L’Occidente liberale è anestetizzato, succube di un potere che può fare ciò che vuole

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di Matteo Castagna

 

L’articolo è stato pubblicato anche su Arianna Editrice di ieri e su “Il 2 di Picche” di oggi.

 

TRE MILIONI DI FRANCESI SI SONO RIVERSATI NELLE STRADE E HANNO MESSO A FERRO E FUOCO LE CITTÀ

Tre milioni di francesi si sono riversati nelle strade e hanno messo a ferro e fuoco le città, incendiando il municipio di Bordeaux, in un moto rivoluzionario che, per numeri, durata e modalità, non si hanno ricordi. Tutti contro Macron ed il governo che ha innalzato di due anni l’età pensionabile. Sappiamo bene che l’Occidente liberale è anestetizzato, succube di un potere che può fare ciò che vuole, imporre regole assurde, rubare e metterci le mani nel conto corrente, imporre leggi folli e giustificare i rincari spaventosi delle bollette e dei beni di prima necessità con una grottesca richiesta di sacrifici a pensionati e lavoratori già oberati dalla pressione fiscale più alta d’Europa.

Riescono, addirittura, con un abile utilizzo della comunicazione pubblica, a propinarci che l’energia ed il cibo abbiano costi da capogiro per colpa di Putin, che ha chiuso i rubinetti e voluto la guerra. Sappiamo, invece, che la responsabilità è delle sanzioni che l’Ue ha imposto alla Russia, ma che, di fatto, pagano i cittadini dei Paesi membri, tramite inflazione e rincari. Noi siamo sempre pronti a cedere. Ci fanno andare in pensione a 67 anni e non a 62 come in Francia, ma da noi i sindacati cosa fanno e a cosa servono? Noi italiani ce lo confidiamo al bar, oppure lo scriviamo sui social. I francesi si spingono oltre. Si ribellano. E noi, sempre con quello spirito disincantato e malinconico, siamo, subito, pronti al confronto piagnone: perché nel Belpaese le persone tartassate ed umiliate stanno sul divano, pur subendone di ogni sorta da una Ue sanguisuga, che ci sta indebitando e dettando un’agenda spaventosa?

Il problema è antropologico. Non abbiamo alle spalle quei secoli di monarchia unitaria e di abitudine a vivere insieme che formano, secondo Renan, la base psichica di una nazione. “Nei “paesi della fiducia”, la critica può spingersi fino a bruschi trapassi e terremoti elettorali. I “paesi della sfiducia” sono immobili, stagnanti, il loro voto è lento, “vischioso”, come si dice da noi. Li spazzano a tratti ondate di furore nichilista, meglio vi prospera il disordine. A un Nord di libera iniziativa e democrazia fondamentalmente sana, si contrappone un Sud perpetuamente in bilico tra miasmi anarchici e tentazioni autoritarie, con economie zoppicanti e le più basse percentuali di popolazione attiva: l’Italia, la Spagna, il Portogallo, il carnevale dell’America Latina. […]

La riflessione di Leopardi, “Gl’italiani non scrivono né pensano sui loro costumi”, resta, per la nostra classe politica, attualissima. A differenza dai colleghi francesi, nessuno dei nostri capi di Stato, di governo o di partito, sembra preoccuparsi profondamente, al di là dei discorsi ufficiali ed elettorali, dell’Italia come motivo di riflessione, di indagine, di affetto. Alla nave dello Stato in pericolo, Orazio si rivolgeva come ad una persona cara. Mentre i nostri capi di governo e ministri non dedicano all’Italia una indagine, uno studio, un pensiero. Se sono docenti, scrivono trattati scolastici, dispense. Andreotti, il solo ministro con la fama di uomo “colto”, ha gl’interessi di un canonico dell’Ottocento. Un ministro socialdemocratico scrive romanzetti per coprire di immondizie la sua giovinezza fascista. E basta.

Non voglio dire che i ministri francesi scrivano e siano colti, e i nostri no. Poco m’importa di queste gare. Dico che là c’è gente che pensa, e studia, e soffre e s’interroga sulle sorti di quella che, incontestabilmente, e per tutti, è la Patria. E qua, dove nessuno adopera questo nome obsoleto, tutti parlano sciattamente di un “Paese”, che sarà laboratorio di nuove formule, arengo di chiacchiere, forziere da saccheggiare, ma a nessuno viene in mente di farne oggetto di studio di riflessione, di cura affettuosa.

Se è vero (è sempre Leopardi) che “il popolaccio italiano è il più cinico dei popolacci”, è vero anche che gli corrisponde la più cinica delle classi dirigenti che mai si siano viste in Europa. E ciò spiega tante cose”. Questo virgolettato che sembra scritto oggi, è stato pubblicato su “Il Giornale” del 18 gennaio 1980 e firmato da Piero Buscaroli. Abbiamo avuto anche noi gente che pensava e amava la Patria. Ora, stretti dalla svogliatezza borghese o indifferenti per il nichilismo strisciante, oppure perché “tanto non cambia nulla” siamo tutti più o meno consapevolmente un po’ Fantozzi e un po’ Tafazzi. E il Sistema ride, mentre noi che guardiamo solo al nostro piccolo orticello, siamo troppi ad esser convinti che agisca per il nostro bene.

 

Per la lettura completa: https://www.informazionecattolica.it/2023/04/03/loccidente-liberale-e-anestetizzato-succube-di-un-potere-che-puo-fare-cio-che-vuole/

I benzinai confermano lo sciopero del 25-26 gennaio dopo le accuse di speculazione

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di Alessandra Caparello

Dopo un acceso confronto con il governo, i benzinai hanno confermato lo sciopero del 25 e 26 gennaio 2023. In una nota congiunta,  le organizzazioni degli esercenti, Fegica e Figisc/Anisa, al termine dell’incontro con il Governo al ministero delle Imprese, hanno confermato l’agitazione su tutto il territorio nazionale durante le intere giornate del 25 e del 26 gennaio 2023, precisando che:

“Serve un accordo sottoscritto in sede di presidenza del Consiglio, ad indicare la collegialità dell’intero Governo e sottrarre la vertenza in atto a qualsiasi speculazione all’interno della maggioranza. In attesa delle valutazioni del Governo lo sciopero previsto per i giorni 25 e 26 gennaio è confermato. Per fare emergere serietà e competenza richiesta c’è tempo fino al minuto prima della chiusura degli impianti”.

L’Autorità garante per gli scioperi guidata da Giuseppe Santoro-Passarelli, prende atto dello stop annunciato “dalle 19.00 del 24 gennaio 2023 alle 07.00 del 27 gennaio 2023” prossimi dei gestori della rete carburanti, ritenendo regolare la formale proclamazione. Si invitano al contempo le associazioni a valutare l’opportunità di ridurre la durata complessiva della chiusura degli impianti: “al fine di limitare i disagi a cui, inevitabilmente, andrebbero incontro i cittadini utenti, a fronte di una prolungata chiusura dei distributori di carburante sulla rete ordinaria e autostradale, questa Commissione invita le Associazioni in indirizzo a valutare l’opportunità di ridurre la durata complessiva della chiusura degli impianti”.

I motivi dietro allo sciopero dei benzinai

Le associazioni spiegano così i motivi che li hanno costretti a scioperare.

“Ancora oggi il Governo non ha saputo o voluto assumere la responsabilità di prendere impegni concreti sulle questioni che direttamente possono incidere anche sui prezzi dei carburanti. Immaginando evidentemente di poter continuare ad ingannare gli automobilisti gettando la croce addosso ai benzinai. Confermato il pessimo giudizio sul decreto, pasticciato e inefficace, a cui sarà necessario mettere mano pesantemente in sede di conversione. Abbiamo proposto con serietà al Governo di assumere alcune iniziative tutte ispirate al recupero della piena legalità nel settore ed al ripristino di un sistema regolatorio certo, con l’obiettivo di adeguare efficienza e gli standard di servizio offerti agli automobilisti italiani e ottenere la proposizione di prezzi dei carburanti equi e stabilmente contenuti. Nel medio periodo è necessario l’avvio di un confronto che metta immediatamente in cantiere la riforma del settore volta a chiudere 7.000 impianti, che secondo una stima prudente sono attualmente nelle mani della criminalità più o meno organizzata, recuperare al gettito erariale circa 13 miliardi di euro sottratti ogni anno alle casse dello Stato e quindi ripristinare condizioni di mercato e concorrenza non drogate.

Più nell’immediato, deve essere urgentemente varata la norma che preveda controlli e sanzioni – attualmente inesistenti – per i titolari degli impianti che non rispettano gli obblighi di legge imposti sui contratti di gestione e gli accordi collettivi, posto che almeno il 60% dei gestori è senza contratto o con contratti illegali e condizioni economiche minime. Inoltre, è necessario che il Mit apra immediatamente il confronto sul decreto ministeriale che regola le concessioni delle aree di servizio autostradali, perché finalmente alle società concessionarie venga sottratta la possibilità di sfruttare a proprio esclusivo beneficio economico un bene in concessione pubblica come le autostrade e possano essere adeguati sia la qualità dei servizi che i prezzi attualmente fuori controllo”.

Il tutto, precisa la nota, “deve trovare collocazione all’interno di un accordo sottoscritto in sede di Presidenza del Consiglio, ad indicare la collegialità dell’intero Governo e sottrarre la vertenza in atto a qualsiasi speculazione all’interno della maggioranza”.

Immediata la reazione delle associazioni dei consumatori come l’UNC (Unione Nazionale Consumatori), il cui presidente Massimiliano Dona ha affermato:

“Pessima notizia! Vorremmo capire quali sono le concessioni del Governo in materia di sanzioni, considerato che scendevano da 516 a 500 euro e che la sospensione dell’attività era solo fittizia e teorica, visto che poteva, e non doveva, scattare solo alla quarta violazione, ossia mai. Insomma, il presupposto minimo della trasparenza è che i benzinai comunichino almeno i loro prezzi e non lo facciano in modo farlocco, come invece abbiamo denunciato anche all’Antitrust dal marzo del 2022. Se 4000 benzinai non comunicano i prezzi vuol dire che le sanzioni vanno perlomeno decuplicate.

Il Governo sembra fare l’opposto di quello che dovrebbe fare, visto che invece non concede nulla ai distributori sull’esposizione del cartello del prezzo medio, che in effetti presenza profili di illegittimità in materia di concorrenza, dato che potrebbe diventare un punto di riferimento per accordi collusivi. Molto più utile un’app che appena aperta dia i 3 distributori con i prezzi più bassi  in un raggio di chilometri predefinito dal consumatore, cosa che abbiamo chiesto di fare da oltre 1 anno all’allora Mise”.

Draghi molla il tavolo con i sindacati: rottura sulle pensioni, verso lo sciopero

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di Adolfo Spezzaferro

Roma, 27 ott – E’ rottura sulle pensioni, con il premier Mario Draghi che lascia il tavolo con i sindacati: “Ho un altro impegno, indietro non si torna“. Cgil, Cisl e Uil, che chiedevano una trattativa, verso la mobilitazione: “Nessuna risposta, troppo poco per gli ammortizzatori“. Draghi dunque tira dritto sulle pensioni: “Transizione graduale verso la normalità”, ossia il ritorno alla legge Fornero. E’ quella – secondo il premier – l’unica riforma possibile, quella peraltro imposta dalla Ue.

Pensioni, rottura governo-sindacati. Draghi respinge le richieste di Cgil, Cisl e Uil

Il premier non ascolta i sindacati sul fronte delle pensioni. “Possiamo discutere di quota 101, 102 o anche 102,5, ma il percorso progressivo verso il sistema contributivo non cambia. Indietro non torniamo, perché il sistema previdenziale retributivo ha creato delle vulnerabilità che tutti anche all’estero ci rimproverano“. Dopo un incontro di quasi tre ore, è rottura con i sindacati, che chiedevano una riforma complessiva delle pensioni. E Draghi prende e se ne va, ha un altro impegno “programmato”. Circa la riunione, il premier non nasconde l’irritazione: “Non mi aspettavo un intervento tanto polemico, con 3 miliardi sugli ammortizzatori sociali e 8 sulla riduzione delle tasse, mi sarei aspettato un atteggiamento diverso. La manovra è un pacchetto corposo di misure”. E’ la prima rottura tra governo e parti sociali. Ora i sindacati valuteranno la mobilitazione e un possibile sciopero generale.

Sindacati pronti allo sciopero generale

“Se il governo va avanti in questa direzione valuteremo il da farsi. Noi siamo pronti al confronto. Se il governo ci ascolterà nei prossimi giorni bene, altrimenti adotteremo le iniziative di mobilitazione più adatte con Cisl e Uil“. Così il segretario della Cgil Maurizio Landini a margine dell’incontro con Draghi a Palazzo Chigi, giudicato “insoddisfacente”. Luigi Sbarra della Cisl parla di “grandi insufficienze e squilibri, per effetto del mancato dialogo con le parti sociali“. Le misure sono “largamente insufficienti sia per le pensioni, che per gli ammortizzatori sociali e per la non autosufficienza“, aggiunge. Non bastano soli 600 milioni, sottolinea Pierpaolo Bombardieri della Uil: “Non è una riforma degna di questo nome. Noi ci battiamo per garantire pensioni dignitose ai giovani e alle donne“. Tutto dipenderà dunque da cosa deciderà domani il Cdm con il varo della legge di Bilancio. Sabato al più tardi i sindacati faranno sapere come intendono muoversi.

Il premier deve trovare la quadra anche con la Lega

Il superamento di Quota 100, misura di bandiera della Lega, è un problema anche interno alla maggioranza, con Salvini che vuole strappare un compromesso per potersi intestare la non sconfitta. L’ultima opzione all’esame dei tecnici è stata costruita attorno al requisito fisso dei 41 anni di contributi, sulla falsariga di quella Quota 41 cara alla Lega. Ossia la possibilità di uscita al raggiungimento appunto del 41esimo anno di contribuzione, con un’età minima di 62 anni. Misura che però non avrebbe le coperture necessarie.

Draghi tira dritto perché i saldi sono decisi e la legge di Bilancio in sostanza sarà approvata così com’è, anche perché è convinto che con la Lega troverà un accordo. Allo stato attuale dunque il premier non sembra preoccupato all’idea di uno sciopero dei sindacati.

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/politica/draghi-molla-tavolo-sindacati-rottura-pensioni-verso-sciopero-212304/

Green pass, rivolta nei porti: “È dittatura, non ci fermiamo”

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portuali di Trieste lo avevano detto: non ci fermeremo. E stanno mantenendo la promessa, mettendo sempre più pressione al governo Draghi sul lasciapassare, che inizia a mostrare i primi segni di cedimento. La situazione è esplosiva. Domani entra in vigore il lasciapassare obbligatorio nei luoghi di lavorio e l’Italia rischia la paralisi, almeno dal punto di vista logistico. Oltre ai portuali triestini  in rivolta contro il green pass, hanno annunciato lo sciopero anche i colleghi di Genova e tra gli autotrasportatori mancheranno all’appello 80mila conducenti. Se a questo si aggiunge una crisi globale della catena di distribuzione delle merci, non è difficile capire l’entità dell’insidiosa mina che il premier deve cercare di disinnescare.

Green pass, rivolta si allarga

Una prima vittoria i “resistenti” anti green pass l’hanno già ottenuta. Il governo nelle scorse settimane aveva escluso a prescindere la possibilità di rendere gratuiti i tamponi per chi non è vaccinato. Una certezza, ribadita in più sedi, che ora sta scricchiolando. Pare infatti che domani in Cdm il governo potrebbe discutere la possibilità di porre a carico delle aziende il costo dei test per i dipendenti. Proposta ovviamente rispedita al mittente da Confindustria. Salvini chiede che a finanziarli sia lo Stato, mozione contestata dal resto della maggioranza. L’alternativa, anche questa presa in considerazione dall’esecutivo, è quella di “ragionare sul fatto che test abbiano un prezzo calmierato“. Dunque uno sconto. Anche questa ipotesi, fino ad oggi sempre respinta da Draghi, sembra essere la conseguenza delle rivolte sorte in queste ore.

Lo sciopero a Trieste

A dire il vero, i portuali triestini sarebbero “disponibili a discutere”: domani potrebbero evitare lo sciopero, ma solo se l’avvio del green pass obbligatorio venisse rimandato al 30 ottobre. Altrimenti, nisba. Loro sono “determinati sulle nostre posizioni”, che riguardano sì il settore trasporti ma, dicono, anche tutto il resto del mondo del lavoro. Nemmeno il tampone gratuito, già proposto dal Viminale, li soddisferebbe. Il problema è che il governo non sarebbe disposto a rinviare l’entrata in vigore del decreto sul green pass. Dunque si andrà al muro contro muro. Domani i portuali minacciano di bloccare il porto sia in entrata che in uscita, un danno enorme per il sistema Paese. “Siamo disposti ad andare avanti fin quando il green pass non verrà tolto”, dice Stefano Puzzer, portavoce del Coordinamento lavoratori portuali Trieste (Clpt). Nessun passo indietro, anche se la Commissione sugli scioperi ha definito “illegittima” la mobilitazione annunciata dal 15 al 20 ottobre: “Siamo in dittatura, faremo comunque lo sciopero: noi pensiamo di essere una democrazia, lo Stato in una dittatura – insiste Puzzer – Vedremo chi vincerà. È ora di fermare l’economia che forse è l’unico segnale che possiamo dare a questo Stato, per fargli capire che ci sono tante persone in difficoltà, tante persone che rimarranno senza uno stipendio, e solo perché hanno esercitato una scelta libera quella di non farsi il vaccino. Adesso mi sembra ben chiaro che questo passaporto verde è solamente una manovra economica non sanitaria”.

Green pass, rischio caos autotrasporti

Altra grana riguarda gli autotrasportatori. Per Trasportounito mancheranno all’appello 80mila conducenti, difficilmente sostituibili vista la carenza di personale. Questo si tradurrà in ritardi nelle consegne di 320mila ore in più rispetto allo standard giornaliero. Per Confetra si rischia proprio “la paralisi del sistema logistico nazionale“. Su 400mila autisti confederati, il 30% sarebbe senza green pass. Oltre al fatto che molti di quelli stranieri sono vaccinati con Sputnik o altri farmaci non riconosciuti. Se il governo decidesse di permettere loro di lavorare lo stesso, Conftrasporto ha già annunciato che per protesta le imprese italiane fermeranno i camion. Almeno su questo una mezza pezza il governo potrebbe averla trovata: i camionisti che arriveranno dall’estero senza green pass potranno guidare in Italia, ma sarà loro vietato scaricare o caricare la merce.

A proposito di merci: il problema potrebbe verificarsi anche alla fonte. Confagricoltura fa notare infatti che in questa stagione stanno iniziando le raccolte della frutta e degli ortaggi autunnali, operazione spesso realizzata da stranieri. Il green pass, è il timore, rischia di provocare “mancanza di manodopera”: Un terzo degli operai dell’agricoltura sono stranieri, molti dei quali (il 60%) extracomunitari. La gran parte non sono vaccinati o hanno in corpo un siero non riconosciuto dall’Italia. Insomma: un caos totale. Cui ora Draghi, dopo aver tirato la corda, dovrà trovare una soluzione.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/green-pass-rivolta-nei-porti-e-dittatura-non-ci-fermiamo/

FACCIAMO COME IN FRANCIA?

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Segnalazione di Giacomo Bergamaschi

Dopo il  successo dello sciopero generale del 5 dicembre, quello di ieri, 10 dicembre, ancor più grande e partecipato: adesioni altissime (anzitutto nel pubblico impiego, il settore più colpito), manifestazioni di massa in ogni città. La Francia popolare e proletaria è scesa sul piede di guerra contro la “riforma” del sistema pensionistico che Macron vuole realizzare ad ogni costo, in nome del famigerato pareggio di bilancio.
Ma non c’è di mezzo solo il dogma del pareggio di bilancio. Come rivelano i giornali francesi, sotto, c’è il tentativo del banchiere Macron di fare un favore ai suoi sodali.
LIBERATION ci informa infatti che

«I rappresentanti del più grande fondo di investimento del mondo, BlackRock, molto interessati al Patto e alla legge sulla riforma delle pensioni, hanno già incontrato diverse volte il Presidente della Repubblica, ma anche Jean-Paul Delevoye, l’Alto Commissario per le pensioni. La lobby di cui BlackRock è membro in Francia, l’AFG, ha anche moltiplicato le sue pressioni a favore della riforma».

Come si spiega che, seppure il tasso di sindacalizzazione dei lavoratori francesi sia tra i più bassi d’Europa, essi abbiano aderito in massa all’appello alla lotta dei sindacati? Si spiega non solo con la inaccettabilità delle drastiche misure macroniane, si spiega col fatto che i sindacati francesi non sono mai scesi così in basso come quelli italiani — pensate che  dopo aver lasciato passare la Fornero e il jobs act, ancora ieri, il signor Landini, invece di chiamare alla mobilitazione i suoi iscritti, ha proposto un “patto” con governo e imprese.

Più in generale: come si spiega che i francesi sono, in Europa, quelli più combattivi?

Si spiega con la spinta che senza dubbio hanno fornito i gilet gialli, la cui lotta prolungata ha lasciato un segno indelebile nel Paese. Per chi non lo sapesse i gilet gialli hanno sin da subito dichiarato di aderire alla mobilitazione sindacale.

Si spiega col fatto che la sinistra francese, dopo l’ignobile inabissamento del Partito socialista e di quello comunista, ha saputo risorgere, malgrado tutti i limiti, nella forma di La France Insoumise.

Si spiega col fatto che la destra radicale francese — ex Fronte nazionale ora Rassemblement National, per bocca di Marine Le Pen ha aderito ai due scioperi generali.

Si spiega infine con il fatto che il popolo francese, lo dimostra la storia, è sempre stato quello che con più prontezza e determinazione rialza la testa e si ribella quando c’è la sensazione che il padronato (quello d’Oltralpe è uno dei più rognosi) passi il segno.

Vorremmo dire: “Faremo come in Francia!” ma, ahinoi, non c’è permesso di farlo, non fosse che per il tasso di collaborazionismo sfrontato dei sindacati verso le classi dominanti ed i suoi governi (tanto più se sono di centro-sinistra). Non ci sarà permesso a causa di sinistre che hanno perduto per sempre la loro dignità e credibilità.

Il popolo lavoratore italiano, non avendo sindacati degni di questo nome, avendo una sinistra sputtanata e al servizio del regime eurista, dovrà necessariamente seguire un’altra strada. Quale sarà, quali modalità sceglierà, non è dato sapere.

Di sicuro, quando la goccia farà traboccare il vaso, avverrà la SOLLEVAZIONE generale, destinata a far tremare l’Italia e con essa tutt’Europa.

Da https://sollevazione.blogspot.com/2019/12/facciamo-come-in-francia.html?m=1

Sciopero generale dei medici: ammesse solo urgenze… e aborti

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obiezione di coscienza_violenza_RepubblicaCome ogni mese, di venerdì, alcuni volontari dell’Associazione Ora et Labora in Difesa della Vita testimoniano e pregano fuori dall’ospedale San Gerardo di Monza, dover si praticano aborti (come in molte altre città italiane). Con nostro rammarico constatiamo, che anche se è in atto lo sciopero generale dei medici (venerdì 23 novembre), gli aborti vengono eseguiti ugualmente in quanto considerati interventi “urgenti”. Cosa ci sia poi di così urgente nel sopprimere un bambino nel grembo e nel ferire a vita la sua mamma non è dato sapere (considerando che sopravvivere al proprio figlio, quando si è coscienti di averlo soppresso, è una pena atroce). La gravidanza non è una malattia e tantomeno l’aborto una cura, un bambino non è mai uno sbaglio a cui porre rimedio con l’aborto, ma un dono che Dio affida ai suoi genitori e a ognuno di noi, affinché possiamo prendercene cura, perciò un Ospedale deve essere il luogo dove nascere e non dove essere uccisi nel grembo da sicari in camice bianco.

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