In Borsa è il momento di investire sul Pil della felicità

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di Massimo Di Guglielmo

Ciascuno di noi dovrebbe iniziare a immaginare la propria vita come cinque palline che deve far roteare in aria con l’abilità di un giocoliere. Solamente una di queste è tuttavia di gomma, infrangibile e rappresenta il lavoro perché, persa un’occupazione, se ne può trovare una diversa. Le altre quattro sfere – famiglia, salute, amici, anima – sono invece di cristallo, pertanto se cadessero si romperebbero in maniera irreparabile. L’ammonimento che l’ad di Google, Sundar Pichai ha affidato di recente alla rete riflette il forte cambiamento di mentalità in atto nella nostra società. Complice la tragedia del Coronavirus, sempre più persone sono alla ricerca di una felicità che non corrisponde alla carriera o alla ricchezza ma a una migliore qualità dell’esistenza. Ecco perché questo è momento di applicare il paradigma della felicità anche al mondo delle Borse e degli investimenti. A invitare i piccoli risparmiatori a questa presa di coscienza è Schroders, colosso del risparmio gestito responsabile di un patrimonio di 815,8 miliardi di euro in 37 Paesi nel mondo. Un decennio fa – sottolinea Piya Sachdeva, Economista di Schroders – il premio Nobel Joseph Stiglitz aveva commissionato un rapporto chiamato La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il Pil non basta più per valutare benessere e progresso sociale”, dimostrando la necessità di sostituire il Pil con il benessere. Il prodotto interno lordo, infatti, non solo è un parametro aggregato ma nulla o quasi dice del reddito effettivamente disponibile. E le riserve di Stiglitz non solo erano in parte già state anticipate nel 1968 da Bob Kennedy in un celebre discorso all’università del Kansas, ma sono state rafforzate e ulteriormente sviluppate dal movimento Beyond Gdp (Oltre il Pil), impegnato a costruire uno sviluppo appunto sostenibile. Ma vediamo come il benessere” si integra strettamente con i principi Esg (acronimo di Environmental, Social e Governance), che guidano oggi gli investimenti verdi, consapevoli e a impatto di cui Schroders è uno dei grandi alfieri. 

Piya Sachdeva, Economista di Schroders
Benessere e Sostenibilità, due grandi direttrici del futuro

L’idea di usare il benessere, e non più il Pil, come misura per valutare una società si è diffusa in parallelo all’aumento degli investitori che scelgono su quali aziende puntare in base ai principi ESG e nello specifico di quella “S”, che esprime la dimensione “Sociale”. Questo dimostra come il denaro possa comprare la felicità ma solo fino a un certo punto, sottolinea l’economista di Schroders, decidendo di condividere la sua personale esperienza durante i ripetuti lockdown dello scorso anno. “Ogni giorno scrivevo tre cose che apprezzavo nella mia vita: questo mi ha permesso di riflettere su ciò che mi rendeva felice. Recentemente ho ritrovato quel diario della gratitudine, e rileggendolo è chiaro che le cose che mi rendevano più felice tendevano a essere cose che il denaro non può comprare”. Certo, ammette Sachdeva, “questo va contro tutto ciò che mi è stato insegnato nella mia carriera di economista”. A ben guardare, tuttavia, non è così perché – prosegue – sebbene il Pil pro capite abbia una forte relazione con la felicità nazionale, più una persona è agiata, minore è la spinta alla felicità che le deriva dal diventare più ricca. Più precisamente, secondo alcune stime, la felicità si stabilizza quando il reddito medio della società raggiunge la soglia dei 70mila dollari. Insomma, i Paesi sviluppati hanno un modo più efficace per aumentare la felicità della loro popolazione rispetto al solo obiettivo di una maggiore crescita economica, e consiste in una saggia politica distributiva.

La corruzione erode felicità; Salute sempre più centrale

L’Ocse è stato tra i primi a cercare di scattare una fotografia più accurata del benessere mondiale, riunendo misure comparabili nel suo “Better Life Index”. Bisogna però tenere conto che alcuni fattori pesano più di altri, nello specifico quattro: il reddito personale, la disoccupazione a lungo termine, la salute auto-percepita e la corruzione percepita. Proprio la “corruzione” erode la fiducia di famiglie e imprese verso le istituzioni; quindi in ultima istanza mina la felicità. A confermarlo è anche l’ultimo “World Happiness Report”, che vede in fondo alla classifica, per percezione della corruzione, alcuni Paesi emergenti e dell’est Europa ma va detto che neppure l’Italia e la Grecia occupano un posto invidiabile. All’opposto i Paesi nordici sono ai massimi livelli.

 

Classifica per percezione della corruzione dei paesi europei

 

L’altro architrave su cui poggia la felicità delle popolazioni è poi la salute e il Covid ha potenziato tale convinzione: in questo caso la misura impiegata è la “salute autovalutata”, che combina quella mentale con quella fisica.

I rischi per l’economia globale e le Borse 

I fattori sociali non hanno ancora un grande impatto quando analisti e agenzie di rating stilano la pagella dei singoli Paesi, a meno non siano in corso forti disordini sociali. Il quadro cambia molto quando i report si riferiscono alle imprese quotate in Borse: le società sono infatti già punite dagli investitori se vengono allo scoperto problemi nella governance o non si impegnano per l’ambiente. Ne deriva – suggerisce Sachdeva – che “gli investitori macro che integrano l’ESG nelle loro analisi dovrebbero considerare i rischi per i loro investimenti dai mercati infelici”, come i Paesi emergenti o di frontiera. L’economista di Schroders indica in particolare tre rischi per la ripresa mondiale involontariamente insiti nella ‘Sostenibilità’: 1) La Fed, con i massicci aiuti stanziati per la ripresa post Covid a favorire l’occupazione, sta riconoscendo il proprio ruolo nella riduzione della disuguaglianza. Ma questo potrebbe portare a una reazione tardiva al rialzo dell’inflazione che potrebbe tradursi in una nuova recessione di cui pagherebbero le spese in primis i redditi più bassi. 2) La gestione del cambiamento climatico è cruciale per la crescita sostenibile e la creazione di nuovi posti di lavoro relativamente ben pagati sul lungo termine, nell’immediato provocherà dei costi sociali. 3) È possibile che, davanti alle macerie economiche lasciate dalla pandemia, aumentino i disordini nei Paesi più “infelici”, che di fatto sono delle polveriere pronte esplodere.

Un nuovo contratto sociale per investire in Borsa

“La nostra scoperta che i Paesi con bassa corruzione sono più felici dimostra che le considerazioni sociali derivano da una forte governance”, prosegue l’economista di Schroders; insomma nell’approccio ESG la “S” di “Sociale” non solo è inscindibile ma è sostenuta dalla “G” di “Governance”. Il risultato è la nascita di un nuovo ‘contratto sociale’ che dal lato delle società quotate impone già scelte virtuose; complice anche il ruolo dei gestori di fondi attivi nel selezionare le imprese da privilegiare e spingere a migliorarsi le realtà ora in ritardo. Ora però bisogna approfondire l’analisi e applicare questo stesso contratto sociale anche quando si analizzano i singoli Stati. E – conclude Sachdeva – “gli investitori macro che integrano i fattori ESG, piuttosto che cercare un ritorno dai mercati felici, dovrebbero invece considerare i rischi per i loro investimenti dai mercati infelici”.

 

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Draghi apre: vince la Lega, perde Speranza

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La svolta del premier: contagi ancora alti ma serve un segnale contro il malcontento

A Palazzo Chigi allarme per le tensioni sociali I timori di Gabrielli: preoccupati dalle piazze

di Adalberto Signore

L’accelerazione arriva in tarda mattinata, quando durante la cabina di regia sulle aperture in corso a Palazzo Chigi va in scena l’ennesima sfida tra «rigoristi» e «aperturisti». Con Mario Draghi che alla fine ribalta le previsioni della vigilia, visto che giovedì sera da entrambi i fronti si dava per «altamente improbabile» un allentamento delle misure restrittive. Il premier, invece, decide di sposare la linea portata avanti dai ministri di Forza Italia e Lega, Mariastella Gelmini e Giancarlo Giorgetti, supportati per l’occasione dalla renziana Elena Bonetti. Con buona pace del titolare della Salute Roberto Speranza, costretto peraltro ad illustrare le novità seduto in conferenza stampa a fianco del premier. Tra gli sconfitti anche il ministro M5s Stefano Patuanelli e, in parte, il dem Dario Franceschini. Il titolare dei Beni culturali, infatti, pare che durante la cabina di regia di ieri sia stato meno granitico del solito, preoccupato di riuscire a concedere qualcosa al mondo dello spettacolo che non ha gradito di rimanere chiuso mentre il governo dava il via libera al pubblico per le quattro partite dell’Europeo che si giocheranno allo stadio Olimpico di Roma dall’11 giugno.

In privato, Draghi definisce la sua una «mediazione». E in pubblico sottolinea come la cabina di regia abbia deciso «all’unanimità e non a maggioranza», perché si parte da «punti di vista che non sono uguali» ma «la strada è comune». Ma è di tutta evidenza che nei fatti la linea che passa è sostanzialmente quella di Forza Italia e Lega. Per non dire della percezione complessiva del messaggio, un’indicazione generica in chiave di normalità. Una ripartenza che inizierà il 26 aprile e non il 3 maggio, come ipotizzato fino a giovedì. Ma che Draghi sceglie di annunciare con dieci giorni di anticipo, perché l’obiettivo è quello di sminare il malcontento che va montando nelle piazze in queste ultime settimane. Il premier, infatti, è rimasto molto colpito dalle manifestazioni di protesta di questi giorni. Come dalla relazione fatta mercoledì scorso davanti al Copasir da Franco Gabrielli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delega ai Servizi. L’ex capo della Polizia, infatti, ha relazionato il Comitato di controllo non nascondendo la sua preoccupazione per le tensioni sociali di questi giorni. Che, nel caso le chiusure delle attività economiche dovessero continuare ancora, potrebbero subire una vera e propria escalation ed arrivare a diventare focolai di rivolta. Un campanello d’allarme, quello di Gabrielli, che ha molto preoccupato il presidente del Consiglio. Che ha dunque deciso di «dare un segnale» per cercare di spegnere le polemiche e togliere tensione al Paese. E questo nonostante i numeri che monitorano l’andamento della pandemia non siano oggi «particolarmente differenti» rispetto a «quelli di un anno fa». Questo, almeno, ha detto il premier incontrando nel tardo pomeriggio la delegazione di Forza Italia, guidata da Antonio Tajani. Non è un caso, dunque, che in conferenza stampa Draghi abbia parlato di «rischio ragionato» mentre annunciava l’inversione di rotta sulle riaperture. Un «rischio» che va di pari passo alla «scommessa» fatta sull’economia con il Def: accumulare negli anni a venire altro «debito buono» così da spingere la crescita del Paese.

Politicamente, la via intrapresa dal presidente del Consiglio si porta dietro vincitori e sconfitti. Una riflessione, questa, che deve fare i conti con il fatto che il centrosinistra – non si comprende bene con quale ragionamento di prospettiva – ha sempre ergersi a paladino delle chiusure. A perdere, infatti, è soprattutto il ministro della Salute Speranza. Che non solo nelle ultime settimane ha messo in atto una sorta di conversione a «U», iniziando per la prima volta a parlare con toni concilianti delle varie ipotesi di riaperture. Ma che ieri era al fianco di Draghi in conferenza stampa, a mettere – suo malgrado – la faccia a una linea aperturista che fino a poche ore prima considerava scellerata e inconcepibile.

Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/politica/svolta-premier-contagi-ancora-alti-serve-segnale-contro-1939472.html

L’ideologia mascherata e il burka della salute

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di Marcello Veneziani

Da sei mesi siamo entrati nell’era globale della mascherina e non sappiamo quando ne usciremo. Siamo in pieno conflitto etico, epico ed estetico sul suo uso e il suo rifiuto. La contesa va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; è diventata infatti una questione politica, simbolica e ideologica.

La battaglia per il suo uso o il suo rifiuto, nel nome della sicurezza o della libertà, lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, ha assunto ormai toni ideologici che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Per dirla con Giorgio Gaber la mascherina è di sinistra, il viso scoperto è di destra. Abbiamo sentito in questi mesi accusare di negazionismo irresponsabile e di fasciosovranismo smascherato coloro che ostentavano il rifiuto della mascherina. TrumpBolsonaroJohnson e da noi Salvini, BriatoreSgarbi. In effetti nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine c’è qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli. Un atteggiamento che in sintesi potremmo definire fascio-libertario. Il superuomo nietzscheano può accettare il distanziamento sociale, e perfino auspicarlo, anche se detesta l’imposizione; ma la mascherina no, è una schiavitù umiliante, una coercizione all’uniformità.

Ma perché non cogliere pure sull’altro versante l’ideologia serpeggiante che unisce gli apologeti della mascherina, e il suo forte significato simbolico e metaforico, al di là del suo uso sanitario e della sua effettiva utilità? Per molti fautori della mascherina si tratta di qualcosa di più che una semplice profilassi; quasi un bisogno inconscio, una coperta di Linus, un istinto di gregge, il retaggio di un’ideologia. La mascherina è una livella ugualitaria e uniformatrice, la protesi della paura che accomuna la popolazione in semilibertà vigilata; la mascherina sfigura i volti e cancella le differenze in una specie di comunismo facciale, anche se esalta gli occhi e nasconde le brutture; genera isolamento pur restando in una prospettiva ospedaliero-collettivista, rende più difficile la comunicazione, evoca il bavaglio e la museruola, ha qualcosa di inevitabilmente angoscioso e orwelliano. Lo spettacolo di folle in mascherina sarà confortante per il senso civico-sanitario ma è deprimente, ha qualcosa di umanità addomesticata e impaurita, ridotta a silenzio e servitù dal terrore della malattia e dal relativo terrorismo sanitario. Continua a leggere

L’Italia amplia la legislazione pro-aborto. Morgante: così incatenate le donne con una falsa libertà

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La decisione del ministro della Salute Speranza di permettere l’uso della pillola  abortiva RU486 (mifepristone) per interrompere la gravidanza fino alla nona settimana, senza ricovero ospedaliero, l’Italia amplia ulteriormente la legislazione sull’aborto. Pare che dietro la scelta ministeriale ci sia un parere del Consiglio Superiore di Sanità di cui però non si trova documentazione. I precedenti pareri del massimo organo in materia di salute erano stati contrari al prolungamento alla nona settimana che invece adesso è permesso.

Finora, dopo che nel 2009 in seguito ad una lunga battaglia dei radicali, l’aborto fai-da-te era consentito fino alla settima settimana, ora si arriva ai due mesi. Grande soddisfazione da parte della sinistra, che legge questa decisione come un allineamento alla legislazione degli altri paesi europei. La sen. De Petris parla di “un passo avanti fondamentale sulla strada della civiltà“. Laura Boldrini, Pd, ringrazia Speranza a nome delle “deputate dell’intergruppo per le donne

Preoccupazioni e critiche invece dai cattolici e da destra. 

Per Giorgia Meloni si tratta “di un balzo indietro per le donne e non un passo in avanti verso una maggiore libera autodeterminazione femminile come vuol far credere la sinistra. Non calcolare il rischio potenziale che questa scelta comporta è da irresponsabili. Così si contravviene a quanto contenuto nella legge 194/78, sulle condizioni di sicurezza richieste per l’interruzione volontaria della gravidanza“.

Reazioni anche a Verona. Maddalena Morgante, candidata di Fratelli d’Italia alle regionali, dichiara che “ampliare le possibilità di utilizzo della pillola abortiva #Ru486 non vuol dire aumentare la libertà delle donne e la loro tutela sanitaria. È un provvedimento maschilista -continua- che incatena le donne con una falsa libertà. Per questo dico no oggi, e dirò sempre no e combatterò questa vergogna, questo sfruttamento, questi omicidi derubricati a malesseri passeggeri. La #vita inizia dal concepimento e non ce se ne sbarazza come fosse un mal di testa. No a questa politica pro-morte.

Fonte. https://www.giornaleadige.it/litalia-amplia-la-legislazione-pro-aborto-morgante-cosi-incatenate-le-donne-con-una-falsa-liberta/

Stato di emergenza? L’alibi solo italiano per blindare Palazzo Chigi. Buoni a nulla ma capaci di tutto

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di Sergio Luciano
Fonte: Il Sussidiario
Il Governo intende prorogare lo stato di emergenza di altri 6 mesi.
Dunque saremo in emergenza fino al 31 dicembre? Diciamolo, mai come stavolta si potrebbe dar ragione al premier Giuseppe Conte se solo avesse – anzi, avesse avuto – l’onestà intellettuale di attribuire l’emergenza non già alla pandemia ma alla giustizia civile e penale che non funziona, alla lotta all’evasione che fa ridere, al codice degli appalti che li blocca, alla scuola che viene tenuta chiusa mentre si riaprono discoteche e spiagge, al ponte Morandi che va assegnato in gestione ad Autostrade altrimenti non riapre, ai fondi di liquidità e alla cassa integrazione che ancora non sono arrivati ai destinatari e insomma a tutti gli argomenti di drammatica attualità sui quali il governo, da quel drammatico week-end dell’8 e 9 marzo ad oggi, in quattro mesi, ha fatto solo chiacchiere.
L’emergenza è il governo, non la pandemia che sta regredendo e che comunque, se anche dovesse risvegliarsi – Dio non voglia – troverebbe comunque difese farmacologiche e cliniche assai migliori di quelle di quattro mesi fa. L’emergenza sono alcuni ministri politicamente analfabeti e tecnicamente sprovveduti. L’emergenza è un Parlamento esautorato.
Il tutto – va detto – contro Salvini e grazie a Salvini. Perché è da quando l’ex capitano ha tentato undici mesi fa di far saltare il banco e ottenere le elezioni anticipate fidandosi dell’imbelle Zingaretti e finendo contro un muro, che il governo Conte 2 ingrassa sventolando lo spauracchio della vittoria della Lega. Il movimentismo salviniano – “così non si può andare avanti, si torni al voto” – è stato il miglior alibi per il governo più pazzo del mondo e di sempre, ossia per questo esecutivo attaccato con lo sputo che ci guida.
Adesso, l’ultima trovata è prorogare lo stato d’emergenza fino al 31 dicembre, a 20 giorni dalla scadenza di quello vigente (31 luglio) e senza argomentazioni. In attesa del voto delle Camere che il 14 luglio ascolteranno e si esprimeranno sulle comunicazioni del ministro Roberto Speranza sul nuovo Dpcm, destinato a prorogare le norme anti–contagio in scadenza il 14 luglio. Una prima risposta viene dal vibrato e – va detto – incisivo appello/protesta di Elisabetta Casellati, presidente del Senato, contro il “decretismo” che sta contraddistinguendo quest’esecutivo: “Mi auguro che sia l’inizio di una democrazia compiuta”, ha detto riferendosi appunto al voto assembleare sulle prossime comunicazioni di Speranza – perché alla Camera e al Senato siamo ormai gli invisibili della Costituzione”. Ma ci vuol altro.
Questa democrazia simulata, quest’ennesimo governo guidato da un premier mai eletto dal popolo, stava trascinandosi su un piano di precarietà quotidianamente più grave quando la pandemia è intervenuta inducendo comprensibilmente tutti gli italiani a pendere dalle labbra di Palazzo Chigi. Mai tanta visibilità e notorietà è stata data a un premier per lo meno da quando Silvio Berlusconi ha perso quel ruolo.
Quando l’emergenza del Covid-19 ha costretto il governo a prendere le decisioni – quelle sì di emergenza – che conosciamo, dalle mascherina al distanziamento e al resto, la tenuta dell’esecutivo è parsa a tutti rafforzarsi, perché la figura del premier Conte è diventata improvvisamente popolarissima, con quel suo tono pacato e quasi scivolato di ratificare l’ovvio.
Poi però sono sopravvenuti i decreti dettati da quest’emergenza e una parte di quella fiducia è sfumata, per l’enorme gap che gli italiani hanno in qualche caso drammaticamente misurato con la propria pelle, per esempio non ottenendo gli aiuti per la liquidità o la cassa integrazione per i dipendenti. E poi, ancora, la remissione sostanziale della pandemia nel nostro Paese, che ha di riflesso incastrato Conte e il ministro Speranza nel ruolo – peraltro giusto, secondo chi scrive – di uccelli del malaugurio circa i rischi ancora presenti in circolazione e le pessime prospettive di una seconda ondata autunnale.
I prossimi pochi giorni saranno di fuoco. Perché non aspettare il 20 luglio prima di dichiarare la proroga dell’emergenza? Perché prorogarla addirittura di sei mesi anziché fermarsi a tre?
Epperò, se Nicola Zingaretti dichiara: “Il Pd è pronto a sostenere qualsiasi scelta del Governo utile a contenere la pandemia”, sempre dal Pd, con Stefano Ceccanti, i dem ribadiscono “la necessità della presenza del presidente del Consiglio in Parlamento prima dell’eventuale proroga dello stato di emergenza”. Magari, già martedì, da Speranza, “è lecito attendersi alcuni primi chiarimenti”. Anche Italia Viva sollecita un coinvolgimento delle Camere. I Cinquestelle sembrano meno “appassionati” alla vicenda. La proroga è una “questione prettamente tecnica” ha commentato in prima battuta il capo politico Vito Crimi. Il centrodestra ribadisce la contrarietà: i Dpcm danno troppi poteri al governo e confinano il Parlamento in un angolo. “E lo stato di emergenza blocca l’Italia”, rincara la capogruppo dei senatori di Forza Italia, Anna Maria Bernini, mentre Antonio Tajani chiede al governo di confrontarsi con Camera e Senato.
Insomma, come sempre: buoni a nulla e indecisi a tutto, ma anche capaci di tutto.

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L’Ilva è il Titanic di Conte

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Il premier-avvocato prova a fare l’azzeccagarbugli. Ma ArcelorMittal se ne infischa e sbatte la porta

A Taranto quanti morti ci sono stati per tumori, leucemia e malattie derivanti dall’inquinamento dell’Ilva? E quei morti valgono più o meno di 10 mila posti di lavoro? Ecco, queste sono le due domande  che non hanno mai avuto risposta dall’unico che poteva fornirle: lo Stato italiano nella persona di chi guida i governi che si sono succeduti. Certo ogni anno escono statistiche sui morti da Ilva, e la più importante è lo studio Sentieri del ministero della Salute, quindi del governo. I numeri non sono chiarissimi e dettagliati, ma ogni volta si sostiene che in quell’area dove c’è il più grande insediamento industriale italiano nel settore dell’acciaio si muore statisticamente più che nel resto di Italia proprio per l’inquinamento da acciaieria. Secondo altri studi si muore l’8-10% di più, ed è ormai accertato che il tasso di mortalità è enormemente più alto in chi ha lavorato all’Ilva. Sempre citando l’ultimo rapporto di Sentieri questo maggiore indice di rischiosità a Taranto «in un periodo di 8 anni, si è tradotto in un eccesso di mortalità pari a 11.992 persone, di cui 5.285 per tumori e 3.632 per malattie dell’apparato cardiocircolatorio». Non so quanto scientificamente tutto ciò sia provato, ma siccome i rapporti sono governativi, è chiaro che per chi guida un esecutivo – oggi Giuseppe Conte – questa dovrebbe essere una questione…

Da https://www.iltempo.it/politica/2019/11/07/news/ilva-taranto-arcelormittal-chiude-conte-scudo-penale-conferenza-stampa-tumori-bambini-governo-1236505/

Emilia R. mette a gara vaccini. Medici: “Rischi salute”

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Scritto e segnalato da Antonio Amorosi

Emilia Romagna mette a gara vaccini. Medici: “Rischi per la salute dei bimbi”

La Regione Emilia-Romagna fa una gara al ribasso sui vaccini per i bimbi, cambiando rotta sulle scelte passate. Critiche dai medici. Dubbi. Per la Regione è Ok

di Antonio Amorosi x Affaritaliani

Emilia Romagna mette a gara vaccini. Medici: “Rischi per la salute dei bimbi” Continua a leggere

Lega in piena salute, oppositori in panne

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Segnalazione Linkiesta

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Ma quale crisi della Lega: quella di Salvini è una guerra lampo (e i suoi oppositori non sanno che pesci prendere)

Sequestro dei fondi del Carroccio o meno, Salvini andrà avanti nel suo progetto di riorganizzazione della Lega. Rubando voti e consensi a Forza Italia e a Fratelli d’Italia. E con l’appoggio (involontario e nemmeno troppo consapevole) del Movimento Cinque Stelle. (di Flavia Perina, LEGGI)

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La Repubblica di Platone: una filosofia contro il mondo moderno

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di Luca Leonello Rimbotti

La Repubblica di Platone: una filosofia contro il mondo moderno

Fonte: Italicum

Utopia letteraria, oppure vero manuale di costruzione del politico? Tra questi due poli si è spesso mossa la critica all’opera più graffiante e incisiva di Platone, considerando volta a volta questo testo capitale come un’esercitazione retorica, oppure una prova ontologica, o invece, cosa che è da condividere, un vero manifesto di politica universale, capace di costituire in ogni tempo un codice di esemplare tenuta sociale. Altre volte invece, come nel caso del liberale Popper, Platone e la sua “Repubblica” hanno recitato la parte del nemico pubblico numero uno, l’ideologia che, proponendo una società ben organizzata in sé, salda e solida e quindi chiusa ai pericoli e ai mali esterni, più di altre mette in pericolo le beatitudini della “società aperta”.

Il catalogo delle posizioni che la “Repubblica” platonica sciorina è di quelli difficili da digerire per chi abbia lo stomaco egualitario, pacifista e progressista. Impossibile non vedere che il classicismo antico e la degenerazione postmoderna sono su posizioni antitetiche. Per occhi borghesi e moderati, cosmopoliti e “buonisti”, il pensiero di Platone rappresenta lo scandalo massimo: esso tratteggia al sommo grado la comunità, e quindi liquida a priori l’individualismo, che invece è il grande rifugio delle impotenze liberali. Questi sono alcuni dei punti più qualificanti del politico platonico, che costituiscono – come giustamente, dal suo punto di vista, rilevava Popper – quanto di più inassimilabile alla mentalità dei “democratici” post-moderni: la rigida e severa paideia, l’educazione e la selezione cui Platone affidava nella “Repubblica” la crescita delle classi dirigenti della città ideale; la soppressione dell’individualismo dinanzi al prevalere degli interessi di comunità; la comunanza, addirittura, delle donne e dei beni; l’abolizione della proprietà privata; il predominio dello Stato “organico” sul singolo individuo, di cui non si conoscono diritti, ma unicamente doveri; il tipo di governo, gerarchico, aristocratico ed elitario, al quale partecipano i filosofi e niente affatto la massa del popolo. Tutto questo scandalizza la tempra ipocrita e fraudolenta dei “democratici” moderni, che spacciano le loro oligarchie alto-borghesi per governi “del popolo” e barattano le loro dittature finanziarie per servizi resi alla maggioranza. Continua a leggere