LIRA O EURO, L’IMPORTANTE CHE L’EMISSIONE SIA DELLO STATO
di Emilio Giuliana
Oggi più che mai, con l’avanzare della crisi economica e il conseguente impoverimento degli italiani, per tornare a condizione economiche dignitose si fa sempre più strada l’idea, che la soluzione al problema è il ritorno alla moneta lira dalla moneta euro. In parte, la maggioranza delle persone, ha percepito che la capitolazione economica è determinata dall’utilizzo che se ne fa della carta moneta, però i più non hanno compreso il meccanismo che disciplina e regolamentazione il conio e la stampa dei “soldi”. I soldi vengono creati da Banche private, oggi l’Euro dalla BCE, ieri la Lira dalla Banca d’Italia privata. Questo è l’inghippo, l’anomalia monetaria, non se europea o nazionale, no se Euro o Lira, ma le Banche private. Dunque è necessario, che sia essa la Lira o l’Euro, che siano Banche dello Stato a stampare soldi, così come sotto spiegato.
Dopo l’unità d’Italia, nel 1863 la lira carta non poté più essere cambiata in oro. Oltre ai conseguenti danni per il risparmio di tutte le popolazioni della penisola, da qui incominciò a nascere il «Debito Pubblico»: lo Stato, in pratica, per finanziarsi iniziò a chiedere carta moneta ad una banca privata (qual è la Banca d’Italia). Lo Stato, quindi, a causa del «genio» di Cavour e soci, cedette da allora la sua sovranità in campo monetario affidandola a dei privati, che non ne hanno alcun titolo (la sovranità per sua natura non è cedibile perché è del popolo e dello Stato che lo rappresenta). Settant’anni più tardi si cercò di porre rimedio alle scelte bancarie capestro operate dagli statisti risorgimentali. Nel gennaio del 1933, un regio decreto creò l’Istituto di Ricostruzione Industriale (IRI), con Beneduce alla presidenza e direttore generale Donato Menichella (1896-1984, ex-Bankitalia). Il 13 aprile 1934, le tre grandi banche trasferirono all’IRI l’intero loro patrimonio di partecipazioni industriali. L’IRI si trovò così a detenere il controllo del 94% di Comit e del Banco di Roma, nonché del 78% di Credito Italiano . In cambio dello sgravio dell’immane massa di crediti irrealizzabili – i titoli tossici di allora – i banchieri privati dovettero impegnarsi per iscritto a fare «investimenti di pronta liquidità, escluso ogni immobilizzo di carattere industriale, anche sotto forma di partecipazioni azionarie». Questa la disposizione della legge Glass-Steagal, finalizzata alla separazione del credito ordinario da quello della banca d’affari. I grandi privati si dimostrarono pronti a riprendersi le aziende “irizzate” risanate dalla gestione Beneduce-Menichella.
Nell’assegno in bianco – conosciuto come Armistizio Lungo – accettato, firmato il 29 settembre del 1943 dal maresciallo Badoglio per il Regno d’Italia, l’art. 33 è il più significativo, perché di fatto pretende l’abrogazione della sovranità monetaria. ”Il Governo italiano adempirà le istruzioni che le Nazioni Unite potranno impartire riguardo alla restituzione, consegna, servizi o pagamenti quale indennizzo (payments by reparation of war) e pagamento delle spese di occupazione”. Di conseguenza, nel 1945, persa la guerra, gli Americani richiesero l’abolizione dell’IRI e la sua privatizzazione, nell’intento di comprare le banche con i depositi trovati nelle banche stesse. La depredazione fu tuttavia rimandata a tempi migliori e a migliori “padri della patria”: Carlo A. Ciampi, Romano Prodi e Mario Draghi. Continua a leggere