Escatologie del mondo multipolare

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di Alexandr Dugin

BRICS: La creazione del multipolarismo. Il XV Vertice dei BRICS: La creazione di un mondo multipolare

Il XV vertice dei BRICS ha preso la storica decisione di ammettere altri 6 Paesi nell’organizzazione: Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. In questo modo è stata completata la formazione del nucleo di un mondo multipolare.

Sebbene i BRICS, ex BRIC, fossero un’associazione condizionata di Paesi semiperiferici (secondo Wallerstein) o del “secondo mondo”, il dialogo tra questi Paesi, che non fanno parte della struttura dell’Occidente collettivo (NATO e altre organizzazioni rigidamente unipolari dominate dagli Stati Uniti), ha gradualmente delineato i contorni di un ordine mondiale alternativo. Se la civiltà occidentale si considera l’unica, e questa è l’essenza del globalismo e dell’unipolarismo, i Paesi BRICS rappresentano civiltà sovrane e indipendenti, diverse dall’Occidente, con una lunga storia e un sistema di valori tradizionali del tutto originale.

Inizialmente l’associazione BRIC, creata nel 2006 su iniziativa del presidente russo Vladimir Putin, comprendeva quattro Paesi: Brasile, Russia, India e Cina. Il Brasile, la più grande potenza del Sudamerica, rappresentava il continente latinoamericano. La Russia, la Cina e l’India sono di per sé di dimensioni sufficienti per essere considerate civiltà a tutto tondo. Sono più che semplici Stati-nazione.

La Russia è l’avanguardia dell’Eurasia, il “Grande Spazio” eurasiatico.

La Cina è responsabile di un’area significativa delle potenze vicine dell’Indocina e di molte altre (il progetto One Belt One Road è il modo concreto per stabilire questo “Grande Spazio” cinese basato sulla cooperazione pacifica).

L’India estende la sua influenza anche al di là dei suoi confini, almeno fino al Bangladesh e al Nepal.

Quando nel 2011 il Sudafrica si è unito ai Paesi BRIC (da cui l’acronimo BRICS – la “C” alla fine di Sudafrica), simbolicamente era rappresentato anche il più grande Paese africano.

7 civiltà (1 contro 6)

Ma al XV vertice, tenutosi dal 22 al 24 agosto 2023 a Johannesburg, ha avuto luogo la formazione definitiva del club multipolare. L’ingresso di tre potenze islamiche – l’Iran sciita e l’Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sunniti – è stato fondamentale. In questo modo, è stata assicurata la partecipazione diretta al mondo multipolare dell’intera civiltà islamica, rappresentata da entrambi i rami – sunnismo e sciismo -.

Inoltre, insieme al Brasile di lingua portoghese, l’Argentina di lingua spagnola, altra potenza forte e indipendente, si è unita ai BRICS. Già a metà del XX secolo, i teorici dell’unificazione sudamericana in un “Grande Spazio” consolidato – in primis il generale argentino Juan Perón e il presidente brasiliano Getúlio Vargas – consideravano un decisivo avvicinamento tra Brasile e Argentina come il primo principio di questo processo. Se questo si realizzerà, il processo di integrazione dell’ecumene latinoamericano (termine di A. Buela) sarà irreversibile. Ed è proprio quello che sta accadendo ora nel contesto dell’adesione delle due maggiori potenze del Sud America, Brasile e Argentina, al club multipolare.

Anche l’ammissione dell’Etiopia è altamente simbolica. È l’unico Paese africano che è rimasto indipendente per tutta l’epoca coloniale, preservando la sua sovranità, la sua indipendenza e la sua cultura unica (gli etiopi sono il più antico popolo cristiano). Insieme al Sudafrica, l’Etiopia rafforza con la sua presenza nel club multipolare il continente africano nel suo complesso.

In effetti, la nuova composizione dei BRICS ci offre un modello completo di unione di tutti i poli – civiltà, “Spazi Maggiori”, con l’eccezione dell’Occidente, che cerca disperatamente di preservare la sua egemonia e la sua struttura unipolare. Ma ora non si trova di fronte a Paesi disparati e frammentati, pieni di contraddizioni interne ed esterne, bensì a una forza unita della maggioranza dell’umanità, determinata a costruire un mondo multipolare.

Questo mondo multipolare è costituito dalle seguenti civiltà:

  1. L’Occidente (USA+UE e i loro vassalli, tra cui, ahimè, il Giappone, un tempo fiero e sovrano, ora degradato a fantoccio passivo dei conquistatori occidentali);
  2. La Cina (+Taiwan) con i suoi satelliti;
  3. Russia (come integratore dell’intero spazio eurasiatico);
  4. L’India e la sua zona di influenza;
  5. America Latina (con il nucleo di Brasile+Argentina);
  6. Africa (Sudafrica+Etiopia, con Mali, Burkina Faso, Niger, ecc. liberati dall’influenza coloniale francese).
  7. Mondo islamico (in entrambe le versioni – Iran sciita, Arabia Saudita sunnita ed Emirati Arabi Uniti).

Allo stesso tempo, una civiltà – quella occidentale – rivendica l’egemonia, mentre le altre sei la negano, accettando solo un sistema multipolare e riconoscendo l’Occidente come solo una delle civiltà, insieme ad altre. Forse ancora più forte (relativamente e non troppo a lungo), ma non unica.

Così la giustezza di Samuel Huntington, che vedeva il futuro nel ritorno della civiltà, è stata confermata nella pratica, mentre è diventata evidente la fallacia della tesi di Fukuyama, che credeva che l’egemonia globale dell’Occidente liberale (la fine della storia) fosse già stata raggiunta. A Fukuyama non resta quindi che fare la morale ai neonazisti ucraini, l’ultima speranza dei globalisti di fermare l’insorgere del multipolarismo, per il quale la Russia in Ucraina si batte oggi.

L’agosto 2023 può essere considerato il compleanno del mondo multipolare.

Il multipolarismo è stabilito e in qualche modo istituzionalizzato. È ora di guardare più da vicino a come gli stessi poli civili interpretano la situazione in cui si trovano. E qui dobbiamo tenere conto del fatto che praticamente ogni civiltà sovrana ha una propria idea della struttura della storia, della natura del tempo storico, della sua direzione, della meta e del fine. Contrariamente a Fukuyama, che ha ambiziosamente proclamato un’unica fine della storia (nella sua versione liberale), ogni civiltà sovrana opera con una propria comprensione, interpretazione e descrizione della fine della storia. Esaminiamo brevemente questa situazione.

Ogni civiltà ha la propria idea della fine del mondo

Ogni polo del mondo multipolare, cioè ogni civiltà, ha la sua versione dell’escatologia, in parte più e in parte meno esplicita.

L’escatologia è la dottrina della fine del mondo o della fine della storia. Le escatologie costituiscono una parte essenziale delle dottrine religiose, ma hanno anche versioni laiche. Qualsiasi idea sulla direzione lineare del processo storico e sulla sua presunta finalità può essere considerata “escatologia.

Il mondo multipolare è costituito da diverse civiltà o “Spazi Maggiori”, con un sistema di valori tradizionali del tutto unico e originale. Questo è il polo (non il singolo Stato). Un polo è appunto una civiltà. Ogni civiltà ha una propria idea della natura del processo storico, della sua direzione e del suo obiettivo, e quindi una propria escatologia.

In alcuni “Grandi Spazi” esistono addirittura diverse versioni di escatologia, e alcune formazioni politiche relativamente piccole, che non possono in alcun modo pretendere di essere un polo, hanno tuttavia talvolta un’escatologia speciale e persino sviluppata.

Vediamo di delineare i diversi tipi in termini più generali.

Escatologie dell’Occidente: l’escatologia nel cristianesimo occidentale

Il cristianesimo occidentale aveva originariamente la stessa dottrina escatologica del cristianesimo orientale, essendo un’unica civiltà. Nel cristianesimo – sia nel cattolicesimo che nell’ortodossia (e anche nel protestantesimo) – la fine del mondo è considerata inevitabile, poiché il mondo e la sua storia sono finiti e Dio è infinito. Dopo la venuta di Cristo, il mondo si avvia verso la sua fine e il ritorno di Cristo stesso è visto come se avvenisse “negli ultimi giorni”. L’intera storia della Chiesa cristiana è una preparazione ai tempi finali, al Giudizio Universale e alla Seconda Venuta di Cristo. Il cristianesimo insegna che prima della Seconda Venuta ci sarà un’apostasia generale dell’umanità, le nazioni si allontaneranno da Cristo e dalla sua Chiesa e si affideranno solo alle proprie forze (umanesimo). In seguito l’umanità degenererà completamente e l’Anticristo, il messaggero del diavolo, il “figlio della perdizione”, prenderà il potere.

L’Anticristo governerà per un breve periodo (3,5 anni, “un tempo, due tempi e mezzo”), i santi e i profeti Elia ed Enoch, che torneranno sulla terra, lo denunceranno, e poi avverrà la Seconda Venuta, la resurrezione dei morti e il Giudizio Universale. Questo è ciò in cui ogni cristiano è obbligato a credere.

Allo stesso tempo, il cattolicesimo, che si è gradualmente separato dal tronco ortodosso unito, credeva che la roccaforte dei cristiani dovesse essere la Chiesa cattolica sotto il Papa, la “Città di Dio”, e che la ritirata avrebbe riguardato solo le entità politiche terrene, la “Città della Terra”.

C’è una battaglia spirituale tra la politica celeste del Vaticano e quella terrena dei monarchi secolari. Nell’Ortodossia, a differenza del Cattolicesimo, il principale ostacolo sul cammino dell’Anticristo è il Sacro Impero, l’eterna Roma.

L’escatologia cristiana tradizionale ed esattamente questa visione – in parte pessimistica – del vettore della storia hanno prevalso in Europa fino all’inizio della Modernità. È così che i veri cattolici tradizionali, non influenzati dallo spirito illuminista, sempre meno numerosi in Occidente, continuano a pensare alla fine del mondo.

Le escatologie protestanti sono più bizzarre. Negli anabattisti di Münster o negli hussiti cechi, la Seconda Venuta era preceduta dall’instaurazione dell’uguaglianza universale (comunismo escatologico), dall’abolizione delle gerarchie di classe e della proprietà privata.

Recentemente, sotto l’influenza della modernizzazione e del politicamente corretto, molte denominazioni protestanti e la Chiesa anglicana hanno rivisto la loro visione dell’escatologia, rompendo definitivamente con l’antica tradizione cristiana.

Escatologia massonica: la teoria del progresso

Alle origini della civiltà europea occidentale della Modernità c’è la Massoneria europea, in mezzo alla quale è nata l’idea bizzarra e incoerente del “progresso sociale”. L’idea di progresso è la diretta antitesi della comprensione cristiana della storia. Essa rifiuta l’apostasia, l’Anticristo, il Giudizio Universale, la resurrezione dei morti e l’esistenza stessa dell’anima.

I massoni ritenevano che l’umanità si sviluppasse progressivamente: all’inizio la barbarie (non il paradiso terrestre), poi la barbarie (non la società tradizionale), quindi la civiltà (che culmina nella Modernità europea e nell’Illuminismo, ossia società laiche atee basate su una visione del mondo scientifica materialista). La “civiltà” (al singolare!) nella sua formazione passa attraverso una serie di fasi che vanno dalle confessioni tradizionali al culto umanistico del Grande Architetto dell’Universo e poi alla democrazia liberale, dove scienza, ateismo e materialismo trionfano pienamente. La Massoneria conservatrice (Rito Scozzese) si ferma di solito al culto del Grande Architetto dell’Universo (cioè al deismo – il riconoscimento di un “dio” indefinito e non confessionale), mentre le Logge più rivoluzionarie del “Grande Oriente” chiedono di andare oltre – fino alla completa abolizione della religione e della gerarchia sociale. Il Rito Scozzese è sinonimo di liberalismo classico (grande capitale), il Grande Oriente e le altre logge rivoluzionarie sono sinonimo di democrazia liberale (crescita intensiva della classe media e ridistribuzione del capitale dalla grande borghesia alla media e piccola borghesia).

Ma nella Massoneria, in entrambe le versioni, vediamo un vettore chiaramente diretto alla fine della storia, cioè alla costruzione della moderna civiltà globale progressista. Questa è l’ideologia del globalismo in due versioni: conservatrice (graduale) e offensiva (rivoluzionaria-democratica).

Inghilterra: la quinta monarchia

Durante la Rivoluzione inglese di Cromwell, la teoria della Quinta Monarchia si sviluppò negli ambienti protestanti sotto l’influenza dei circoli ebraici e del sabbatismo (in particolare del rabbino olandese Manasseh ben-Israel). La dottrina dei quattro regni mondiali (babilonese, persiano, greco e romano), tradizionale per il cristianesimo, fu dichiarata insufficiente e dopo la caduta di Roma (che per i protestanti significava il rifiuto di riconoscere l’autorità del Papa e il rovesciamento della monarchia, il regicidio) sarebbe arrivato il quinto regno.

In precedenza, un’idea simile era emersa in Portogallo in relazione all’impero marittimo portoghese e alla missione speciale del “re scomparso” Sebastiano. La versione portoghese e portoghese-centrica (mistico-monarchica) fu trasmessa agli ebrei portoghesi convertiti (marrani) e agli ebrei esiliati in Olanda e Brasile. Uno di loro era Manasseh ben-Israel, dal quale questa teoria passò ai protestanti inglesi e alla cerchia ristretta di Cromwell (T. Harisson).

I sostenitori di questa teoria consideravano Cromwell stesso come il futuro monarca mondiale del Quinto Impero. La Quinta Monarchia sarebbe stata caratterizzata dall’abolizione del cattolicesimo, del potere monarchico ereditario, degli Estati e avrebbe rappresentato il trionfo della democrazia borghese e del capitalismo.

Questo fu continuato dalla corrente dell'”israelismo britannico” (British Israelism), che dichiarò che gli inglesi erano “le dieci tribù perdute di Israele” e diffuse la convinzione dell’imminente dominio mondiale dell’Inghilterra e della razza anglosassone. Il dominio mondiale dei “Nuovi Israeliti” (anglosassoni) era visto al di là dei Quattro Regni e rompeva con l’escatologia cristiana tradizionale, poiché la Quinta Monarchia significava la distruzione dei regni cristiani tradizionali e il dominio del “popolo eletto” (questa volta non gli ebrei, ma gli inglesi).

Dall’Inghilterra, le sette protestanti estreme trasferirono queste idee negli Stati Uniti, che furono creati come incarnazione storica della Quinta Monarchia. Da qui l’escatologia americana nelle mitologie di W. Blake (in “The Prophecy of America” gli USA sono rappresentati dal gigante Orcus che si libera dalle catene del “vecchio dio”), che era anche un aderente alla teoria dell'”israelismo britannico”. Blake incarnò queste idee nella sua poesia “Jerusalem”, che divenne l’inno non ufficiale dell’Inghilterra.

USA: dispensazionalismo

Negli Stati Uniti, le idee dell'”Israelismo britannico” e della Quinta Monarchia furono sviluppate in alcune denominazioni protestanti e divennero la base di una particolare corrente di dispensazionalismo basata sulle idee dei Fratelli di Plymouth (predicatore John Darby) e sull’edizione Scofield della Bibbia di riferimento, dove l’interpretazione escatologica in chiave dispensazionalista è incorporata nel testo biblico in modo tale che alla gente comune sembra un’unica narrazione.

Il dispensazionalismo considera gli anglosassoni e i protestanti (“nati di nuovo”) come il popolo eletto e applica a loro tutte le profezie sugli ebrei. Secondo questa dottrina, l’umanità vive alla fine dell’ultima “dispensazione” del ciclo, e la seconda venuta di Cristo avrà presto luogo, e tutti i fedeli saranno portati in cielo (rapimento). Ma questo sarà preceduto da una battaglia finale (Armageddon) con il “re di Rosh, Meshech e Tubal”, con cui si intende la Russia dal XIX secolo a oggi. Prima di ciò, la Russia deve invadere la Palestina e lì combattere i “nati di nuovo” (anglosassoni) per poi essere sconfitta da loro. Dopodiché, ci dovrebbe essere una conversione di massa degli ebrei al protestantesimo e un’ascesa al cielo (tramite miracoli o navicelle spaziali).

Negli ultimi decenni, questa corrente si è fusa con il sionismo politico ed è diventata la base dell’ideologia e della geopolitica dei neocons americani.

Francia: il Grande Monarca

In Francia, già nel tardo Medioevo e agli albori dell’Età Moderna, si è sviluppata la teoria escatologica del Grande Monarca, secondo la quale alla fine dei tempi sarebbe apparso un re francese segreto, scelto da Dio, che avrebbe salvato l’umanità dalla decadenza, dal protestantesimo e dal materialismo. Questa versione dell’escatologia è francocentrica e conservatrice e circolava negli ambienti mistici dell’aristocrazia. Si differenzia dall’escatologia cattolica tradizionale per il fatto che è il re francese, e non la sede vaticana, a fare da barriera all’Anticristo.

La versione geopolitica laica e semplificata dell’escatologia del Grande Monarca è considerata da alcuni ricercatori come gollismo. Il generale De Gaulle era favorevole all’unione dei popoli europei (soprattutto francesi, tedeschi e russi) e contrario alla NATO e all’egemonia anglosassone. Lo scrittore francese J. Parvulesco (seguendo R. Abellio) l’ha definita “la dimensione mistica del gollismo”.

Ma la stragrande maggioranza della classe dirigente francese è dominata dall’escatologia massonica – con un significato esattamente opposto.

Italia: i Ghibellini e il Mastino

Nel Medioevo, il confronto tra il trono romano e il potere imperiale – dopo che Carlo Magno si è proclamato “imperatore” – è stato a volte estremamente aggravato. Questo portò alla creazione di due partiti: i Guelfi, sostenitori del Papa, e i Ghibellini, sostenitori dell’Imperatore. Questi ultimi erano maggiormente diffusi in Italia, il cui possesso costituiva la base per il riconoscimento dei re tedeschi come imperatori dell’Impero Romano (d’Occidente) dopo l’incoronazione a Roma.

Il poeta Dante fu un sostenitore dei ghibellini e codificò nel suo poema “La Divina Commedia” l’insegnamento escatologico dei ghibellini secondo cui, dopo il temporaneo dominio dei guelfi e la completa degradazione della Chiesa cattolica, sarebbe giunto in Europa un vero monarca ghibellino che avrebbe fatto rinascere la morale e la spiritualità della civiltà occidentale. Egli è simbolicamente rappresentato nella figura del mastino (il Veltro) e nel numero mistico DXV (515), che dà, dopo aver riordinato le lettere/digitali, la parola DVX, “condottiero”. Dante espone le idee della Monarchia mondiale in un trattato a parte. Anche in questo caso, il tema escatologico è legato al potere monarchico – e in misura maggiore rispetto alla Chiesa cattolica. Per Dante, la monarchia francese era vista dalla parte dell’Anticristo, così come il trono romano che si era sollevato contro l’Imperatore.

Germania: Hegel e la fine della Storia

La versione originale dell’escatologia si trova nella filosofia di Hegel. Egli vede la storia come un processo dialettico di dispersione dello Spirito attraverso la Natura, per poi riunire nuovamente le particelle dello Spirito in una società illuminata. Il culmine di questo processo, secondo Hegel, dovrebbe essere la creazione di uno Stato tedesco unificato sulla base della monarchia prussiana (che durante la sua vita non esisteva). In questa monarchia illuminata si sarebbe completato il ciclo della storia dello Spirito. Queste idee influenzarono il Secondo Reich e Bismarck, e più tardi, in forma distorta, il Terzo Reich di Hitler. Fu Hegel a proporre la tesi della “fine della storia” in un contesto filosofico, combinando in modo peculiare l’escatologia cristiana (compresa la figura del sovrano cristiano) e una particolare interpretazione mistico-monarchica del progresso sociale (come fase preliminare alla creazione dell’impero mondiale dei filosofi).

Il filosofo tedesco (cattolico) Carl Schmitt ha messo in relazione l’idea del Reich con la funzione del katehon, il guardiano, il custode, che era il significato del potere imperiale a Bisanzio e che fu usurpato (secondo la Chiesa ortodossa) nell’VIII secolo dall’imperatore franco Carlo Magno. Questa linea era in parte in linea con la tradizione ghibellina.

L’ebreo tedesco Karl Marx costruì una teoria del comunismo (la fine della storia) su una versione materialista rovesciata dell’hegelismo, e il filosofo russo Alexander Kojev cercò di identificare la fine della storia con il globalismo e il trionfo planetario del liberalismo. Ma è significativo che Hegel stesso, a differenza dei suoi interpreti settari, fosse un monarchico escatologico germanocentrico.

Iberia: gli Asburgo e l’evangelizzazione planetaria

L’escatologia nella versione spagnola era legata alla colonizzazione delle Americhe e alla missione di Carlo V Asburgo e dei suoi successori dinastici. Poiché nelle profezie sulla fine del mondo (Sal. Metodio di Patara), il segno della fine del mondo era la diffusione del Vangelo a tutta l’umanità e l’instaurazione di un impero cristiano mondiale sotto un re mondiale cattolico, le scoperte geografiche e la creazione di vaste colonie da parte della Spagna davano motivo di considerare gli Asburgo spagnoli – soprattutto Carlo V e Filippo II – come contendenti al ruolo di monarca mondiale. Questa versione cattolico-monarchica, in parte consonante con quella francese, ma in contrasto con gli imperatori austriaci, tradizionali avversari della dinastia francese. Cristoforo Colombo fu un sostenitore di un Impero mondiale escatologico durante il regno dei re cattolici Isabella e Ferdinando e rifletté le sue opinioni escatologiche nel Libro delle Profezie, compilato alla vigilia del suo quarto viaggio nelle Americhe e completato subito dopo il suo ritorno.

Dopo il regno dei Borbone in Spagna, questa linea escatologica si affievolì. In parte i suoi echi si ritrovano negli ambienti cattolici dell’America Latina e soprattutto nei gesuiti.

Il Quinto Impero nella versione portoghese e la sua propaggine brasiliana sono generalmente vicini a questa versione dell’escatologia.

Israele: il territorio del Mashiach

Lo Stato di Israele è stato fondato nel 1948 in Palestina come realizzazione delle aspirazioni escatologiche della diaspora ebraica, che da due millenni attendeva il ritorno alla Terra Promessa. L’escatologia ebraica si basa sulla convinzione dell’elezione degli ebrei e del loro ruolo speciale nei tempi finali, quando arriverà il Mashiach ebraico e gli ebrei governeranno il mondo. È la versione più studiata dell’escatologia. Per molti versi, è l’escatologia ebraica ad aver plasmato i principali scenari delle visioni della fine del mondo nelle tradizioni monoteiste.

L’Israele moderno è stato creato come Stato preparato alla venuta del Mashiach e, se questa funzione viene messa tra parentesi, la sua stessa esistenza perderà completamente di significato – prima di tutto agli occhi degli stessi ebrei.

Dal punto di vista geopolitico, Israele non può pretendere di essere una civiltà indipendente, un Impero, le cui dimensioni sono necessarie per una piena partecipazione ai processi escatologici globali. Tuttavia, se teniamo conto dell’avvicinamento dei sionisti politici negli Stati Uniti ai neocon e ai dispensazionalisti protestanti, del ruolo degli ebrei nel secolo scorso nelle logge massoniche, dell’influenza della diaspora nelle élite dirigenti e soprattutto economiche dell’Occidente, l’intero quadro cambia e per i gravi eventi escatologici la base risulta essere significativa.

L’interpretazione cabalistica del percorso migratorio della maggior parte dell’iaspora ebraica lo descrive come un movimento che segue la Shekhina (Presenza di Dio) in esilio (secondo Rabbi Alon Anava).

All’inizio della galut (dispersione), la massa principale di ebrei era concentrata in Medio Oriente (Mizrahi). Poi cominciò a spostarsi verso il nord e il Caucaso (khazar kaganato). Da lì il percorso della Shekhina portò alla Russia occidentale, ai Baltici e all’Europa orientale (Ashkenazi). Poi il movimento ashkenazita iniziò ad addentrarsi nell’Europa occidentale e i sefarditi della penisola iberica si spostarono in Olanda e nelle colonie americane. Infine, il grosso degli ebrei si concentrò negli Stati Uniti, dove ancora oggi rappresentano la maggioranza rispetto alle comunità ebraiche di altri Paesi. La Shekhina rimane quindi negli Stati Uniti. La seconda comunità di ebrei è quella di Israele. Quando le proporzioni cambieranno a favore di Israele, significherà che la Shekhina, dopo un cerchio di duemila anni, è tornata in Palestina.

Allora dovremo aspettarci la costruzione del Terzo Tempio e la venuta del Mashiach. Questa è la logica dell’escatologia ebraica, chiaramente rintracciabile nei processi politici che si stanno svolgendo intorno a Israele. A questa idea aderisce la maggioranza dei sionisti religiosi, che costituiscono una percentuale significativa di ebrei sia in Israele che nella diaspora. Ma ogni ebreo, ovunque si trovi e qualunque ideologia condivida, non può non essere consapevole della natura escatologica del moderno Stato di Israele e, di conseguenza, degli obiettivi di vasta portata del suo governo.

Escatologia ortodossa: i Greci, l’imperatore di marmo

Nella popolazione ortodossa della Grecia, dopo la caduta di Bisanzio e la presa di potere da parte degli Ottomani, si sviluppò una teoria escatologica sulla venuta di un re liberatore ortodosso, l’Imperatore di Marmo. La sua figura è stata talvolta interpretata come il ritorno di Costantino XII Paleologo, che secondo la leggenda non morì quando i Turchi presero Costantinopoli, ma fu portato da un angelo alla Porta di Marmo e lì attende la sua ora per liberare gli ortodossi (greci) dall’oppressione degli stranieri.

In alcune versioni della leggenda escatologica questa missione era affidata al “re dai capelli rossi del nord”, con cui nel XVIII secolo molti monaci athoniti intendevano l’imperatore russo.

Si tratta di echi della dottrina bizantina classica del katehon, il guardiano, il custode, destinato a diventare il principale ostacolo sulla strada del “figlio della perdizione” (Seconda Lettera dell’Apostolo Paolo ai Tessalonicesi) e del Re-Salvatore del libro di San Metodio di Patara. Il pensiero politico-religioso greco ha mantenuto questa componente escatologica durante il periodo ottomano, anche se, dopo la liberazione dai Turchi, lo Stato greco ha iniziato a essere costruito su stampi liberal-democratici massonici (nonostante il breve periodo di governo di alcune dinastie europee), rompendo completamente con l’eredità bizantina.

Russia: Re della Terza Roma, Salvatore delle sette, Comunismo

In Russia, l’escatologia assunse una forma stabile alla fine del XV secolo, che si rifletteva nella teoria di Mosca-Terza Roma. Essa affermava che la missione del katehon, il servo, dopo la caduta di Costantinopoli passò alla Russia moscovita, che divenne il nucleo dell’unico Impero ortodosso – cioè Roma. Il Granduca di Mosca cambiò lo status e divenne Zar, Basileus, Imperatore, katehon.

D’ora in poi, la missione della Russia e del popolo russo fu quella di rallentare la venuta del “figlio della perdizione”, l’Anticristo, e di resistergli in ogni modo possibile. Questo costituiva il nucleo dell’escatologia russa e formalizzava lo status del popolo russo come “portatore di Dio”.

Dimenticata all’epoca delle riforme occidentali di Pietro e dei suoi seguaci, l’idea di Mosca come Terza Roma rivive nel XIX secolo sotto l’influenza degli slavofili, per poi diventare un tema centrale nella Chiesa ortodossa russa in emigrazione.

Dopo lo scisma, l’escatologia si diffuse tra i Vecchi Credenti e i settari. I Vecchi Credenti ritenevano generalmente che la caduta della Terza Roma fosse già avvenuta in modo irreversibile, mentre i settari (khlysty o skopcy, castrati), al contrario, credevano nell’imminente venuta del “Cristo russo”.

La versione laica dell’escatologia settaria “ottimista” fu ripresa dai bolscevichi, nascondendola sotto la versione marxista della fine della storia di Hegel. Nell’ultimo periodo dell’URSS, la fede escatologica nel comunismo svanì e il regime e il Paese crollarono.

Il tema dell’escatologia russa è tornato d’attualità in Russia dopo l’inizio della SWO, quando il tema del confronto con la civiltà massonico-liberale e materialista-atea dell’Occidente è diventato estremamente acuto. Logicamente, man mano che la Russia si affermerà come civiltà a sé stante, il ruolo dell’escatologia e la centralità della funzione del catecumeno non potranno che aumentare.

Mondo islamico: sunnismo, il Mahdi sunnita

Nel sunnismo, la fine del mondo non è descritta nei dettagli e le visioni del leader della comunità islamica che verrà, il Mahdi, impallidiscono di fronte alla descrizione del Giudizio Universale che Dio (Allah) amministrerà alla fine dei tempi. Tuttavia, questa figura è presente ed è descritta in modo dettagliato negli hadith. Si tratta dell’emergere di un leader militare e politico del mondo islamico che ripristinerà la giustizia, l’ordine e la pietà che erano caduti in rovina alla fine dei tempi.

L’autorevole sufi Ibn Arabi specifica che il Mahdi sarà assistito nel governare da “visir”, che costituiranno la base del governo escatologico; secondo lui, tutti i visir di questo “governo metafisico”, in quanto assistenti e proiezioni del polo unificato (qutb), proverranno da comunità islamiche non arabe.

Il Mahdi sconfiggerà il Dajjal (il Bugiardo) e stabilirà il governo islamico. Una versione particolare dell’escatologia islamica è professata anche dai sostenitori dell’ISIS.

Diverse figure dell’Islam hanno rivendicato il ruolo del Mahdi. Di recente, il capo del PMC turco SADAT Adnan Tanriverdi ha proclamato Erdogan il Mahdi.

Iran: il 12° Imam

Nello sciismo, il tema del Mahdi è molto più sviluppato e l’escatologia è alla base degli stessi insegnamenti politico-religiosi degli sciiti. Gli sciiti considerano solo i seguaci di Ali, gli Imam, come i legittimi governanti della comunità islamica. Credono che l’ultimo 12° Imam non sia morto, ma si sia nascosto. Apparirà di nuovo alla gente alla fine dei tempi. Questo sarà l’inizio dell’ascesa del mondo sciita.

Poi apparirà Cristo, che insieme al Mahdi combatterà con Dajjal e lo sconfiggerà, stabilendo un giusto ordine spirituale per un breve periodo di tempo – poco prima della fine del mondo.

Probabilmente è stata l’antica dottrina iraniana della lotta tra la luce (Ormuzd) e le tenebre (Ahriman) che ha iniziato la storia come chiave di lettura del suo significato e della vittoria finale dei guerrieri della luce che è diventata la base della parte escatologica degli insegnamenti monoteistici. Ma in ogni caso l’influenza dello zoroastrismo sullo sciismo è evidente, ed è questo che dà all’escatologia iraniana una tale pregnanza e una chiara espressione politica.

Questa è la visione della maggioranza degli sciiti e in Iran è l’ideologia ufficiale che determina in larga misura l’intera strategia politica del Paese.

L’escatologia sciita continua per molti aspetti la tradizione iraniana pre-islamica dello zoroastrismo, che aveva una teoria sviluppata del cambiamento dei cicli e del loro culmine nella Grande Restaurazione (frashokart). L’immagine dell’imminente Re-Salvatore – Saoshyant, destinato a nascere magicamente da una Vergine pura e a sconfiggere l’esercito del principio oscuro (Ahriman) nell’ultima battaglia, vi svolge un ruolo importante.

Asia sud-orientale: India e Kalki

Nell’Induismo, la fine del mondo ha poco significato, anche se alcuni testi sacri associati al ciclo di Kalachakra raccontano di re della terra mistica di Shambhala, dove prevalgono ancora le condizioni di un’età dell’oro. Nel momento finale della storia, uno di questi re, Kalki, ritenuto il decimo avatar di Vishnu, apparirà nel mondo umano e combatterà il demone Kali-yuga. La vittoria di Kalki porrà fine all’era oscura e segnerà un nuovo inizio (Satya-yuga).

Il Kali-yuga è descritto come un’epoca di declino della morale, dei valori tradizionali e delle basi spirituali della civiltà indiana. Sebbene la tradizione indiana sia piuttosto distaccata dalla storia e dai suoi cicli, ritenendo che la realizzazione spirituale possa essere raggiunta in qualsiasi condizione, i motivi escatologici sono piuttosto presenti nella cultura e nella politica.

Nell’India contemporanea, il popolare politico conservatore e primo ministro Narendra Modi è riconosciuto da alcuni circoli tradizionalisti come un avatar divino – di Kalki stesso o del suo messaggero.

Buddismo: il Buddha dei tempi a venire

Anche nella tradizione buddista si sviluppano motivi escatologici. La fine dei tempi è vista come l’arrivo del Buddha futuro, Maitreya. La sua missione è quella di rinnovare la vita spirituale del sangha, la comunità buddista, e di indirizzare l’umanità verso il cammino salvifico del risveglio.

Sul buddismo si sono basati alcuni sistemi politici dei Paesi del Sud-Est asiatico: il Giappone, unito al culto autoctono dello shintoismo, al centro del quale si trova la figura dell’imperatore divino, alcuni Stati dell’Indocina. In alcuni casi, l’appello alla figura del Buddha Maitreya in arrivo è diventato la base di movimenti politici e rivolte popolari.

Talvolta il buddismo escatologico ha trovato sostegno nell’ideologia comunista, dando origine a forme sincretiche – Cambogia, Vietnam, ecc.

Cina: il mandato celeste

L’escatologia è praticamente assente nel confucianesimo, che è la corrente etico-politica dominante della tradizione cinese. Ma allo stesso tempo è sviluppata in modo piuttosto dettagliato nella religione dei taoisti cinesi e nelle correnti sincretistiche taoiste-buddiste. Secondo le idee taoiste sui cicli, la storia del mondo si riflette nel cambiamento delle dinastie al potere in Cina. Questo cambiamento è il risultato della perdita di quello che i taoisti chiamano il “Mandato del Cielo”, che ogni legittimo sovrano della Cina è obbligato a ricevere e conservare. Quando questo Mandato si esaurisce, la Cina è in subbuglio, con guerre civili e disordini. La situazione si salva solo con l’ottenimento di un nuovo Mandato del Cielo e l’intronizzazione di una nuova dinastia.

L’Impero di Mezzo cinese è percepito dai cinesi stessi come un’immagine della gerarchia cosmica, come l’Universo. Nell’Impero, cultura e natura si fondono fino a diventare indistinguibili. Per questo i cicli dinastici sono cicli cosmici con cui si misurano le epoche.

La tradizione cinese non conosce la fine assoluta del mondo, ma ritiene che ogni deviazione dell’ordine mondiale in qualsiasi direzione richieda un ripristino simmetrico. Questa teoria ha implicitamente contribuito alla rivoluzione cinese e mantiene il suo significato fino ai giorni nostri.

Infatti, la figura dell’attuale presidente del Comitato Centrale del PCC, Xing Jinping, è vista come una nuova apparizione di un imperatore legittimo che ha ricevuto un mandato celeste.

L’Africa: Garvey e la Massoneria nera

Uno dei fondatori del movimento per restituire dignità ai popoli africani fu il massone di origine giamaicana Marcus Garvey, che applicò il progressismo massonico ai neri e invitò alla ribellione contro i bianchi.

Garvey intraprese una serie di azioni per riportare i neri americani nel continente africano, continuando un processo iniziato nel 1820 con la creazione di uno Stato artificiale sulla costa occidentale dell’Africa, la Liberia. Il governo della Liberia copiava quello degli Stati Uniti e anch’esso era composto prevalentemente da massoni.

Garvey interpretò la lotta per i diritti dei neri non solo come un mezzo per ottenere l’uguaglianza, ma promosse attivamente la teoria dell’elezione degli africani a popolo speciale, che dopo secoli di schiavitù era chiamato a stabilire il proprio dominio – almeno nello spazio del continente africano, ma anche a rivendicare i diritti al potere negli Stati Uniti e in altri Paesi coloniali. Al centro di questo movimento mondiale dovevano esserci le logge massoniche, dove erano ammessi solo i neri.

I rappresentanti estremi di questa corrente furono le organizzazioni Black Power, Black Panthers e più tardi BLM.

La grande Etiopia

In Africa, tra la popolazione melanodermica (nera) si sono sviluppate versioni originali dell’escatologia. Tutte (come l’escatologia di Garvey) considerano i popoli africani come dotati di una speciale missione storica (neri = Nuovo Israele) e predicono la rinascita di loro stessi e del continente africano nel suo complesso. Lo schema generale dell’escatologia africana considera l’epoca della colonizzazione e della schiavitù come una grande prova spirituale per la razza nera, cui seguirà un periodo di ricompensa, una nuova età dell’oro.

In una versione di questa escatologia, il nucleo dell’identità africana è l’Etiopia. La sua popolazione (kushiti e semiti dalla pelle scura) è vista come il paradigma della civiltà africana – l’Etiopia è l’unica entità politica africana che non è stata colonizzata, né dalle potenze europee né dai musulmani.

In questa versione, tutti i popoli africani sono considerati imparentati con gli etiopi e il monarca etiope – il Negus – è percepito come il prototipo del sovrano del grande impero africano. Questa linea è stata alla base del rastafarianesimo, che è diventato popolare tra i neri della Giamaica e si è poi diffuso tra la popolazione nera dell’Africa e dell’America.

Questa versione è predominante per le nazioni cristiane e cristianizzate. La stessa escatologia cristiana degli etiopi (monofisiti) acquisisce caratteristiche originali associate alla missione speciale dell’Etiopia, considerata il Paese e il popolo eletto (da qui le leggende secondo cui l’antenato degli etiopi sarebbe il biblico Melchisedek, il Re della Pace). Nel rastafarianesimo, questa escatologia etiopica acquisisce ulteriori caratteristiche, a volte piuttosto grottesche.

Islam nero

Un’altra versione dell’escatologia africana è quella dei “musulmani neri” (Nation of Islam), sorta negli Stati Uniti. Questa dottrina sostiene che sia Mosè che Maometto erano neri e che Dio si incarna in leader politico-religiosi neri di ciclo in ciclo. Il fondatore di questa corrente, Wali Fard Muhammad, si considerava un’incarnazione di questo tipo (in linea con la setta russa dei khlysty). Dopo la morte di Wali Fard Mohammed i credenti si aspettano il suo ritorno su un’astronave.

Parallelamente, proclama la necessità per i neri di lottare negli Stati Uniti e in tutto il mondo, non solo per i loro diritti, ma per il riconoscimento della loro leadership spirituale e razziale nella civiltà.

Sotto il leader contemporaneo della Nation of Islam, Louis Farrakhan, questa corrente ha raggiunto una grande influenza negli Stati Uniti e ha avuto un impatto significativo sulla formazione ideologica dei musulmani neri in Africa.

Egitto nero

Un’altra versione dell’escatologia politica africana è la corrente del KMT (dall’antico nome egiziano dell’Egitto stesso), che ha sviluppato le idee del filosofo africano Sheikh Anta Diop. Lui e i suoi seguaci hanno sviluppato la teoria che l’antico Egitto fosse uno Stato di neri, come si evince dal nome “KMT”, che in lingua egizia significa “Terra Nera” o “Terra dei Neri”. Anta Diop ritiene che tutti i sistemi religiosi africani siano eco della religione egizia, che deve essere ricostruita nella sua interezza.

Il suo seguace Kemi Seba sviluppa la tesi del monoteismo africano, che è alla base di un sistema religioso-politico in cui il potere dovrebbe essere affidato a un governo metafisico che esprima la volontà di Dio (come i visir del Mahdi nella versione di Ibn Arabi). La vita dovrebbe basarsi sul principio delle comunità nere chiuse – quilombo.

In questo modo, gli africani dovrebbero tornare alle tradizioni dei loro popoli, assumere il pieno controllo del continente africano, ripristinare un colore della pelle il più scuro possibile (attraverso matrimoni orientati al melano) e realizzare una rivoluzione spirituale nel mondo.

L’unica lingua sacra panafricana dovrebbe essere l’antico egiziano restaurato (medu netjer), mentre lo swahili dovrebbe essere usato per le necessità pratiche. Secondo i sostenitori della teoria del KMT, i neri sono i portatori della sacralità, della Tradizione e il popolo dell’Età dell’Oro. La civiltà bianca è una perversione, una patologia e un’anti-civiltà in cui la materia, il denaro e il capitale sono al di sopra dello spirito.

Il principale nemico degli africani e dei neri di tutto il mondo sono i bianchi, considerati portatori di modernizzazione, colonialismo, materialismo e degenerazione spirituale. La vittoria sui bianchi è la garanzia del compimento della missione mondiale dei neri e il coronamento del processo di decolonizzazione.

America Latina:Eteno-escatologia ed indigenismo

Nei Paesi dell’America Latina, alcuni popoli amerindi aborigeni vedono la logica fine della colonizzazione nella restaurazione delle società etniche (indigenismo). Queste tendenze si sviluppano in misura diversa a seconda del Paese.

Molti considerano la ribellione di Tupac Amaru II, discendente dell’ultimo sovrano Inca, che nel 1780 guidò una rivolta indiana contro la presenza spagnola in Perù, come l’inizio simbolico della resistenza dei nativi alla colonizzazione.

In Bolivia, nel 2006, è stato eletto presidente Evo Morales, il primo rappresentante del popolo indiano Aymara. Sempre più spesso si sentono voci – soprattutto in Perù e Bolivia – a favore della dichiarazione dell’antico culto indiano della dea della terra Pachamama come religione ufficiale.

Di norma, l’escatologia etnica degli indios latinoamericani si combina con correnti socialiste o anarchiche di sinistra per creare insegnamenti sincretici.

Sebastianismo brasiliano

Una particolare versione dell’escatologia, legata alle idee portoghesi sul Quinto Impero, si è sviluppata in Brasile. Dopo che la capitale dell’Impero portoghese fu trasferita in Brasile a causa di un colpo di Stato repubblicano in Portogallo, nacque la dottrina secondo cui questo trasferimento della capitale non era casuale e che il Brasile stesso aveva una speciale missione politico-religiosa. Se il Portogallo europeo ha dimenticato la dottrina di Re Sebastiano e ha seguito la strada della democrazia borghese europea, allora il Brasile deve ora assumere questa missione e diventare il territorio in cui, nelle condizioni critiche del ciclo storico, si troverebbe il Re Sebastiano scomparso ma non morto.

Sotto la bandiera di tale dottrina si sono svolte in Brasile le rivolte conservatrici cattolico-escatologiche e imperiali contro il governo liberale massonico – Canudos, Contestado, ecc. – hanno avuto luogo in Brasile.

Mappa escatologica delle civiltà

Così, in un mondo multipolare, escatologie diverse si scontrano o si alleano tra loro.

In Occidente prevale nettamente il modello secolare (progressismo e liberalismo), con un’aggiunta significativa sotto forma di dispensazionalismo protestante estremo. Questa è la “fine della storia”, secondo Fukuyama. Se prendiamo in considerazione l’élite liberale dei Paesi europei sotto il pieno controllo americano, possiamo parlare di un’escatologia speciale che accomuna quasi tutti i Paesi della NATO. A ciò si aggiunge la teoria dell’individualismo radicale, comune ai liberali, che pretende di liberare l’uomo da ogni forma di identità collettiva – fino alla libertà dal sesso (politica di genere) e persino dall’appartenenza alla specie umana (transumanesimo, IA). Così i nuovi elementi dell’escatologia progressista massonica, insieme alla “società aperta”, sono gli imperativi del cambiamento di sesso, del sostegno ai principi LGBTQ, del postumanesimo e dell’ecologia profonda (che rifiuta la centralità dell’essere umano nel mondo su cui hanno insistito tutte le religioni e i sistemi filosofici tradizionali).

Sebbene il sionismo non sia un’estensione diretta di questa versione dell’escatologia, in alcune sue forme – in particolare attraverso l’alleanza con i neoconservatori americani – si inserisce in parte in questa strategia e, data l’influenza degli ebrei sulle élite al potere in Occidente, queste proporzioni potrebbero persino essere invertite.

Nel percorso di questa fine della storia, la Russia e la sua funzione katehonica, che combina l’escatologia della Terza Roma e l’orizzonte comunista come eredità dell’URSS, si trova più palesemente in mezzo.

In Cina, il marxismo occidentale, già rielaborato in modo sostanziale nel maoismo, si manifesta sempre più apertamente nella cultura confuciana e il capo del PCC, in qualità di imperatore tradizionale, riceve il mandato celeste di governare “tutto ciò che è sotto il cielo” (tianxia – 天下).

I sentimenti escatologici sono in costante crescita nel mondo islamico, sia nella zona sunnita che soprattutto nello sciismo (in primo luogo in Iran), ed è la moderna civiltà occidentale – la stessa che oggi combatte contro la Russia – che viene quasi unanimemente dipinta come il Dajjal per tutti i musulmani.

In India crescono progressivamente i sentimenti ispirati all’Hindutva (la dottrina dell’identità indipendente degli indù come civiltà speciale e superiore), che proclamano un ritorno alle radici della tradizione indù e ai suoi valori (che non coincidono affatto con quelli dell’Occidente), e da qui si delineano i contorni di una speciale escatologia associata al fenomeno Kalki e al superamento del Kali-yuga.

Il panafricanismo si sviluppa verso il rafforzamento di dottrine radicali sul ritorno degli africani alla loro identità e un nuovo ciclo di lotta anticoloniale contro il “mondo bianco” (inteso principalmente come Paesi coloniali appartenenti alla civiltà occidentale). Questo descrive un nuovo vettore dell’escatologia nera.

In America Latina, il desiderio di rafforzare la propria sovranità geopolitica è sostenuto sia dall’escatologia di sinistra (socialista) che dalla difesa dell’identità cattolica, particolarmente evidente in Brasile, dove sia la destra che la sinistra prendono sempre più le distanze dal globalismo e dalla politica statunitense (da qui la precoce partecipazione del Brasile al blocco BRICS). Le etno-escatologie dell’indigenismo, sebbene relativamente deboli, aggiungono generalmente una dimensione importante all’intero progetto escatologico.

Allo stesso tempo, l’escatologia aristocratica francese (e la sua proiezione secolare nel gollismo), la versione tedesca della fine della storia nella persona dell’Impero tedesco, così come la linea buddista e shintoista della missione speciale del Giappone e degli imperatori giapponesi – (almeno per ora) non giocano alcun ruolo significativo, essendo completamente eclissati dalla dominante élite globalista progressista e dalle strategie degli anglosassoni.

Abbiamo così una mappa mondiale dell’escatologia, che corrisponde ai contorni di un mondo multipolare. [E’ chiaro che per noi cattolici apostolici romani integrali il Katehon non puo’ essere in Russia, ma a Roma, n.d.r.]

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/escatologie-del-mondo-multipolare

Il 25 luglio nacque dalle bombe del 19 luglio

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di Marcello Veneziani

L’Italia si sfasciò, in ogni senso, tra il 25 luglio e l’8 settembre di ottant’anni fa. Ma prima ci fu il 19 luglio, un antefatto che di solito non viene collegato alla caduta del regime fascista. Che successe il 19 luglio? Roma fu pesantemente bombardata dagli americani; dai tempi delle invasioni barbariche, e poi del sacco di Roma di cinque secoli fa, a opera dei Lanzichenecchi, non era stata messa a ferro e fuoco in quel modo. Tremila morti nella popolazione, di cui la metà nel solo quartiere di San Lorenzo, migliaia di feriti, case distrutte, terrore. Cinquemila bombe sganciate sulla capitale da cinquecento bombardieri, un secondo bombardamento fu effettuato il 13 agosto. La fatidica immagine del Papa Pio XII a San Giovanni in Laterano che allarga le braccia in un atto estremo di paternità e soccorso; la Città Eterna ormai si raccomanda a Dio, avendo perso l’incrollabile fiducia nella storia e nella sua gloriosa incolumità.
Di solito si collega allo sbarco angloamericano in Sicilia iniziato pochi giorni prima, la spinta decisiva alla svolta del 25 luglio. Ma si sottovaluta l’impatto emotivo, la paura e la percezione di vulnerabilità che il bombardamento del 19 luglio ha procurato nell’establishment, tra le gerarchie militari e sulla stessa Corona. Tutti, dal Re ai capi e capataz avvertono di essere ormai in balia degli eventi, esposti alla tragedia, ormai insicuri fin dentro casa, nei palazzi del potere romano…
Il fatidico 25 luglio, spartiacque nella storia del novecento italiano e punto di svolta nella seconda guerra mondiale, ebbe però un significato storico proverbiale e paradigmatico nella storia d’Italia. Se non fosse per la galoppante amnesia che ci prende ormai da anni e cancella rapidamente pagine e pagine di storia e memoria, dovremmo ricordare gli ottant’anni del 25 luglio perché è una data “fondativa” che rivela l’indole italiana ed è soprattutto il tormentone della storia d’Italia, il suo archetipo.
Il giorno in cui cadde il regime fascista, per voto democratico del Gran Consiglio, quando il Re Vittorio Emanuele III passò da Imperatore per grazia del Duce a carceriere del Duce medesimo, diventò la data ufficiale dello sbandamento e dello sdoppiamento nazionale. Il 25 luglio è il paradigma di tutte le cadute dei capi, di tutti i conflitti tra poteri e di tutti i voltafaccia e i tradimenti, i passaggi di campo. Ogni leader deposto nella nostra repubblica ha subito la sindrome del 25 luglio: da Craxi a d’Alema, da Berlusconi a Bossi, da Letta a Renzi, fino a Salvini e perfino Di Maio, solo per dire dei più recenti. Forse fa eccezione Giuseppe Conte, che si tradì da solo, e non fu, come un film biblico famoso, “Giuseppe venduto dai fratelli”.
Per i missini la replica del 25 luglio era la scissione di Democrazia Nazionale dal Msi, compiuta dai “migliori” della classe dirigente missina nel 1976; Giorgio Almirante ripeteva a loro proposito che era stato coniato dopo il 25 luglio un verbo in inglese, To Badogliate, per indicare il tradimento, usando come verbo il nome del Maresciallo Badoglio, colui che assunse la guida del governo dopo la caduta di Mussolini. Poi venne il caso Fini, divenuto in Alleanza Nazionale il nuovo Badoglio per antonomasia.
Il 25 luglio fu un mezzo golpe, come del resto era stato ventun anni prima la Marcia su Roma. Metà istituzionale e metà atto di forza, ma incruenti in ambo i casi, all’inizio e alla fine del regime fascista nel XXI anno della sua era (per essere un’era, durò pochino). Il 25 luglio è anche un evento paradossale: un dittatore va al Gran Consiglio consapevole del destino che lo attende, cade democraticamente, con voto di maggioranza, rimette il suo mandato nelle mani del Re e poi si fa arrestare senza alcuna reazione, forse concordando il suo esautoramento e perfino scegliendo la destinazione della sua prigionia. Perfino Donna Rachele, che non era un raffinato politologo ma una vivace donna del popolo, aveva capito il tranello e lo aveva scongiurato di non andare a quella seduta. Lui invece ci va, come se volesse quel che poi accadde; era un modo per dimettersi e per lasciare che l’Italia avesse le mani libere dall’alleato tedesco. Seguono due anni di orrori ma non sono solo legati ai campi di sterminio, alle esecuzioni naziste e fasciste ma ai bombardamenti americani sulle città e sulle popolazioni, alle migliaia di ragazze stuprate dai marocchini francesi e agli eccidi partigiani (foibe incluse).
Il 25 luglio ad abbattere il regime fascista sono i suoi quadrumviri superstititi della Marcia su Roma, Emilio De Bono e Cesare Maria De Vecchi (Italo Balbo e Michelino Bianchi erano morti), le migliori intelligenze del regime, da Dino Grandi a Giuseppe Bottai, personalità di valore come l’economista Alberto de’ Stefani, il giurista Alfredo de Marsico, il sindacalista Edmondo Rossoni, il nazionalista Luigi Federzoni; quella che si potrebbe chiamare la destra del regime, sotto l’egida del Re, più qualche spurio. Con il Duce al Gran Consiglio restano in pochi. Mussolini è stanco e sfiduciato, non ama la prospettiva di andare al rimorchio dei tedeschi, magari voterebbe anche lui per la caduta del regime… Poi con l’8 settembre verranno le tragedie, da Salò al processo di Verona, gli eccidi rossi, i rastrellamenti tedeschi, la guerra civile, il tentativo di riprendere con la Repubblica sociale, con Mussolini metà prigioniero di Hitler e metà intenzionato a creare uno Stato cuscinetto, come dissero alcuni storici come Renzo De Felice, per impedire che i tedeschi, i nazisti prendessero il diretto controllo del nord d’Italia e si accanissero sugli italiani. Ma il Paese spaesato e decapitato, con la classe dirigente che si squaglia e va a vendersi l’Italia, comincia in quel dì, il 25 luglio (salvo antichi precedenti). Il 25 luglio, facendosi poi 8 settembre, non finì più, diventò un black friday in cui compiere periodicamente la svendita del magazzino morale e istituzionale del nostro Paese.

La Verità – 19 luglio 2023

Paolo Di Nella, 37 anni fa l’ennesimo omicidio comunista impunito. Oggi lo ricordiamo

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di Antonio Pannullo

Paolo Di Nella morì 37 anni fa, in questo giorno. Morì, fuori tempo massimo, nel 1983, dopo la stagione degli anni di piombo. Sembrava che quel periodo tragico fosse ormai concluso, con la morte nel marzo 1980 di Angelo Mancia. Il dipendente del nostro giornale assassinato in un agguato partigiano dalla Volante Rossa. Come gli assassini di Paolo Di Nella, anche quelli di Angelo Mancia rimasero impuniti. Paolo Di Nella lo conoscevo, frequentava la sezione del Msi del Trieste Salario in viale Somalia e la federazione provinciale del Fronte della Gioventù. Era amico di tutta quella meglio gioventù di attivisti di quegli anni. Ma in particolare dei fratelli Buffo, di Gianni Alemanno, di Sergio Mariani, di Paolo Omodei e di quel gruppo di giovanissimi che frequentavano la sezione Trieste. Era apparentemente un po’ chiuso, ma sempre pronto a scherzare quando stava con i suoi fratelli. Il gruppo era profondamente legato. Era spesso preso in giro per le sue battaglie ambientaliste, alle quali dedicava tutte le sue energie. Allora non capivamo che Paolo Di Nella era avanti tutti noi.

Di Nella, “uccidere un fascista non è reato”

I fatti sono noti, ma li rievochiamo per quei giovani che oggi portano avanti anche la sua battaglia. Alle 20.05 di quel 9 febbraio 1983 il suo cuore smise di battere. Noi ragazzi del Fronte della Gioventù (l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano) ci sentimmo allora irrimediabilmente più soli. Perché sapevamo perfettamente che “uccidere un fascista non è reato” non era solo uno slogan dei “duri” dell’Autonomia operaia (che rivendicò l’assassinio), ma era diventata una legge non scritta. L’avevamo subìta parecchie volte e non ci eravamo mai fermati. Il Fronte non si fermò neanche allora, benché sapessimo perfettamente che anche questo omicidio non sarebbe mai stato punito, così come era accaduto per Francesco Cecchin, ucciso da sconosciuti a piazza Vescovio pochi anni prima. E così è stato. Ancora oggi aggressori a piede libero. Nel caso di Paolo Di Nella le cose andarono un po’ diversamente, anche se una sfortunata vicenda giudiziaria chiuse il caso senza che si fosse arrivati a un colpevole.

Gli inquirenti si mossero solo dopo l’arrivo di Pertini

Anche perché gli inquirenti si mossero con un certo impegno solo dopo che l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini accorse, in forma privata, al capezzale di Paolo. Era evidentemente stato colpito dall’efferatezza e dalla gratuità del gesto feroce verso un ragazzo di vent’anni che si batteva per il verde pubblico nel suo quartiere. Pertini fu affrontato – è il caso di dirlo – da una ragazza del Fronte, Marina, che eludendo la sorveglianza al presidente, riuscì a intercettarlo e a dirgli quello che pensava. «Questo è il frutto dell’odio che avete alimentato per quarant’anni! Ci stanno ammazzando tutti!», disse Marina. Pertini la guardò in faccia, rimase a capo chino in silenzio, le posò una mano sulla spalla e si allontanò. Il vecchio partigiano ascoltò con molta attenzione la ragazza in lacrime di rabbia e di dolore, e probabilmente capì che i tempi della giustizia sommaria erano davvero finiti per sempre. Possiamo affermare senza timore di essere smentiti da nessuno, che se gli anni di piombo si chiusero fu solo ed esclusivamente grazie alla buona volontà, al senso di responsabilità, alla civiltà degli “estremisti di destra” di allora, che scelsero consapevolmente di non attuare ritorsioni di alcun genere.

Di Nella e la sua battaglia pacifica

E dopo Pertini, fu un profluvio, piuttosto stupefacente, per noi missini, di solidarietà da tutte le parti: l’allora sindaco di Roma Ugo Vetere, del Pci, venne all’ospedale, il segretario del partito Enrico Berlinguer mandò un commosso telegramma. Il giornalista Giuliano Ferrara scrisse un articolo in difesa di Di Nella e del suo diritto a pensarla come la pensava. E proprio così Paolo conduceva la sua lotta politica: civilmente e pacificamente, talmente fiducioso nel suo diritto da andare ad attaccare manifesti da solo con la sua ragazza, in un periodo in cui questo non era consigliabile.

Paolo aggredito vigliaccamente alle spalle

Paolo non era assolutamente un violento, ma non si fermava mai. Non c’era nulla che si potesse dire o fare per impedirgli di agire come a lui sembrava giusto. Anche quella sera, poiché non c’erano persone disponibili ad accompagnarlo, gli fu proposto di rimandare alla sera successiva l’affissione, ma lui non ne volle sapere. La battaglia di combatte tutti i giorni, e guai a chi si ferma. Andò con una militante del Trieste Salario, che lo accompagnò con l’automobile. E’ grazie a lei se abbiamo una testimonianza precisa di tutto quello che accadde. Paolo scendeva, affiggeva, e ripartivano. L’Autonomia operaia era molto attiva nel quartiere Africano, quello dove Paolo e i suoi camerati lottavano affinché Villa Chigi fosse restituita alla gente. Negli anni e precedenti le sezioni missine della zona, via Migiurtiniaviale Somalia, la Monte Sacro, la Talenti, la Tufello, erano state oggetto di decine di attentati dinamitardi incendiari, assalti armati.

Quella notte in viale Libia

A piazza Gondar, in viale Libia (dove oggi c’è la scritta che lo ricorda), Paolo fu aggredito da dietro da due ragazzi, uno dei quali lo colpì con un oggetto contundente mai identificato. Gli causò la commozione cerebrale che lo portò, dopo una settimana di agonia, alla morte. La ragazza lo accompagnò a sciacquarsi la testa alla fontanella, e lui le gece promettere di non dire nulla a nessuno, che non er aniente. Ma tornato a casa si sentì male e fu portato in ospedale. Vegliato incessantemente – oltre che dalla sua splendida famiglia – da tutti i suoi camerati. Il suo sacrificio è servito a far accorgere agli italiani di quanto accadeva, a far diventare Villa Chigi parco pubblico – oggi è intitolato a suo nome – e a far finire gli anni di piombo.

La responsabilità morale della sua e di altre morti è ascritta per sempre a tutta una classe politica e mediatica che per anni ha chiuso gli occhi di fronte alla palese ingiustizia a cui i giovani missini erano sottoposti da parte di tutti. In quella settimana di agonia di Paolo ci furono affissioni per denunciare l’accaduto, un corteo sfilò per il quartiere, assemblee nelle scuole, ma a nessuno sembrava gliene fregasse qualcosa: al Giulio Cesare anzi si arrivò a confermare il diktat che uccidere un fascista non è reato.

Il comunicato del FdG: “Caduto per la Rivoluzione”

Vogliamo concludere questo ricordo con il comunicato del Fronte della Gioventù emesso qualche giorno dopo la morte di Paolo. “Con Paolo di Nella è morto un combattente per il proprio popolo, un nazional-rivoluzionario. Nessuno si permetta di offendere questo martire con inutili isterismi. L’unica vendetta è continuare la sua lotta contro il sistema che lo ha assassinato”. Al suo funerale, quando la bara avvolta nella bandiera con la croce celtica uscì dalla chiesa di piazza Verbano, a migliaia salutarono Paolo Di Nella col braccio teso.

Il volantino di rivendicazione dell’assassinio spuntò il 14 febbraio, in una cabina telefonica di piazza Gondar, a pochissimi metri da dove c’era stata l’aggressione. È firmato da Autonomia Operaia. L’ultimo atto della tragedia avviene nel dicembre del 2008, il papà di Paolo è morto e la famiglia ha deciso di farli riposare insieme. La bara di Paolo è lentamente esposta e appaiono ancora quei colori: il rosso, il bianco, il nero; per venticinque anni la bandiera con la celtica ha riposato insieme a Paolo. La bara di Paolo viene messa vicino a quella del padre, si stende di nuovo sopra la sua bandiera, e c’è una piccola scritta: “Caduto per la Rivoluzione”.

Fonte: https://www.secoloditalia.it/2020/02/paolo-di-nella-37-anni-fa-lennesimo-omicidio-comunista-impunito-oggi-lo-ricordiamo/#amp_tf=Da%20%251%24s&aoh=16759337127036&referrer=https%3A%2F%2Fwww.google.com&ampshare=https%3A%2F%2Fwww.secoloditalia.it%2F2020%2F02%2Fpaolo-di-nella-37-anni-fa-lennesimo-omicidio-comunista-impunito-oggi-lo-ricordiamo%2F

Ultra abortisti SCONFITTI

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Segnalazione di Antonio Brandi

E’ stata dura, durissima, ma ce l’abbiamo fatta.

Sono state settimane di fuoco, con attacchi feroci da parte della politica, dei media, dei collettivi radicali, dei centri sociali e dei gruppi ultra-femministi.

A Torino hanno fatto di tutto per rimuovere i nostri manifesti per la Vita (come successo a Roma), ma ne sono usciti con le ossa rotte.

Il Partito Democratico aveva già avviato la procedura per la censura amministrativa, ma era necessario il via libera dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP).

Doccia fredda: lo IAP ha risposto che i nostri manifesti sono tutelati dal diritto di opinione ed espressione e non contengono messaggi violenti, offensivi o discriminatori.

La propaganda femminista e ultra-abortista che ci ha infangato per settimane è stata clamorosamente smentita… e sconfitta!

Abbiamo combattuto, abbiamo resistito, abbiamo vinto.

Sì, abbiamo vinto una battaglia, ma la guerra è ancora lunga.

La sinistra continua a lavorare per mettere fuori legge chiunque dica la verità sull’aborto e difenda la sacralità della Vita, cioè me e te.

Per continuare a combattere, a resistere agli attacchi e difendere la vita dei bimbi nel grembo delle loro mamme ho bisogno di tutto l’aiuto possibile.

Ci stanno impedendo con minacce e violenze di difendere la sacralità della Vita

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Segnalazione di Jacopo Coghe, Presidente di Pro Vita & Famiglia

Ci stanno impedendo con minacce e violenze di difendere la sacralità della Vita.

Ricordi i manifesti affissi a Roma l’8 marzo con l’immagine di una bimba e lo slogan: “Potere alle donne, facciamole nascere”?

Quella campagna ci costò cara: censura del Comune, manifesti rimossi e sede vandalizzata (due volte) dai collettivi di estrema sinistra.

Ti scrivo perché sono tornati all’attacco – più di prima.

A Imperia, in Liguria, i manifesti sono stati strappati poco dopo l’affissione (vedi foto).

Il collettivo femminista Non Una Di Meno ci ha attaccato con parole deliranti: “nel Medioevo ci mettevano al rogo, nel 2022 usano metodi piu moderni”.

I manifesti di Pro Vita & Famiglia strappati a Imperia (Liguria)

A Torino si combatte la battaglia più difficile.

I collettivi femministi stanno facendo pressione sul Comune perché disponga la censura.

Sulla stampa stanno massacrando la nostra iniziativa con accuse false e vergognose.

Ecco i titoli di alcuni articoli contro di noi apparsi sul Corriere della Sera e La Stampa:

Le vicende di Roma e Torino mi hanno fatto capire davvero la potenza del nostro semplice messaggio.

Ecco perché voglio portare questa campagna di affissioni anche negli altri capoluoghi italiani.

Voglio coinvolgere tutte le Regioni e tutti i territori.

Ovviamente, dipende anche da come andrà questa raccolta fondi, perché quando ci attaccano dobbiamo affrontare spese e costi del tutto imprevisti.

Per questo spero che anche tu vorrai aiutarmi.

Non solo per difenderci a Torino, ma per rilanciare in tutta Italia. Dobbiamo fargli capire con chi hanno a che fare.

Grazie per essere accanto a me nella difesa della Libertà e della Vita. La posta in gioco è più alta di quanto sembri.

In alto i cuori!

Azovstal, Capuozzo mostra il video dei miliziani di Azov: “Sapete cosa stanno cantando?”

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QUINTA COLONNA

Si combatte dentro l’acciaieria trasformata in un “inferno”. Asserragliati i soldati del Battaglione Azov

Una combattente di Azov asserragliata all’Azovstal. Il video ripreso da un cellulare. I “resistenti” all’assalto russo che intonano una canzone, l’odierna “Bella Ciao” come scrive qualcuno. È il video, pubblicato sui social e raccontato anche dai media italiani, su cui si sta discutendo in queste ore. Ovvero il canto dei soldati che difendono l’ultima postazione ucraina a Mariupol.

Perché se ne discute? Lo spiega Toni Capuozzo, molto critico sulla posizione che i media occidentali hanno preso rispetto al Battaglione (ormai un reggimento) accusato in passato di simpatie neonaziste. “Non so se sia vero che i “resistenti” dell’Azovstal abbiano chiesto una tonnellata di cibo per ogni quindici civili da rilasciare: la fonte è russa, e ovviamente non farebbe loro onore – scrive lo storico inviato di guerra sui suoi canali social – So quel che leggo sul Corriere della Sera di oggi, che li descrive come dei soldati Ryan da salvare, e paragona la loro canzone a Bella Ciao. Peccato che inneggi a Stepan Bandera, eroe del collaborazionismo con i nazisti. Non è l’unico equivoco: il Primo maggio dal concertone di Roma hanno spedito i saluti a Kiev, senza accorgersi che quella festività è abolita in Ucraina dal 2014″. La seconda strofa della canzone infatti dice: “L’Ucraina è la nostra madre e Stepan Bandera è nostro padre”.

Su Stepan Bandera molto si è detto e scritto. Ucciso a Monaco nel 1959, questo nazionalista ucraino divide la società: amato nella parte occidentale, viene considerato un fondamentalista nazista nelle zone ad Est. Quelle a maggioranza russofona. Nel 2018 vi furono non poche polemiche quando il Parlamento di Kiev decise di festeggiare come festa nazionale il compleanno del discusso combattente. Il leader dell’Oun, Organizzazione dei nazionalisti ucraini, è infatti accusato di aver collaborato con Hitler anche se oggi per il Corriere diventa “patriota dell’Ucraina libera, irredenta e democratica”.

Secondo quanto riporta ilGiornale, “a partire dal febbraio del 1943 i nazionalisti ucraini cominciarono ad attaccare la popolazione polacca dell’oblast di Volyn’. L’Upa e l’Oun attaccarono oltre cento villaggi polacchi sterminando oltre centomila persone, in maggioranza donne, bambini e anziani”. Per questo in Polonia viene considerato un criminale, così come le attività dei due movimenti nazionalisti. Non solo. Anche il Parlamento europeo, in una risoluzione approvata il 25 febbraio del 2010, scrisse di “deplorare profondamente la decisione del Presidente uscente dell’Ucraina, Viktor Yushchenko, di attribuire a Stepan Bandera, uno dei leader dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN), che ha collaborato con la Germania nazista, il titolo postumo di «Eroe nazionale dell’Ucraina»; auspica, a questo proposito, che la nuova dirigenza ucraina riveda tali decisioni e mantenga il suo impegno nei confronti dei valori europei”

Fonte: https://www.nicolaporro.it/azovstal-capuozzo-mostra-il-video-dei-miliziani-di-azov-sapete-cosa-stanno-cantando/

La politica economica non può servire due padroni

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Questo articolo, scritto nel 2017, è ancora attualissimo, tanto da sembrare scritto in questi giorni… (n.d.r.)

di Paolo Savona

In Germania l’inflazione ha raggiunto la soglia del 2% fissata come obiettivo della politica monetaria europea e il nervosismo dei tedeschi nei confronti della BCE va crescendo. Essi scoprono, invero con troppo ritardo, che una moneta unica tra paesi che presentano profonde diversità economiche non può funzionare, perché la stessa politica monetaria non può servire due padroni: se è accondiscendente per fronteggiare le difficoltà dei paesi a minor crescita e minore inflazione, danneggia i paesi che crescono di più e con essa i prezzi. Se la politica monetaria sceglie una via intermedia, come accadrà per salvare capre e cavoli, scontenterà entrambi. Nell’Euroarea il problema andava affrontato fin dall’inizio con politiche volte a rimuovere i divari di produttività, come ha fatto la Germania all’atto della riunificazione tra Ovest ed Est; essa ha però negato che la stessa politica fosse necessaria per tutti i paesi aderenti all’euro, per propiziare la coesione dell’area. Per colmare il vuoto ha sostenuto e ottenuto una politica centrata sulle limitazioni all’uso della politica fiscale, restata di competenza dei singoli paesi, e sulle “riforme”, che nel breve periodo hanno effetti deflazionistici aggiuntivi rispetto a quelli dovuti alle diverse condizioni socio-politiche esistenti tra paesi. Se la logica di un accordo internazionale è che il più debole soccombe al più forte, essa comporta l’accettazione di politiche di foggia coloniale o, prima o dopo, la sua disintegrazione. Gli Stati Uniti nel dopoguerra lo avevano capito e avevano agito di conseguenza.

Poiché i Trattati dell’Unione Europea non prevedono come regolare la fattispecie della colonia o della dissoluzione – ossia non hanno un Piano B, né intendono approntarlo – le conseguenze saranno disastrose, come testimoniano nel loro piccolo le difficoltà che incontra l’attuazione della Brexit. Immaginate che cosa succederebbe per la dissoluzione dell’euro, i cui meccanismi di debito e credito sono studiati per essere irreversibili, pur non potendolo essere.
Come i gruppi dirigenti intendano affrontare le drammatiche lacune dei trattati europei resta un mistero. Un pericoloso mistero. Si moltiplicano i suggerimenti di stare o uscire dall’euro, non solo da parte dei leader dei partiti che campano su questa ipotesi senza alcuna idea di ciò che possa accadere se si verificasse; come pure vengono avanzati calcoli parziali di quanto si guadagna o si perde considerando un aspetto del più vasto problema di quale economia e quale società si intende rispristinare in alternativa a quella che abbiamo: il debito pubblico e il saldo del Target 2 (il sistema dei debiti e crediti tra Stati) da pagare, la svalutazione del cambio che risulterebbe, gli effetti sull’inflazione e sulla crescita. Tutto viene presentato con argomenti non per indicare una soluzione, ma per seminare terrore tra i cittadini elettori, trovandoli indifferenti, se non proprio rafforzando la loro sfiducia nei confronti dell’euro e dell’Europa.

Nonostante ciò cresce l’avversione a chiamare il popolo ad assumersi le responsabilità delle scelte invece di affidarle a menti elette, che non hanno mostrato d’essere tali. Come fatto da Tsipras in Grecia, mentre in Italia si continua a ritenere inutile e pericoloso indire le elezioni. Non c’è dubbio che il popolo abbia le sue ignoranze e i suoi difetti, ma che essi siano rafforzati dai comportamenti dei gruppi dirigenti ovunque siano situati lo è altrettanto. Pigliamo come esempio, in quanto facile da comprendere, quello del nostro bilancio pubblico 2017. Esso è stato confezionato in vista del referendum con piccole concessioni a destra e a manca, più per raccogliere consensi che per stimolare l’economia, che avrebbe bisogno di ben altri trattamenti. Visto che chiedevamo flessibilità e poiché comprendevano le motivazioni politiche, la Commissione non si è opposta, ma aveva avvertito che avrebbe fatto una verifica a marzo. Il referendum non è andato come avevano sperato a Roma e a Bruxelles e quello era il momento per correggere gli squilibri di bilancio. Invece il Presidente della Repubblica ha pregato il Presidente del Consiglio di stare in carica fino all’approvazione del bilancio che la Commissione aveva avvertito non andasse bene, giusto o sbagliato che fosse, e il Parlamento l’ha affrettatamente approvato. Subito dopo la Commissione ha chiesto all’Italia un aggiustamento del deficit pubblico di 3,4 mld di euro, lo 0,2% del PIL, ed è in corso una negoziazione per correggere gli errori precedenti, ormai divenuti legge. Il risultato è che verranno aumentate le tasse dopo avere aumentato le spese, rafforzando la disistima dei cittadini verso le istituzioni europee e italiane, nonché le spinte deflazionistiche; queste sono dovute più alla sfiducia di come si governa che alla realtà delle cose, pur sempre in movimento negativo.

Le complicazioni internazionali infatti aumentano, l’economia e la sicurezza ne patiscono. Occorre maggiore cautela. Una riposta chiara su che cosa si intenda fare diviene indispensabile. Chiunque voglia darla. Purché sia diversa da quella che quotidianamente ci viene propinata. Se si parla chiaramente ai cittadini elettori di fronte a quali problemi ci troviamo e che cosa si intende fare per risolverli, essi capiranno. Affinché però questa comunicazione abbia un senso, i primi a capire devono essere i gruppi dirigenti interni, europei ed esteri, che ci sembra l’anello mancante per il recupero delle speranze che stanno alla base del consenso. Altrimenti l’arancia meccanica non invertirà il moto intrapreso.

Fonte: https://scenarieconomici.it/la-politica-economica-non-puo-servire-due-padroni-%EF%BB%BFdi-paolo-savona/

Roma, vergogna Pd: bocciata la commemorazione per i martiri delle Foibe nel X Municipio

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di Cristina Gauri

Roma, 27 gen — Ci risiamo. All’approssimarsi del 10 febbraio, Giorno del ricordo, il Pd e accoliti antifascisti vari si dilettano nello sport preferito: negare, minimizzare, confutare e impedire che gli italiani commemorino la memoria della tragedia delle vittime delle Foibe e dell’esodo degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra.

Leggi anche: Foibe e confine orientale: spieghiamo un po’ di storia ai nostalgici del comunismo

Accade così che nel X Municipio di Roma Capitale il Pd ha bocciato la mozione, presentata dal consigliere leghista Alessandro Aguzzetti, che chiedeva la commemorazione ufficiale del dramma delle Foibe, solennità civile come da legge ordinaria dello Stato 30 marzo 2004, n. 92. Nella proposta portata in consiglio da Aguzzetti si chiedeva di deporre ufficialmente una corona in ricordo dei martiri al monumento in Piazza Segantini, al Villaggio San Giorgio di Acilia, noto per aver ospitato i tantissimi esuli costretti ad abbandonare la propria terra per sfuggire ai massacri dei partigiani titini. Con questa ignobile decisione il Pd ha stabilito per l’ennesima volta che per loro non deve esserci pace, né ricordo.

Il Pd boccia la mozione sulle Foibe

«Quanto accaduto oggi durante il consiglio del X Municipio é gravissimo», questo il commento del consigliere. «La bocciatura del documento in cui si chiedeva una commemorazione ufficiale in memoria dei martiri delle Foibe, ossia degli italiani uccisi dai partigiani di Tito perché italiani, dimostra la vera natura ideologica di questa amministrazione. Una amministrazione che mostra una natura reticente e negazionista nei confronti di una tragedia troppi anni taciuta e ancor oggi sminuita, se non addirittura giustificata da una certa sinistra».

Uno schiaffo agli esuli 

Aguzzetti, che è stato espulso dopo la bocciatura della mozione, prosegue: «Questa è una grave mancanza di rispetto soprattutto per i residenti del quartiere Giuliano Dalmata di Acilia, che un tempo accolse gli italiani costretti a lasciare le loro case perché vittime di questa pulizia etnica. Un quartiere simbolo che ogni anno ricorda con commozione il 10 febbraio quanto accaduto». Conclude Aguzzetti ringraziando i consiglieri di opposizione per aver sottoscritto il documento «e la capogruppo della Lega Monica Picca per aver abbandonato l’aula per solidarietà al sottoscritto dopo la votazione. Il 10 febbraio ricorderemo i martiri delle foibe alle ore 19 a Piazza Segantini, invito i cittadini ad essere presenti e dimostreremo a questa amministrazione che anche senza la loro presenza il ricordo sarà sempre vivo».

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/roma-vergogna-pd-bocciata-la-commemorazione-per-i-martiri-delle-foibe-nel-x-municipio-222078/

Lo scandalo Unitalsi: una porcheria passata nel silenzio

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QUINTA COLONNA

Unitalsi è l’associazione cattolica, estremamente meritoria, che si occupa dell’assistenza dei malati che vogliono recarsi in pellegrinaggio, soprattutto a Lourdes, con i famosi “Treni Bianchi”: Un buon esempio, peccato che la sede di Roma, per sette lunghi anni, abbia visto un’ampia distrazione di fondi che andavano non all’assistenza dei malati, ma ad assicurare viaggi, abiti firmati, villa in  Sardegna e perfino il pagamento delle Colf domestiche ai due ex presidenti, Alessandro Pinna ed Emanuele Trancalini, attualmente indagati.

Uno scandalo che è la faccia dell’Italia, quella peggiore, e che giunge sino al reato, non proprio secondario, di riciclaggio. Nonostante queste accuse, che comunque devono essere provate, la loro gestione è andata avanti per sette anni: possibile che nessuno abbia mai sospettato nulla o abbia fatto alcun controllo? Alla fine lo scandalo è stato rivelato da una sezione locale e secondaria…

A RadioRadio Ranucci interviene su questo piccolo, grande, scandalo capitolino. Buon ascolto:

Assedio alla Cgil, le 3 bugie della Lamorgese

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di Redazione www.nicolaporro.it 

Un’autodifesa a spada tratta. Ieri pomeriggio Luciana Lamorgese si è presentata in Parlamento per spiegare come sia potuto succedere che un gruppuscolo di neofascisti mettesse a ferro e fuoco la sede della Cgil a Roma. Ha ammesso alcuni errori, il ministro. Ha respinto la “strategia della tensione” evocata da Giorgia Meloni solo qualche giorno fa. Ma ha anche negativamente sorpreso per la tranquillità con cui ha parlato di quella che, in realtà, può configurarsi come una vera e propria debacle nella gestione dell’ordine pubblico.

Gli errori di valutazione

Scopriamo, ad esempio, che in piazza a controllare la massa di no green pass c’erano poche forze dell’ordine. Troppe poche. Il motivo? Il Viminale non c’aveva capito una mazza. O meglio: ci si è fidati dell’ipotesi formulata dagli organizzatori della manifestazione (“avevano indicato in mille persone il numero orientativo”), si è ipotizzato che potessero essere un pochino di più (“le autorità hanno ritenuto che l’affluenza effettiva si andasse ad attestare sulle 3-4mila unità”) per poi ritrovarsi in Piazza del Popolo tra le 10 e le 12mila personeEvidente la “sproporzione” tra agenti e manifestanti. La questura di Roma aveva messo in campo appena 590 elementi, cui si sono sommati 250 operatori tra Arma e Finanza. In totale solo “840 unità effettive, da ritenersi pienamente adeguato” rispetto “alle stime previsionali”, ma di fatto un’inezia vista la reale affluenza in corteo. Da qui le prime due domande: possibile che “il sistema informativo” abbia cannato così tanto l’analisi? E possibile che non si sia riusciti a rimediare in corso d’opera?

Le bugie sull’assedio alla Cgil

Non torna invece il resoconto del ministro sull’ultimo atto di quel sabato nero. Ovvero il momento in cui un gruppo di manifestanti prende la via che porta alla sede della Cgil e la trasforma in un bivacco di manipoli. Di fronte ai deputati, Lamorgese ha negato che il corteo verso la camera del lavoro fosse stato autorizzato dalle forze dell’ordine, nonostante una nota della questura romana, rivelata dalla Verità, dica esattamente il contrario. Ma il ministro ha anche detto qualcosa di ancor più incredibile. Avete presente il video, mostrato da Quarta Repubblica, in cui si sente Giuliano Castellino, leader di FN, dire alla folla che a breve avrebbero “messo sotto assedio” il sindacato? Ecco: per difendersi dalle accuse di non essersi preparati in tempo, nonostante l’annuncio criminoso, Lamorgese sostiene che no, non fu un “il frutto estemporaneo dell’incitamento di Castellino”, ma ritiene che l’idea “fosse emersa già prima”, quando cioè Luigi Aronica ne aveva fatto esplicita richiesta ai responsabili della sicurezza. Il che è molto peggio. La volontà di dirigersi verso la Cgil era chiara da almeno 15 minuti prima del discorso di Castellino: perché allora non sono state inviati rinforzi alla Cgil? E perché ci si è fidati degli esponenti di Forza Nuova quando hanno assicurato che sotto la sede di Landini si sarebbero limitati a “scandire slogan di protesta e disapprovazione”?

Il resto è storia nota. Circa 3mila partono in corteo, sorprendono le forze dell’ordine, superano il dispositivo in piazza del Brasile e s’avventano sulla Cgil. Vista “l’evidente sproporzione tra la massa dei manifestanti e le Forze dell’ordine in campo”, ammessa dal ministro, fanno ciò che vogliono. Distruggendo i locali del sindacato.

Il mistero Castellino

C’è poi da chiarire un ultimo punto. Per quale motivo Giuliano Castellino, vicesegretario nazionale di Forza Nuova, destinatario di un Daspo, con divieto di partecipare alle manifestazioni sportive, “noto alle forze dell’ordine per i suoi trascorsi delinquenziali”, sottoposto a “sorveglianza speciale di pubblica sicurezza” e con obbligo di soggiorno, s’è presentato come se nulla fosse al sit-in dei no green pass? Una settimana fa Lamorgese aveva detto che l’arresto sul posto è stato evitato per non creare ulteriori tensioni, e già la scusa era sembrata deboluccia. Ma perché non è stato impedito che arrivasse in piazza del Popolo? Per Lamorgese è questione di lana caprina. Roba da costituzionalisti. Giuristi di grido. Insomma pare che la giurisprudenza, quella della Cedu e della Corte costituzionale, non permetta l’arresto della persona soggetta a sorveglianza speciale. “Solo la ricorrenza, nel pomeriggio del 9 ottobre, di altri validi motivi di legge, ne hanno potuto giustificare, a diverso titolo, l’arresto”. Non prima. E va detto: fa specie sentirselo dire dopo che per oltre un anno il governo ha imposto lockdown, restrizioni e chiusure. Per l’Italia “stato di emergenza” perenne, per Castellino tutte le garanzie del mondo. Per il forzanovista la Costituzione vale e per gli altri no?

Infine, giusto come ciliegina sulla torta di una relazione decisamente discutibile, va forse sottolineata la spiegazione data per quell’agente che in diversi video si vede “presente all’azione di alcuni esagitati”. Si era ipotizzato si trattasse di un infiltrato, “inquietante retroscena” escluso da Lamorgese. Si trattava però di un poliziotto in borghese della Digos (cosa cambia?) “con compiti di osservazione e monitoraggio e di mediazione con i manifestanti”, lo stesso che poi è stato ripreso mentre reagisce in maniera scomposta nei confronti di un manifestante. Bene. Che ci faceva in quel filmato insieme ad altra gente che cercava di “provocare il ribaltamento di un furgone della polizia”? Per il ministro “quell’operatore stava verificando anche la forza ondulatoria scaricata sul mezzo e che non riuscisse ad essere effettivamente concluso”. Suvvia: “valutare la forza ondulatoria”? Siamo seri? Allora, così, vale tutto.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/assedio-alla-cgil-le-3-bugie-della-lamorgese/

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