La pace impossibile. Dalle ceneri della UE nascerà la nuova Europa

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di Luigi Tedeschi

Fonte: Italicum

Siamo dinanzi ad una guerra infinita? Quello russo – ucraino è in effetti un conflitto il cui esito e la cui durata non sono prevedibili. Questa guerra tra USA e Russia è un confronto geopolitico in cui sono in gioco i nuovi equilibri mondiali.

Dopo il fallimento della guerra – lampo, l’estensione della Nato nel mar Baltico con l’ingresso di Svezia e Finlandia ed i recenti arretramenti russi dinanzi alla controffensiva ucraina, le difficoltà della Russia sono evidenti. Ma Putin non può perdere la guerra, poiché la sua leadership non sopravvivrebbe alla sconfitta. Né è pensabile una pace che comporti il consolidamento delle posizioni russe del 2014 nella Crimea e nelle province russofone orientali dell’Ucraina. Si tratterebbe in tal caso di riproporre soluzioni già previste dagli accordi di Minsk, peraltro disattesi dell’Ucraina. E un simile accordo si tramuterebbe per Putin in una sconfitta. Pertanto Putin, attraverso la mobilitazione parziale vuole compattare il fronte interno e con l’aggravarsi della crisi energetica dell’Europa, vuole esercitare pressioni sull’Occidente per giungere ad una trattativa con gli USA, data la riscontrata impossibilità di una vittoria sul campo.

Improbabili appaiono altresì le velleità di Zelenski e dei paesi dell’est europeo circa il perseguimento di una guerra ad oltranza con l’obiettivo di sconfiggere la Russia, destabilizzarne le istituzioni e determinarne un suo successivo smembramento. L’Ucraina è totalmente dipendente dal sostegno bellico della Nato. La dissoluzione della Russia non rientra nelle strategie americane. Si verrebbe a creare un vuoto geopolitico in un immenso territorio che, diviso in tanti stati, sarebbe impossibile da controllare, specie per quanto concerne la probabile dispersione degli armamenti nucleari russi. Con la crisi energetica potrebbero sorgere nel prossimo futuro conflittualità interne all’Europa difficilmente governabili. E gli USA non possono permettersi di perdere l’Europa per sostenere la guerra dell’Ucraina. Gli americani inoltre, temono una escalation del conflitto che potrebbe comportare un intervento diretto della Nato. Dopo la sconfitta umiliante in Afghanistan (l’ultima di una lunga serie), l’opinione pubblica americana è refrattaria a farsi coinvolgere in nuove guerre. Anzi, l’opposizione repubblicana, alla vigilia delle elezioni di medio termine, imputa alla presidenza Biden l’eccessiva spesa militare a sostegno dell’Ucraina.

La Russia attualmente vuole negoziare una tregua, come anche l’Europa centrale, mentre l’Ucraina e l’Europa dell’est propendono per una guerra ad oltranza. Gli USA necessitano della russofobia quale storico elemento di contrapposizione ideologica al primato americano nel mondo, ma al contempo questa guerra distoglie gli Stati Uniti dalla loro priorità strategica, quella del contenimento della Cina. Gli americani sono dunque arbitri esclusivi della pace e della guerra?

Tre elementi tuttavia si oppongono ad ogni possibile prospettiva di negoziato. 1) L’attuale conflitto è nei fatti una guerra civile tra russi ed ucraini, che ha innescato una spirale di odio irriducibile tra i due popoli. 2) Con l’estensione della Nato ad est e la trasformazione dell’Ucraina in un avamposto strategico armato occidentale, accordi che prevedano uno status di neutralità dell’Ucraina sono impossibili. 3) L’annessione alla Russia delle regioni di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Luhansk è un atto che preclude qualsiasi possibilità di ripristino dello status quo del 2014. Si deve quindi concludere che attualmente ogni prospettiva di pace appare impossibile.

Gli USA non vogliono la vittoria dell’Ucraina ma il controllo dell’Europa

Fino a che punto gli americani sono disposti a sostenere l’Ucraina? Non vogliono certo ingaggiare un conflitto diretto con la Russia. La stessa minaccia nucleare potrebbe costituire un valido strumento propagandistico per indurre le parti in conflitto ad una trattativa. Pertanto il conflitto non dovrà essere esteso oltre i confini dell’Ucraina. L’obiettivo primario degli americani non è quello ottenere una vittoria dell’Ucraina, ma il controllo dell’Europa.

E’ del resto assai improbabile che l’Ucraina possa riconquistare interamente i territori occupati dai russi, nonostante i successi conseguiti nella recente controffensiva. L’avanzata ucraina è stata resa possibile dalle rilevanti forniture di armamenti americani. Non si sa comunque fino a che punto la controffensiva ucraina potrà spingersi nella riconquista dei territori occupati. Gli USA hanno fornito all’Ucraina 16 sistemi di artiglieria Himars (ed è in programma l’invio di altri 18), oltre ai carri armati Abrams. Ma tali armamenti tecnologicamente sofisticati necessitano di lunghi tempi di produzione, valutabili in alcuni mesi se non anni. Tali armamenti saranno prodotti per la prima volta in Europa e non negli USA. Gli americani non possono lasciare sguarnito il loro arsenale di scorte armate in patria per evidenti motivi di sicurezza. Un eccessivo sostegno militare all’Ucraina potrebbe compromettere l’azione di contenimento americana nei confronti della Cina nell’area dell’indo – Pacifico riguardo al contenzioso per Taiwan.

L’elettorato americano è largamente contrario ad una escalation del conflitto e, data la attuale impennata inflazionistica con conseguente ondata recessiva incombente, le eccessive spese militari dell’amministrazione Biden non riscuotono molto consenso popolare. Gli Stati Uniti hanno sostenuto spese militari a sostegno dell’Ucraina per 16 miliardi di dollari in 7 mesi, contro i 4 erogati ogni anno a Israele gli 1,3 all’Egitto.

La guerra, la crisi energetica, l’inflazione galoppante e la recessione economica sono fattori destinati a generare gravi conflittualità sociali e instabilità politica in Europa. Gli USA, onde scongiurare fratture tra i paesi europei membri della Nato, potrebbero essere indotti ad una soluzione negoziata del conflitto ucraino. Aggiungasi che da una conflittualità interna all’Europa potrebbe trarne vantaggio lo stesso Putin.

Si rileva inoltre che la russofobia imperante nei media occidentali costituisce una formidabile arma di distrazione di massa, atta a distogliere il dissenso politico e sociale dilagante tra i popoli dell’Occidente, per dirottarlo contro la Russia, “stato canaglia” di turno.

E’ noto che la finalità strategica americana nella guerra ucraina è quella di logorare economicamente e militarmente la Russia. Questa guerra è da considerarsi una fase della strategia geopolitica americana che prevede la penetrazione della Nato in Eurasia e l’accerchiamento della Russia. Ne sono la prova il recente conflitto tra Azerbaigian e Armenia e i disordini verificatisi in Kazakistan. Tuttavia un eccessivo prorogarsi della guerra a cui sia gli USA che la Cina non sono in grado di porre fine, potrebbe condurre al logoramento non solo della Russia, ma dello stesso Occidente. La Cina potrebbe trarre profitto da un prolungato conflitto russo – ucraino che comportasse un eccessivo impegno sia militare che finanziario da parte americana. E si deve inoltre rammentare che contenimento della Cina rappresenta una priorità strategica per gli USA. Come afferma Michael Kimmage in una intervista pubblicata sul numero 9/2022 di Limes: “Inoltre, esiste un desiderio cinese di vedere l’Europa, gli Stati Uniti e la Russia indebolirsi insieme a causa di questo conflitto. Nonostante le dichiarazioni a Samarcanda, credo che Xi auspichi un risultato della guerra d’Ucraina simile a quello della prima guerra mondiale, dove tutte le potenze coinvolte riemersero infiacchite, lasciando la Cina unica beneficiaria. Nel frattempo, cercherebbe di trarne vantaggio. Per esempio nel Sud del mondo, visto il discredito della leadership americana. La Repubblica Popolare potrebbe ergersi a isola di stabilità in un emisfero caotico. Quindi in una certa misura è probabile che anche Pechino ritenga una guerra lunga nei propri interessi”. Occorre tuttavia osservare che la Cina teme che uno stato di guerra prolungato possa determinare una grave recessione economica nell’Occidente, che inciderebbe gravemente sul suo export, già danneggiato dalla chiusura della via della seta in Ucraina, che rappresenta la principale via di transito commerciale nelle relazioni economiche tra la Cina e l’Europa. Inoltre, un eccessivo indebolimento della Russia potrebbe compromettere gravemente la sicurezza dei confini settentrionali della Cina e depotenziarla nel  contenzioso con gli USA nell’area dell’indo – Pacifico.

La strategia occidentale di logoramento della Russia attuata mediante le sanzioni si è rivelata fallimentare. Anzi, dalle sanzioni alla Russia ne esce penalizzata maggiormente l’economia europea in termini di inflazione e caro energia, rispetto a quella russa. La stessa URSS, colpita dalle sanzioni, seppe sviluppare grandi capacità di resistenza e suscitare nel popolo russo un grande patriottismo contro l’aggressore occidentale. L’esclusione della Russia dal sistema interbancario swift ha sviluppato la diffusione di sistemi di pagamento alternativi nei paesi non occidentali. Le sanzioni, con l’esclusione dal mercato interno delle merci importate, si tramutano nei paesi sanzionati in formidabili incentivi allo sviluppo della produzione nazionale. Ma soprattutto le sanzioni, comportando la confisca dei patrimoni e il congelamento dei depositi nei confronti della Russia, hanno generato la sfiducia negli USA e nel dollaro da parte dei paesi non occidentali. In tali paesi si è diffusa da tempo la convinzione secondo cui, in caso di dissenso nei confronti della politica estera americana nel mondo, si vedrebbero minacciati nella loro sovranità sia economica che politica.

E’ in corso pertanto un processo di dedollarizzazione dell’economia mondiale che ha comportato negli anni la riduzione delle riserve valutarie in dollari presso le banche centrali dal 70% al 52%. Si diffonde sempre più il commercio nelle valute nazionali tra i paesi non occidentali. Mediante le fluttuazioni del dollaro, che è valuta di riserva mondiale, gli USA hanno fatto sempre fronte alle proprie crisi esportando recessione e debito nei paesi europei. L’attuale rincorsa della BCE al rialzo dei tassi della FED condurrà l’Europa alla recessione e al suo dissanguamento finanziario. L’Europa atlantica è oggi dipendente sia dal punto di vista energetico che finanziario dall’area del dollaro. Ma l’Europa stessa con l’euro potrebbe creare un proprio sistema economico e finanziario alternativo al dollaro come lo sono l’EAEU (Eurasian Economic Union) e lo SCO (Shanghai Cooperation Organization). Ma, come afferma Fabio Mini nel suo saggio “Le guerre dentro e per l’Ucraina” pubblicato nel libro “Ucraina 2022” a cura di Franco Cardini, Fabio Mini e Marina Montesano, edito da “La Vela” 2022: “C’è abbastanza per far ragionare tutti, e in particolare Stati Uniti ed Europa. Se non fosse per la debolezza politica interna, se si liberasse della sudditanza nei confronti americani e se assumesse la responsabilità della propria sicurezza, l’Unione europea potrebbe diventare la potenza equilibratrice per tutto l’Occidente e perfino per Russia e Cina. L’euro potrebbe diventare la moneta internazionale in grado di rappresentare finalmente un’economia reale solida ancorché minacciata dai trucchi finanziari, dalle bolle speculative e dai vari quantitative easing. Ma quei “se” pesano come macigni.

Germania: la grande sconfitta

La guerra russo – ucraina ha determinato la rottura dei rapporti politici ed energetici tra Germania e Russia. Con i sabotaggi del Nord Stream 1 e 2, che hanno estromesso le forniture di gas russo dall’Europa, è venuto meno il ruolo della Germania quale paese distributore di gas in Europa. La Germania è stata infatti soppiantata dalla Polonia, che ha inaugurato in concomitanza con gli attentati il gasdotto Baltic Pipe, con cui verrà importato il gas norvegese che poi verrà distribuito dalla Polonia stessa in Europa. Inoltre, la Turchia e la Russia hanno recentemente concluso un accordo per la costruzione di un hub energetico per esportare gas russo in Europa e paesi terzi. Alla dipendenza russa si è quindi sostituita quella polacca. La debacle della Germania è evidente.

Ma la svolta epocale verificatasi nella politica tedesca con la crisi ucraina è costituita dalla fine della Ostpolitik. All’inizio degli anni ’70 il cancelliere Brandt inaugurò una nuova stagione politica per la Germania, con il riconoscimento della DDR e l’instaurazione di una politica di distensione con i paesi dell’est europeo, in particolare con l’URSS. La Ostpolitik ha garantito una lunga fase di sviluppo economico alla Germania ed ha creato una interdipendenza sia nel campo energetico che commerciale con la Russia. Ma la Germania ha sempre dovuto fronteggiare l’ostilità americana e inglese riguardo al rapporto privilegiato con la Russia. Gli USA hanno sempre osteggiato la nascita di una potenza europea autonoma dalla Nato.

Pertanto, a seguito della rottura dei rapporti energetico – commerciali con la Russia, la Germania ha assunto una nuova dimensione nella politica estera. La Germania, da potenza economica sarà trasformata anche in potenza militare nell’ambito della Nato. E’ stato varato dal governo Scholz un programma di riarmo per 100 miliardi di euro in 4 anni.

La fine della Ostpolitik comporterà anche la fine di un modello tedesco che ha fatto assurgere la Germania a potenza economica mondiale. La potenza tedesca si basava: 1) Sull’importazione di energia a basso costo dalla Russia. 2) Sull’export verso la Cina. 3) Sui suplus commerciali realizzati nella UE, a discapito degli altri paesi europei. Tali fattori di sviluppo sono dunque venuti meno. I rincari energetici e l’inflazione genereranno la crisi dell’export tedesco e difficilmente potrà ancora sussistere quel modello di sviluppo imposto anche alla UE, fondato su bassi costi energetici, compressione salariale, contenimento della domanda interna e avanzi commerciali. Onde salvaguardare l’export verso la Cina, la Germania effettuerà la cessione alla cinese Cisco del 25% del porto di Amburgo. La Germania è stata inoltre penalizzata nell’export dell’auto verso gli USA da un piano di incentivi alla produzione di auto elettriche di carattere protezionistico recentemente varato da Biden. La nuova Germania, seppur riconvertita all’Occidente con la rottura delle relazioni con la Russia, dovrà comunque fronteggiare l’ostilità americana riguardo ai rapporti con la Cina.

Il varo da parte di Scholz di un piano di 200 miliardi di finanziamenti per far fronte al caro energia, che darà luogo a rilevanti distorsioni della concorrenza nell’ambito della UE, produrrà profonde conflittualità con gli altri paesi della UE. E la crisi dell’export tedesco si ripercuoterà nella UE, data l’interdipendenza economica tedesca con gli altri paesi europei (specialmente con l’industria italiana). E’ evidente che la Germania esporterà in Europa inflazione e recessione economica.

Dalla fine del modello economico tedesco scaturirà alla lunga anche la dissoluzione della UE. La Germania non mira ad assumere la leadeship politica della UE. Vuole semmai trasformarsi un una “grande Svizzera”, tesa alla protezione dei suoi interessi economici e finanziari, a salvaguardare il benessere dei suoi cittadini ma diverrà un paese concentrato esclusivamente nei suoi egoismi nazionali e soprattutto regionali. La Germania vuole preservarsi nella sua dimensione post – storica assunta dal dopoguerra in poi nell’ambito della Nato. Ma non potrà estraniarsi dalla storia e tanto meno restare esclusa dai mutamenti geopolitici in atto su scala globale. Sarà infatti il divenire incessante della storia a coinvolgere, seppur passivamente, la Germania nel contesto delle trasformazioni dell’ordine mondiale del prossimo futuro.

E’ assai significativa l’analisi di Lucio Caracciolo espressa in un recente video sul blog di Limes: “E’ presto per stabilire chi vincerà la guerra tra Russia e Ucraina. Ma un grande sconfitto c’è ed è la Germania”.

La colonizzazione dell’Ucraina

L’Ucraina è da decenni un paese in declino. La sua popolazione in 30 anni è scesa da 52 milioni (1991) a 41 milioni (2021), con relativa fuga di cervelli e smembramento delle sue istituzioni culturali e scientifiche. Le sue risorse naturali e il suo export agroalimentare sono stati acquisiti da multinazionali e fondi di investimento occidentali.

Non si deve credere peraltro che il sostegno armato occidentale sia stato erogato a favore dell’Ucraina per ragioni ideali o con finanziamenti filantropici. L’Ucraina usufruisce degli aiuti occidentali a fronte della cessione di 12 miliardi di dollari di riserve auree agli Stati Uniti, come si rileva da un articolo di Drago Bosnic pubblicato sul blog “Bye Bye Uncle Sam”: “Attualmente, poiché in Ucraina è rimasto molto poco da saccheggiare, il regime di Kiev ha deciso di cedere le ultime vestigia di ricchezza nazionale: le sue riserve d’oro. Secondo Gold Seek, il regime di Kiev ha recentemente consegnato agli Stati Uniti almeno 12 miliardi di dollari di riserve auree ucraine. Sembra che quelle potrebbero essere le ultime riserve auree rimaste al Paese.
Da quando la Russia iniziò la sua operazione militare speciale a febbraio, la politica occidentale, guidata dagli Stati Uniti, si è appropriata di decine di miliardi di dollari di valuta estera e riserve auree dell’Ucraina. Dopo aver ricevuto decine di miliardi di dollari in cosiddetti “aiuti militari”, oltre a finanziamenti per le istituzioni governative, il regime di Kiev è stato costretto a rinunciare alle sue riserve d’oro come condizione per tutta l’”assistenza” statunitense e dell’UE”.

E’ già stato programmato peraltro dall’Occidente un grandioso business per la ricostruzione dell’Ucraina. Questa guerra avrà come epilogo la colonizzazione economica e politica dell’Ucraina. Le multinazionali occidentali mirano infatti ad appropriarsi delle riserve di gas scisto presenti nel sottosuolo ucraino, valutabili in 1,2 milioni di metri cubi di gas.

A guerra conclusa il popolo ucraino non tarderà a prendere coscienza di come la sciagurata scelta di Zelenski a favore della Nato abbia comportato la svendita del paese all’Occidente.

Dalle ceneri della UE nascerà una nuova Europa

L’unità europea nella Nato in funzione antirussa è un mito mediatico destinato a dissolversi dinanzi alla realtà. Varie aree continentali e blocchi di stati di diverso orientamento geopolitico sussistono nell’ambito della Nato. Gli stati dell’Europa orientale sono storicamente russofobi, considerano la Russia una minaccia esistenziale e sono determinati ad una guerra ad oltranza, non temendo nemmeno una sua escalation. Per l’Europa centrale invece le relazioni con la Russia sono state essenziali per il suo sviluppo economico. Poiché la crisi energetica potrebbe provocare una crisi strutturale del suo sistema economico, propendono per una pace negoziata con la Russia. L’Europa dell’anglosfera, costituita dalla Gran Bretagna e dai paesi scandinavi è ormai parte integrante dell’area geopolitica atlantica e condividono con gli USA la strategia di contenimento di Russia e Cina su scala globale.

In realtà gli USA hanno conseguito in questa guerra un rilevante successo strategico: quello di provocare la rottura delle relazioni tra l’Europa e la Russia e di ricondurre la UE nella sfera atlantica. Infatti gli USA hanno sempre avversato ogni politica europea volta alla collaborazione con la Russia, che comportasse l’emergere di una singola potenza europea o peggio, di un blocco continentale che si affrancasse dal dominio americano sull’Europa. Gli interventi americani in Europa nelle due guerre mondiali costituiscono i precedenti storici di questa strategia.

Con tutta probabilità il fronte europeo della Nato è destinato a spaccarsi. Con l’arrivo dell’inverno la crisi energetica accentuerà i suoi effetti, generando recessione economica e conflittualità politico – sociali che potrebbero condurre alla destabilizzazione interna degli stati dell’Europa centrale e mediterranea. Come afferma Dario Fabbri sul numero 7/2022 della rivista “Domino”: “Se l’armata russa può contare soltanto sulla popolazione della Federazione, sul timore di subire un’umiliazione, sul patologico legame con le terre occupate, il campo ucraino è appeso al soccorso proveniente da ovest, militare, economico, diplomatico.

Retroguardia che, in piena bufera, potrebbe repentinamente collassare. Per eclatante choc energetico, se non addirittura nucleare. Per inclinazione a fare da sé nei momenti decisivi. Per il rabbioso scorno degli americani. I prossimi mesi sperimenteranno il tasso di sopportazione degli europei occidentali, quelli meno convinti tra i sostenitori della causa ucraina, a differenza degli ex paesi comunisti, ancestralmente antirussi. L’aggravarsi della questione gasiera provocherà profonde lacerazioni alle nostre latitudini, dentro paesi post-storici usi a studiare gli eventi con lenti economicistiche, maneggiando il bilancino dei costi e dei benefici”.

Profonde lacerazioni si profilano all’interno dell’Europa: la UE è destinata a sfaldarsi. Quindi, onde evitare la frammentazione europea, gli americani assumeranno il ruolo di mediatori interni tra blocchi contrapposti. La governance politica dell’Europa sarà dunque devoluta agli USA, con una UE ormai in fase di dissoluzione.

Questa guerra produrrà fratture insanabili all’interno dell’Europa. Occorre dunque ripensare l’Europa, acquisendo la coscienza dell’artificialità delle barriere novecentesche tra oriente e occidente, che si rivelano ormai antistoriche. L’Europa rinnega se stessa, nella misura in cui non si percepisce come continente eurasiatico, in cui convivono da sempre popoli diversi, dotati di una propria identità specifica, ma accumunati da un unico destino. E’ altresì evidente il fallimento della UE, quale unione fondata esclusivamente su interessi economici e quindi destinata a dilaniarsi in conflittualità interne insanabili.

I confini di una nuova Europa non corrisponderanno più con quelli geografici. Accanto all’Europa carolingia, dovrà emergere la centralità dell’Europa mediterranea, protesa a coinvolgere anche i popoli del nord Africa e del medio oriente, in virtù delle comuni radici storiche e spirituali. E’ la sola Europa possibile. I paesi dell’anglosfera e del Baltico appartengono ormai ad altre aree sia culturali che geopolitiche non compatibili con il processo di unificazione europea. La configurazione di una possibile nuova Europa è magistralmente delineata da Franco Cardini in una recente intervista rilasciata a “La Verità”: “Fin dal Novanta al crollo dell’URSS avevano promesso a Gorbaciov che la Nato non sarebbe avanzata neppure di un pollice. Si sono mangiati tutta l’Europa orientale. Stiamo presentando il mondo con il confine Occidente dove sta il bene e Oriente dove sta il male. Ma questo confine non c’è: esiste una dimensione euro-afro-asiatica, ci doveva essere e dovevamo ribadire e difendere la centralità del Mediterraneo forte di una enorme tradizione. Invece ci troviamo a considerare gli americani come fossero i fratelli della porta accanto, i russi come criminali, i cinesi chissà come e nel frattempo ci siamo impoveriti e diventiamo sempre più succubi”.

Ucraina: Il mondo al bivioUcraina: Il mondo al bivio – Libro

DOPO LA SCONFITTA DELLA LEGGE ZAN, LA LOBBY GAY RIPARTE ALL’ATTACCO

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Zan continua a fare propaganda gender nei licei, il governo regala 4 milioni per case rifugio gay, il bavaglio della defunta legge Zan si ritrova nel Codice della Strada
di Luca Marcolivio

Che la questione omofobia non si sarebbe esaurita con la bocciatura del ddl Zan a Palazzo Madama, era più che certo. La piega che sta prendendo a meno di una settimana dal voto in Senato, era però difficile da prevedere. Gli attivisti lgbt e i parlamentari di sinistra non accettano la sconfitta e ora puntano tutto su una propaganda che batterà il territorio palmo a palmo. Primo obiettivo: la parte più vulnerabile e manipolabile dell’opinione pubblica, ovvero i giovanissimi.
L’onorevole Alessandro Zan non ha perso tempo e la scorsa settimana è volato a Oristano, dove ha parlato davanti a 250 studenti (senza contare quelli collegati virtualmente) del liceo classico “De Castro”. La scelta non è casuale: la città sarda si appresta ad ospitare il suo primo Pride, che, con tutta probabilità, avrà il suo frontman proprio nel principale relatore del disegno di legge naufragato in Senato mercoledì scorso.
Zan ha fretta di raccogliere le munizioni e tornare quanto prima nella trincea parlamentare. «Fra sei mesi si ricomincia: la legge torna in commissione e noi ripartiamo portando avanti, come sempre, la nostra battaglia – ha detto il deputato dem agli studenti oristanesi -. Sfrutteremo fino all’ultimo minuto utile la legislatura mettendoci tutte le nostre forze per far approvare questa legge».
Va da sé che il discorso dell’onorevole Zan al liceo “De Castro” è stato totalmente privo di contraddittorio. Praticamente un comizio. A fiancheggiare e sostenere il parlamentare, due docenti dello stesso istituto, uno dei quali, secondo la stampa locale, si è soffermato sul presunto «altissimo tasso di suicidio» tra i giovani omosessuali. Il dirigente scolastico, poi, ha definito l’incontro con Zan «uno dei momenti più belli vissuti in questa scuola».
Nel suo discorso, il deputato dem ha attaccato Matteo Renzi, accusandolo di cercare di «giustificare l’ingiustificabile. Italia Viva si è sfilata al Senato allineandosi ai sovranisti nostrani, esattamente come Forza Italia, e l’ha fatto per altre logiche. Scelta ancora più grave – ha commentato – perché non si specula politicamente sulla vita delle persone».
L’iniziativa di Zan è stata fortemente criticata da tre deputate di Fratelli d’Italia. Secondo la vicecapogruppo alla Camera, Wanda Ferro, si tratta di «un episodio già di per sé grave, reso inaccettabile dal fatto che il deputato abbia utilizzato una scuola per rivolgere attacchi, senza contraddittorio, alle forze politiche che in Parlamento hanno bocciato, voglio ricordare legittimamente, la sua proposta di legge contro l’omotransfobia». L’onorevole Ferro ha quindi sollecitato «un intervento del presidente della Camera Roberto Fico in difesa dell’autonomia e della libertà di voto dei deputati che in nessun modo possono essere condizionate o minacciate».
Da parte loro, le onorevoli Paola Frassinetti e Carmela Bucalo, rispettivamente vicepresidente della Commissione Cultura e responsabile istruzione FdI e responsabile scuola FdI, hanno denunciato la disparità di trattamento riservata alla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che, nei mesi scorsi era stata invitata a parlare in un liceo in Sicilia. «Nel primo caso un deputato va per parlare di una sua proposta di legge peraltro appena respinta – hanno dichiarato le parlamentari FdI – nel secondo Giorgia Meloni avrebbe dovuto presentare il suo libro in un progetto che prevedeva che un autore presentasse un libro». Frassinetti e Bucalo hanno quindi annunciato un’interrogazione al ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi «per capire come si sono precisamente svolti i fatti e come mai nelle scuole si usano metodi diversi a seconda del partito al quale appartiene il parlamentare invitato».

Nota di BastaBugie: ecco altre notizie sulle rivincite del mondo LGBT, dopo la sconfitta della non approvazione della legge Zan.

GOVERNO DONA 4 MILIONI PER CASE RIFUGIO GAY
Il governo ha stanziato 4 milioni a favore di associazioni e comuni “per la selezione di progetti per la costituzione di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere”, si legge nel relativo decreto del 2020.
Tra le 37 associazioni vi sono il Gay center gay help line (180mila euro), Spazio aperto servizi coop (168.073) il Movimento omosessuale sardo (100mila), Quore aps (180mila), Caleidos coop sociale (180.000), Arcigay nazionale ‘ass. lesbica e gay italiana’ (100.000), I ken onlus (180mila), Circolo Mieli (100mila).
Poi i comuni di Ravenna 79 (86.000), Ragusa (99.820), Padova (97.140), Livorno (100mila), e ancora San Giorgio a Cremano, Avellino, Campobasso e Albano Laziale.
Soldi dei contribuenti destinati ad opere di cui sarebbe bene verificare la necessità dato che atti di discriminazioni a danno di persone omosessuali e transessuali non sono così numerosi da obbligare a destinare così tanti immobili a tale scopo.
(Gender Watch News, 11 novembre 2021)

RIECCO IL BAVAGLIO DA DDL ZAN NEL CODICE DELLA STRADA
La scorsa settimana la Camera ha approvato il Decreto-legge Infrastrutture con cui il legislatore ha ritoccato il Codice della strada (Cds). Nell’esame del provvedimento arrivato nelle Commissioni riunite Ambiente e Trasporti si è fatto largo un emendamento delle relatrici Alessia Rotta (Pd) e Raffaella Paita (Italia Viva) nel quale viene “vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche”.
Dunque, la formula sull’identità di genere, già inserita nell’articolo 1 del Ddl Zan e causa di mal di pancia anche a sinistra che hanno poi portato all’affossamento in Senato del disegno di legge, ha fatto la sua ricomparsa per vietare pubblicità considerate offensive. Nel caso di violazione della norma, l’autorizzazione per la pubblicità potrà essere revocata immediatamente.
Per Raffaella Paita, presidente renziana della Commissione Trasporti, “la norma rappresenta una doverosa conquista di civiltà utile a impedire che gli spostamenti lungo le nostre strade possano essere occasione per promuovere campagne contro il genere femminile o lanciare messaggi violenti”. Non è dello stesso avviso l’associazione Pro Vita & Famiglia, promotrice in passato di pubblicità contro aborto, eutanasia e gender nelle scuole che avevano fatto parecchio discutere e che rischiano, con questa norma, di essere oggetto di facile censura. Un loro maxi-manifesto a Roma contro l’interruzione di gravidanza, dopo giorni di polemiche, era stato fatto rimuovere dall’amministrazione comunale allora guidata da Virginia Raggi. In un comunicato, Pro Vita & Famiglia ha criticato l’approvazione dell’emendamento al Dl Infrastrutture, chiedendosi se “sarà ancora possibile affermare in una pubblicità che i bambini sono maschi e le bambine sono femmine” o “che un bambino nasce da una mamma e un papà”. L’associazione ha anche chiesto di eliminare il riferimento all’identità di genere “altrimenti – si legge nella nota – realtà, partiti politici o associazioni finora libere come la nostra avranno la bocca chiusa da una censura figlia della volontà di allineare tutti al pensiero unico”.
Lucio Malan, senatore di Fratelli d’Italia, ha criticato l’inserimento “piratesco” dell’emendamento all’interno di un decreto-legge sulla sicurezza e circolazione stradale. L’esponente del partito di Giorgia Meloni, inoltre, ha criticato la presidenza della Camera per non aver ritenuto estraneo alla materia del decreto-legge il contenuto dell’emendamento delle relatrici.
Dopo l’ok alla Camera, […] il Senato ha votato la fiducia (190 sì, 34 no) posta sul Dl Infrastrutture, che così è diventato legge. […] Toccherà al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti emanare le direttive per l’applicazione della norma. E quindi, probabilmente, anche decidere cosa si debba intendere per “messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi o discriminatori”. Discriminatori anche in riferimento a quell’identità di genere che, votando a favore della ‘tagliola’ sul Ddl Zan, il Senato aveva respinto la scorsa settimana.
Pro Vita & Famiglia ha diffuso un nuovo comunicato, spiegando che il Governo Draghi “ha approvato un Ddl Zan mascherato. Da oggi avremo il bavaglio per le nostre opinioni”.
(Gender Watch News, 5 novembre 2021)

Titolo originale: Zan non si arrende alla sconfitta e continua a fare propaganda gender nei licei
Fonte: Provita & Famiglia, 4 novembre 2021

L’alba di un nuovo Medio Oriente

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Segnalazione di Redazione Il Faro sul Mondo

di Salvo Ardizzone

Il radicale ribaltamento della situazione in Medio Oriente, già in corso da tempo e reso più celere dall’accordo sul nucleare iraniano, ha subito una nuova brusca accelerazione con la scesa in campo della Russia. Per comprendere la portata di eventi destinati a ridisegnare tutta l’area, ed avere ripercussioni globali, occorre fare un passo indietro alle radici degli equilibri di forza che hanno cristallizzato per un tempo lunghissimo quel quadrante a beneficio, più che di Stati, di centri di potere che ne hanno tratto utili immensi.

Il legame stretto che ha unito le enormi riserve energetiche del Golfo alle Major Usa del petrolio, ha determinato un interesse primario delle Amministrazioni che si sono succedute a Washington a tutelare quei petrostati, e più d’ogni altro l’Arabia Saudita. Un legame antico, reso “speciale” dai colossali interessi che ha coinvolto, creatosi oltre sessant’anni fa.

Allora, dopo aver espulso la tradizionale influenza inglese, tutta l’area era sotto il controllo Usa, che con un colpo di Stato, nel ’53, si erano liberati dallo scomodo primo ministro iraniano Mossadeq, reinsediando Reza Pahalavi e facendone il proprio gendarme nel Golfo.

Sembrava una situazione destinata a durare in eterno, ma la Rivoluzione Islamica del ’79 segnò la rottura di quegli equilibri consolidati, segnando la nascita di un forte polo di resistenza all’imperialismo Usa e di contrapposizione alla corrotta dinastia saudita.

Aggressioni in Medio Oriente

Gli eventi che nei decenni successivi si sono succeduti (l’aggressione dell’Iraq all’Iran, la prima e la seconda guerra del Golfo solo per rimanere ai più eclatanti), sono tutti figli del tentativo di mantenere l’assoggettamento dell’area da parte di Washington e Riyadh, eliminando l’unico vero ostacolo, appunto la Rivoluzione Islamica. E quando tutti sono falliti, si è pensato di colpirla con le sanzioni, per indebolirla e isolarla.

Ma la Storia non rimane ferma e le situazioni maturano: l’Amministrazione Obama, portatrice di interessi diversi da quelli dei centri di potere che sostenevano le precedenti, s’è mostrata assai meno incline ad assecondare Riyadh e le lobby ad essa legate. Per il Presidente americano il Medio Oriente era un pantano da cui gli Usa avevano ben poco da guadagnare e già nella campagna elettorale del 2007 si era dato l’obiettivo di districarsi da Iraq e Afghanistan.

Era ed è più che mai convinto che le sorti di potenza globale per gli Usa si decidano nel Pacifico, nella contrapposizione con la Cina. Praticamente una bestemmia per Riyadh, che ha visto nel progressivo allontanamento di Washington e nell’attenuarsi del suo ombrello protettivo un pericolo mortale, in questo pienamente accomunata da Tel Aviv.

Di qui le contromisure: scalzare Governi scomodi o comunque non allineati sostituendoli con altri manovrabili e spezzare quell’area di naturale collaborazione che si stava consolidando dall’Iran al Libano, attraverso Iraq e Siria. Ecco nascere il fenomeno delle “Primavere”, subito cavalcate e indirizzate; di qui il fiorire di conflitti per procura in quelle aree, sia per destabilizzare Stati considerati ostili o comunque non “amici”, che per suscitare zone di crisi in cui invischiare gli Usa impedendone il disimpegno.

Avvento delle Primavere

Ma le cose non sono andate così; dopo anni durissimi (ormai sta scorrendo il quinto), malgrado tutti gli sforzi per sviarla, la Storia ha continuato la sua strada. A parte il destino delle “Primavere”, che meritano un discorso tutto a parte, gli Stati sotto attacco non sono affatto caduti. Inoltre, presa in un pantano irrisolvibile e con in testa altre priorità, l’Amministrazione di Washington s’è mostrata sempre più svogliata nel sostenere il gioco via via più pesante dei suoi storici “alleati” locali: Arabia Saudita, appunto, ma anche Israele.

Quest’ultimo, con cieca arroganza e totale ottusità politica, non ha mancato occasione per scontrarsi con Obama (che, gli piacesse o no, era alla guida del suo tradizionale protettore d’oltre Atlantico) e compattare i suoi nemici, moltiplicando le provocazioni, le aggressioni, i crimini. Un insperato e stupefacente capolavoro politico per i suoi avversari.

È in questo clima che è maturato e ha preso il via l’accordo sul nucleare iraniano, evento di rilevanza storica perché infrange il muro dietro cui si voleva isolare Teheran, e per questo fino all’ultimo avversato invano da sauditi e israeliani.

L’accordo fortemente voluto da Washington non deve stupire. In esso non c’è nessuna resipiscenza per 40 anni di aggressioni ed ingiustizie, quanto il calcolo che l’Iran è indispensabile per la stabilizzazione del Medio Oriente, evitando il completo ed irreversibile collasso delle aree di crisi, come auspicato dagli “alleati” (Turchia, Arabia Saudita ed Israele), che le hanno create per spartirsene le spoglie. Nell’ottica dell’Amministrazione Obama, rinunciato ad un’egemonia Usa sulla regione (ormai impossibile), voleva però impedire che un’unica altra potenza la controlli.

Il disegno Usa in Medio Oriente

Da questo disegno discende tutta l’ambiguità e la contraddizione dell’operato Usa, soprattutto nei confronti dell’Isis, creato a tavolino per destabilizzare l’area e poi ingigantitosi e sfuggito al controllo. Washington sa bene che, spazzato via quel “nemico” tutt’altro che irresistibile (malgrado l’immagine che continuano a darne i media), si otterrebbe la stabilizzazione dell’Iraq ed a seguire della Siria; ma in questo modo si favorirebbe l’unità di un’area di collaborazione da Iran a Libano cementata ora da anni di lotte comuni; proprio quella che, quand’era ancora in embrione, è stata il bersaglio della destabilizzazione del Golfo.

Ed ecco la ridicola attività simbolica della coalizione internazionale a guida Usa che dovrebbe combatterlo, una forza che a volerlo avrebbe potuto incenerirlo in poche settimane, e che da più d’un anno fa poco o nulla. Di qui le resistenze a fornire ciò che serve all’Iraq per difendersi e il malumore nel constatare che quello Stato, un tempo un semplice vassallo, comincia a far da sé con gli aiuti (veri) di Teheran e di Mosca.

Ed ecco tutte le contraddittorie ambiguità sulla Siria, che è e resta il nodo dei problemi in Medio Oriente. In quel pantano sanguinoso, nella distorta logica avvalorata dai media, s’è giunti al paradosso di voler distinguere fra i tagliagole dell’Isis, cattivi perché sfuggiti al controllo di chi li manovrava, e quelli di Al-Nusra, ufficialmente affiliati ad Al-Qaeda ma “buoni” perché controllati da Riyadh. Secondo questa logica distorta, che Arabia Saudita, Turchia e Qatar, col pieno avallo e appoggio degli Usa, armino, finanzino ed aiutino in ogni modo bande di assassini ufficialmente prezzolati, perché destabilizzino uno Stato sovrano per poi spartirlo, sarebbe lecito quanto giusto.

Inserimento della Russia

Il fatto è che la posizione ambigua tenuta da Washington ha generato un colossale vuoto di potere, ed in quel vuoto s’è inserita la Russia, che è una storica alleata della Siria e di interessi in Medio Oriente ne ha eccome. La base navale di Tartus, i nuovi legami con l’Iran, il ruolo nella ricostruzione dell’area che diverrà il terminale della Via della Seta cinese, sono solo alcuni. Poi la possibilità di avere carte in mano da scambiare con Washington nell’altra area di crisi che a Mosca sta a cuore: l’Ucraina. Un intervento che ha sparigliato le carte, suscitando le inviperire reazioni di chi ha visto il proprio gioco irrimediabilmente compromesso, perché, in nome di un ulteriore paradosso sostenuto da tanti osservatori interessati, il fatto che un Governo legittimo sotto attacco chieda sostegno ad un alleato farebbe scandalo, quello che non c’è ad armare i terroristi che lo attaccano.

Sia come sia Putin ha rotto gli indugi e sta dando l’assistenza chiesta da Damasco. In buona sostanza sta fornendo cospicui aiuti militari e con l’aviazione sta colpendo le bande di assassini senza fare quelle distinzioni comprensibili solo alla luce degli interessi di chi la Siria voleva distruggerla per poi spartirsela.

L’intervento ha dato una fortissima accelerazione alla risoluzione delle crisi (peraltro già avviata); malgrado le strenue proteste dei sauditi e degli Stati nel loro libro paga (Francia in testa), non passerà molto che le famigerate bande del “califfo” verranno distrutte e con loro gli altri tagliagole che infestano Siria ed Iraq.

La completa sconfitta Usa

Anche Washington ha protestato con forza, ma nella realtà l’intervento di Putin ali Usa sta bene. Il Medio Oriente era già perduto per gli Usa e neanche considerato più prioritario; così i tempi sono stati solo accelerati. E piuttosto che esserne completamente esclusa, a Washington fa comodo che al centro ci sia la Russia, con cui ha molto da scambiare per la soluzione del problema ucraino e per le sanzioni inferte per la Crimea.

Per Riyadh è il crollo totale del disegno di mantenere potere e privilegi come sempre, in cui tanto aveva investito. È l’ennesimo fallimento che s’aggiunge a una pericolosa crisi finanziaria ed alla sciagurata aggressione allo Yemen, che si sta trasformando in un disastro; insieme potrebbero minare le stesse fondamenta del Regno.

La Turchia, frustrata nei sogni megalomani di Erdogan e con una guerra civile ritrovata con il Pkk che rischia di internazionalizzarsi, coinvolgendo le altre formazioni curde.

Israele è completamente solo, attorniato da nemici che lui stesso ha compattato; adesso può attendere solamente che la soluzione delle crisi che ha contribuito largamente ad attizzare indirizzi su di lui tutte le forze della Resistenza.

È un Medio Oriente allargato assai diverso che sta emergendo rapidamente. Un’area finalmente liberata da antichi imperialismi oppressivi: quello Usa, quello sionista e quello del Golfo. Un’area che dopo anni e anni di lotte sta conquistando il suo autonomo cammino di sviluppo.

In tutto questo spicca la totale assenza dell’Europa, che pure tanti interessi avrebbe ad essere presente, anche solo politicamente. L’ennesima dimostrazione d’inconsistenza, di pochezza e d’inutilità, di Istituzioni tali solo sulla carta. È l’ennesima manifestazione di totale sudditanza di Stati privi di sovranità o, più semplicemente, di una politica che non sia miope egoismo o totale asservimento.

Fonte: https://ilfarosulmondo.it/lalba-di-un-nuovo-medio-oriente/