L’I.r.a. di Biden si abbatte sull’Europa

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di Luigi Tedeschi 

Fonte: Italicum

Nella tre giorni di Macron a Washington i temi di discussione nei colloqui con Biden erano due. La guerra in Ucraina e la legge anti – inflazione approvata in agosto da Biden, che prevede ampli sussidi all’industria americana per far fronte alla crisi economica e alla transizione ambientale.
Sulle prospettive di negoziato con la Russia, tale vertice non ha espresso risultati rilevanti. E’ infatti del tutto improbabile che la Russia accetti un ritiro entro confini del 2014, così come che si pervenga alla neutralità dell’Ucraina, che invece mira alla riconquista della Crimea e del Donbass. L’Occidente, sostenendo militarmente Kiev è parte in causa nella guerra contro la Russia e quindi non può assumere il ruolo di mediatore nel conflitto. Un tavolo per i negoziati era già stato peraltro istituito dalla Turchia di Erdogan, ma nei colloqui bilaterali è stato ignorato, a conferma del senso di superiorità che pervade l’Occidente e che costituisce l’ostacolo maggiore per una credibile trattativa di pace.
Maggiore interesse invero suscitano i timori europei riguardo al piano anti – inflazione americano. Gli USA hanno varato un pacchetto di aiuti per circa 400 miliardi di dollari a sostegno di famiglie ed imprese imperniato sulla transizione green. Trattasi dell’Inflation reduction act (Ira), che prevede crediti d’imposta di 7.500 dollari per l’acquisto di auto elettriche nuove di fabbricazione americana e di 4.000 dollari per auto usate. E’ evidente che la strategia protezionistica americana mira ad abbattere la concorrenza europea nel settore dell’auto elettrica.
In realtà l’Ira è un piano di investimenti di 738 miliardi di dollari, di cui 391 verranno destinati all’energia e alla transizione ambientale, 238 verranno utilizzati per il risanamento del deficit federale e la quota residua verrà impiegata nella sanità e nella riforma fiscale. Rilevanti finanziamenti verranno erogati per ridurre i costi energetici ed aumentare l’efficienza domestica, con crediti di imposta e sconti per i cittadini oltre che con agevolazioni nei confronti degli enti locali. Si prevede che entro il 2030 in America la riduzione del gas serra sarà del 50%. Si stima inoltre che l’Ira produrrà in America negli anni a venire un giro di affari di 15.000 miliardi di dollari dovuto agli investimenti nella green economy. Tale previsione è avvalorata dalle performance registrate nei mercati finanziari nel 2020, in cui gli attivi dei fondi sostenibili hanno raggiunto il livello record di 1,25 trilioni di dollari.
Le ragioni dell’allarme suscitato in Europa dalla politica di dumping industriale degli USA nel settore dell’energia green sono evidenti. Ma la UE si è dimostrata incapace ad affrontare la minaccia mortale americana per l’industria europea. Del resto, l’inefficienza della UE si era già resa evidente nella crisi energetica. E’ stato impossibile creare un fondo comune europeo per far fronte alla crisi energetica alla stregua del Recovery fund varato per la crisi pandemica. Le stesse misure adottate per la fissazione di un price cup al prezzo del gas si sono rivelate del tutto aleatorie. E’ nota infatti l’ostilità della Germania e dei paesi frugali riguardo alla implementazione di fondi costituiti a debito comune europeo. Di recente, la fissazione al prezzo a 60 euro al barile del greggio russo è stata rifiutata dalla Russia. Ulteriori sanzioni sono state varate per il commercio navale del petrolio russo, ma è ben noto che il traffico navale nel mondo è incontrollabile. Tali provvedimenti sortiranno l’effetto opposto a quello voluto, poiché si svilupperanno inevitabilmente mercati paralleli che comporteranno aumenti dei prezzi e incentiveranno la speculazione finanziaria.
Ma l’effetto più devastante che potrebbero produrre le misure contenute nel piano Ira di Biden è quello di dar luogo a delocalizzazioni negli Stati Uniti di grandi gruppi industriali europei. Infatti, la stessa Enel, che ha usufruito di un finanziamento UE di 600 milioni per la costruzione di un impianto fotovoltaico a Catania, che potrebbe generare nuova occupazione per circa 2.000 addetti, ha deciso di delocalizzare la produzione negli USA, dato che gli incentivi americani si sono rivelati maggiormente appetibili. Grandi gruppi europei hanno progettato piani di delocalizzazione industriale negli USA, quali la francese Solvay e la tedesca Basf (settore chimico), la francese Safran (freni al carbonio), la spagnola Iberdrola (energia) e la svedese Northvolt (batterie al litio).
La fuga di queste grandi imprese in America è un fenomeno che potrebbe dar luogo ad un processo di progressiva deindustrializzazione esteso a tutto il continente europeo. I fondi americani ammontano a circa il quadruplo rispetto a quelli disponibili in Europa. Si rileva inoltre che il prezzo del gas negli USA è di 5 volte inferiore a quello praticato in Europa. La delocalizzazione industriale europea negli USA potrebbe comportare un costo di 10 miliardi di investimenti e una perdita di posti di lavoro stimata in 10.000 unità nella sola Francia. Assai più gravi potrebbero essere le conseguenze per la Germania, che ha focalizzato la propria politica economica sull’export dell’innovazione green.
L’Europa è incapace di reagire dinanzi alla svolta aggressiva assunta dalla politica economica di Biden con il piano dell’Ira. Ulteriori penalizzazioni per l’economia europea sono emerse inoltre dalla crisi energetica scaturita dalla guerra russo – ucraina che ha determinato la fine dell’interdipendenza economica ed energetica tra la UE e la Russia. Si deve pertanto rilevare che l’importazione di gas americano in Europa per sostituire il gas russo ha comportato un notevole incremento dei costi energetici. L’Europa infatti è divenuta il maggiore mercato dell’export di gas statunitense, che dalla quota del 21% del 2021 è salito all’attuale 66%.
Gli USA dunque hanno tratto i maggiori profitti dalla guerra ucraina. Hanno incrementato vorticosamente sia nella quantità che nel prezzo le loro esportazioni di gas, hanno alimentato l’industria militare con le forniture di armamenti e soprattutto, mediante le loro politiche protezioniste nel campo dell’innovazione green, potrebbero determinare la destrutturazione industriale dell’Europa, che per gli USA è stata sempre una temibile potenza economica concorrente. Gli USA vogliono affermare il loro primato nel mondo come potenza industriale nella transizione ambientale, conseguito mediante il depotenziamento dell’Europa e il contenimento della Cina. Un primato, è evidente, affermato in nome della superiorità dei valori di libertà e democrazia dell’Occidente.
Un tragicomico paradosso è poi costituito dal fatto che gli USA intendono avvalersi della alleanza con l’Europa nella strategia di contenimento della Cina, ma nello stesso tempo stanno sabotando con provvedimenti quali l’Ira l’economia europea. La reazione europea si dimostra attualmente timida ed impotente, a causa della scelta filo – Nato effettuata dalla UE nella guerra russo – ucraina. Scelta che oggi preclude qualsiasi politica europea autonoma dagli USA. Macron ha invocato esenzioni simili a quelle concesse a Messico e Canada. Si verificherà dunque uno scontro tra USA ed Europa? A tal riguardo così si esprime Adriana Cerretelli sul “Sole 24Ore”: “l’Europa è disarmata: ha le ambizioni ma non si dà le risorse e nemmeno la coesione politica ed economica necessarie a realizzarle. Così rischia l’autolesionismo se scegliesse comunque lo scontro con l’America”. Infatti, data la interdipendenza economica tra USA e UE, dopo la rottura con la Russia, è impossibile che l’Europa sia in grado di sostenere una guerra commerciale con gli Stati Uniti. Infatti, prosegue la Cerretelli, “Oltraggio alla sovranità europea? Sì. Dovevamo però pensarci prima”. La Nato si è rivelata una gabbia d’acciaio per l’Europa.
La Francia ha proposto in sede UE la creazione del Buy European Act, onde contrastare l’aggressività protezionista americana. Ma la Germania e i paesi frugali sono ostili a programmi europei di aiuti statali alle imprese. L’egoismo economico della Germania e dei suoi alleati – satelliti si traduce come sempre in autolesionismo politico per l’Europa. Ne è testimonianza l’impegno generico al negoziato con gli USA del commissario europeo Dombrovskis, che per ora esclude anche un ricorso al WTO contro gli USA per violazione delle norme internazionali sulla concorrenza. Si tratterebbe comunque di una azione del tutto pletorica. Si rammenti infatti che gli accordi sull’acciaio tra USA e UE sono tuttora sospesi.
L’Europa paga il prezzo della sua sciagurata scelta atlantica. E la Nato è una alleanza che si identifica con il dominio americano. Non si vede il perché gli USA dovrebbero scendere a patti con l’Europa sulle energie rinnovabili, dato il loro ruolo di potenza dominante in Occidente. Del resto, la finalità perseguita dagli USA nella guerra russo – ucraina consiste nel controllo dell’Europa, non certo nella vittoria dell’Ucraina. Quindi, l’obiettivo è stato raggiunto. La subalternità geopolitica europea nella Nato si ripropone coerentemente nella sfera economica, con l’imposizione da parte statunitense di una politica protezionista nei confronti dell’Europa, che condurrà la UE alla recessione e ad suo drastico ridimensionamento nel contesto geopolitico mondiale. Il declino della UE rappresenta per l’Europa il suo definitivo esodo dalla fase di letargo della post – storia in cui si era confinata. Ed il risveglio si presenta traumatico.
La politica estera di Biden si identifica con quella dell’ “America first” trumpiana, perseguita con altri mezzi, mediante cioè un protezionismo economico ampliato e diversificato e l’indiretto interventismo militare nel mondo. Aggiungasi inoltre che la strategia di deglobalizzazione economica in funzione anti cinese, iniziata in epoca trumpiana con la rilocalizzazione negli USA della industria manifatturiera americana, è perseguita con maggiore efficacia da Biden che anzi, ha reso gli USA una meta appetibile per la delocalizzazione industriale europea.
La guerra ucraina ha comportato anche il ridimensionamento della potenza economica tedesca, con la fine del modello dell’economia dell’export dominante in Europa. La crisi ha determinato anche una ridefinizione del ruolo della Germania in seno alla UE. La Germania di Scholz ha infatti intrapreso una linea politica unilateralista. In campo energetico si è opposta a qualsiasi progetto di politica comune europea. Il governo tedesco ha investito 200 miliardi di euro a sostegno di imprese e famiglie per far fronte la caro energia, con una misura unilaterale cioè, che costituisce una distorsione della concorrenza a danno degli altri paesi membri della UE, al pari dell’Ira varata dagli USA a discapito dell’economia europea. La Germania ha inoltre approvato un programma che prevede uno stanziamento di 100 miliardi di euro per la difesa, con l’acquisto di aerei F35 americani, venendo meno alle precedenti intese con Francia e Italia per la costruzione congiunta di aerei militari e sistemi di difesa aerea. Con il riarmo della Germania nell’ambito della Nato, viene meno qualunque speranza di autonomia strategica europea. La Germania, con il sostegno dei paesi frugali, ha respinto qualsiasi proposta di costituzione di fondi comuni europei e si è opposta anche ad ogni progetto di riforma del patto di stabilità.
L’europeismo tedesco ha sempre contrastato il sovranismo degli altri paesi, per affermare il proprio nazionalismo e creare, con il declino della UE, una nuova Europa centralizzata sulla potenza continentale tedesca. In realtà, al venir meno della potenza economica tedesca nel mondo, fa riscontro un rafforzamento del dominio continentale della Germania in Europa, che si impone con le stesse modalità strategiche del primato americano in Occidente.
Tale predominio tedesco non rimarrà tuttavia incontrastato in Europa. Si renderà necessaria una alleanza tra Francia, Spagna e Italia, al fine di contrastare l’aggressività dell’unilateralismo tedesco. Ma, data l’interdipendenza economica della Germania con tali paesi (specie l’Italia, in cui l’industria del nord – est è parte integrante della filiera tedesca), renderà difficile una efficace politica di contrasto alla Germania. Né sarà possibile, data la politica di ostilità economica aggressiva degli USA nei confronti dell’Europa, far leva sull’antieuropeismo americano per affrancarsi dal dominio tedesco.
Certo è che l’Europa sarà soggetta nel prossimo futuro a tensioni disgregative interne nella UE. Così come è in crisi la globalizzazione occidentale, allo stesso modo è in stato di avanzata decomposizione la UE, quale entità sovranazionale europea. La sovranità degli stati potrebbe riaffermarsi in Europa sulle orme dell’avvento di una nuova geopolitica mondiale imperniata sul multilateralismo.
Allo stato attuale gli USA, anche se potenza mondiale in declino, risultano essere gli unici vincitori ne conflitto russo – ucraino. L’Europa sarà presto investita da una crisi economica e politica anche dai risvolti esistenziali: si diffonderà una conflittualità politica interna imperniata sulle minacce alla propria sussistenza, che non dipendono davvero dall’aggressione russa all’Ucraina, ma dall’aggressività imperialista americana. Verrà dunque messa in discussione la stessa identità dell’Europa, quale provincia dell’Occidente o continente eurasiatico. Questa crisi potrebbe condurre, oltre che alla disgregazione della Ue, anche allo sfaldamento della Nato. Potrebbe quindi dar luogo alla ridefinizione degli equilibri geopolitici interni dell’Europa. La partita è aperta.

Unione europea: cadere dal pero e non chiedersi perché ci si è saliti!

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QUINTA COLONNA

di Ugo Boghetta

UNIONE EUROPEA: FINIREMO COME CASAMICCIOLA?

Sergio Frabbini non smette di illuminarci dalle colonne del Sole 24 domenicale sullo stato, convulso, dell’Unione Europea. Poiché ormai da tempo le cose non evolvono verso gli Stati Uniti d’Europa, il nostro continua a sorprendersi e lamentarsi. Cade sempre dal pero ma non si chiede mai se non sia stato un errore salirci. L’articolo di Domenica 27 novembre è tutto dedicato al voltafaccia di Scholz il quale, all’atto della sua elezione a capo dello stato tedesco, ha affermato che si sarebbe impegnato a portare l’Unione verso uno “stato federale”. Ora invece, a causa della guerra, ha cambiato completamente politica perseguendo solo gli interessi germanici. Le azioni adottate a tale scopo, scrive Fabbrini, sono tante a partire  dall’ostacolare qualsiasi “soluzione europea per favorire quelle nazionali”.
Scholz ha infatti deciso di investire unilateralmente 200 miliardi per sussidiare le imprese tedesche, senza pensare all’impatto negativo che ha sulle quelle degli altri paesi. Cosa che peraltro hanno già fatto gli Usa. Anzi, ha affermato recentemente Bonomi, presidente della Confindustria, che Biden ha imposto alle imprese americane di rifornirsi solo da produttori USA.  Poi è andato a fare affari in Cina, concedendo agli stessi di entrare nel grande porto di Amburgo. Ha anche deciso di investire 100 miliardi nella difesa, ma acquistando gli F35 americani a discapito dello stesso progetto franco-tedesco per la costruzione di un aereo europeo. Non contento di ciò ha proposto a 15 paesi Ue di acquisire tre sistemi di difesa aerea  basati su tecnologie americane e israeliane mettendo fuori gioco l’analogo programma franco-italiano.  Per tacitare la Francia ha siglato con questa una accordo sull’energia che Fabbrini afferma essere solo una foglia di fico. Che è tuttavia pur sempre un accordo bilaterale! E come se nulla fosse ha rispolverato la contrarietà alla riforma del Patto di Stabilità.
Nell’agosto scorso Scholz ha chiarito la sua visione dell’Europa. Ha affermato infatti che interesse nazionale tedesco sarebbe quello di unire tutti i paesi ad est. Di fatto, afferma Fabbrini, questo supererebbe l’Unione verso un associazione di carattere internazionale di fatto confederale finalizzata alla centralità germanica senza condizionamenti. Insomma: bye bye Unione.
Il nostro afferma, bontà sua, che tutto ciò è contrario ai nostri interessi nazionali e che per questi motivi dovremmo allearci con Francia, che vuole una Unione politica, e Spagna.
Dunque anche Fabbrini ritiene superata l’Unione?
Sta di fatto che il caos è massimo e gli unici che sembrano avere le idee chiare sono gli americani contro la Russia, l’Europa e la Germania in particolare. E la Germania che, letteralmente sotto tiro (vedi i sabotaggi dei gasdotti), cerca una via solitaria per tutelare i propri interessi. Cosa tutt’altro che facile. Ad esempio, gli Stati dell’est sono ormai quasi tutti filo americani. Ancora una volta dunque la Germania si trova al centro del guazzabuglio europeo.
Nel medesimo numero del Sole si trova anche un’intervista a Tronchetti Provera, il quale afferma che le imprese italiane stanno perdendo contratti perché siamo, guarda caso, in una crisi asimmetrica che non colpisce gli Usa e l’Asia ma solo l’Europa. Tronchetti Provera affronta anche  il tema  dello stato sociale in decrescita affermando che: “solo la sua difesa consente di mantenere la continuità della democrazia”. Un altro che casca dal pero: tutto ciò si verifica da quando siamo entrati nell’Unione e nell’euro.
Come si vede salgono alti lai e recriminazioni contro questo e quello. C’è l’esigenza di una risposta europea, ma nel contempo appare impossibile. Anzi si sta andando da tutt’altra parte. Se in passato le crisi del 2008 e covid hanno portato ad interventi nel segno del “PiùEuropa” quali il QE e il PNRR, ora l’Unione di Bruxelles, per tenere insieme i pezzi vara la svolta bellicista; vedi la recente assurda mozione che definisce la Russia terrorista. Così, al contrario, le crepe si allargano.
Nonostante tutto ciò in Italia abbiamo il governo più filoamericano della storia della Repubblica e, dunque, in questo momento, il più antinazionale!
Siamo in un Mondo Nuovo come scrive Limes. Servono idee nuove. Poiché, così continuando, rischiamo di finire come Casamicciola. Tante errori, tante avvisaglie, tanti avvertimenti, …….. poi una frana disastrosa e mortifera!

La Germania esporta la sua crisi in una Europa in via di dissoluzione atlantica

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di Luigi Tedeschi

Fonte: Italicum

La retorica dell’Europa unita, delle risposte comuni e della solidarietà europea indispensabile per affrontare le emergenze, si infrange dinanzi al piano di 200 miliardi stanziati dalla Germania per far fronte al caro energia e proteggere quindi famiglie ed imprese tedesche dagli effetti dei rincari energetici. I 200 miliardi di finanziamenti erogati dalla Germania contro il caro energia e l’inflazione (che si aggira attualmente intorno al 10%), costituiscono un programma di aiuti pubblici unilaterali. L’importo di 200 miliardi equivale al totale dei fondi del Pnrr concessi all’Italia in 6 anni e supera del 40% i 140 miliardi di entrate previsti per la tassa sugli extra profitti delle imprese energetiche. Tale manovra sarà finanziata dal Fondo di stabilizzazione dell’economia, ma sarà esclusa dal bilancio ordinario, così come gli investimenti di 100 miliardi stanziati dalla Germania per il riarmo. Pertanto, secondo la prassi tedesca ormai consolidata del ricorso agli artifici contabili, tali finanziamenti non costituiranno nuovo debito pubblico.

Chi sanzionerà la Germania?
Non si comprende tuttavia lo scalpore destato in sede europea dall’unilateralismo prevaricatore tedesco, da sempre praticato nella UE, in aperta violazione delle normative europee e a danno degli altri partner. Il ventennale primato tedesco in Europa si è potuto realizzare infatti solo mediante la sistematica violazione delle norme europee. La UE si è di fatto un’area unitaria di espansione economica tedesca.
L’export tedesco ha invaso l’Europa e destrutturato le economie degli altri paesi membri ignorando i limiti imposti ai surplus commerciali dai trattati europei. Le norme sulla concorrenza e sul divieto di aiuti di stato sono state da sempre eluse dalla Germania che, con il ricorso ai finanziamenti pubblici ha realizzato il salvataggio di un sistema bancario già inondato da titoli spazzatura e prossimo al default a seguito della crisi dei subprime del 2008. La Germania, con larghi sforamenti dei parametri di bilancio della UE, nel 2003 ha erogato sussidi a pioggia per sostenere la sua industria. La stessa Germania, con massicce concessioni di “credito facile” ai paesi del sud europeo ha provocato crisi del debito devastanti, salvo poi imporre alla Grecia politiche di austerity e rigore finanziario con annessa macelleria sociale, al fine di rientrare dei crediti insoluti.
La crescita esponenziale dell’export tedesco è inoltre dovuta alla adozione della moneta unica europea. Dato che la quotazione dell’euro sui mercati dei cambi dipende dall’andamento complessivo delle economie dell’intera Eurozona, l’export tedesco ha potuto giovarsi di un tasso di cambio assai favorevole, dal momento che il valore dell’euro è assai inferiore a quello che avrebbe avuto il marco. Al contrario la moneta unica penalizzato l’export dell’Italia, che con l’euro non ha più potuto giovarsi della flessibilità dei cambi.
La UE non ha prodotto crescita e stabilità in Europa, ma ha generato un trasferimento di ricchezza dal sud al nord dell’Europa e pertanto, alla crescita tedesca ha fatto riscontro il declassamento dei paesi più deboli.
Il primato tedesco è dunque frutto di una politica economica fraudolenta messa in atto dalla Germania. Ma chi, ieri come oggi, è in grado di sanzionare la Germania?

Il rapace nazionalismo tedesco e la dissoluzione prossima della UE
Lo stesso paradigma si ripropone nell’emergenza energetica. Il piano di finanziamenti tedesco di 200 miliardi è palesemente una erogazione di fondi pubblici a sostegno dell’economia tedesca in crisi, falcidiata dal caro energia e dall’inflazione. Si deve considerare che tutti i paesi della UE nelle fasi di crisi (sia pandemica che energetica), hanno fatto ricorso a programmi di sostegni pubblici. Emerge però una scandalosa sproporzione circa l’entità dei finanziamenti pubblici effettuati dai singoli paesi dal settembre 2021 al settembre 2022: la Germania ha stanziato 384,2 miliardi, la Gran Bretagna 238,4, la Francia 81,3, l’Italia 73,2, la Spagna 35,5.
Si rileva quindi che si è instaurata una vera e propria competizione tra gli aiuti di stato erogati dai singoli paesi, in cui gli effetti distorsivi della concorrenza hanno favorito le posizioni economiche dominanti della Germania e dei suoi alleati, a danno comunque dei paesi più deboli. L’Italia infatti ha ristretti spazi di manovra di bilancio a causa dell’elevato debito pubblico. L’economia italiana, inserita nella catena di valore dell’industria tedesca, si rivela particolarmente vulnerabile, dato che sarà penalizzata nella sua competitività, a causa dei più elevati costi energetici a carico delle imprese italiane. La Germania ha giustificato tale misura unilaterale di sostegno all’economia sulla base dei grandi spazi di manovra di bilancio, resi possibili dalla sua proverbiale virtuosità finanziaria rigorista. Ma certo è che la sua potenza finanziaria si è potuta realizzare mediante l’espansione dell’export e quindi in virtù di surplus commerciali prodottisi a discapito dell’Italia e di altri paesi.
La UE è dunque succube degli egoismi prevaricatori dei paesi economicamente più forti. La sua disunione è apparsa evidente nel rifiuto della Germania di aderire alla iniziativa dell’Italia, della Francia e di altri paesi per la fissazione di un tetto europeo al prezzo del gas. La Germania infatti, oltre a sostenere la sua economia con un gigantesco piano di aiuti pubblici, può giovarsi dei contratti a termine tuttora in vigore (ma in scadenza a fine anno), con la Russia per forniture di gas a basso prezzo.
L’Olanda ha espresso il suo rifiuto sia al price cup che alla proposta di disallineamento del prezzo del gas da quello dell’energia elettrica. L’Olanda è ovviamente intransigente, dati gli enormi profitti speculativi realizzati con il rialzo delle quotazioni dei titoli energetici alla borsa di Amsterdam. E la crisi energetica, come si sa, non è dovuta alla guerra ma alla speculazione finanziaria sul prezzo del gas.
La Norvegia, che non è membro della UE ma della Nato, ha innalzato il prezzo dell’esportazione di gas fino al 70% e il suo fondo sovrano ha ricavato profitti per circa 80 miliardi. Nella guerra e nella crisi esiste quindi una parte dell’Europa che si arricchisce a spese dell’altra.
E’ stata spesso esaltata la compattezza unitaria dimostrata dall’Europa dinanzi alla crisi pandemica, con la creazione di un debito comune europeo, con il varo cioè del Recovery fund. Ma sulla politica vaccinale della UE incombono ombre assai oscure. Si è rilevata la scarsa trasparenza delle trattative intercorse tra la Von der Leyen e il presidente della Pfizer Albert Bourla in merito all’acquisto dei vaccini, svoltesi attraverso una corrispondenza avvenuta tramite sms il cui contenuto è stato inspiegabilmente cancellato. Bourla non si è poi presentato per testimoniare dinanzi alla commissione sul Covid del parlamento europeo, che sta svolgendo indagini su tali trattative. E’ emerso altresì un palese conflitto di interessi che investe la Von der Leyen, il cui marito è dirigente della Orgenesis, società del settore biotech controllata dai fondi di investimento Vanguard e Black Rock, che a loro volta controllano anche la Pfizer. Il Recovery fund fu inoltre ostacolato dalla opposizione dell’Olanda e dei paesi frugali, che diedero il loro assenso in cambio della concessione nei loro confronti di sgravi fiscali da parte della UE.
Analoga politica non è stata invece replicata in occasione della crisi energetica. A causa della opposizione tedesca non verrà creato alcun fondo europeo a sostegno dei paesi in difficoltà per il caro energia. Dato che non verrà alla luce alcun fondo comune europeo per l’energia, ogni paese europeo dovrà far fronte alla crisi con le proprie risorse. I paesi della UE non sono produttori di materie prime né potenze finanziarie di rango mondiale. L’Europa ha costruito la sua potenza economica sull’industria manifatturiera. Quindi dovrà affrontare la crisi energetica mediante scostamenti di bilancio e manovre in deficit. Ma è evidente lo squilibrio di risorse finanziarie disponibili da parte della Germania rispetto agli altri paesi per implementare politiche fiscali atte a contrastare efficacemente l’impatto di questa crisi.
E’ dunque lecito definire la politica economica di Scholz come una forma di rapace nazionalismo fiscale che condurrà fatalmente alla dissoluzione di fatto della UE.

La Germania esporta la sua crisi
La guerra tra USA e Russia in Ucraina ha comportato un drastico ridimensionamento sia geopolitico e economico della Germania. La potenza economica tedesca ha potuto svilupparsi mediante la crescita del suo export, le forniture di gas russo a basso prezzo e le delocalizzazioni industriali nell’Europa orientale. La guerra e le successive sanzioni imposte alla Russia stanno determinando progressivamente la fine dei legami economici ed energetici tra la Germania e la Russia stessa. La guerra in Ucraina ha provocato parallelamente l’interruzione della via della seta su rotaia che collega la Cina con l’Europa (traversando l’Ucraina), e pertanto, sia l’export tedesco che le catene di approvvigionamento di semiconduttori, di materiali tecnologici e infrastrutturali per l’industria hanno subito un drastico tracollo. Il modello economico tedesco basato sull’export è in via di dissoluzione.
Questa guerra ha quindi indotto la Germania ad effettuare un suo riposizionamento sia economico che geopolitico nell’ambito della Nato. Scholz, in considerazione della scelta di campo atlantica e del ridimensionamento del ruolo economico e geopolitico della Germania, vuole tuttavia riaffermare il primato tedesco in Europa.
Con la crisi energetica la Germania ha imboccato la via della recessione. A causa dell’aumento dei prezzi del gas, l’inflazione si attesterà all’8,4% nel 2022 e all’8,8% nel 2023. Il Pil tedesco è in calo, la crescita si ridurrà nel 2022 all’1,4%, mentre nel 2023 è previsto un calo dello 0,4%. L’indice della fiducia dei consumatori (Esi), registra un calo di 3,5 punti ed ha raggiunto i minimi storici.
Scholz pertanto, dinanzi alla recessione incombente, al dissenso dilagante nell’opinione pubblica e alle scadenze elettorali prossime in alcuni laender tedeschi, ha varato questo piano di aiuti per 200 miliardi di fondi pubblici destinati alle imprese e ai cittadini onde far fronte al caro energia. Data la sperequazione dei costi energetici che si verificherà tra le imprese tedesche e quelle degli altri paesi della UE, la Germania ha messo in atto una manovra shock che si configura come una gigantesca operazione di dumping industriale e finanziario ai danni del resto dell’Europa. L’intento di Scholz è quello di arginare il declassamento economico della Germania scaturito dalla chiusura dei principali mercati dell’export tedesco e al rilevante calo di competitività subito dall’industria tedesca nei confronti del mercato americano. Il rafforzamento dell’export tedesco in Europa, realizzato manovre atte a produrre rilevanti distorsioni della concorrenza, sarà sufficiente a far fronte alla recessione interna e a colmare le perdite subite dall’export verso la Russia e i mercati asiatici? Certamente no. Il dumping tedesco infatti avrà solo l’effetto di esportare nella UE la sua stessa crisi. La recessione europea produrre solo decrementi della domanda che si ripercuoteranno negativamente anche sull’economia tedesca.
L’Italia è particolarmente esposta alla concorrenza sleale della Germania. In una Italia, già depauperata nella sua struttura industriale da decenni dalle manovre aggressive franco – tedesche, potranno verificarsi con la recessione incombente nuove crisi del debito, a cui faranno seguito rinnovate politiche di austerity. In tale contesto, si riproporranno nuove iniziative aggressive della Germania, da sempre ansiosa di appropriarsi del patrimonio immobiliare e del risparmio italiano, che è tra i più elevati d’Europa.

La strategia americana di aggressione all’Europa
L’Europa non sarà certo smembrata dalla politica di ricatto energetico di Putin, ma da un processo di decomposizione interna già in stato avanzato.
Occorre inoltre rilevare il silenzio doloso della Von der Leyen riguardo alle iniziative di nazionalismo predatorio della Germania. Si è solo limitata a retorici appelli all’unità della UE. Quella stessa Von der Leyen che ha sanzionato il sovranismo dell’Ungheria di Orban e si è resa responsabile di gravi ed indebite ingerenze nelle elezioni italiane affermando che “se le cose andranno in direzione difficoltosa, abbiamo gli strumenti per agire”, ora tace nei confronti del nazionalismo predatorio di Scholz.
In realtà, con la fine della Guerra fredda e l’espansione della Nato nell’est europeo, è venuta meno la rilevanza del ruolo strategico della Germania nel contenimento della Russia. Tale ruolo è oggi ricoperto dalla Polonia e dai paesi baltici che confinano direttamente con la Russia.
La guerra tra USA e Russia in Ucraina ha determinato il riposizionamento geopolitico dell’Europa nell’ambito della Nato in funzione russofobica. Ma, in perfetta coerenza con la strategia geopolitica americana, si sta verificando anche la decomposizione interna della UE. L’Europa, priva di una soggettività geopolitica autonoma nel contesto mondiale, ridimensionata nella sua potenza economica e resa dipendente dagli USA nel campo energetico, non potrà che frantumarsi progressivamente, dilaniata dalle conflittualità interne. Il declino dell’euro ne è una prova evidente. L’euro si sta svalutando nei confronti del dollaro a causa della politica antinflazionistica messa in atto dalla FED che comporta rialzi progressivi dei tassi di interesse. E i rialzi dei tassi deliberati dalla BCE avranno effetti devastanti su una economia europea in fase di recessione. Questa rincorsa della BCE ai rialzi dei tassi americani finirà col dissanguare l’Europa.
La strategia imperialista americana di aggressione all’Eurasia implica la destrutturazione dalla UE. La crisi economica incombente si tramuterà presto in crisi politico – istituzionale che coinvolgerà tutti i paesi europei. Esploderà anche una conflittualità sociale alimentata dall’accentuarsi delle diseguaglianze che si rivelerà insanabile. Emergeranno ben presto le responsabilità delle classi politiche riguardo alle suicide scelte atlantiste dell’Europa. Solo dalla dissoluzione interna della UE e dalla implosione del modello neoliberista potrà emergere la nuova Europa dei popoli e delle patrie europee. E’ questa una utopia? Ebbene, solo questa utopia può salvarci.

Il crollo della Cdu scuote i popolari. E il centrodestra riapre il cantiere

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Le ripercussioni del voto tedesco. Fi spera che i moderati restino al governo. Salvini rilancia il partito unico, Meloni contro le larghe intese. Berlusconi: Merkel lascia un vuoto incolmabile

di Pasquale Napolitano

Il tracollo elettorale in Germania della Cdu-Csu, per la prima volta nel dopoguerra sotto la soglia del 30% dei consensi, e l’addio di Angela Merkel rimescolano le carte nella famiglia dei Popolari europei.

In Italia il voto tedesco spinge il leader della Lega Matteo Salvini a riaprire il cantiere del partito unico del centrodestra. Il segretario del Carroccio fiuta la debolezza del Ppe, orfano della leadership della Merkel, e gioca d’anticipo: «Il voto in Germania deve essere di insegnamento anche per il centrodestra italiano. Il centrodestra in Germania ha preso una batosta storica. Il centrodestra italiano dovrebbe imparare che uniti si vince, soprattutto in Europa. Quindi ripropongo agli alleati di unirsi a Bruxelles, perchè adesso siamo divisi in tre gruppi diversi e contiamo di meno. L’Italia conta di meno. Se i centrodestra italiani si uniscono l’Italia conta di più in Europa. Io sono pronto anche domani. Spero che Berlusconi e Meloni lo siano altrettanto».

È il momento di accelerare. Il ragionamento che filtra da via Bellerio è chiaro: «Con l’uscita di scena della Merkel si aprono spazi enormi sia in Italia che in Europa per riorganizzare il fronte anti-socialista».

E il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi ammette: «È molto difficile riempire un vuoto come quello che lascerà la signora Angela Merkel nella politica europea. Un’Europa con una politica estera e di difesa comune, quindi tra i grandi protagonisti del mondo, richiede una leadership di alto livello politico».

La sconfitta della Cdu in Germania fa discutere Forza Italia, che nei giorni scorsi ha frenato sull’ipotesi di una formazione politica unica in Europa. Intanto il coordinatore Antonio Tajani si augura «che i popolari restino al governo a Berlino e il ministero delle Finanze non vada ai liberali».

Contro il progetto salviniano di unire le tre forze di centrodestra si schiera Giorgia Meloni, leader di Fdi, che boccia le larghe intese e rilancia il bipolarismo: «Il crollo dei popolari della Cdu-Csu in Germania dopo 16 anni di cancellierato Merkel e il successo della Spd certificano che quando forze di centrodestra si prestano per anni ad alleanze innaturali con la sinistra finiscono per annacquare la propria identità e perdere consenso. Lo stesso sta avvenendo nelle istituzioni Ue con un Ppe ormai al traino delle sinistre. Il messaggio che ci arriva dalle elezioni tedesche non è dunque la sconfitta del sovranismo, come dice il mainstream, ma la necessità di consolidare un sano bipolarismo che consenta ai cittadini di scegliere maggioranze chiare e coese e di sapere la sera stessa delle elezioni chi governerà. Un bipolarismo che come Fratelli d’Italia e come Conservatori europei vorremmo riprodurre anche a livello continentaee».

In direzione opposta si muove il ministro del Sud Mara Carfagna che insiste, incassando la sponda di Matteo Renzi, sulla costruzione di un polo centrista: «Credo invece che debba farsi strada nei partiti l’urgenza restituire un baricentro alla politica italiana. Lo si può fare solo rinunciando all’estremismo e questo percorso va imboccato subito da tutti coloro che si candidano a governare in futuro il Paese» spiega nel blog su HuffPost.

Sul fronte opposto il Pd esulta per la «non vittoria» dei Socialdemocratici fermi al 25,7%. A Berlino sono partiti gli scongiuri. A scrutino ancora in corso il segretario Enrico Letta sentenzia: «Il cancelliere sarà Scholz, non ho alcun dubbio su questo». La sinistra italiana non perde il vizio dell’innamoramento facile. Il copione si ripete: Biden, Blair, Zapatero. Stavolta al Nazareno si festeggia il successo di Pirro di Scholz. Ma dal voto tedesco Letta spera di portare a casa un altro risultato: lo stop al proporzionale e la corsa verso il bipolarismo.

Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/politica/crollo-cdu-scuote-i-popolari-e-centrodestra-riapre-cantiere-1978135.html

Germania è il giorno del dopo Merkel

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Laschet, Scholz o la Baerbock? Chi avrà il cancellierato?

di Leopoldo Gasbarro

Oggi le elezioni in Germania.

L’attesa è grande, davvero grande. Dopo 16 anni al potere, Angela Merkel si dimette dalla carica di cancelliere della Germania, aprendo la strada ad una nuova generazione di leadership per la più grande economia europea. La Merkel, 67 anni, è stata un simbolo di stabilità in Europa da quando ha assunto il ruolo nel 2005. Ora tutti si chiedono, a seconda di chi sarà il vincitore, quale potrebbe essere il cambiamento che si genererà in seno alla Germania in primis ed agli equilibri europei e mondiali in seconda battuta.

I Candidati
Il candidato di partito della Merkel è Armin Laschet (il primo a sinistra nella foto), alleato di lunga data della Cancelliera dimissionaria e leader della CDU da gennaio; Olaf Scholz, leader della SPD di sinistra; e Annalena Baerbock dei Verdi.

Gli ultimi sondaggi mostrano il blocco sindacale di centrodestra del leader uscente, con Armin Laschet candidato cancelliere, un po’ indietro o quasi alla pari con i socialdemocratici di centrosinistra, che hanno come uomo di punta il ministro delle finanze Olaf Scholz.

Ed è proprio Scholz il più accreditato in questo momento alla vittoria finale. Lui che è sempre stato della linea dura, specie contro l’Italia, si era un po’ “ammorbidito” dopo lo scoppio della Pandemia.

Nella sua ultima manifestazione elettorale sabato a Potsdam, Scholz ha fatto riferimento alle preoccupazioni sul cambiamento climatico ed ha affermato che, se eletto, avrebbe concordato un aumento del salario minimo a 12 euro l’ora come prima decisione del nuovo governo.
Laschet, nel frattempo, ha tenuto un’ultima manifestazione elettorale con la Merkel ad Aquisgrana durante la quale il cancelliere uscente ne ha elogiato la “passione e cuore”  affermando che le elezioni riguardano il mantenimento della “stabilità” del Paese e la garanzia “che i giovani abbiano un futuro e che possiamo ancora vivere nella prosperità”.
La Merkel, il secondo cancelliere più longevo nella storia tedesca, ha dovuto far fronte, e lo ha fatto con autorevolezza, a sfide importanti. Tra queste la crisi finanziaria del 2007-2008, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea ed oggi la Pandemia da Covid-19.
La Merkel è stata una forza trainante per la coesione europea e ha cercato di mantenere stretti legami con gli Stati Uniti e la Cina. Ora, con il cambio elettorale, un periodo di insolita incertezza potrebbe generarsi in Germania, nell’Unione Europea e nel resto del mondo.
Il risultato è particolarmente incerto.
La CDU e la SPD sono più avanti degli altri nei sondaggi ma anche il Partito dei Verdi è emerso come un serio contendente. Di conseguenza, la Baerbock sta per svolgere il ruolo importante nella formazione del nuovo governo tedesco.
Anche l’estrema destra AfD rimane una presenza forte sulla scena politica, facendo a gara con il Partito liberale democratico liberale per il quarto posto.
Ma è la leader dei Verdi la vera sorpresa delle elezioni tedesche.

Chi vota.
Circa 60,4 milioni di persone di età pari o superiore a 18 anni hanno diritto a votare in queste elezioni, secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica tedesco.
Ciascuno avrà due voti da esprimere: uno per il candidato che rappresenti il ​​proprio collegio elettorale, di cui 299 nel Bundestag (il parlamento tedesco) e un secondo voto per il proprio partito preferito. La quota di “secondi voti” di un partito determina il numero di seggi che il partito guadagna nel Bundestag, secondo la rappresentanza proporzionale.
Perché un partito entri nel Bundestag, deve vincere almeno il 5% del secondo voto.
Molti tedeschi hanno già votato; la pandemia da coronavirus ha aumentato la quantità di votazioni per corrispondenza che hanno avuto luogo prima del giorno fissato per le elezioni stesse. Le preoccupazioni per l’ambiente e quelle economiche sono emerse come questioni chiave nella campagna elettorale.
L’ endorsement per Armin Laschet

La Merkel ha enfatizzato il record del suo governo nel ridurre la disoccupazione e il debito della Germania. Di contro ha denunciato i piani dei rivali di Laschet per aumentare le tasse. Ha anche suggerito di come ci fosse il pericolo che un governo tedesco di sinistra fosse eccessivamente generoso nel fornire aiuti finanziari ai paesi europei più indebitati.

“C’è molto in gioco domenica”, ha detto in piazza a Stralsund, città nord-orientale della Germania.

“Dobbiamo pensare ad una politica che non pensi solo a ridistribuire, ma a creare ricchezza. So che Armin Laschet, come governatore del Nord Reno-Westfalia, combatte per ogni singolo lavoro nel suo stato, e lo farebbe anche come cancelliere della Germania”.

Economia ancora in attesa di una forte ripresa 

Il DAX tedesco, l’indice principale del mercato azionario tedesco, è in rialzo del 13% da inizio anno.  La forte ripresa attesa nel post-pandemia e prevista per l’estate deve ancora concretizzarsi. L’economia tedesca sta affrontando venti contrari post-COVID-19 simili a quelli degli Stati Uniti poiché le interruzioni della catena di approvvigionamento rallentano la crescita. Le previsioni del FMI vedono la produzione economica in crescita solo del 2,5% quest’anno, ma del 5,1% l’anno prossimo.

L’economia tedesca rappresenta circa il 3,4% dell’economia mondiale con un valore di 3,8 trilioni di dollari, che la rende la quarta più grande a livello globale.

Mercati Finanziari

Di solito i mercati amano la stabilità dei risultati. In Germania sembra esserci incertezza del risultato. Aspettiamo poche ore e sapremo orientarci meglio. Sta di fatto che le elezioni si inseriscono in un quadro internazionale davvero complicato. L’inflazione in forte rialzo negli USA; la crisi di Evergrande in Cina e tanti piccoli focolai pandemici in giro per il Mondo rendono il dato tedesco ancor più di rilievo per l’orientamento futuro dei mercati finanziari.