provoca inutilmente la Russia, una potenza che non è in grado di diventare egemone regionale sul continente europeo; e perché getta la Russia nelle braccia della Cina, della quale sarebbe rivale naturale (4250 km di frontiera in comune). Nonostante i ripetuti, chiari moniti russi, gli americani perseguono l’espansione NATO sino all’Ucraina, integrandovela de facto se non de jure, e provocano le attuali ostilità.
Quest’ultima forzatura statunitense è anche l’ultima manifestazione della logica dell’ordine internazionale unipolare liberal-democratico.
L’Ucraina è un interesse vitale russo, ma non è un interesse vitale degli USA. Infatti, gli USA si guardano bene (e razionalmente) dall’intervenire militarmente a sostegno dell’Ucraina.
Però, la reazione statunitense all’invasione russa è, su tutti i piani tranne quello che conterebbe davvero ossia il piano militare, violentissima. Contro la Russia, USA e UE scagliano un vero e proprio anatema, quando sarebbe nell’interesse americano (per tacere dell’interesse europeo) limitare i danni provocati dal proprio errore strategico e, in vista del conflitto con la Cina, non alienarsi radicalmente la Russia.
Perché l’anatema? Qual è la posta in gioco, per gli USA?
Per gli USA, la posta in gioco è il prestigio della loro posizione di guida dell’ordine internazionale unipolare. Dico “il prestigio”, perché nei fatti, con il sorgere di due grandi potenze come Russia e Cina, l’ordine internazionale unipolare è già finito.
Quel che non è finito è “il prestigio” di guida di quell’ordine, che gli USA ancora detengono e vogliono conservare.
È infatti questo prestigio che consente agli USA di presentarsi nel mondo come Stato eccezionale, che non conosce né superiori né eguali, e che dunque può pretendere di presentarsi come “giudice terzo” nelle controversie internazionali. Da questo scranno inarrivabile gli USA possono decidere che cosa è giusto, che cosa sbagliato, che cosa bene e che cosa male; quale regime sociale sia accettabile (la democrazia liberal-progressista) e quale inaccettabile (tutti gli altri); possono chiamare le loro guerre “instaurazione dei diritti e della democrazia”, e se le perdono, “sfortunati errori”: mentre le guerre altrui, vinte o perse, sono sempre “crimini”; possono insomma, come Dio nella teologia islamica, decidere a piacer loro se il fuoco debba esser caldo o freddo.
Con la sconfitta politica che conseguirà alla guerra ucraina, questo prestigio degli Stati Uniti, o se si vuole la loro “investitura” di eccezionalità e superiorità, comincerà a logorarsi.
Non può essere “giudice terzo” nelle controversie internazionali uno Stato incapace di eseguire le proprie sentenze.
Non può essere “eccezionale” uno Stato che promette protezione a un suo cliente, lo spinge a confrontarsi con un’altra grande potenza minacciandone un interesse vitale, e poi lo abbandona al suo destino.
Non può realizzare universalmente nell’effettualità i “diritti inalienabili dell’individuo” se rifugge dal confronto militare con una “dittatura” come la Russia, che agisce in conformità alla pura logica di potenza, la quale è sempre particolare, mai universale: perché la ratio della logica di potenza è l’anarchia del sistema-mondo, nel quale ciascuna potenza è costretta a garantire da sé la propria sicurezza, nel conflitto permanente con le altre.
Il prestigio o investitura degli Stati Uniti come guida dell’ordine internazionale unipolare liberal-democratico è il garante, o se si vuole, nel linguaggio della finanza, “il sottostante”, di tutto il pensiero dominante occidentale: “diritti inalienabili dell’individuo”, liberal-democrazia, primazia dell’economico, cosmopolitismo, universalismo politico.
Logoratosi e poi spentosi questo prestigio, deposta questa investitura, il pensiero dominante occidentale smetterà di essere dominante. I luoghi comuni, i riflessi condizionati, le certezze che oggi il pensiero dominante dà per scontate non saranno più scontate. Chi pensa nel mondo occidentale, ossia tutti gli occidentali, pensatori o no che siano, dovranno di nuovo interrogarsi su che cosa è uomo, che cosa è mondo, che cosa è giusto, che cosa è sbagliato, che cosa male e che cosa bene: e dovranno chiedersi “da che punto di vista pensiamo e parliamo”: un punto di vista che non sarà mai più l’unico vero punto di vista da cui guardare il mondo e l’uomo.
Come diceva un orientale,” Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente.”

Come si svolgerà la Fase 3 della guerra in Ucraina?

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di Roberto Buffagni

Boris Johnson al “Financial Times”: “La Russia può vincere, mandiamo tank in Polonia”.

In vista del probabile successo della prossima offensiva russa e della conseguente neutralizzazione delle FFAA ucraine, i britannici, che hanno un ruolo di primissimo piano nella gestione delle ostilità, preparano la fase tre della guerra: finiti gli ucraini, facciamo entrare in campo i polacchi e i baltici.

La fase tre della guerra in Ucraina tra Russia, USA e NATO, si svolgerebbe così.

1. La prossima offensiva, in cui la Russia impiega la sua superiore potenza di fuoco, neutralizza il grosso delle FFAA ucraine oggi fortificate nel Donbass. L’Ucraina non è più in grado di resistere efficacemente. Termina la fase due delle ostilità.

2. Inizio della fase tre. Su richiesta di aiuto militare del governo ucraino (eventualmente rifugiato in esilio) al governo polacco e ai governi baltici, entrano in Ucraina truppe regolari polacche e baltiche, e un contingente di mercenari finti e veri. I mercenari veri sono forniti dalle aziende che forniscono contractors. I mercenari finti sono militari di paesi NATO che si dimettono dalle loro FFAA per non coinvolgere giuridicamente come belligeranti i propri paesi, e vanno a combattere senza mostrine. In Polonia si sta già raccogliendo un contingente che da quanto mi risulta conta già circa 120.000 uomini. Ingenti aiuti finanziari e materiali stanno affluendo in Polonia da USA e NATO.

3. Il contingente polacco-baltico combatte i russi in Ucraina. I russi possono rispondere sul territorio ucraino, ma non possono colpire i centri di comando e logistici del contingente, situati in Polonia e nei paesi baltici, per non entrare in un conflitto diretto con la NATO.

4. Le ostilità in Ucraina tra USA, NATO e Russia, combattute tra FFAA polacche e baltiche e FFAA russe, diverrebbero così interminabili, perché l’afflusso di truppe in Ucraina potrebbe continuare per anni, e la Russia non potrebbe colpirne la sorgente senza entrare in conflitto diretto con l’intera NATO.

5. Lo scopo della fase tre delle ostilità sarebbe: aprire una ferita immedicabile nel fianco della Russia + isolarla politicamente + sfinirla economicamente con il costo delle ostilità che si aggiunge alle sanzioni. In sintesi: dissanguamento della Russia in vista della sua disgregazione politica.

La strategia occidentale sarebbe dunque provocare in Russia:

a) Sfiducia della popolazione nei suoi governanti per l’alto costo umano e materiale della guerra, e l’assenza di una prospettiva credibile di sua conclusione favorevole.

b) Crescenti dissensi all’interno del ceto dirigente russo, cristallizzarsi di una fazione capace di rovesciare l’attuale governo

c) Risveglio e attivazione di forze centrifughe nelle repubbliche che costituiscono lo Stato federale russo, forze sempre latenti in una compagine multietnica, multireligiosa, multiculturale come la Federazione russa.

d) “Regime change”. Rovesciamento del governo attuale, sostituito da un governo debole, incapace di opporsi con fermezza al processo di caotica disgregazione politica della Federazione russa, arrestandolo (v. punti precedenti).

e) Disgregazione politica della Russia, che cessa di essere una grande potenza e viene così neutralizzata come nemico dell’Occidente.

Mi limito a sottolineare i più evidenti rischi di un eventuale SUCCESSO di questa strategia di frammentazione politica della Russia: chi si impadronirebbe dell’arsenale nucleare strategico russo? Quali paesi entrerebbero a occupare l’enorme vuoto geopolitico che si creerebbe? La Cina, per esempio, avrebbe l’assoluta necessità di garantire la sicurezza dei 4.500 km di frontiera con la Russia, e l’evidente interesse di appropriarsi delle ricchezze siberiane.

Ovviamente, l’attuazione di questa strategia, coronata o meno da successo, implicherebbe la riduzione dell’Ucraina a campo di battaglia permanente, con l’annichilimento della sua economia, il dilagare dell’anarchia e della criminalità, e un deflusso imponente di milioni di profughi. L’Ucraina diverrebbe una espressione geografica abitata dal caos.

Da quel che sono riuscito a capire dalle varie fonti primarie e secondarie consultate, il governo russo è persuaso che la strategia politico-militare occidentale sia questa che ho appena delineato: in sostanza, la replica ai danni della Russia del processo che condusse alla disgregazione politica della Jugoslavia. Penso che anche la popolazione russa se ne stia persuadendo, sia per l’effetto della propaganda governativa russa, sia, soprattutto, per la sconsiderata demonizzazione del popolo e dell’intera cultura russa messa in atto dai paesi occidentali, il cui evidente sottotesto è “voi russi siete disumani e meritate solo di essere distrutti e rieducati”.

Se questo è vero come credo, per la Russia la posta in gioco è letteralmente la sopravvivenza. Sopravvivenza dell’integrità politica e territoriale della Federazione russa, sopravvivenza della continuità storica e culturale della Russia, e, per finire, sopravvivenza personale dei componenti l’attuale governo e dei suoi sostenitori che non lo tradiscano. Ne consegue che la Russia si difenderà impiegando tutte le sue risorse materiali e morali: dichiarazione formale di guerra all’Ucraina, legge marziale, mobilitazione dei riservisti e coscrizione di massa, economia di guerra, se necessario impiego dell’arsenale atomico tattico e strategico; disponibilità a rispondere a un allargamento del conflitto alla NATO e agli Stati Uniti, eventualmente a provocarlo se costrettivi dalle necessità militari.

La prospettiva che ho delineato non è una certezza: è una possibilità, ma una possibilità nient’affatto improbabile coeteris paribus, ossia se non intervengono fattori di mutamento significativi nella situazione politico-militare: ad esempio, un fallimento dell’offensiva russa così completo da indurre il governo russo a cessare le ostilità, o una rottura del fonte politico occidentale.

Ritengo estremamente improbabile che la Russia incontri un fallimento militare così catastrofico da indurla a cessare le ostilità: sia per le risorse di cui dispone, sia per l’entità della posta politica in gioco: la cessazione delle ostilità in seguito a sconfitta sul campo destabilizzerebbe il governo russo, probabilmente provocandone la sostituzione con un governo revanscista.

Il fronte politico occidentale può essere rotto solo da un paese europeo importante, come Francia, Germania o Italia. Se uno di questi paesi adottasse, nel proprio interesse nazionale e nell’interesse dell’Europa tutta, la linea scelta dall’Ungheria di Orbàn, sarebbe estremamente difficile, per non dire impossibile, attuare la strategia di destabilizzazione e disgregazione politica della Russia.

Avverrà?

Le probabilità sono scarse, ma la possibilità c’è. Già ora Francia e Germania cominciano ad accorgersi del danno devastante che subirebbero applicando alla lettera le sanzioni che hanno pur votato. La Germania si rifiuta di inviare “armi offensive” all’Ucraina, per evitare la classificazione di “cobelligerante” (il diritto internazionale permette di inviare “armi difensive” senza divenire cobelligeranti del paese destinatario). Nelle Cancellerie europee, insomma, qualcuno comincia a riflettere sulle decisioni sconsideratamente prese nell’immediato, senza valutarne le gravi e anche gravissime conseguenze, sotto la pressione americana e per un riflesso condizionato del moralismo ideologico ufficiale condiviso dalle classi dirigenti UE.

Speriamo.

https://t.me/intelslava/26477

 

Sulla seconda fase delle ostilità in Ucraina

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di Roberto Buffagni

Fonte: Italia e il mondo

Nel video linkato in calce[1], il giornalista e documentarista italiano Giorgio Bianchi, che dal 2014 segue il conflitto in Ucraina, riporta quanto gli ha detto nel Donbass una fonte di alto livello e degna di fede del campo russo.

E’ notevole che il contenuto riportato da Bianchi coincida con quanto scritto da Gilbert Doctorow il 14 aprile[2] nel suo articolo The Russian Way of War – Part Two. Doctorow è uno storico americano, collaboratore dell’American Committee for U.S.-Russia Accord (ACURA)[3] del quale fu cofondatore il professor Stephen Cohen[4] (Princeton University), uno dei maggiori studiosi della Russia sovietica e post-sovietica.  Oggi Doctorow è residente a Bruxelles. Per decenni ha studiato la Russia e lavorato colà per imprese occidentali, come consulente. Ha dunque una vasta rete di relazioni in Russia.

I punti essenziali riportati da Bianchi sono:

  1. La Russia non prende in considerazione la possibilità di perdere questa guerra.
  2. Il campo occidentale ha chiarito che non intende trattare, ma anzi prolungare il più possibile la guerra per indebolire la Russia.
  3. Le sanzioni hanno già quasi raggiunto il massimo possibile.
  4. La demonizzazione della Russia da parte del campo occidentale è totale.
  5. Le FFAA russe hanno subito serie perdite.
  6. Dunque, non è più interesse russo continuare a condurre una guerra limitata, con mezzi limitati, per obiettivi limitati raggiungibili mediante trattativa diplomatica parallela alle operazioni militari.
  7. La Russia quindi ha deciso di impiegare tutti i mezzi a sua disposizione per raggiungere la vittoria sul campo, forse previa dichiarazione formale di guerra all’Ucraina.

Chiarisco il punto 1. Per la Russia, “perdere questa guerra” significa “interrompere le ostilità senza essersi assicurati gli obiettivi minimi dichiarati”, ossia a) Donbass indipendente b) neutralizzazione militare Ucraina c) neutralizzazione milizie armate nazionaliste radicali. I rapporti di forza oggettivi tra Ucraina e Russia fanno sì che la Russia possa “perdere questa guerra” solo se interrompe le ostilità con una decisione politica. Coeteris paribus, ossia se la NATO non interviene direttamente nel conflitto, è impossibile che la Russia subisca una sconfitta militare, se prosegue le ostilità. È incerto soltanto comequando e a quale costo la Russia vincerà militarmente.

Chiarisco il punto 2. Che il campo occidentale non intenda favorire una trattativa tra Ucraina e Russia è chiarissimo, e non abbisogna di spiegazioni. Aggiungo una mia congettura. Secondo me la dirigenza russa ha concluso che gli Stati Uniti intendono prolungare il più possibile la guerra in Ucraina, per indebolire la Russia in vista di un obiettivo strategico: frammentazione della Russia sul modello jugoslavo. Ritengo che dal punto di vista russo, la strategia complessiva americana è quella di attaccare contemporaneamente i suoi maggiori avversari, Russia e Cina, al fine di riconfermare la propria egemonia mondiale. La Russia è il primo obiettivo perché è la più debole. Probabilmente gli Stati Uniti pensano anche che in caso di frammentazione della Russia, la Cina potrebbe essere associata agli Stati Uniti nella spartizione del bottino, e ricondotta a una (provvisoria) partnership con gli Stati Uniti.

Un indizio a suffragio di questa congettura sono gli articoli che linko in calce. Il primo è di Ray McGovern, ex analista CIA a capo per la sezione Unione Sovietica. Tema: rapporto Cina-Russia. È solido? I russi hanno informato i cinesi dell’invasione? Hanno ottenuto il loro consenso?[5] McGovern argomenta che sì, il rapporto Russia – Cina è più che solido, e che i cinesi erano al corrente dell’invasione.

Il secondo, su “Foreign Policy” è di Matthew Kroenig, vicedirettore dell’Atlantic Council’s Scowcroft Center for Strategy and Security, uno dei più importanti think tank USA. Il titolo parla da sé: Washington Must Prepare for War With Both Russia and China/ Pivoting to Asia and forgetting about Europe isn’t an option[6]. L’accesso all’articolo è pagamento. Ma il terzo articolo che linko, di Deborah Veneziale, The U.S. is preparing war with China and Russia at the same time[7] analizza l’articolo di Kroenig e ne cita ampi stralci. Cosa assai interessante, è stato scritto per un pubblico cinese e pubblicato su “Guancha”[8].

Se la mia congettura è corretta, la Russia ritiene che in questo conflitto sia a rischio la propria sopravvivenza, e dunque è disposta a battersi fino alle estreme conseguenze, compreso uno scontro diretto con la NATO e l’impiego delle armi nucleari. Faccio notare che anche qualora il campo occidentale non intendesse perseguire questi scopi strategici, e la Russia avesse equivocato le intenzioni americane, per prevedere che cosa farà la Russia contano soltanto le percezioni russe.

Per concludere. Sinora, la Russia ha condotto una guerra limitata, con mezzi limitati, per raggiungere obiettivi limitati con una trattativa diplomatica parallela alle ostilità. Il quadro giuridico in cui si svolgono le ostilità è quello dell’aiuto militare alle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, la cui indipendenza è stata riconosciuta dalla Duma russa prima dell’inizio dell’invasione: è per questo che i russi chiamano le ostilità “operazione militare speciale” e non “guerra”.

È probabile che prima di passare alla seconda fase delle ostilità, la Russia dichiari formalmente guerra all’Ucraina, per cambiare il quadro giuridico del conflitto, sia all’interno, sia all’esterno del paese. Non conosco la legislazione russa e dunque non sono in grado di valutare l’importanza del cambiamento del quadro giuridico tra “operazione militare speciale” e “guerra” formalmente dichiarata. In Italia, la differenza sarebbe decisiva.

In ogni caso, è probabile che nel prossimo futuro assisteremo a una forte, progressiva escalation del conflitto in Ucraina.

Come profetizzato dal professor John Mearsheimer sin dal 2015[9], l’Ucraina subirà immani distruzioni e gravi perdite civili. Per sventare questa tragedia, questa “inutile strage”, basterebbe che un paese europeo importante rompesse il fronte occidentale e promuovesse un ridisegno del sistema di sicurezza europeo che tenga conto delle esigenze russe. Temo che non accadrà.

[1] https://youtu.be/0Wtxd7Ay8Cs

[2] https://gilbertdoctorow.com/2022/04/14/the-russian-way-of-war-part-two/?fbclid=IwAR0qsuDV38Tzaxk2rv4mGqh_n_sIc4nX836D5qg7xkNMcfVPI3EXJsyw2dc

[3] https://usrussiaaccord.org/

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Stephen_F._Cohen

[5] https://original.antiwar.com/mcgovern/2022/04/03/the-late-deceased-paradigm-on-russia-china/

[6] https://foreignpolicy.com/2022/02/18/us-russia-china-war-nato-quadrilateral-security-dialogue/

[7] https://mronline.org/2022/02/27/the-u-s-is-preparing-war-with-china-and-russia-at-the-same-time/

[8] https://www.guancha.cn/DeborahVeneziale/2022_02_26_627801.shtml

[9] https://youtu.be/JrMiSQAGOS4

Vademecum: la disinformazione, che cos’è e come funziona

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di Roberto Buffagni

Fonte: Italia e il mondo

Premessa generale: il linguaggio umano si differenzia da tutti gli altri perché è capace di mentire.

In questo vademecum che mi accingo a scrivere, esporrò brevemente le caratteristiche principali della disinformazione. Il tema è vastissimo, io non sono uno specialista e questo non sarà un trattato: sarà un agile e breve manualetto, appunto un vademecum, che si propone il modesto scopo di aiutare il lettore a riconoscere la disinformazione e a evitarla, insomma a non abboccare. Saranno benvenuti critiche, obiezioni, aggiunte e suggerimenti dei lettori.

Cominciamo dal principio, con una classificazione elementare dei tipi di disinformazione.

I tipi fondamentali di disinformazione sono: lo stratagemma, l’intossicazione, la propaganda bianca, la propaganda nera, l’influenza.

  1. Stratagemma. Esiste da sempre. Nel combattimento individuale è la finta: finti col sinistro, l’avversario si scopre per parare, colpisci col destro; nel combattimento tra formazioni è la diversione: attacchi con un reparto a est per attirare colà il nemico, colpisci con il grosso delle tue forze a ovest. I greci abbandonano l’assedio, si allontanano sulle navi (nascondendole dietro l’isolotto di Tenedo), lasciano sulla riva il cavallo di legno (farcito di armati), i troiani esultano, eccetera. Questo celebre stratagemma contiene anche un’intossicazione (v. 2) perché i greci fanno credere ai troiani che il cavallo sia un’offerta ad Atena, ciò che li persuade a trasportarlo in città.
  2. Intossicazione. Rifilare al nemico dei falsi segreti. Nella definizione lapidaria del colonnello André Brouillard (Pierre Nord, artista francese del controspionaggio) “consiste nel far credere all’avversario quel che dovrebbe credere per precipitare nella sconfitta, militare o politica”. Hitler fa credere a Stalin che nel corpo ufficiali sovietico si cospira con la Germania per rovesciare l’URSS: Stalin fa giustiziare metà del corpo ufficiali. Gli Alleati vogliono sbarcare in Sicilia, fanno trovare ai tedeschi, al largo delle coste spagnole, un cadavere di ufficiale inglese: nelle sue tasche, prove indiziarie di un prossimo sbarco in Grecia. Hitler sposta in Grecia una parte delle truppe e del naviglio stazionato in Sicilia. Il principio dell’intossicazione è: ingannare il nemico in merito alla fonte dell’informazione.
  3. Propaganda bianca. La propaganda bianca consiste nel ripetere, molte volte e con molte variazioni: “Noi siamo meglio di voi”[1]. Il limite intrinseco della propaganda bianca è che dichiara la sua fonte. Siccome il bersaglio della propaganda è il nemico o l’avversario politico, va dato per scontato che egli nutrirà un pregiudizio sfavorevole riguardo al suo contenuto, cioè che ne diffiderà. Il fatto che la propaganda bianca sia veritiera può essere utile, ma non sempre risolutivo (non scrivo “mai” perché il cinismo è pericoloso in questo campo, menoma l’immaginazione). Guerra fredda: la propaganda bianca del campo anticomunista dice che l’Occidente è più ricco e più libero del campo comunista povero e dispotico, la cosa è effettivamente vera ma non persuade i comunisti e i loro simpatizzanti del campo occidentale, compresi fior d’intellettuali che potrebbero sapere come stanno le cose, o addirittura concretamente lo sanno, ma riescono a convincersi che non stanno così. Ai cittadini sovietici la propaganda bianca non arriva, o arriva in dosaggi insufficienti. Sintesi: la forza di penetrazione psicologica della propaganda bianca è limitata; per essere efficace, la propaganda bianca deve affidarsi alla quantità e alla ripetizione incessante: in questo somiglia ai bombardamenti terroristici “a tappeto” impiegati dagli Alleati nella IIGM, non diretti a obiettivi militari ma a intere popolazioni civili. La propaganda bianca “a tappeto” ottiene risultati sia perché diventa impossibile sfuggirle, sia soprattutto perché produce effetti di siderazione nel bersaglio. “Siderazione” significa paralisi delle capacità volitive in seguito a choc; la siderazione induce spesso timore reverenziale di fronte alla potenza sovrumana che si dispiega e ci colpisce, come di fronte a un’epifania della divinità[2]. Esempio contemporaneo: l’effetto frastornante e suggestivo delle tempeste mediatiche che ci bersagliano quando l’emittente della propaganda bianca ha una posta rilevante in gioco. Esempio, una guerra da legittimare, una competizione elettorale importante di cui vuole teleguidare il risultato, etc.
  4. Propaganda nera. La propaganda nera si differenzia dalla propaganda bianca perché mente sulla sua origine. Non è identica all’intossicazione, perché mentre l’intossicazione mira a far credere all’avversario una singola informazione, la propaganda nera mira a diffondere sfiducia nel campo avversario, per abbatterne il morale. Esempio: l’inglese Sefton Delmer, nella IIGM, crea diverse stazioni radio che si presentano come radio tedesche, favorevoli al regime nazista. Quando la popolazione di Amburgo sfolla verso l’Est in seguito ai bombardamenti, una radio di Delmer trasmette questo comunicato: “Il dottor Conti, Ministro della Sanità del Reich, si congratula con gli ufficiali medici dei centri di raccolta per l’infanzia siti nel Gau Warteland [dove sfollano gli amburghesi] per la devozione esemplare con la quale curano l’epidemia di difterite che si è manifestata tra i bambini che hanno in cura. Esprime altresì l’auspicio di vederli trionfare sulla tragica penuria di medicinali, e di ridurre così il tasso di mortalità a una media di sessanta morti la settimana.” La propaganda nera ha una forza di penetrazione psicologica molto maggiore della propaganda bianca, appunto perché, mentendo sulla propria fonte, può contare (se eseguita a regola d’arte) sul pregiudizio favorevole del bersaglio, che si fida. A differenza della propaganda bianca, però, la propaganda nera non può e non deve essere diffusa in dosaggi massicci, “a tappeto”. Non punta sulla quantità e sulla siderazione della potenza, ma sulla qualità dell’inganno (adesione perfetta allo stile della falsa fonte e alla mentalità del bersaglio) e sulla diffusione lenta e capillare. La propaganda nera, insomma, ha bisogno di artisti dell’inganno e di tempo, tanto tempo, per produrre i suoi effetti. Un esempio contemporaneo di propaganda nera, iniziato nel corso della IIGM, è il diluvio di attributi disonoranti che i media rovesciano sul popolo italiano, al quale sono sistematicamente addebitati i difetti e le tare morali e civili più infamanti e ridicoli. Che gli italiani abbiano davvero tare e difetti è del tutto irrilevante, perché ne hanno tutti i popoli. La differenza è che agli altri popoli, tare e difetti non vengono sistematicamente addebitati, e l’effetto di comparazione è dunque profondamente debilitante e demoralizzante per il popolo italiano. Questo esempio riuscitissimo di propaganda nera sfuma nell’influenza (v. 5) perché è stato compiuto servendosi di agenti d’influenza e casse di risonanza (v. 5).
  5. Influenza. L’influenza ricorre, talvolta, alle tecniche dell’intossicazione e della propaganda nera, ma è infinitamente più raffinata. L’influenza non mira semplicemente a diffondere informazioni false o sfiducia, mira a destabilizzare l’intero campo avversario. Al campo che emette l’influenza non importa sapere se i primi effetti della sua azione andranno a suo proprio immediato vantaggio, a patto che gli effetti d’eco dell’azione d’influenza siano nocivi per il campo avverso. L’influenza è una tecnica raffinata, che non può fare ricorso agli strumenti grossolani della propaganda bianca: chiunque esprima aperta simpatia per il campo emittente l’influenza, diventa inservibile e va evitato con cura. L’influenza si opera per mezzo di agenti d’influenza e casse di risonanza. Gli agenti d’influenza sono persone interne al campo-bersaglio, situate in posizioni dirigenziali, soprattutto nei media, che operano consapevolmente a favore del campo emittente l’influenza: esempio, un direttore di giornale. Le casse di risonanza sono persone o gruppi di persone interne al campo-bersaglio, che per le più varie ragioni diffondono, inconsapevolmente, l’azione d’influenza: il giornalista che scrive quel che gli ordina il direttore-agente d’influenza, o il giornalista che condivide gli scopi apparenti dell’operazione d’influenza, per esempio la pace nel mondo o la sconfitta del fascismo; oppure, semplicemente il lettore di giornali, che ne diffonde le opinioni chiacchierando in casa, sul lavoro, al bar. Esempio storico: nel corso della guerra fredda, in Europa occidentale l’URSS appoggia a loro insaputa formazioni anticomuniste accesamente nazionaliste, perché sono anche antiamericane. Il partito degli emigrati russi Giovane Russia si dichiara monarchico e adotta uno stile parafascista, ma è infiltrato e manipolato dal KGB, che lo usa per far pensare che tutti gli oppositori dell’URSS siano così, reazionari, illusi, fascistoidi. Esempio contemporaneo: la diffamazione sistematica tuttora corrente del popolo italiano (v. 4, propaganda nera). Nel corso della guerra civile, e dopo la vittoria alleata nella IIGM, gli Alleati e in particolare i britannici insediano in Italia, in posti di responsabilità, diversi tecnici della guerra psicologica, tra i quali ad esempio Renato Mieli, primo direttore dell’ANSA e padre di Paolo Mieli[3]. I partiti italiani riuniti nel CLN hanno l’interesse immediato di addebitare tutta la colpa della guerra perduta al regime fascista, tutto il merito della vittoria alla Resistenza, cioè a se medesimi. I tecnici della guerra psicologica alleati appoggiano questa naturale inclinazione a dividere gli italiani in due categorie: i fascisti (cattivi, arretrati, reazionari, corrotti, pericolosi, perdenti) e gli antifascisti (buoni, moderni, onesti, pacifici, vittoriosi) e iniziano un’operazione di propaganda nera ai danni degli italiani fascisti, accentuandone tare e difetti: spesso reali, beninteso, basti ricordare l’8 settembre. Si tratta però di propaganda nera, che non dichiara la propria fonte (britannica, alleata) che si trasforma in influenza perché si serve di agenti d’influenza italiani (es., Renato Mieli) e di casse di risonanza (gli antifascisti). Gli agenti d’influenza impegnati in quest’ operazione scelgono, di preferenza, di posizionarsi tra i comunisti (come Renato Mieli che fu per nove anni direttore de “L’Unità”) e più tardi nella sinistra extraparlamentare, anche estremista. Comunisti e sinistra extraparlamentare sono fieramente, rumorosamente avversi al campo americano e britannico (perché anticomunista e capitalista) dunque la fonte ideale per un’operazione d’influenza, che non deve mai partire da chi esprima aperta simpatia per il campo emittente. L’operazione di propaganda nera si trasforma, nei decenni, in azione d’influenza coronata da larghissimo successo. Gli agenti d’influenza e le casse di risonanza tengono in vita l’antifascismo per decenni, anche dopo la totale sparizione del fascismo, e così possono affibbiare colpe e tare spregevoli ai loro avversari più scomodi, qualificati di “fascisti” in aeternum[4] Procede parallelamente, ormai sospinta dalla forza d’inerzia delle abitudini inveterate, la routinaria demoralizzazione sistematica degli italiani, che indebolisce e divide la nazione e lo Stato e concorre validamente a far raggiungere al campo emittente l’operazione d’influenza il suo obiettivo politico-militare principale: il controllo del Mediterraneo, difficile da ottenere se l’Italia è coesa nel perseguimento dello scopo geopolitico che le dettano posizione geografica e interesse nazionale.

E’ appena il caso di aggiungere che le operazioni d’influenza, come questa anglosassone ai danni dell’Italia che ho appena sommariamente descritto, non creano dal nulla una mentalità o una cultura politica, ma fanno leva su opinioni e persuasioni già esistenti nel paese-bersaglio. I complotti, cioè i disegni segreti, esistono eccome, ma non creano la realtà: le danno una spintarella, a volte ininfluente, a volte decisiva.

Con questo importante caveat concludo il primo capitolo del vademecum. Nel secondo capitolo illustrerò la disinformazione nel senso esteso, o dezynformatsjia, come l’hanno creata nel 1959 i grandi artisti del Direttorato D del KGB, guidato dal Generale Agayantz (poi Direttorato A, capeggiato dal braccio destro di Agayantz, gen. Kondracev).

I servizi segreti sovietici, che si riallacciavano alla grande tradizione dell’Okhrana –  la polizia segreta zarista che cucinò e diffuse I protocolli dei Savi di Sion piratando il semisconosciuto libello satirico Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu – si avvalsero anche della prossimità geografica e culturale con l’Asia, in particolare studiando Sun Tzu, testo obbligatorio all’Accademia Frunze sin dagli anni Quaranta (oggi in tutte le accademie militari del mondo).

Come introduzione al prossimo capitolo del vademecum, ecco una serie di precetti tratti da L’arte della guerra di Sun Tzu.

  1. Screditate tutto ciò che è buono nel paese nemico
  2. Implicate i membri della classe dirigente del nemico in imprese criminali
  3. Distruggete la loro reputazione e al momento opportuno, consegnateli all’indignazione dei loro concittadini
  4. Servitevi della collaborazione degli esseri più vili e abominevoli
  5. Disorganizzate con ogni mezzo l’azione del loro governo
  6. Diffondete la discordia e le liti tra i loro cittadini
  7. Istigate i giovani contro i vecchi
  8. Ridicolizzate le tradizioni dei vostri nemici
  9. Intralciate con tutti i mezzi l’intendenza e i rifornimenti dell’esercito nemico [N.B.= danneggiate l’economia del nemico]
  10. Indebolite la volontà dei guerrieri nemici con musica e canzoni sensuali
  11. Inviategli delle prostitute per completare l’opera di distruzione
  12. Siate generosi nelle promesse e nei doni per procurarvi informazioni. Non lesinate, perché il denaro speso a questo fine vi frutterà un ricco interesse
  13. Infiltrate dappertutto le vostre spie

[1] O, a seconda dei casi e del contesto storico, “Non ci sono alternative a noi”.

[2] V. La dottrina militare USA proposta dai neoconservatori USA (e impiegata sul campo nell’operazione Desert Storm) intitolata “Shock and Awe”, “Siderazione e Timore Reverenziale”. https://it.wikipedia.org/wiki/Shock_and_awe

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Mieli

[4] Com’è come non è, spesso questi avversari politici “fascisti” manifestano, più o meno coraggiosamente, l’intenzione di difendere l’interesse nazionale italiano…

Macerata, chiuse le indagini. I dubbi di Buffagni

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Segnalazione di www.maurizioblondet.it 

Fatti di Macerata, chiuse le indagini. Chiuse davvero? Roberto Buffagni dubita.

Di Roberto Buffagni

La Procura di Macerata ha chiuso le indagini sull’omicidio di Pamela Mastropietro. Unico indagato, Innocent Oseghale, che dovrà rispondere di omicidio volontario, vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere, con l’aggravante di aver ucciso Pamela durante uno stupro dopo averla drogata. Sulla violenza sessuale, c’è discordia con il GIP e il tribunale del Riesame, che ritengono non …

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